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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Condor senza meta

    Un personaggio da recuperare (1)

    Ho espresso la mia preferenza per l'avvocato Bixler, poichè reputo che un suo ritorno sia agevolmente gestibile, magari accoppiato a qualche altra riapparizione del passato: un'idea potrebbe essere un'avventura con lui, Barbanera e il vecchio capitano Bart bisognoso di aiuto. La seconda preferenza va per la bella Sarah Curtiss, ma qui Boselli (o chi per lui) dovrebbe escogitare un soggetto particolare per riacutizzare l'attenzione del lettore. Non vedo facile sviluppare un eventuale proseguo del rapporto con Kit senza cadere nel platonico nulla di fatto (vedi ritorno di Lupe Velasco) o attenendosi a certi canoni della serie che non permettono legami sentimentali duraturi dei protagonisti.
  2. Dopo l’opaco ritorno di Juan Raza, la regolare ci ripropose un nuovo episodio del duo Boselli/Letteri. Purtroppo, dati alla mano, sarà anche l’ultima collaborazione fra i due autori, tanto è vero che lo storico disegnatore romano non riuscirà a completare la sua ultima opera che verrà comunque pubblicata sul Maxi, postuma alla sua morte. Il nostro Borden, reduce dalla lunga storia dei “Lupi Rossi”, molto originale e affine al suo stile compositivo, creò una trama più classica e molto bonelliana. Non mancano inoltre molti richiami a storie precedenti della saga, che sortiscono un effetto contrastante: piacevole da un verso, un po’ meno per la sensazione del già visto Il casuale incontro con i banditi che assassinano il falso peones (che ricorda Oltre la Frontiera); il ritrovamento del diadema che rimanda a un presunto tesoro antico (Il medaglione spagnolo); la presenza di uno sceriffo corrotto che, in combutta col figlio di Harrison e il soprastante del ranchero messicano, trama contro i due vecchi allevatori (anche io trovo attinenze con l’alleanza di Indigo Jones con Stanley Dance in “La lunga pista”); il finale movimentato nel vecchio pueblo Anasazi (Il pueblo perduto). A prescindere da questi richiami, la storia è piacevole e molto scorrevole. A differenza di altre prove, i personaggi di contorno, sebbene ben ritratti, non rubano la scena a Tex, che rimane sempre al centro dell’azione. Un Tex, forse un tantino meno brillante di altre volte, ma pur sempre accettabile. Finale molto movimentato, col colpo di scena della vera entità del tesoro e la scena (un po’ surreale a dire il vero, stile Indiana Jones) dell’assalto “mirato” dei ragni velenosi ai villain. Episodio non trascendentale, ma comunque nella media. Ovviamente Boselli ci ha da sempre abituati a livelli qualitativi eccelsi, ma prove simili sono fisiologiche e non disturbano affatto. Per il comparto grafico, rinnovo il giudizio espresso in commenti precedenti: purtroppo lo stimato Letteri, da tempo ormai aveva imboccato il mesto viale del tramonto, e seppure con stoico professionismo, l’esito finale della sua opera non brilla più. Figure piatte, poco dinamiche, sfondi tirati via, primi piani altalenanti, non adeguata rappresentazione dei “Non finiti” che sembrano i disegni di un ragazzino, sproporzioni anatomica (vedi i serpenti nella scena dell’ufficio dello sceriffo o i ragni velenosi nella Kiva del pueblo). L’enorme fatica al tavolo da disegno del maestro romano, incide a penalizzare un po’ la narrazione e a me mette molto tristezza, oggi come allora. Il mio voto finale è 7
  3. Dopo aver annaspato faticosamente, cercando di rimanere a galla con storie mediocri, il buon Nizzi scivolò sotto la linea di galleggiamento con la storia in questione. Purtroppo, credo che “I fratelli Donegan” rientri nella lista delle prove peggiori che lo sceneggiatore abbia partorito per la serie ammiraglia. Se fino a quel momento il preoccupante calo narrativo era stato appena mitigato con un po’ di mestiere, nell’episodio in questione, nemmeno quello venne in aiuto. La trama che ne uscì fuori risulta noiosa, a tratti implausibile e con Tex e Carson davvero irriconoscibili e quanto di più lontano possa esserci dalla caratterizzazione originaria di Gian Luigi Bonelli. Anche il parco personaggi che si muove tra le tavole dei due albi non brilla per caratterizzazione e i villain, che danno pure il titolo al primo albo, sembrano l’imitazione seriosa dei fratelli Danton su Lucky Luke. Un gruppo di barboni vestiti da becchini che sembrano gemelli e che in fondo non lasciano minimamente il segno nell’immaginario del lettore. Ammetto che non rileggevo l’episodio dall’anno della sua uscita in edicola e anche adesso, a distanza di molto tempo, il mio giudizio non si è affatto migliorato. Già la scena iniziale in cui i nostri incontrano gli sceriffi banditi all’opera che impiombano il ranger in incognita, si presenta a mio avviso incongruente. Mi spiego: se Tex fosse all’oscuro di tutto e, capitato fortuitamente sul luogo dell’uccisione, inizi a indagare sui Donegan scoprendone gli scheletri negli armadi, potrei pure capirlo, ma si dà il caso che i nostri conoscano sia la vittima che la sua missione, dunque, cogliendo i barboni all’opera, bastava sfidarli a pistolettate e farli fuori con tutti i crismi della legge, chiudendo di fatto la storia nelle prime tavole. Duro da digerire pure il fatto che Carson veda distintamente l’azione di uno dei fratelli che infila le banconote nella sella della vittima per incolparlo di un precedente omicidio e i nostri non battano ciglio. Da mal di stomaco la sequenza in cui i due ranger assistono a un atto di giustizia sommaria senza opporre resistenza e chinando il capo come comunissimi ignavi. Irriconoscibili davvero! Mi chiedo: sicuro di non aver sbagliato fumetto in edicola? Potrei continuare a lungo a elencare situazioni al limite del tollerabile, come il salvataggio dall’agguato grazie alla mandria condotta da Ben Rodgers, lo snodo narrativo forzato degli Arapahos (sul sentiero di guerra per cercare un ragazzino dopo anni, guarda un po’ che combinazione!) che si alleano ai nostri, i nemici che ci mettono pure del proprio lasciando vivo e libero Ben dopo averlo smascherato, permettendogli di spifferare i piani agli avversari. La fiera degli orrori. Non basta un finale più decente a salvare la prova e allontanare la bruttissima sensazione di due ranger abulici, inattivi, a tratti ingenui e quasi mai risolutivi. Rispetto molto Nizzi, ma questa storia a mio avviso era impubblicabile e fa fare un figurone a molte piccionate di Nolitta sulla saga. L’episodio avrà annoiato così’ tanto anche i redattori che si lasciarono sfuggire nella vignetta 5 di pagina 25 del primo albo, uno dei rari errori di lettering di Marina Sanfelice. Cose che capitano, allora come adesso, anzi, come altre volte scritto altrove sul forum, non invidio affatto il lavoro degli editor o di chi è addetto al controllo capillare di una pubblicazione. Buoni i disegni di Repetto, contraddistinti da uno stile classico che ben si sposa col genere e concordo con chi sostiene che le sue rappresentazioni grafiche di Tex e Carson, siano molto azzeccate e attinenti alla media. Ammetto che personalmente preferisco altri disegnatori, ma l’artista argentino negli ultimi anni della sua lunga carriera prima di lasciarci, si è disimpegnato molto bene sulla saga, mostrandosi un grande professionista delle nuvole parlanti. Il mio voto finale è 4
  4. Condor senza meta

