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TWF - Tex Willer Forum

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Mostrando i contenuti con la più alta reputazione il 20/10/2018 in tutte le sezioni

  1. Il mio ripensamento sul Tex di Boselli Ciao Mauro. Mi rifaccio vivo, dopo circa un anno di assenza sui forum, per quanto non abbia mai smesso di seguire le vostre discussioni. Nonostante la nostra bella litigata, ho continuato a comprare il Tex e a leggerlo nelle sue varie pubblicazioni. L’ho fatto per amore verso il personaggio, ma anche perché non sono una persona particolarmente orgogliosa e non amo le ripicche. Piuttosto che indignarmi, ho cercato di avvicinarmi al tuo lavoro con l’intento di capire piuttosto che di giudicare il fumetto che avevo tra le mani. Quando ho ripreso la lettura di Tex, nel gennaio 2017, grazie all’albo “Nel segno di Yama”, mi ero dato due anni di prova per capire se avessi avuto ancora voglia di condividere un tratto della mia vita col nostro caro e vecchio ranger. Ora siamo ad un paio di mesi dal traguardo e mi sento di dare un giudizio compiuto sostanzialmente positivo. Trovo che tu abbia ragione nel sostenere che spesso ci si costruisce un “proprio” Tex, involontariamente distante dal prototipo originario. Nel mio caso è certamente così. Il “mio” Tex, quello in base al quale ti ho un po’ presuntuosamente mosso degli appunti, non è il Tex di GL Bonelli, ma un “feticcio” innalzato sulla base di emozioni e ricordi, in cui l’operato di Bonelli, Nizzi e Galep si è fuso con il periodo storico e le vicende da me vissuti. Uno pensa che avendo letto più di quattrocento Tex possa avere le idee chiare sul personaggio e le storie, ma separare il fumetto dalla propria biografia non è affatto facile. Devo riconoscerti il merito di avermi spinto a riconsiderare il personaggio e le storie in un’ottica meno soggettiva e di questo te ne sono grato, per quanto sia stato doloroso farlo. Alla fine mi è sembrato di conoscere un nuovo Tex e con questo ho deciso di fare i miei conti. Per ri-conoscere Tex, mi sono messo ad osservarlo e a studiarlo quasi in terza persona, sforzandomi di calarlo nella realtà attuale, della quale è partecipe così come i vari Tex del passato avevano fortemente risentito del loro tempo. Ho cercato di collocare il tuo Tex nel contesto culturale contemporaneo, che necessariamente è andato oltre i vari Zane Grey e John Ford, per citare qualche icona del West glbonelliano. E ho riflettuto su quel senso comune italiano che incontrandosi felicemente con la personalità texiana è sempre stata la cifra della popolarità e della trasversalità del personaggio. Ragionandoci su, mi è parso chiaro che ciò che si ritiene “giusto” per un “eroe giusto” non è immutabile, ma risente necessariamente dei cambiamenti sociali e della diversa consapevolezza che essi comportano. Nei suoi settant’anni di vita editoriale il mondo è mutato radicalmente e con esso le fortune del fumetto, l’opinione comune sul West e sull’eroe in quanto tale. Queste considerazioni possono apparire banali, ma forse non lo sono del tutto, se è vero che il lettore di fumetti, e nello specifico il lettore di Tex, è istintivamente portato a vivere l’avventura in una sorta di “tempo zero” totalmente scollegato dal presente. Ti avevo definito un “rivoluzionario”, fumettisticamente parlando, ma adesso con occhi diversi vedo il tuo lavoro in termini assai più “conservativi”, come chi ha cercato di attenersi strettamente al dato originario, concedendosi davvero poche “libertà creative” riguardo aspetti spesso nemmeno essenziali. Ne ho avuto la conferma in “Nueces Valley”, che considero la tua storia più importante e teoricamente rischiosa, destinata ad essere ricordata tra i momenti fondamentali di Tex. L’albo è assai riuscito e mi ha dato un gran piacere leggerlo. Hai operato con l’abilità certosina del filologo, cosicché Ken Willer è un Tex più anziano, in Mae si rivedono i tratti del figlio Sam e del nipote Kit, sulla giovinezza del quale è stata ricostruita poi quella del giovane Tex. Nulla è stato affidato al caso, tutto