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Mostrando i contenuti con la più alta reputazione il 02/06/2020 in tutte le sezioni

  1. La recente rilettura della mia collezione mi sta regalando un’autentica girandola d’emozioni. Parecchi episodi li conservo scolpiti nella memoria e riprenderli è sempre un piacere, altri li ricordo meno e per l’occasione li sto rispolverando e albo dopo albo è come goderseli per la prima volta. Ciò che più però mi sta colpendo è il notare come una stessa storia, letta in fasi diverse della propria esistenza, possa procurarti sensazioni diverse. Gli albi sono identici a come li avevi lasciati un decennio prima ma evidentemente nel frattempo (come è ovvio che sia) cambia il modo in cui li vedi. Mi scuso per la lunga premessa che può apparire off topic ma mi premeva esternare questa strana sensazione, riacutizzata in maniera eclatante durante la rilettura di “Missouri”. All’epoca dell’uscita in edicola ricordo che, sebbene l’avessi in gran parte apprezzata, non avevo colto a fondo la bellezza intrinseca della storia. Ovviamente anche oggi non mi sento di sostenere che sia l’episodio migliore composto da Boselli per la saga, ma è indubbio che dopo una lettura più attenta e matura ho di gran lunga rivalutato il complesso. A mio avviso uno dei grandi meriti di Borden su Tex è sempre stato (e lo è tuttora) il suo approccio alla scrittura, più da fumetto d’autore che da serie popolare. I suoi soggetti, a parte qualche caso meno riuscito, sono sempre molto articolati e complessi; le sue sceneggiature innovative sebbene nei solchi dei più classici stilemi western e poi, la caratterizzazione psicologica dei personaggi rimane sempre il fiore all’occhiello della sua produzione. “Missouri” rimarca lo schema fortunato del capolavoro al debutto, con un incipit movimentato a cui segue un lungo flashback ambientato nel passato che anticipa la resa dei conti finale. Tex porta nel suo racconto, a beneficio del figlio, le lancette del tempo indietro, fino ai tempi della guerra civile. Aldilà della missione vera e propria affidatagli dal comando nordista, la grandezza del flashback sta proprio nella truce atmosfera di odio e terrore aleggiante attorno alle violenze del conflitto, che l’autore trasmette al lettore con magistrale perizia. Come in ogni dannata guerra, il torto e la ragione non stanno mai da una sola parte e anche la sanguinosa disputa tra i Jayhawkers del Kansas e i Bushwackers missouriani, fulcro del racconto, ne è una lampante testimonianza. Una paradossale sottoguerra intestina tra due stati sulla carta alleati contro la Confederazione ma divisi da una forte rivalità e il diverso orientamento in merito alla politica abolizionista. Nella vicenda rievocata da Tex tutti i facili luoghi comuni che vedrebbero gli antischiavisti dalla parte della ragione, vengono messi in discussione con una matura e cruda riesamina delle brutture del conflitto, dove nulla è mai quello che sembra, a parte gli orrori della violenza e la morte. Come in un racconto realista, Borden ci descrive le angherie, i soprusi, le razzie compiute da uomini, convinti che la divisa e il conflitto li autorizzi a tutto. Scene forti come la fucilazione di innocui civili a Trading River, accusati senza processo né prove di dare rifugio a dei ribelli, dipinge con mestizia le assurdità delle guerre e l’enorme prezzo da pagare della gente comune. Un detto recita che “Nella lotta fra elefanti, chi ci rimette sono le formiche, schiacciate dall’enorme mole dei contendenti” e trovo perfettamente adatta questa similitudine, visto che ogni guerra lascia scritto un capitolo di storia, dove i deboli e gli sconfitti non saranno mai menzionati e la realtà dei fatti verrà sempre addomesticati dai vincenti. Tex e “Damned” Dick si adoperano più che altro a cercar di salvare gli innocui civili, in un triste gioco più grande di loro; in parte la lieve ingenuità giovanile ma soprattutto i molteplici voltafaccia degli arroganti ufficiali gallonati, li mettono in seria difficoltà, soprattutto nella scena della liberazione del giovane ragazzino rapito, ma il coraggio e gli ideali del futuro ranger sono doti ben radicate nel suo cuore. È superfluo specificare l’ottimo lavoro svolto da Boselli nella caratterizzazione delle sue creature di carta che agiscono nell’episodio. Il tenente Robbins è il tipico galantuomo in divisa che opera seguendo la sua forte etica morale, come non manca il coraggio e il buon senso in figure come Hawkins o il dottor Edwards. Ma a mio avviso è magistrale il lavoro che Borden svolge sui villain. Già le figure secondarie del caporale Lewis e Corky Smith sono dipinte molto bene, soprattutto il ragazzo che appare come un facinoroso roso dall’odio e la violenza, che coglie l’occasione del conflitto per dar sfogo alla sua naturale indole: tuttavia nella sua mesta fine mostra pure una solida fedeltà al suo comandante. Di certo il villain più di spessore è senza dubbio il capitano Jude West. Sebbene sia un ufficiale arrogante, spietato e mosso da sentimenti negativi che lo assimilano alla categoria dei banditi, si nota subito che è un osso duro da rodere e soprattutto il suo carisma lo porta a essere seguito e stimato dai suoi uomini. Emblematica in tal senso, la bella sequenza della morte del giovane soldato di colore Rebo, che sul punto di esalare il suo ultimo respiro, si preoccupa di far riferire a West di essere stato un suo degno soldato: una forte senso di appartenenza, purtroppo mal riposto nei confronti di un’emerita canaglia! L’epilogo