    [523/525] I Lupi Rossi

    Pardon Virgin, hai ragione da vendere, scusate il refuso . La cosa che più mi sconcerta è che la storia l'ho riletta da poco e ho scritto un nome errato convinto di aver citato quello corretto. La senilità incalza.
  5. Condor senza meta

    [523/525] I Lupi Rossi

    Una parentesi boselliana dopo più di un anno di assenza sulla serie, ci volle come una boccata d’aria in seguito a una lunga permanenza in una stanza chiusa. Purtroppo il livello qualitativo di Nizzi in quel biennio 2003-04 cominciò a dare preoccupanti segnali d’allarme e storie come “Lupi rossi” vennero da me accolte con molto favore. Sconoscevo il fatto che la sceneggiatura fosse in principio pensata per un maxi, tuttavia il dirottamento della stessa su una tripla nella regolare, fu comunque un bene per la serie mensile, un po’ impantanatasi nel limbo del “con poca infamia e senza lode” vigente in quei mesi. Premetto che, sebbene ammirando molto la prova in questione, non trovo sia al livello dei capisaldi di Borden pubblicati nella sua quasi trentennale opera su Tex. Il soggetto è bello e con molte punte di originalità, cesellato ottimamente dall’autore con una sceneggiatura alquanto coinvolgente e con la consueta e ottima caratterizzazione dei personaggi, puro marchio di fabbrica della produzione boselliana. Si parte con un interessante flashback che narra le vicende dei due protagonisti della storia: il cheyenne Colpo Fortunato e il suo antagonista, il pawnee Cavallo Bianco. L’idea di impostare la storia su varie frazioni temporali, per poi proseguirla nel presente con un teso finale, non è nuova per Boselli, ma stavolta aggiunge un tocco in più, narrando a più voci i ricordi (Tiger, Tex e Cavallo Bianco stesso) e preparando perfettamente il terreno per lo svolgimento vero e proprio della trama. Molto intenso e a tratti poetico il rapporto che unisce i due nemici-amici Colpo Fortunato e Cavallo Bianco. Nei vari aneddoti del passato è chiaro che, sebbene su due fronti opposti della barricata, fra di loro sia presente un forte senso di rispetto e stima reciproca, che porterà, come ovvio all’alleanza finale. Un epilogo accolto favorevolmente dal lettore, che per tutta la durata dei tre albi non desidera altrimenti. Ma la grande maestria di Borden è sempre quella di farci amare tutti i personaggi che si muovono fra le sue sceneggiature. Come non citare la notevole caratterizzazione di un personaggio storico come Frank North, ma pure le comparse del calibro dei Nolan o Volpe Ardita non sono lasciate al caso e si rivelano perfette pedine sulla ricca scacchiera imbastita dal narratore. Forse stavolta non brillano eccessivamente i villain, o meglio a differenza di precedenti celebri come “Il passato di Carson” i vari Quayle, Dutronc e lo sceriffo Bolton, non lasciano il segno che il lettore si aspetta in una epica storia di questo calibro. Un’attenta valutazione porterebbe a notare che il parco attori di contorno un po’ toglie la centralità ai nostri, ma a mio parere non infastidisce tanto se l’esito finale è una storia ben fatta; Tex, Carson, Tiger e Kit, non sono relegati completamente ai margini, anzi nei momenti cardine della narrazione si mostrano risolutivi e decisivi come è giusto che sia. Ho trovato spesso più indigesto il leitmotiv del Nizzi post 500 con i nostri in balia degli eventi e degli aiuti esterni, al centro della trama ma spesso “spettatori non paganti” dei piani del fortunoso fato. Ritornando alla storia in questione, ho ritenuto fin dalla mia prima lettura, un po’ debole il finale; serrato ma un po’ affrettato e meno coinvolgente rispetto ad altri epiloghi che nel corso degli anni Boselli ci ha donato per chiudere le sue avvincenti prove. Il colpo di scena dell’alleanza dei due indiani lo riscatta un po’, sebbene fosse già nell’aria, per il resto forse un po’ di stanchezza ha impedito di chiudere al meglio la notevole tripla. Alfonso Font, dopo uno splendido texone, un maxi (capolavoro!) e un almanacco (mi pare da ricordare!) debutta sulla regolare. Il suo stile latino ha da sempre diviso i lettori: indubbiamente il mestiere lo conosce e come, tuttavia la tendenza un po’ caricaturale dei suoi personaggi, coglie un po’ alla sprovvista il fan abituato a tratti più realistici sulla saga. Di certo, sebbene anche il sottoscritto spesso reputi delle anatomie corporee e primi piani al limite del grottesco, non si può non apprezzare l’ottimo lavoro svolto sugli sfondi paesaggistici, con retinature classiche ma d’impatto e buoni studi prospettici con altrettanti soddisfacenti rese di vignette interne. Dopo il primo impatto visivo ci si abitua al suo stile, pur sempre abbastanza dinamico e il suo estro artistico ha più volte valorizzato le sceneggiature del nostro Borden. Volendo usare una similitudine calcistica, sebbene Marcello riuscisse a finalizzare con miglior bellezza estetica gli ottimi “assist” della mezzala Boselli (rigorosamente con la maglia n. 10 s’intende😅), anche Font tramuta in rete gli ottimi spunti servitogli, magari in maniera non così virtuosa da farti spellare le mani dagli applausi ma quel tanto che basta per segnare il punto decisivo per vincere la partita. Il mio voto finale è 8
  6. Condor senza meta