è stato ricondotto ad una fonte. Come i quattro amici dell’adolescenza, che anticipano i quattro pards della maturità nelle rispettive coppie Dick-Carson (la spalla), Hutch-Tiger (l’alter-ego) e Rod-Kit (il giovane-fallibile). A dimostrazione di come si cerchi di cambiare rimanendo ancorati fondamentalmente allo stesso canovaccio. Noto che non pochi lettori ti continuano a contestare questo ruolo di “sistematizzatore” della saga texiana che hai assunto già dai tempi del “Passato di Carson”. Sbuffano su qualche aggiustamento della cronologia non tenendo in alcun conto del caos temporale creato con simpatica noncuranza da papà Bonelli. Personalmente non ho mai considerato “eretico” il tuo operare sulla biografia del personaggio. Devo anzi ammettere che questa intenzione è sempre stata un motivo serio e in alcuni casi decisivo perché il sottoscritto ritornasse a seguire una testata che aveva abbandonato da tempo per calo di interesse. Almeno nel mio caso, il rilancio di momenti e personaggi storici ha avuto un effetto positivo. Parlare di biografia significa anche parlare di Storia e la Storia, quella con la “S” maiuscola, rimanda alla realtà. Il Tex che hai ereditato era un personaggio che poco in definitiva aveva a che fare con la “realtà”. Quando Galep salutò i suoi lettori, con Boselli e Villa il nuovo Tex iniziò ad acquistare una dimensione più accurata sotto il profilo storico e “il Passato di Carson”, ambientato circa “venticinque anni prima” rappresentò il primo puntello di una risistemazione della saga di Tex e dell’apertura di questa ad un ventaglio di personaggi non più divisi, secondo l’uso manicheo, prima di allora in voga, tra “buoni” e “cattivi” a tutto tondo. Iniziano a comparire figure femminili sottratte al classico ruolo di “supercattive”, ci sono gli schiavi neri del Sud, ma soprattutto è diventato d’abitudine un personaggio “terzo”, a metà strada tra l’eroe (Tex) e il cattivo di turno. Tu hai introdotto questa figura inedita del “cattivo minore”, un personaggio chiaroscurale che Tex spesso decide di salvare o di farselo alleato per combattere l’avversario principale. Confesso di aver avuto difficoltà nell’accettare questo elemento narrativo, che è forse l’unica tua vera presa di distanza dall’impianto glbonelliano. Tuttavia riconosco che l’introduzione di questa figura di “antieroe”, non troppo buono/non troppo cattivo, oltre ad essere anch’essa un “segno dei tempi”, rappresenta anche un modo, forse, per accorciare la distanza tra una “leggenda” e i “comuni mortali”: essendo impossibile “umanizzare” Tex senza con ciò sminuirlo, l’aver inserito una “figura di mezzo” ha reso più credibili le vicende e reso al tempo stesso “un po’ meno incredibile” Tex. Questo è quel che ho pensato io in merito ad una scelta autoriale in grado di spiazzare chi non ha avuto la possibilità di assorbire nei giusti tempi il nuovo corso di Tex. Sempre a proposito di biografia, forse ricorderai che mi ero occupato con grande interesse del tuo libro e del nuovo impianto cronologico che con questo iniziava a porsi. Su questo forum c’era chi non era pronto o non accettava di buon grado la tua scelta di considerare “il passato di Tex” quale storia fondante che anticipava le vicende della Guerra di Secessione narrate da GL Bonelli nella celebre “Tra due bandiere”. Questo è invece un punto in cui il sottoscritto, diversamente da altri “tradizionalisti”, ti ha sempre seguito con convinzione. L’idea che Tex, con un volto già maturo, prima andasse in guerra e poi diventasse fuorilegge, in storie che lo vedevano – graficamente e non solo – poco più di uno sbarbatello, non mi ha mai convinto, e già quand’ero ragazzo e “fanzinaro” m’immaginavo una soluzione sul tipo di quella che hai dato effettivamente tu. A proposito di “Tra due bandiere”, il tuo Tex più volte si è incontrato con la Guerra Civile e le questioni del razzismo e dell’antischiavismo hanno avuto una maggiore rilevanza nella saga. Negli anni cinquanta GL Bonelli aveva tenuto il nostro ranger fuori dal conflitto, presentato sullo sfondo, e la questione della libertà dei