finale ambientato nel presente e che vede la squadra dei nostri al completo, con la bella sorpresa della presenza del redivivo Damned Dick, in effetti è un po’ accelerato e non tiene il confronto con le sezioni narrative precedenti. Qualche tavola di sceneggiatura in più sarebbe stata l’ideale, soprattutto per chiarire maggiormente l’alleanza fra West e Rhett Corrigan, due guerriglieri posti su schieramenti opposti durante la guerra, ma accomunati da una simile indole. In fondo non trovo tanto implausibile la loro collaborazione, anche se, senza tanti chiarimenti, potrebbe sembrare un po’ campata in aria. Di certo Rhett si mostra meno di spessore rispetto a West anche nella sessione del presente, visto che a differenza del socio, sembra ormai muoversi solo per denaro, mentre l’ex capitano del Kansas, anche a distanza di anni, continua a covare i suoi risentimenti e il desiderio di vendetta verso gli artefici del suo fallimento in divisa, che lo induce alla sua spedizione di vendetta a Glendale che movimenterà il crudo incipit. Riassumendo: non sarà il capolavoro di Boselli e forse qualche ingranaggio narrativo andava oliato meglio, ma la reputo davvero una gran prova “d’autore” che arricchisce una saga già di suo monumentale. Il comparto grafico, affidato a Corrado Mastantuono al debutto sulla regolare, si rivela efficace per la cupa ambientazione, visto che il suo tratto spigoloso e sporco si sposa perfettamente con la trama. Comprendo che lo stile sintetico e nervoso dell’autore, a tratti affine a quello di Font, divida la platea dei fans texiani, in virtù soprattutto di una presentazione grafica dei pards non convenzionale, che può apparire poco riuscita, ma bisogna riconoscergli molta personalità e dinamismo. Ammetto che non è il mio autore preferito ma non mi ha mai disturbato, anzi lo reputo col tempo molto migliorato nella leggibilità delle vignette e nella resa grafica generale. Il mio voto finale è 8
    2 points
  2. Una storia che non ho mai amato, per quanto ne riconosca gli indiscutibili pregi. Medda inserisce nella sceneggiatura davvero tanti elementi diversi e ben amalgamati: gli intrighi politici, il ruolo del giornalismo, i carpetbagger, la rappresentazione del Sud degli Stati Uniti (per quanto la collocazione geografica in questa storia sia sballata). È per questo motivo una storia complessa, un esordio che davvero non può passare inosservato. È però anche un western crepuscolare, cupo, violento, molto lontano dalle atmosfere classiche del Tex di GLB e dei primi quattro centinai; d'altra parte, lo stesso Medda fa dire ad uno dei suoi personaggi che "Le cose stanno cambiando, Tex... La frontiera è stata raggiunta, gli indini sono quasi tutti chiusi nelle riserve... Il West non è più quello che conoscevamo... si sta trasformando", parole che suonano quasi come una dichiarazione d'intenti da parte dell'autore sardo. Cupezza dell'atmosfera portata all'estremo dai disegni di Blasco, carichi di neri, sporchi, certamente adattissimi per questo tipo di storia. Sugli episodi "incriminati", di cui si parla sempre quando si cita questa storia, non ho molto da dire se non che non li ho trovati per nulla stonati o "inaccettabili", come vorrebbe qualche purista del verbo texiano; tuttavia, se sono stato contento di vedere una volta tanto Tex in difficoltà nello scontro con O'Bannion, quello su cui ho da ridire è il modo in cui ne esce, ovvero con un colpo basso: questa è la vera criticità di quella scena, perché Tex può essere messo in difficoltà, ne deve sempre uscire vincitore, ma ancor più deve vincere lealmente. Il colpo basso è allo stesso livello della sabbia gettata negli occhi dagli avversari di mezza tacca che Tex si ritrova ad affrontare una storia sì ed una no. Vederlo vincere così, perché gioca sporco, fa rabbia. Come dicevo all'inizio, è una bella storia, che però non sono mai riuscito ad amare (forse, di nuovo, perché anche questa è tra le prime che ho letto da bambino, avendo iniziato ad acquistare Tex dal 401: e tutto si può dire, ma non che sia una storia che possa piacere a un bambino di 9 anni... può darsi che io continui a portarmi dietro questa sensazione avuta alla prima lettura). Ho sempre amato maggiormente la seconda prova di Medda, "Orrore!", per quanto anche quella molto cupa (ma i disegni di Letteri, per quanto in declino, mi sono più congeniali di quelli di Blasco). Ecco, a proposito di Medda: io, alla luce delle sue due storie, non lo ritengo un autore "da Tex", a meno di un netto cambio di registro e di una supervisione di un curatore che ne corregga gli "errori" dovuti alla sua scarsa conoscenza di Tex: e non tanto per le singole scene (il bordello, il pestaggio...), quanto per l'atmosfera generale. Queste sono storie che possono comparire di tanto in tanto nella serie, ma sono lontanissime dall'atmosfera classica di Tex. Avere avuto Medda in pianta stabile - questo Medda, questo western cupo e crepuscolare - avrebbe significato portare la collana molto lontano dalle sue caratteristiche. Per quanto, senza dubbio, ci siamo persi altre storie molto belle che avrebbe potuto scrivere. Curiosa la fine riservata a Chase Clayton, che si congeda dicendo "Ci sarà una rivincita. Da un penitenziario posso sempre uscire... e non dalla porta principale. Nel caso, sarai il primo a saperlo". Leggendo queste parole non posso fare a meno di pensare che Medda già progettasse un ritorno del suo cattivo, e che poi questo non sia stato mai realizzato per le scelte della casa editrice. Che sia il momento buono?