    [521/ 522 ] Kiowas

    Si palesa sempre più con questa prova, il declino artistico del buon Nizzi. L’intenzione lodevole di dar vita a un soggetto importante, viene danneggiata da un’opera di sceneggiatura non esente da pecche e purtroppo nell’economia dell’episodio questo aspetto pesa e non poco. L’idea di attingere a un classico topoi western, ovvero il contrasto fra bianchi e nativi in merito alla visione della caccia al bisonte, arricchita dalla, sola abbozzata a dir vero, conflittualità fra due tribù, Kiowas e Cheyenne poteva gettare le basi per una storia notevole e dai risvolti classici. Certo simili argomentazioni sono ricorrenti sulla saga di Tex, d’altronde non potrebbe essere altrimenti dopo quasi tre quarti di secolo di vita editoriale. Le influenze da note storie Gbonelliane e dello stesso Nizzi si evidenziano nel corso dei due albi, variate e adattate per il caso. Il colonello Thunder mi ricorda vagamente lo spocchioso ufficiale del maxi “Figlio del vento”, anche altri aspetti della trama rimandano a quel soggetto con la variante dei bisonti rispetto ai cavalli selvaggi. Non mancano le assonanze anche con la celebre storia dei Sioux di Nuvola Bianca, evidenziata nettamente nello svolgimento finale della trama, con Tex e Carson che si dividono i compiti per cercare di salvare il salvabile. Tirando le somme la storia non è illeggibile, ma alcuni punti mi convincono poco e purtroppo, a mio avviso, fanno calare il giudizio nella valutazione finale. In primis il ruolo di Tex, due volte catturato nel primo albo e costretto all’aiuto altrui per liberarsi, Lupo Solitario prima, Carson dopo. Oltre queste due circostanze, appare poco risolutivo in gran parte della storia; è vero si libera facilmente dell’agguato dei Kiowas di Mano Rossa (anche troppo facilmente visto come l’esaltato indiano si fa soffiare i cavalli) ma rischia seriamente di farsi fare a pezzi da Wess Tucker, dandogli le spalle nella scena clou dell’epilogo e non convince nemmeno come rischia di farselo sfuggire sotto gli occhi, dopo averlo inseguito per l’intera storia. Il tentativo di giustificare l’azione protettiva di Tucker senior nei confronti del fratello Wess, mi lascia alquanto freddo: se davvero è un brav’uomo come ammesso da Tex, come accettare di macchiarsi le mani con un omicidio, per coprire le malefatte di un fratello canaglia? Nizzi si perde i Kiowas per strada e lo stesso Mano Rossa non riceve il giusto castigo, come è pure brutta la parte sostenuta del capitano delle giacche blu, che consapevole di una sporca cospirazione del suo comandante rimane inerte, per poi spiattellare tutto a Tex, in maniera incongruente a quel punto. Passaggi a vuoto, non da poco. Anche Carson, dopo aver agito abbastanza bene, si perde nella chiusura causando quasi scelleratamente la morte del colonnello Thunder. Che l’ufficiale se la vada a cercare una fine simile con il suo nefando atteggiamento di bambino viziato e incontentabile, è un conto, ma un uomo navigato come il vecchio cammello doveva leggerla una tale situazione ed evitare la manovra con il branco di bisonti. L’autore voleva far morire Thunder non per mano degli indiani e ci può stare, comunque poteva escogitare qualcosa di meglio. Gli altri villain non brillano e mentre l’agente corrotto Koagan (che mi ricorda Maurizio Costanzo nelle fattezze ) si becca almeno uno sganassone per punizione prima della galera, di Blackmore non c’è più traccia nel frettoloso finale, accelerato più di uno sprint di Cipollini nei suoi anni migliori . Noi lettori immaginiamo che il bieco mercante verrà punito dalla giustizia, ma il buco narrativo rimane e Tex rischia di apparire come un ordinario sbirro di contorno e non un giustiziere raddrizzatorti. Troppe forzature e imprecisioni per meritare la sufficienza, ma di contro, l’episodio non merita nemmeno la bocciatura, grazie all’aura malinconica e decadente che emana e alla consueta perizia grafica dell’immenso Ticci, sempre a proprio agio su simili ambientazioni e scenari. Il mio voto finale è 5
  7. Storia che, senza la triste staffetta ai pennelli tra Monti e Brindisi, molto probabilmente sarebbe passata quasi inosservata. Vincenzo Monti con umiltà e tanto sudore, si ritagliò un posto ben importante fra la schiera dei disegnatori texiani e il suo addio diffuse molta tristezza tra i lettori affezionati. Un tratto solido e facilmente riconoscibile che, tavola dopo tavola, ognuno di noi amanti dell’universo di Aquila della Notte imparammo ad adorare e che ci faceva sentire aria di casa ogni volta che sfogliavamo un albo che portava la sua firma. Il sapere che da quella fatidica tavola di “Muddy Creek” non l’avrei più assaporato sulla serie inedita, mi fece un triste effetto; l’identica mestizia ogni volta provata allorché un autore storico della saga si congedava dai lettori e alla vita. Bruno Brindisi riprese di par suo la storia e la portò al termine brillantemente, dando ulteriore conferma dopo il bel texone, di essere molto portato pure per il genere western (non a caso Boselli ha deciso di arruolarlo nello staff della nuova serie Tex Willer). Molto bello l’omaggio a Monti fatto dal talentuoso fumettista salernitano nella prima vignetta di pag. 113 del secondo albo: difatti il sorridente capotreno che annuncia la partenza, altri non è che il compianto Vincenzo. Un “ideale” ringraziamento della casa editrice e noi fans per il notevole lavoro svolto in moltissimi anni di onorata carriera grafica. Purtroppo la sceneggiatura di Nizzi non fu eccelsa e aldilà di un soggetto interessante, pecca di parecchi snodi narrativi discutibili. Che Dillon e soci attuino tutti i loro sabotaggi ai danni di Macomber proprio durante la casuale presenza di Tex e Carson al ranch dell’amico, suona come una leggera forzatura. Ancor più stona la leggerezza di Tex quando non vieta al ranchero di far menzione ai figli della scoperta dei giacimenti, suggeritagli dall’ingegnere Belmont: ovviamente i villain non impiegheranno molto a capire da chi è partita la soffiata, di conseguenza la vita del tecnico minerario è messa a repentaglio dalla incauta scelta. Sorvolo sulle continue origliate dell’ingegnere che serviranno a portare avanti la trama fra scoperte e trappole. Pure forzato l’incontro fra i nostri e il prezioso alleato; tutte scorciatoie narrative che non fanno fare salti di gioia in una storia. Un Tex che verrà addirittura salvato da un gatto randagio durante un agguato, per par condicio dopo il topo provvidenziale della storia illustrata da Ortiz e che incomprensibilmente si fa disarmare da Dillon nella scena clou sulla scalinata. Mai capito come mai rischiare di farsi impiombare, quando col winchester in pugno sarebbe bastato poco a disarmare l’avversario. Detto questo verrebbe logico pensare che l’esito finale della prova di Nizzi sia del tutto insufficiente, ma tuttavia qualcosina da salvare c’è, infatti il rapporto tra Macomber e i figli, annessa la gelosia di Steve per il fratello, dona un tocco di sale alla minestrina e anche il colpo di scena con Katleen che si pente delle sue macchinazioni scoprendo di provare del tenero per il giovane, tutto sommato fa effetto. Certo Nizzi avrebbe dovuto caratterizzare meglio Harry, e anche Steve appare alquanto controverso e poco credibile. In effetti, sebbene pentito e consapevole di essere stato raggirato dallo sceriffo, credo se la cavi a buon mercato visto che inizialmente era propenso a reggere il sacco ai farabutti. Si desume così che non volesse la morte del fratello e del padre, anche se non vedo come poter ereditare in modo diverso; ingenuo oltre modo o disposto a tutto pur di ottenere ranch e l’amore della bella ballerina di dubbia fama? I nostri nutrono dubbi, per sciogliere le riserve sul finire battezzandolo un bravo ragazzo finito fra le grinfie di sciacalli, ma la perplessità nel lettore rimane, sebbene l’autore cerchi di mostrarcelo simpatico e indurci a fare il tifo per lui. Ho trovato fiacche le scene finali delle sparatorie e un po’ stucchevole il finale del “vissero tutti felici e contenti”, ma in fondo può starci come epilogo in una trama simile. Il mio voto finale è 5
  8. Condor senza meta