neri era passata via sotto silenzio (“Gli sciacalli del Kansas”, 1953). Nel 1970, però, dopo che il Movimento per i diritti civili dei neri e le marce anti-Vietnam avevano mutarono radicalmente il contesto politico e culturale dell’Occidente, Bonelli sentì l’esigenza di narrare il coinvolgimento diretto di Tex nella vicenda bellica, azzerando di fatto le avventure scritte diciassette anni prima, quando la consapevolezza sul tema era ben diversa. In questa storia Tex ha combattuto al seguito dell’Unione ed assunto una posizione antischiavista che verrà ad affiancarsi a quella, già nota, di difensore degli indiani. Alla fine, però, la denuncia di ogni guerra e la tragica fine di un vecchio amico di Tex, morto a Shiloh dopo aver combattuto tra i confederati, riportò il pallino nell’alveo di un pacifismo alieno da ogni partigianeria. Mi sono ricordato che un regista come Tonino Valerii, appena un anno prima, nello spaghetti-western “Il prezzo del potere”, con protagonista Giuliano Gemma, aveva realizzato una pellicola dal forte sapore ideologico in cui si narrava dell’uccisione di un Presidente “progressista” e la violenza del razzismo bianco mostrata senza infingimenti di sorta. Ovviamente una lettura “per ragazzi” come Tex non poteva permettersi la crudezza e il realismo, nonché l’intento marcatamente politico di un film. Tuttavia lo stacco ideologico rispetto agli anni cinquanta risultò enorme e il nostro eroe, mostrato per l’occorrenza nelle vesti di semplice cowboy texano, si mostrò consapevole delle tematiche correnti, nonché di quale fosse la “parte giusta”, ovvero quella del Nord abolizionista. Per uno step successivo si dovettero aspettare altri quindici anni, quando uscì “Fuga da Anderville”, scritta da Claudio Nizzi, che chiarì ancor meglio la posizione di Tex riguardo unionisti e confederati. Tuttavia c’è voluta la saga di Jethro, svoltasi a cavallo di due storie entrambe significative – “La grande invasione” (2002) e appunto “Jethro” (2017) - perchè il rapporto di Tex con la Storia americana e la relazione di questa con il West texiano raggiungesse una chiarificazione definitiva. Adesso tu ricorderai bene che proprio la storia di Jethro è stata la causa della nostra litigata. Apro una parentesi: mi è dispiaciuto molto per quanto è successo e in questi mesi ci ho pensato spesso. Credimi se ti dico che non avevo intenzioni polemiche nei tuoi confronti e che si è accesa una miccia del tutto imprevista. Purtroppo sui social cose del genere succedono spesso. Ho avuto difficoltà col tuo Tex, lo ammetto. Non ero ancora pronto per leggere una storia come “Jethro” su Tex e, malgrado tutto ciò che ho scritto ora, ero ancora troppo legato al mio Tex del passato per valutare quella storia con animo sereno. Anche se il razzismo, permettimi di sottolineare questo punto, nei miei pensieri non c’è mai stato. Sono cresciuto con i telefilm liberal e il vento libertario degli anni settanta e atteggiamenti reazionari non ne ho mai realmente avuti, anche se talvolta – per il mio spirito di bastiancontrario – ho potuto dare questa impressione. Ma torniamo a Tex. Oggi la pubblicazione da parte dell’Audace di una pubblicazione come Deadwood Dick, piuttosto in linea con l’approccio narrativo e cinematografico contemporaneo riguardo la Storia del West, dà non solo ragione alla presenza e al ruolo assunto da uno schiavo nero nella saga di Tex, ma ne ridimensiona la portata, dando torto a chi, come me, ne facevano – sbagliando – una questione ideologica. Ma qui si ritorna alla questione del “tempo zero” del vecchio fumetto d’avventura che le esigenze del “realismo” dovevano riporre nella soffitta dei ricordi. Già a partire dai primi anni novanta nel fumetto aveva preso piede una maturazione del gusto con la richiesta esplicita di una maggiore aderenza al dato storico e alla plausibilità di personaggi e situazioni. Tu ti sei preso l’onere e l’onore di adattare Tex al gusto contemporaneo e l’hai fatto cercando di non smuovere Tex dal suo piedistallo e di discostarti il meno possibile dall’ortodossia bonelliana. Mi accorgo mi aver parlato e