Torno a scrivere dopo un secolo, chissà che sia la volta buona per tornare su questi lidi attivamente.
Premessa doverosa: ritengo Fuga da Anderville una delle storie più belle in assoluto della saga. E tuttavia, molte delle critiche esposte sono a mio parere condivisibili. Ciò di cui secondo me non si sta tenendo conto è che è un Nizzi ancora nuovo su Tex, un Tex che, sembra strano pensarlo, Nizzi non aveva mai letto prima di ricevere onori e oneri dalla SBE (che forse era ancora Daim Press, peraltro).
L'autore stesso ha raccontato di come si mise ventre a terra a leggere l'intera saga, una saga in cui si era inserito Guido Nolitta col suo universo personale profondamente diverso da quello del padre. Differenze certamente caratteriali, a cui si unisce un humus culturale inevitabilmente differente: anche a livello cinematografico, gli anni '70 vedono l'avvento della Nuova Hollywood, in cui gli eroi non esistono più. E peraltro già da molti anni la cinematografia, western ma non solo, aveva visto emergere personaggi rosi dai dubbi e, in definitiva, destinati alla sconfitta (vedasi su tutti il John Wayne/Ethan Edwards di Sentieri Selvaggi).
Questo per dire che, certamente, il Tex di Fuga da Anderville è un Tex profondamente nolittiano, nei pregi e nei difetti.
Se c'è un tratto tipico nelle storie del figlio di Gian Luigi, è proprio il porre il protagonista in situazioni complicate sia da un punto di vista emotivo che da un punto di vista pratico, laddove il padre, per predisposizione probabilmente naturale, non l'avrebbe ficcato.
Gli esempi che qui potrei citare, andando a semplice memoria di lettore, sono numerosissimi. Scegliendone tre: ne Il Segno di Cruzado, ecco il nostro confrontarsi con uno dei navajo ribelli che, morente, implora Aquila della Notte di ucciderlo per alleviarne le sofferenze; in Contro Tutti, Tex da infiltrato viene invitato ad uccidere un uomo a sangue freddo; in Grido di Guerra si trova a dover far fuori degli Cheyenne amici per salvare la pellaccia (e almeno qui agisce, a differenza degli altri due casi in cui è salvato dagli eventi).
E tuttavia tenderei a distinguere tra le varie scene incriminate: se è vero che Gian Luigi non avrebbe posto il nostro ranger in una situazione simile, con Tom Tex non si comporta da codardo, ma si rende conto che, pur pronto a tornare indietro a morire con lui, il destino del suo compagno di viaggio è segnato, e che il consiglio di John è saggio. Non è una resa, né una fuga (tipica del Tex di Nolitta, vedasi ne I Ribelli del Canada come si comporta nell'agguato); quanto ai suoi tormenti interiori, al dubbio su John e sulla loro amicizia, anche qui non è il Tex di Gian Luigi, ma mi piace: è umano, ma non debole, si trova impossibilitato a risolvere un dilemma e lo fa suo: lo accetta con tormento ma non con inerzia; quanto infine alle critiche sulla rappresentazione semplicistica dei sudisti, con tutta franchezza mi sembrano del tutto gratuite, e bastano la costruzione psicologica di Leslie e Howard e le scene (splendide) nella palude per accorgersene.
Ma veniamo al grande tasto dolente: il finale, in cui Tex è proprio il Tex di Nolitta quando non mi piace.
Non è certo il non essersi reso conto del segreto nascosto dal vecchio Walcott ad infastidirmi: è la sua reazione emotiva da sconfitto, identica guarda caso a quella delle ultime pagine di Caccia all'Uomo. E' un Tex che impreca, e quindi non è solido. Nella sua maschera di finta imperturbabilità, intrisa di rassegnazione e di rimorsi, Howard si dimostra forte, laddove Tex si dimostra debolissimo. E questo non va proprio bene.
Ciò detto, resta una storia magnifica per intreccio, sottigliezze, atmosfere, rese in modo straordinario da Ticci, ça va sans dire. Nonché una storia a cui sono umanamente legatissimo, memore delle sere passate da infante (e ancora analfabeta ) a farmela leggere da mio padre, che non aveva mai letto Tex e mai l'avrebbe più fatto in seguito. Ma ok, sto andando troppo sul personale!