    [518] Pioggia

    Posso ipotizzare, senza averne certezza (magari qualcuno più informato sul forum può fornirmi conferma) che l’episodio autoconclusivo che mi accingo a commentare fosse destinato per qualche almanacco per poi essere dirottato, per esigenze editoriali, nella serie regolare. La mia ipotesi è suggerita da alcuni aspetti: la brevità della storia contenuta nelle canoniche 110 tavole, il debutto dei giovanissimi fratelli Cestaro e la lontananza dell’albo in pubblicazione con un eventuale albo celebrativo d’inizio centinaio. Sull’ultimo aspetto mi spiego: con la regola di dover contenere le sceneggiature in 110, 220, 330 tavole a seconda del numero di albi, è normale che nell’avvicinarsi di un albo celebrativo nasca l’esigenza di un albo singolo per far “quadrare” la programmazione, ma dubito che nel caso in questione, trovandosi ancora al numero 518, ci fosse una simile necessità. Comunque premessa a parte, la prova di Nizzi (la quinta consecutiva, come da anni non capitava) finì nell’edicole e sancì, come detto, il positivo esordio dei gemelli campani. La trama in se, trattandosi di una storia breve, non brilla eccessivamente. Ho sempre sostenuto che le storie autoconclusive su Tex difficilmente lascino il segno. Ovviamente ci sono le dovute eccezioni con gioielli narrativi partoriti in un numero anche minore di tavole, tuttavia non è il caso di Nizzi, visto che l’autore ogni volta che si è dovuto cimentare con una trama breve, ha di rado stupito il lettore. Anche “ Pioggia” a mio avviso rientra in questa categoria, con un soggetto esilino e dei comprimari non indimenticabili, salvata tuttavia da una buona sceneggiatura che a tratti rende avvincente la lettura; vedi al proposito la scena quasi thriller di Tex che si avvicina alla stanza di Sheldon, con il villain impaurito e soggiogato dai fantasmi del passato e dai rimorsi della coscienza per non aver seguito gli insegnamenti intrisi di buon senso dei vecchi genitori. Sheldon risulta un personaggio alquanto codardo ma abbastanza caratterizzato, per il resto della banda però il risultato non è altrettanto soddisfacente. Oltre a non costituire un grande ostacolo per il ranger, che straordinariamente in questo caso agisce in solitaria, sembrano solo abbozzati e stona il fatto che finiscano con l’affrontare singolarmente l’avversario, annullando di fatto la superiorità numerica. Molto forzata pure la leggerezza che il bandito messo a fare il “palo” dinanzi la banca commette, facendo entrare la vecchietta; scellerata mancanza che mette a repentaglio la rapina e porterà all’eccessiva reazione di Jess che impiomba la donna, nemmeno si trovasse di fronte a un pericolo del calibro di Hitchcock! Trovo pure un pretesto debole quello che porta Tex sulle tracce dei banditi. Capisco l’amicizia con il ranger azzoppato, ma con quale certezza può sostenere che il figlio sia pentito? La scelta di Steve di imbracarsi con feccia del calibro di Sheldon, visto i suoi rimorsi di coscienza fin dalle prime pagine della storia, appare incongruente e stride pure la presunta e intensa amicizia con Jess, che vuoi o non vuoi si rivela solo una carogna con il cervello pieno di ragnatele. Sembra il non riuscito tentativo di ricreare un legame di amicizia per arricchire il soggetto, rifacendosi all’idea del giovane biondino e Kit nella storia “I lupi del Colorado”; già allora mi parse un aspetto un po’ forzato, figuriamoci in questo caso. Un Tex ordinario in un’avventura di ordinaria amministrazione, così si può riassumere in poche parole la prova nizziana. Buono debutto dei talentuosi fratelli Cestaro ai disegni, ancora un po’ comprensibilmente acerbi visto l’età e influenzati stilisticamente da Villa e in maniera minore, pure dal tratto affine alla “scuola salernitana” di Della Monica. Già s’intravedeva comunque il talento che porterà i gemelli a ritagliarsi un ruolo importante nella scuderia della saga. Ho pure da sempre reputato curioso il loro metodo lavorativo, visto che è acclarato che i due autori si dividano le sceneggiature al 50%. Potremmo giocare a scommettere a chi fra Raul e Gianluca siano toccate le tavole pari e a chi le dispari della storia, di certo è straordinario come non si noti minimamente lo stacco stilistico fra una mano e l’altra. Altro aspetto che arricchisce la teoria dei misteriosi legami che legano in vita i fratelli gemelli. Il mio voto finale è 6
  9. Il 2003 fu l’anno in cui Nizzi tornò a pieno ritmo sulla serie. Escluso l’albo di gennaio, che chiudeva la storia precedente di Boselli, i restanti mesi portarono in calce fra i crediti il nome dello sceneggiatore modenese. Tuttavia, sebbene a livello quantitativo sembrava essere tornati ai tempi in cui “l’ammiraglio” Nizzi teneva da solo il timone della serie, il livello qualitativo delle prove di certo non fu affatto paragonabile. Ormai troppo altalenanti si presentavano gli episodi e purtroppo erano ancora destinati a regredire nel corso del centinaio. La storia in questione comunque è apprezzabile e personalmente la rileggo sempre volentieri. All’opposto dell’episodio precedente in Oregon, la puntata in Messico in compagnia del redivivo Doberado parte sottotono per recuperare punti nella seconda parte della tripla. Il primo albo in effetti è un po’ tirato per i capelli, alquanto pesantuccio e un po’ prolisso. La sessione dei ripetuti agguati dei bandidos messicani non sortiscono l’effetto che forse l’autore si prefiggeva e alla lunga annoiano un po’. Non è un caso che appena raggiunto l’archeologo in difficoltà la trama prenda un po’ di respiro e diviene più avvincente. Discutibili, usando un eufemismo, le considerazioni su Montales espresse da Carson nelle prime tavole: fuori dubbio che una doverosa opera di editing avrebbe dovuto sforbiciarle. Non pervenuto nemmeno il governatore di Chihuahua, ridotto a una piccola comparsa, evidentemente Nizzi non amava coinvolgerlo nelle sue sceneggiature. Sorvolando su “preoccupanti” tendenze dei nostri ad acconsentire troppo facilmente all’ordine degli avversari di deporre le armi e pure sulla sempre più evidente carenza di azione investigativa di Tex, più soggetto a subire gli eventi che dominarli, la scena della cripta non è male, come si rivela molto appetitosa l’ambientazione stevensoniana dell’epilogo, con la caccia al tesoro nascosto, utilizzando il pallone aerostatico e i villain disposti ad impossessarsene. Il terzo albo, al netto di alcune trascurabili leggerezze, è ben scritto e si rivela alquanto avvincente. Queste tematiche da romanzo d’avventura d’altronde rientravano nelle corde compositive di Nizzi e ben coadiuvato da un ispirato Ortiz, confezionò una chiusura di episodio discreta. Il disegnatore iberico, ai tempi della pubblicazione, aveva già sintetizzato il suo tratto, presumibilmente per accelerare i tempi di consegna. Le sue tavole, sebbene ancora molto efficienti ed espressive, sono molto distanti da quelle che apparvero nel suo texone di inizio anni novanta. Son certo che se avesse usato più tempo e cura, molte sue perfomances sarebbero state migliori, ma ammetto di averlo lo stesso sempre molto apprezzato, escludendo il suo triste declino artistico negli ultimi anni di vita. Le sequenze di scene in mongolfiera sono davvero molto belle da vedere, ben realizzate e studiate con molta perizia. Ambientazione esotica alquanto inusuale per lui ma tirando le somme, l’esito fu molto soddisfacente. Piccola nota a parte per ciò che riguarda la vignetta doppia che chiude la tavola di pagina 23 dell’albo “Il serpente piumato”: non ho mai capito cosa passò per la mente del maestro spagnolo quando decise di inchiostrare in maniera così puerile il sole al tramonto, rovinando di fatto una bella inquadratura. Capisco la sintesi di tratto o la fretta di consegnare, ma un astro diurno disegnato in maniera così “stilizzata”, a mio avviso, è al limite del pubblicabile sulla serie ammiraglia. Che gli abbia fatto uno scherzo il nipotino, disegnandolo di nascosto appena vista la tavola fissata al tavolo di disegno del nonno? Il mio voto finale è 7