sparlato di politica, ma una rivoluzione nasce in un contesto e poi coinvolge tutto e tutti superando distinzioni e generando un nuovo status quo. Oggi i diritti umani, il femminismo e l’antischiavismo sono considerati valori universali e fondamentalmente trasversali. Il fatto che Tex abbia col tempo strizzato l’occhio a queste sensibilità non è un fatto politico, ma sociologico. E il tuo Tex ha semplicemente seguito il corso del tempo, com’è sempre successo ai tempi di Bonelli padre, di Bonelli figlio e di Nizzi. C’è Kit Willer, figlio di un’indiana, che doveva necessariamente appropriarsi di un’identità “meticcia” su cui si era sorvolato per troppo tempo e che oggi non poteva continuare ad essere celata. E il west era pieno di gente che non sopportava gli indiani e i meticci, oltre che i neri. Tu hai fatto vedere tutto ciò, e hai mostrato anche figure femminili né angeli né demoni, ma determinate e grintose come la vita dura della Frontiera necessariamente richiedeva. In ultimo, ma è questione non meno rilevante, c’è la questione della trama, che nelle tue storie spesso e volentieri non è una ma due. Si è alzato il prezzo dell’albo, ma si è offerta anche una lettura più articolata, più ricca. Come in “Nueces Valley”, ad esempio, dove ci sono le origini di Tex, ma anche un sentito omaggio all’epopea di Jim Bridger. La scelta di sovrapporre due storie diverse è nel tuo stile ma forse anche un’esigenza editoriale, visto che l’età, l’attenzione e i tempi di lettura del pubblico sono cambiati e storie troppo veloci e lineari rischiano oggi di apparire banali e semplicistiche. Perché il lettore abituale di Tex non è più un ragazzino alle prime armi con West, ma un adulto che magari ha letto anche Ken Parker e si cimenta pure in letture impegnate. Cosicché, alla fine, questo tuo West più realistico, più sfaccettato, maggiormente ricco di figure caratterizzate mi ha alla fine convinto. Passate al setaccio della sensibilità corrente, tutte le teoriche “innovazioni” di Mauro Boselli sono risultate man mano ai miei occhi nient’affatto “eversive”, ma addirittura “inevitabili” e persino “necessarie”. Credo che l’intento tuo e degli altri tuoi colleghi sia stato quello di trasportare Tex da una dimensione “mitica” ad un West che cerca almeno in parte di aderire alla Storia, parlando al tempo stesso una “lingua” che non suoni “datata” o peggio “retrograda” agli orecchi contemporanei. Per cui, a dire che Tex sia cambiato troppo o che non sia cambiato affatto, gli si fa egualmente un torto. Il mio pensiero attuale è che Tex è cambiato nella misura in cui poteva e doveva cambiare nel corso di un tempo oltretutto per nulla breve (il “passato di Carson” è datato 1994, ovvero ventiquattro anni prima questo “nuovo passato” di Tex). Resta in fondo la questione, del tutto personale, se questo tuo Tex “inevitabile” e “necessario” debba piacere per forza ad un vecchio lettore di Tex (che possa piacere è ovviamente acclarato). A me questo tuo Tex, a furia di scontrarmici, è finito col “piaciucchiare”. Più ci prendo confidenza e più mi rendo conto che certi aspetti che un anno fa trovavo ostici adesso non mi colpiscono più di tanto. Mi sono fatto una ragione pure di Corbett, causa principe delle nostre polemiche. Confesso che mi hai completamente catturato regalandomi un ottimo Tex bambino ed ora stuzzicandomi con questa nuova testata sul Tex adolescente per la quale sono in trepidante attesa. Ti auguro dunque buon lavoro e ti consiglio di non dar eccessivo peso a quello che si scrive, nel bene e nel male, su forum e social vari. Sono opinioni di persone qualificate ma che rappresentano un gruppo piuttosto esiguo. Per fortuna il pubblico di Tex continua ad essere molto, ma molto più vasto. Antonio
    2 points
