E’ nota la regolarità di rendimento di Ruju sulla serie, così come è altrettanto risaputo che finora, al netto di una buona media qualitativa, sia mancata all'autore la zampata che gli permettesse di comporre il suo capolavoro western. L’episodio in questione rimane finora uno dei punti più alti della sua carriera su Tex: una prova notevole e molto valida, ma che comunque, a mio avviso, non può fregiarsi dell’appellativo di “capolavoro”. Lo spunto di soggetto è davvero originale e molto accattivante, d’altronde su questo aspetto Ruju si è sempre mostrato una vera garanzia, come si fa molto apprezzare pure il lavoro svolto sulla psicologia di Padre Clemente, un ex bandito “fulminato sulla via di Damasco” dopo aver rischiato la pelle con uno scontro con Tex. Proprio le azioni di Guillermo Blanco, catalizzeranno le attenzioni del lettore e lungo la trama, quando il passato gli chiederà conto e metterà alla prova la sua conversione, ipotizziamo tavola dopo tavola l’entità della sua vocazione. Da una superficiale analisi, potrebbe pure apparire un po’ forzata la svolta repentina di vita dell’ex bandito, tutto sommato l’autore costruisce sui due albi una solida impalcatura psicologica su cui si basa la caratterizzazione del suo personaggio e tirando le somme, riesce alla grande, creando quello che sulla saga è uno dei suoi personaggi meglio riusciti. Non viene nemmeno meno la centralità dei due pards, comunque importanti nell’economia della trama, un po’ altalenanti i dialoghi e le scelte di alcune scene, una su tutte quella di Carson, che colpito alla mano da una pallottola, perde solo le redini e non riporta altri danni, potendo riprendere subito dopo a sparare, come se nulla fosse. Il ricatto su cui Gallardo basa il suo piano, può pure funzionare narrativamente e ho trovato intensa la scena finale, con Padre Clemente morente, che torna ad abbracciare i due ragazzini e sancisce con il suo sacrificio la sua conversione al bene. Pazienza se l’arco temporale sia un tantino forzato, così come fatto notare da altri prima del mio commento, possiamo considerarla una piccola licenza narrativa. Molto efficaci e vagamente poetici i titoli che danno nome ai due albi e nel complesso la prova di Ruju, riesce perfettamente a coniugare spunti di originalità con scene dal sapore più più classico; a tal proposito emblematico l’uso delle didascalie, scomparse dalle sceneggiature dai tempi del primo Nizzi. L’Ortiz che si apprestò a realizzare graficamente la storia, era ormai un maestro del fumetto in piena parabola discendente e ciò lo si nota perfettamente nelle 220 tavole, con anatomie approssimative, fattezze dei personaggi abbastanza tirate via e sfondi paesaggistici abbozzati, sebbene sempre molto ad effetto, tuttavia il suo proverbiale tratto sporco e dinamico si rivelò ideale per la narrazione e la perfetta caratterizzazione grafica di Guillermo Blanco, riscatta alla grande gli aspetti negativi prima accennati e fa prendere quota alla sceneggiatura. Un colpo di coda non indifferente di un grandissimo artista che, come ammesso in altre occasioni, ho sempre molto stimato per via del suo black style, anche quando la sua involuzione lo ha costretto a toccare tratti alquanto bassi. Il suo contributo sulla saga ha comunque lasciato il segno e l’Ortiz dei tempi migliori mi manca molto su Tex. Il mio voto finale è 8