  10. Storia dalla doppia personalità, una sorta di “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” della narrazione a fumetti e ancor oggi mi chiedo come sia possibile nell’arco di un solo albo, rovinare clamorosamente tutto il buon lavoro svolto nelle prime 110 tavole di sceneggiatura. È inutile tergiversare o cercare attenuanti e giustificazioni, Nizzi in preda a un pauroso calo di tensione sciupò, con un proseguo di sceneggiatura scialbo e incoerente, un discreto soggetto, abbastanza ben sviluppato sulla prima parte e quasi si prova l’impressione durante la lettura, che non ci sia la stessa mano dietro la stesura, visto l’incredibile involuzione della trama. Volendo usare una sorta di similitudine, l’autore dopo aver dipinto un’ottima tela, compromette tutto lasciandosi scivolare la tavolozza dei colori sull’opera appena ultimata, compromettendone irrimediabilmente l’esito finale. Esaurita la premessa, mi accingo a tentare di argomentare meglio i motivi che mi inducono a relegare l’episodio in questione tra la lista delle provi mediocri della saga. Il soggetto, come già dinanzi accennato, non è male e anche l’insolita ambientazione in cui agisce Gross-Jean, per una volta immigrato straordinariamente al sud del confine canadese, getta le basi a quella che potrebbe essere un’ottima storia. Molto piacevole pure la sessione narrativa in cui i nostri, sotto false generalità e travestiti da boscaioli, entrano in contatto con la dura vita dei tagliaboschi dell’Oregon. Il piano criminoso di Shannon, atto a destabilizzare le piccole imprese che forniscono le materie prime alla cartiera, vero obiettivo del villain, è discretamente congegnato e pure il piccolo giallo dei sabotaggi, che Nizzi inserisce fra le pagine per arricchire il soggetto e attirare la curiosità del lettore, ottiene brillantemente il suo scopo. Nella prima parte risulta molto piacevole la narrazione, con i nostri che danno vita a siparietti e dialoghi alquanto simpatici, unico neo Gross-Jean, troppo presto defilato dall’azione vera e propria. Con l’avvio del secondo albo tuttavia tutto si sgonfia e come una maionese che sfugge di mano allo chef e impazzisce sebbene gli ottimi ingredienti di base, anche l’episodio s’incanala lungo deludenti binari che lanceranno la sceneggiatura nella rupe della mediocrità. Il giallo del sabotatore (fino a quel momento abbastanza celato sebbene le poche pedine sulla scacchiera) viene troppo presto svelato, con l’aggravante che non è risolto da Tex, bensì dalla confessione del giovane Jody, testimone inconsapevole dell’omicidio. Come se non bastasse il ranger si comporta da piccione facendosi rapire da sotto il naso il ragazzo, per poi supplicare il caposquadra di lasciarlo libero in cambio della libertà, roba che quasi neanche Nolitta nel suo periodo meno ispirato. Il resto della trama procede senza scossoni e molto prevedibile, con uno Shannon poco caratterizzato e avversari che, alla fin dei conti, si mostrano poca roba. Poco incisiva la sequenza della sparatoria al capanno sull’isolotto con Tex che riesce a liberare con troppa facilità il giovane ostaggio e i famigerati “Fucili di Shannon” (che danno addirittura il titolo al secondo albo) che fanno solo il solletico ai nostri. A mio avviso inutile pure il presunto colpo di scena dell’omicidio di Shannon nell’epilogo, compiuto da uno dei tanti carneadi della storia che a detta di Tex, e conferma dei lettori, si rivela una vera e propria idiozia monumentale. Forse sarebbe stato il caso di tagliare (con l’accetta per rimanere in tema ) dalla sceneggiatura questa parte, che non aggiunge nulla nel complesso, anzi suona come una ulteriore nota stonata in una melodia già abbastanza sgradevole. Purtroppo, sebbene molto soddisfatto del primo albo, alla luce del volume finale inconcludente e davvero deludente, non me la sento di giudicare sufficiente l’intera prova. I disegni di Venturi, giunto alla sua seconda prova sulla regolare, sono di buon livello anche se l’autore mostra tra le tavole ancora possibili margini di miglioramento futuri, non avendo del tutto assimilato il personaggio e affinato il suo stile ideale per la serie ammiraglia; cosa che avverrà negli anni seguenti e culminerà con l’ottima prova sul Texone e sul ritorno della Tigre Nera. D’altronde potevano mai sussistere dubbi sulle qualità dell’autore dell’indimenticato capolavoro dylaniato “Jonnhy Freak”? Il mio voto finale è 5
  11. Un aitante ragazzotto di vent'anni è pur ovvio che trovi una folta schiera di belle fanciulle a fargli la corte e stuzzicare la naturale tempesta ormonale di quell'età. Spero tuttavia che abbia sempre usato le opportune precauzioni del caso e che non comincino a spuntare figli illegittimi che chiedono di fare l'esame del Dna per il riconoscimento. A parte le battute, in una serie come Tex Willer, più libera di osare essendo meno ancorata alla tradizione rispetto alla regolare, non ci vedo nulla di male se il nostro giovane eroe viva qualche scena "piccante", a patto che siano sceneggiate non in maniera volgare (e su questo aspetto non ho dubbi in proposito) e che non diventino seriali come in altre saghe, vedi Dylan Dog.
  12. La premiata ditta Nizzi-Civitelli, dopo aver ben impressionato con “Il presagio”, cercò di bissare il successo e l’originale spunto di soggetto, suggerito dal disegnatore aretino, avrebbe indubbiamente rappresentato un’ottima premessa. Purtroppo la redazione, presumo presieduta da Sergio Bonelli e ancora molto ancorata alla tradizione, impose il veto e le modifiche imposte, depotenziarono notevolmente la carica emotiva della storia. È indubbio che se il giovane Pat fosse stato il nipote di Tex, l’impatto emozionale dell’episodio avrebbe raggiunto vette altissime e il ritorno a Culver City acquisito un altro sapore, con la variante obbligata, il pathos si sgonfia un po’ e quella che poteva divenire una gemma compositiva della saga si è di colpo tramutata in una prova quasi ordinaria, che strappa una scarna sufficienza e nulla più. A eccezion fatta delle toccanti scene dinanzi le tombe dei genitori e di Sam Willer, sceneggiate con maestria da Nizzi in grado di dimostrare di saperci ancora fare quando ne aveva voglia, il resto scorre via senza grandi picchi. Il primo albo risulta deboluccio, con molti dialoghi a mo’ di spiegoni e scarsa azione. La trappola imbastita per incastrare Pat è uguale e sputata a quella in cui casca Tex pochi albi prima nella storia illustrata da Repetto, anche l’agguato teso ai nostri è troppo telefonato e ci si stupisce come un uomo navigato come il ranger non sia riuscito a mangiare la foglia. Altra scena poco edificante, il semplificato arresto effettuato dal losco sceriffo, con padre e figlio troppo arrendevoli nell’occasione. Col proseguo la trama assume un ritmo più congeniale e le cose migliorano un po’. Ben escogitata la sequenza dell’attacco alla diligenza e molto d’impatto il vignettone sul finale con i quattro pards uniti a marciare lungo la semibuia mainstreet in direzione del White Horse. Tuttavia tutto risulta prevedibile e ordinario e i richiami con il passato di Tex, d’obbligo in una simile ambientazione, si rivelano quasi nulli. Marley, sebbene ben tratteggiato, rimane un villain anonimo, i suoi sgherri poco pericolosi, l’epilogo con la sparatoria con la bella Frida, un escamotage visto e rivisto, con la sola variazione di tema costituita dal salvataggio di quest’ultima che permette di dimostrare l’innocenza di Pat. Peccato, si poteva di certo fare meglio e poi personalmente mi danno parecchio fastidio alcune valutazioni "nolittiane" di Tex, vedi mentre è asserragliato nell’ufficio dello sceriffo e esce allo scoperto per soccorrere il sedicente ferito, o quando si ostina a credere che il trasferimento del carcere non nasconda un trucco dei nemici. Ma dai, pure un idiota avrebbe sentito puzza di marcio! Straordinario il livello raggiunto da Civitelli, con una prova superba, elegante, dinamica, tipico emblema di un apice creativo raggiunto allora e ancora oggi mantenuto (se non addirittura migliorato!) Il mio voto finale è 6