  2. Nueces Valley, un anno dopo Queste righe avrei dovuto scriverle esattamente un anno fa, quando “Nueces Valley” uscì in edicola, un po’ di soppiatto, nella collana “Maxi”. Cercherò, per quanto possibile, dopo tutto questo tempo, di restituire alle mie parole l’entusiasmo e perfino la commozione che questo albo mi ha dato. Inizio col dire che aspettavo questa storia con enorme interesse. Era la nascita di Tex, qualcosa a cui non avrei mai pensato di assistere. Ho seguito sui forum dedicati ogni notizia e piccola anticipazione riguardo l’albo. Non conoscevo bene Pasquale Del Vecchio e mi chiedevo se i suoi disegni sarebbero stati all’altezza di un’uscita così prestigiosa. Le preview facevano ben sperare, però, e io contavo i giorni come quando ero un ragazzino e attendevo con ansia l’ultimo album del mio gruppo rock preferito. La mattina del 6 ottobre 2017 mi recai in edicola più presto del solito e provai subito una grandissima emozione nel tenere quel “librotto” storico tra le mani. Penso di non esagerare se dico che in tutta la mia vita di lettore di Tex nessun albo è stato così lungamente atteso e pregustato. In seguito, solo “The Love Bunglers”, di Jaime Hernandez,, mi farà provare dei sentimenti fortissimi, pur per ragioni completamente diverse. Le origini di Tex sembravano scritte una volta e per sempre nel “Passato di Tex”, una storia a cui ero legato da quand’ero ragazzino e che conoscevo a memoria per averla letta e riletta un’infinità di volte. Ma adesso c’era un “prima” che contava di andare molto indietro agli eventi del Tex ventenne. Non stavo davvero nella pelle e di ritorno a casa – approfittando di una mattinata libera – mi apprestai alla lettura intimidito e ancora incredulo per ciò che avevo tra le mani. Le prime pagine, con un’introduzione apposita di Mauro Boselli e gli schizzi preparatori di Del Vecchio furono già un ottimo biglietto da visita. Avevo troppa voglia di leggere la storia, ma mi costrinsi ad aspettare ancora un po’ e non saltai alcuna pagina. Il Tex giovane di Del Vecchio, ritratto a pag. 11, era straordinario. Tutte le illustrazioni erano belle, ma principalmente quel primo piano di Tex, sul quale mi soffermai più e più volte gongolando: “Ci siamo! E’ fatta! E’ lui! Sììì... grande!!”. E seguivano le pose di Ken Willer, ritratto in apertura a pag. 5, gli studi su Mae e gli altri personaggi. L’introduzione di Boselli era puntuale ed esaustiva. Le note storiche sullo scenario geografico che doveva fare da sfondo all’infanzia di Tex erano estremamente coinvolgenti. Non più un anonimo nome sperduto nel territorio del Texas, ma una storia nella storia tratteggiata con pennellate vivide che lasciavano presagire una lettura assolutamente speciale, indimenticabile. Ero lì, seduto nel salotto della mia casa, con una mattinata a disposizione ed un albo epocale tra le mani. “Non ci posso credere, ma sta avvenendo…”, dicevo tra me e me. “Sto leggendo l’inizio di tutto…”. Repubblica del Texas, 1838. Si apre come un grande classico d’avventura western. Gli esploratori e i pionieri da cui partì la nostra Grande Epopea. Sapevo di Jim Bridges e del suo ruolo nella storia. Mi piacque tantissimo trovare in Tex un periodo storico della Frontiera antecedente a quello abitualmente trattato. Mi vennero in mente alcune belle pagine del capolavoro di Gino D’Antonio. Fino a pag. 59, dove Tex appare per la prima volta nel pancione della mamma, l’albo scorre via e avvince in maniera davvero sorprendente, grazie ad una sceneggiatura perfetta, classica com’era giusto che fosse un western atemporale, in grado di collocarsi nei quasi settecento numeri di Tex senza smuovere né stravolge nulla ma al tempo stesso dare ragione di tutto. Capolavoro. Sto leggendo un vero gioiellino, va tutto bene, tutto bene… I disegni di Del Vecchio sono davvero spettacolari. Tratto pulito e altamente descrittivo, rappresentano un punto di congiunzione tra Civitelli e Villa, forse i due artisti a cui sono maggiormente legato. Claudio Villa, in verità mi aveva un po’ deluso per una copertina che finora rappresentava l’unica pecca, non essendo a mio parere particolarmente curata né evocativa (molto migliore, a confronto, quella che l’Autore realizzerà per la riedizione in volume successivamente data alle stampe). Ken e Mae Willer funzionano alla perfezione. Fino ad allora mi ero sempre immaginato Ken Willer come un uomo anziano con i baffi bianchi, perché in genere le figure