    2 points
  3. Sì sì, li recuperò mio padre da un suo vecchio scatolone in cantina per farmeli leggere - c'erano diversi Tex in ordine sparso, ma quelli dal 117 al 121 c'erano tutti, e iniziai proprio da lì in modo da leggere storie complete. Contemporaneamente iniziammo a comprare l'inedito in edicola, "L'oro di Klaatu", era il lontano '94 ed io avevo quasi 9 anni
    1 point
  4. Scusa, Leo ma toni a parte, Diablero ha comunque ragione. Il tuo post su "Gilas" ha dato fastidio anche a me. Perché sembrava proprio un tentativo di giustificare gli errori di Nizzi dicendo che anche GLB sbagliava, ragionamento che di per sé ha delle falle logiche gigantesche.Secondo, perché da te non me lo sarei aspettato. Mi sono detto che doveva necessariamente essere un post ironico ma, ahimè, l'ironia non è così evidente quanto presumo che avresti voluto. E con questo chiudo.
    1 point
  5. Ragazzi, da ciceroniano direi che ci sta un punto di avvertimento per entrambi; e qui chiudo l'OT.
    0 points
  6. In effetti abbiamo in comune anche questa passione, oltre alla poca simpatia per Mefisto. E preciso che anche a me piace Caio Mario solo che mi piace di più Giulio Cesare
    0 points
  7. Il mio bowie knife è pronto... Mi sa che dalla rupe Tarpea butto giù te...😆. con Leo posso al massimo accapigliarmi per colpa di Caio Mario o Giulio Cesare.😊
    0 points
  8. Quindi nessuna possibilità di salvezza?
    0 points
  9. Giro di chiglia? Frustate? Ma perché, poverini? Facciamo così: diamo a ognuno un coltello, li mettiamo su una rupe altissima facendoli passare su un tronco, ritiriamo il tronco e che inizi il duello all'ultimo sangue. E che vinca il peggiore. Sì, perché il vincitore sarà buttato giù dalla rupe.
    0 points
  10. Eh vabè, se la metti così allora io posso confessare che mi piacciono "Caccia l'uomo" e "I ribelli del Canada", così ci bannano in due
    0 points
  11. Opinione del sottoscritto: "Il figlio di Mefisto" è una delle dieci migliori stprie di Tex in assoluto mentre "Mefisto" è la seconda peggior storia della saga di Mefisto e Yama (la peggiore per me è, ahimè, "L'ombra di Mefisto") Se avete bisogno di volontari per spogliare Leo e Barbanera, sino alla cintola, issarli su un cavallo e poi prenderli a frustate chiamatemi.
    0 points
  12. Il terzo bottone della camicia di Tex è troppo in alto. L'albero a sinistra ha troppi rami secchi a destra. Il bollino del prezzo è troppo bianco.
    0 points
  13. Non reputo questa storia una delle migliori della saga. Buona, sì. Assume valore, forse, per il ruolo positivo degli indiani, il che, però, non era una novità per Tex. Non mi piace il modo caricaturale in cui viene reso il colonnello Arlington (mi pare si chiamasse così...). E' certo un dato di fatto che in questa storia si possono vedere delle anticipazioni della stucchevole "moda" filoindiana che stava per dilagare a Hollywood (dal pessimo Soldato Blu per arrivare al soporifero balla coi lupi), il che, però, non è un pregio. Originale, per l'epoca, il finale, in cui il ruolo del vendicatore/giustiziere è assunto da una vedova indiana.
    0 points
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