  13. Per la stesura di questa tripla, Nizzi si affidò “all’usato sicuro”. Rispolverò le sempre care ambientazioni nordiche, con un soggetto semplice ma efficace, come la concorrenza fra mercanti di pellicce. Nel puzzle che ne venne fuori, brilla la caratterizzazione di Jim Colter, uomo onesto, coraggioso e molto innamorato della bella moglie indiana. Di contraltare non tengono il passo i villains, con Pierre Charbonne che dà troppo l’impressione di “tirare la pietra e nascondere la mano” e Snake Bill che si atteggia da grande pistolero, ma in fondo colleziona una batosta dietro l’altra. Rivediamo dopo un po’ il quartetto di clarini al completo e stavolta gestito decentemente dall’autore, che spesso ha mostrato carenze su questo aspetto. Buona la performance di Tiger, seguito a ruota da uno stoico Kit, che sebbene ferito, disubbidisce all’ordine del padre e nel finale gli salva la vita. Tex e Carson si difendono bene sulla lunga distanza e la trama scorre senza grandi intoppi, rallentando forse un po’ nel terzo albo. Non manca l’azione e qualche scena che richiama (non troppo velatamente) alla splendida storia degli anni 80 delle “Rapide del Red River”. Il tuffo dalla rupe, per l’occasione ripetuto due volte, sebbene molto emozionante, suona troppo di già visto e poi mi chiedo sempre il perché nessuno degli inseguitori imiti la stessa azione. Possibile che tutti i Blackfoot siano così codardi da non pensare “se ci sono riusciti loro, possiamo farcela anche noi”? Nel complesso prova discreta e senza eccessive sbavature, sebbene poco trascendentale, ma visto la media di Nizzi del periodo, lascia alquanto soddisfatti e si rilegge con piacere. L’intreccio funziona e non si basa su snodi narrativi forzati, pochi sussulti è vero, comunque mancano pure quei passaggi a vuoto che spesso in una storia poco riuscita ti inducono a chiudere l’albo. Tipica storia d’azione e avventura che ogni lettore si aspetta sulla saga e si è propensi a perdonare senza problemi alcuni dialoghi un po’ prolissi ed evitabili. Un esempio in proposito, puro emblema dell’involuzione nizziana nella stesura dei testi in quei periodi (o la difficoltà derivata dall’esigenza di allungare il brodo per riempire le canoniche 330 tavole), la scena di pagina 33 nell’ultimo albo, dove un funzionario del deposito di Charbonne, in una lunga nuvoletta di pensiero descrive oltre il lecito la modalità di ricezione e l’ordine del capoccia in caso di una visita dei quattro pards. Già di suo una scelta simile appesantisce la sequenza, ma diviene del tutto inopportuna quando da lì a poche pagine Tex, come ovvio, conscio della recita del suo dirimpettaio, lo minaccia snocciolando per filo e per segno la medesima conclusione. A mio modesto avviso, essendo evidente la posizione del damerino omertoso, quasi si poteva sorvolare sull’imposizione di Charbonne e se proprio si voleva far menzione, bastavano le parole veementi di Tex. Comunque qui ci muoviamo sul campo della soggettività e so che potrei, giustamente, essere smentito da chi la pensa in maniera diversa; quindi non mi dilungo oltre su questi aspetti tecnici su cui, inoltre, non ho comunque cognizione di causa non essendo uno sceneggiatore. Passando all’aspetto grafico, Fusco in queste ambientazioni viene praticamente invitato a nozze: le storie con sullo sfondo il Canada innevato o le foreste del Montana sono pane per i suoi denti e anche per l’occasione se la cava alla grande, sebbene, concordo con alcuni, si cominciano a palesare fisiologici cali dovuti alla stanchezza di decenni spesi al tavolo di disegno tra matite, china, pennini e pennelli. Sempre molto efficaci, ma azzeccate, le grottesche fattezze con cui ritrae i pendagli da forca che appaiono nelle vignette, vedere Charbonne e Snake Bill per credere, mentre un po’ meno mi appassionano i nativi o le sue rappresentazioni femminili. Shawea meritava più grazia e appeal, ma come già affermato in un altro topic, non tutti gli autori, sebbene eccelsi, sono altrettanto abili nel tratteggiare il fascino e la dolcezza innata del gentil sesso, proprio per questo ben vengano sulla serie disegnatori come Laurenti, che non temono rivali su questo non trascurabile aspetto in un fumetto moderno. Il mio voto finale è 7
  14. “Il mondo è bello perché è vario”; difatti ciò che per molti rappresenta una caratteristica fastidiosa nello stile gestionale di Boselli su Tex, al sottoscritto non dispiace affatto. Ovviamente alludo all’abitudine di riproporre sulla saga personaggi già apparsi in episodi precedenti. Trovo che una simile scelta narrativa garantisca una sorta di continuity che arricchisce la serie e, considerando lo spessore medio dei personaggi tratteggiati dall’attuale curatore, è un’ottima freccia in più per il suo arco. In tal visione, suppongo che il ritorno di Raza e Jesse fosse dato dai bookmakers inglesi a 1,01, tanto era ovvio che l’autore potesse trarre da simili creature letterarie spunti ideali per nuove avventure e senza sorprese, ciò avvenne, anche per la gioia di chi come me apprezza simili ritorni. La buona intenzione di Boselli però a conti fatti, non fu suffragata da uno spunto ispirato e nell’economia complessiva della prova, questo pesa e non poco. L’idea di costruire l’impalcato della trama sul possibile dubbio di un tradimento di Raza, divenuto nel frattempo ranger come già fatto intuire nell’epilogo dell’episodio precedente, finisce con il rendere tutto alquanto prevedibile. Saranno difatti in pochi coloro che leggendo gli albi avranno pensato al tradimento di Juan, di conseguenza il succo della trama diviene ben presto la soluzione del giallo e la scoperta del vero giuda. A parte l’infelice titolo spoilerante del secondo albo, l’identità del traditore appare chiara troppo presto e poco serve il tentativo dell’autore di rimescolare le carte e cercare di sviare i sospetti verso il giovane Tom Madison. Come appare nebulosa e incongruente la scena in cui Vance Daniels salva Juan dalla trappola tesagli da Mercedes e gli uomini di don Amargo nelle pagine del primo albo: considerato che il suo piano di vendetta ha alla base l’eliminazione di Juan e che gli sgherri messicani sono suoi alleati, che senso ha salvargli la vita? Il lettore potrà facilmente rispondere sostenendo che è solo un pretesto per confondere le acque e sviare i sospetti, ma in un giallo optare per questo stratagemma può essere considerato come barare ed è strano che un ottimo narratore come Boselli sia cascato in questa piccola leggerezza narrativa. Anche i grandi possono sbagliare. Noiosetto il primo albo, verboso e dal ritmo lento, molto più piacevole il secondo che riabilita in parte la prova. Al contrario di altri forumisti, non trovo che Raza rubi troppo la scena a Tex, ma mi accodo a coloro che gli preferiscono altri personaggi: troppe similitudini col nostro eroe rischiano di farlo apparire come un clone o un proverbiale secondo gallo nel pollaio. Paradossalmente se l’autore avesse realmente deciso di fargli passare a tradimento la barricata e schierarsi contro i nostri, forse l’esito poteva essere più inatteso e avvincente. Tirando le somme, una storia sufficiente ma non all’altezza dell’alto standard boselliano su Tex. Non basta il melodrammatico finale a convincermi che a “Sud del Rio Grande” suoni come un’occasione mancata e forse in fondo anche Borden non fu del tutto soddisfatto della sua opera, se in questi diciotto anni ha evitato di rispolverare il tanto “in gamba” (e controverso!) ranger figlio di un comanchero messicano. Non me la sento di giudicare i disegni di Letteri, giunto ormai davvero ai minimi storici. Disegni troppo poco curati, prospettive non funzionali, poca somiglianza tra una vignetta e l’altra e visi troppo abbozzati e arruffati in lontananza, che a tratti sembrano tratteggiati da un ragazzino alle prime armi. Forse al grande disegnatore romano andava risparmiata questa “onta”, dirottandolo di tempo sul maxi o altre testate; fa male come uno schiaffo in pieno viso vederlo in questo stato sulla regolare. A suo malgrado, faticherà molto negli ultimi anni di vita a valorizzare le sceneggiature di Boselli e in alcune circostanze rischia di divenir zavorra e questo è un vero peccato. Preferisco ricordarlo nel suo splendido apice artistico degli anni ’70. Il mio voto finale è 6
  15. Condor senza meta