maschili di Galep quando raggiungevano una certa età portavano i baffi (più di rado la barba). Questo Ken giovane assomigliava molto a Tex, come in effetti avrebbe dovuto essere, un Tex coraggioso ma anche saggio e di un’alta caratura morale. Grazie anche alla matita di Del Vecchio ho ritrovato nella fisionomia di Ken Willer quella fermezza di posizioni e quell’idealismo che caratterizzerà il Tex adulto. Ken è più pacato di Tex, e in questo Sam gli è più vicino, ma sul piano dei valori e dei convincimenti, tutto ciò che sappiamo di Tex appartiene a Ken e da lui gli è tramandato. La dolcezza di Mae la ritrovo invece in qualche tratto un po’ “femmineo” del giovane Kit, i cui tratti somatici rimandano a lei ancor più che alla madre navajo Lilyth. Ci sono delle pagine di quest’albo che sono davvero meravigliose. La tavola n. 65, che ci presenta Tex e Sam bimbetti al funerale della madre. Caratterizzazione assolutamente azzeccata. E poi la n. 93 con un giovanissimo Tex addormentatosi nel suo primo turno di notte con un piatto (di fagioli?) sul petto. Sembra davvero di assistere ad uno di quei vecchi e indimenticati film con James Stewart o John Wayne. E’ tutto perfetto, sceneggiatura e disegni si accompagnano alle perfezione e io mi fermo ogni tanto sprizzando felicità per quest’opera così convincente. L’albo si divide narrativamente in tre parti. La prima, che occupa la metà dell’albo, riguarda Tex bambino ed è a mio pare la più riuscita, per la quale mi sentirei di dare un “dieci più” tanto è perfetta in ogni sua angolazione. La seconda parte, che occupa due terzi del restante albo vede invece Tex adolescente, un Tex alle prime armi e per questo ancora capace di errori, come poi il figlio Kit. Questa parte è molto interessante per gli sviluppi che potrebbe avere in futuro, in quanto vi appaiono dei personaggi che rappresentano una prima versione dei “quattro pards” a cui siamo abituati tutt’ora. E’ una parte più abbozzata in cui solo Damned Dick appare caratterizzato compiutamente. Hutch e Rod sono invece meno delineati e servono al momento solo per arricchire lo scenario dell’adolescenza di Tex. La terza e ultima parte vede salire in cattedra Jim Bridges quando l’azione si sposta al tempo corrente. Ad una prima lettura ho ritenuto questa la parte più debole e ha un po’ smorzato l’entusiasmo provato in precedenza. Tuttavia ad un esame più approfondito quelle pagine finali, talvolta un po’ inverosimili per l’età avanzata del personaggio, danno insieme compiutezza ad un’opera che vede nella “Nueces Valley” appunto, ovvero in uno scenario storico-geografico e nella schiatta di pionieri che lo popola, il suo reale ed autentico protagonista. Jim Bridges a cui Tex concede l’onore di chiudere la storia e di rappresentare l’epopea del West dà a mio avviso la cifra di un eroe che è leggenda sì, eppure “suo malgrado”. Il Tex che fa un passo indietro nei confronti del più anziano eroe e mito d’infanzia, è in fondo ciò che realmente vuol essere: un uomo caratterizzato da un alto senso del dovere e della giustizia, ma anche una figura schiva che non ama mettersi in mostra e parlare di sé. Ecco perché la storia della sua infanzia viene narrata a corollario di un’impresa più nobile e seria. C’è Jim Bridges a cui bisogna dare una mano e a lui, al Vero Eroe del West, è dedicata la ballata di Johnny Horton. In questo non prendersi tutta la scena, nel fare un passo indietro quando occorre, nell’essere (forse) un eroe con “e” minuscola, ovvero senza la consapevolezza di esserlo e la tracotanza che ciò spesso comporta, c’è il Tex che io sento più vicino. Che stimo e che vorrei avere come amico. A Boselli e Del Vecchio il voto più alto per una delle storie più belle. Sicuramente la più importante e difficile e quella che, personalmente, porto oggi nel cuore. (Voto 10)
    1 point
  3. Non solo un Carson giovane, ma anche un Kit decenne! E con l' arco mantiene le premesse viste ne "Il tranello".
    1 point
  4. Che bello rivedere un Carson con capelli, baffi e pizzetto scuri!
    1 point
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