    [209/210] Linciaggio

    Avevo fatto notare anch'io nel mio commento l'insolita presenza di retini fra le tavole illustrate da Nicolò. In effetti la cosa mi colpì, visto che quella dei retini è una tecnica rarissima sulla saga. Come giustamente da te detto, sul texone di Font l'uso fu molto ampio nella prima parte dell'opera, per poi diminuire progressivamente fino a quasi sparire nel proseguo. Sullo speciale di Zaniboni, a dire il vero, mi pare che non ce ne siano. La realizzazione di "Piombo rovente" riserva tuttavia un'altra curiosità (come lessi su una vecchia intervista), visto che il disegnatore realizzò, per accelerare i tempi di consegna, solo le matite e l'inchiostrazione fu sostituita dalla fotocopie delle vignette a cui vennero aggiunte in redazione i riempimenti in nero. Processo lavorativo atipico per Tex, ma consueto all'Astorina dove Zaniboni affidava a terzi l'onere d'inchiostrare e retinare le tavole.
  16. Condor senza meta

    [Texone N. 35] Tex l'inesorabile

    Visto l'eccezionalità dell'evento, sono consapevole che l'acquisto in libreria ci stava tutto (e in fondo a mente fredda comprendo pure le scelte di marketing che inizialmente mi delusero un po'), tuttavia da buon nostalgico tradizionalista ho deciso, senza eccessivi patemi, di attendere febbraio e comperare il classico formato da edicola. Son certo che, come per ogni albo illustrato da Villa in passato, finirò col sgualcirlo a furia di riletture e ripetute sfogliate per ammirare e studiare ogni singola inquadratura. Ricopiare ed emulare il titanico Claudio per ogni appassionato amatoriale di disegno è d'obbligo e, sotto questo aspetto, il volume gigante che presto soppeserò in mano si rivelerà un'autentica miniera! La speranza è che non ci tocchi più attendere tempi biblici per rivederlo all'opera sulla saga.
  17. Il centenario che va dal n. 500 al n. 600, per chi come me ha da sempre stimato Nizzi e deve alle sue stupende storie di fine anni ’80 l’avvicinamento al fantastico universo di Aquila della Notte, è amaro come il fiele. La crisi creativa già latente da parecchi anni, divenne sempre più palese e volendo recensire le varie prove della serie, la media voto cala drasticamente. Furono anni difficili per lo sceneggiatore di Fiumalbo, contraddistinti da storie anonime e poco incisive, portate avanti più con stanco mestiere che col cuore e mi chiedo come mai in redazione non si decise di sgravare l’impegno dell’autore in tempo prima di fargli toccare il fondo, d’altronde in quegli anni era ormai chiaro che Boselli potesse brillantemente condurre le redini, prendendone definitivamente, come del resto avvenne, il gravoso testimone. Già l’esito tutt’altro che positivo sull’atteso ritorno di Mefisto suonava come campanello d’allarme, ben presto anche il breve riempitivo destinato al debutto sulla regolare di Repetto, confermò il trend negativo. Un soggetto dalla trama scarna e abusata, a tratti sviluppato decentemente e a tratti tirato per i capelli. Buona la caratterizzazione del sergente Ross e del giovane tenente Stagg, che di gran lunga rubano la scena a un evanescente Carson e un a Tex irriconoscibile. Proprio il nostro amato protagonista si stenta a riconoscerlo tra le pagine del breve episodio. Si fa incastrare come un novellino da due scartine in divisa, non è in grado a far valere da solo la sua innocenza, visto che solo la confessione in fin di vita del reale assassino lo scagiona. Anche durante il tentativo di evasione notturna per raggiungere Durango, si fa beccare ingenuamente dal vigile Ross, che lo tratta nell’occasione come un bambino capriccioso e lo rimanda a letto senza appello e il nostro eroe zitto come una pecorella. A tal proposito non si capisce perchè il sergente non lo lasci fuggire in quella circostanza, visto che in seguito suggerirà personalmente a Tex la farsa della scenetta della minaccia armata dinanzi lo sparuto gruppo di soldati, per giustificare la sua fuga. Poco credibile pure il fatto che un sospettato di omicidio possa girare con le mani libere e pure armato, ma evito di spaccare il capello in quattro. Tex cadrà spesso dalla padella alla brace e ogni volta se la caverà solo grazie all’aiuto esterno. Emblematica a tal proposito la scena che lo vede interrato come una radice con il viso pieno di formiche; senza il proverbiale colpo di fortuna consistente nel telefonato arrivo di Durango e company, la sazietà degli insetti era garantita. Tutti indizi che confermano la scarsa vena dell’autore che fatica a escogitare situazioni funzionali che attirino l’attenzione del lettore e nell’intento di mettere in difficoltà il protagonista, finisce con il ridicolizzarlo, sminuendone l’azione risolutiva. Tex è sempre stato baciato dalla dea bendata, è vero, tuttavia non può essere costantemente relegato in balia degli eventi esterni: così lo si snatura a mio avviso. Efficace il lavoro di Repetto, già visto spesso all’opera su almanacchi e maxi, ma mai sulla regolare. Il suo tratto classico e pulito funziona e si fa apprezzare, sebbene coinvolga meno di quello di altri suoi colleghi. Indubbiamente l’artista argentino non avrebbe sfigurato nello staff storico degli anni 70, con i suoi tratteggi tradizionali e nitidi. Si districa bene con i paesaggi polverosi e assolati, un po’ meno nei primi piani troppo monocordi, da rivedere alcune armi che mi sembrano un tantino fuori scala, soprattutto le canne di alcuni winchester, lunghe come vecchi archibugi. Tutto sommato però un autore esperto che mostrò subito di essere all’altezza del personaggio. Il mio voto finale è 5
  18. Condor senza meta

    [501/504] Mefisto!

    “Molto rumore per nulla” mi verrebbe da dire in merito all’episodio, parafrasando la celebre commedia shakespeariana (ambientata peraltro nelle mie zone). La lunga attesa per il ritorno di Mefisto, da tempo sbandierato e pubblicizzato dalla casa editrice come evento cardine della saga, creò un’aspettativa alta che, col senno di poi, fu totalmente disattesa da una prova scialba e alquanto incolore. Mi scuso in anticipo con i forumisti se sarò poco conciso col mio commento, tuttavia, così come un amante tradito sfoga il suo dolore scrivendo versi tristi e misantropici, al par modo il ricordo della mia forte delusione di allora mi spinge a buttare nero su bianco le mie impressioni, su quella che a mio avviso fu una vera e propria occasione mancata. A differenza di molti lettori, se non totalmente estasiato dalle ambientazioni paranormali sulla saga, le puntate con Mefisto e Yama le ho sempre lette con assoluto piacere, eccezion fatta per gli ultimi due ritorni di quest’ultimo, prove che accusavano una certa stanchezza di idee di Gianluigi Bonelli. L’indimenticato papà di Tex era un asso a imbastire le sue trame esoteriche, ricche di colpi di scena, effetti speciali e un campionario di formule magiche ed evocazioni da oscar del paranormale. Ho sempre pensato che la scelta di far morire Mefisto nei sotterranei del castello in Florida, se da un verso diede l’incipit al grande capolavoro del debutto di Yama, alla lunga si rivelò vincolante per il proseguo della lotta fra i due acerrimi nemici. Ben presto i ritorni del figlio dello stregone non furono all’altezza degli albori e forse lo stesso Sergio Bonelli, conscio del mezzo pastrocchio scritto dal padre all’inizio anni ’80, preferì far cadere nell’oblio sfere magiche, demoni, amuleti e tutte le circostanze che caratterizzavano il misterioso e fantasioso universo delle forze del male su Tex. Per ben vent’anni gli occhi spiritati di padre e figlio stregone sparirono dalle tavole della regolare, per poi tornare inattesamente in auge all’inizio del centenario 500. I motivi che indussero Sergio ad avallare il ritorno di Mefisto direttamente dall’aldilà, li ignoro, di certo però fece i suoi conti senza l’oste, visto che non essendoci più il padre, la sua scelta fu alquanto azzardata. Ogni sceneggiatore ha il suo stile e le sue attitudini narrative e non è un mistero di quanto Nizzi, a cui fu assegnata la storia, vadano poco a genio i soggetti con la magia e il paranormale come base. Aggiungendoci poi che lo stesso autore fosse da tempo in crisi d’ispirazione e il dado è tratto. Il prologo non è scritto male, il primo albo vola via che è un piacere e l’autore riesce a ricreare con buon esito alcune atmosfere care a Bonelli senior e mantenere un discreto ritmo. Personalmente però la resurrezione di Mefisto non mi ha mai molto convinto. L’espediente crea suspence e denota molta fantasia lo ammetto, ma è proprio l’idea che lo spirito dello stregone possa ritornare sulla terra recuperando le vecchie spoglie mortali che digerisco poco. Il fumetto è fantasia e come tale alcune licenze poetiche ci stanno, ma una trovata simile è più da Dylan Dog che da Tex. Anche ammettendo che si volesse tentare il tutto per tutto per recuperare il vecchio nemico, forse troppo presto seppellito da Bonelli, un suo ritorno doveva garantire una storia epica e altisonante; in tal caso la forzatura sarebbe stata giustificata, ma al cospetto della tediosa e scontata storiellina sciorinata da Nizzi, stride ancor più. La trama ricavata non riesce nemmeno minimamente a rievocare il pathos e l’atmosfera del grande Bonelli. I pittoreschi antri che Mefisto sceglieva come base operativa erano tutta un’altra cosa rispetto al buio sotterraneo di un affollato saloon; i vecchi alleati del vudù anni luce distanti da quatto scalcinati vaccari. A tratti si ha l’impressione di leggere una storia ordinaria con villain comuni e la verbosità di alcune scene annoia. Buona l’idea di recuperare Lily Dickart ma la diabolica sorellina finisce presto con l’oscurare il fratello, è innegabile infatti che per buoni tratti le redini del comando siano in mano sua. Proprio la caratterizzazione nizziana del malvagio stregone è una nota dolente: si ha l’impressione col proseguo della trama che Mefisto prenda le sembianze di una macchietta, che in preda all’emotività della cattura dei pards necessiti la balia della sorella per non perdere lucidità. Un Mefisto poco incisivo, insicuro forse più del figlio Yama di fronte le difficoltà, quasi un vecchio pazzo sulla soglia della pensione che partecipa a un gioco più grosso di lui. Anche la scena discreta che vede la lotta diretta con Tex non lo riabilita visto che è assurdo che un negromante della sua risma si faccia prendere per i fondelli dal nemico in quella maniera. Unica abilità mostrata, la fuga, che ricorda molto quelle della Tigre Nera, ma in fin dei conti, valeva la pena farlo ritornare dall’inferno per vederlo così? Nessuna attenuante: l’episodio merita la bocciatura. Non si può toppare così un ritorno di arcinemico seriale! E’ palese di quanto Nizzi si sia trovato in difficoltà nel gestire un simile personaggio, poi, purtroppo, di suo ci mette altre sbavature di trama e snodi forzati che fanno piovere sul bagnato. Il modo come Kit prima e Tiger dopo, si fanno fregare è da pivelli. Carson sparisce troppo presto dall’azione e lo stesso Tex non brilla nelle indagini. Il fortunoso bandolo gli viene fornito stavolta dal nome di Boris urlato da uno dei vaccari in agguato, trovata narrativa labile come un grissino soggetto a carico di punta. Situazione alquanto simile che aiuta Tiger ad apprendere il luogo dove sono tenuti prigionieri i pards. Ma la sequenza di errori non finisce qui: la stessa Lily è poco plausibile che rischi di sciupare (come ovviamente avviene!) il suo piano facendosi riconoscere da Tex. Capisco che il tempo passi e si invecchi, ma a qual pro mostrarsi direttamente al nemico senza minimamente temere che questi ti possa riconoscere? Capitolo amuleti: strana svista di Nizzi che miracolosamente fa apparire il quarto nel polso di Tiger, ma non gli era stato sottratto e bruciato da Yama nell’episodio dello Yukatan? Evidentemente Nuvola Rossa lo avrà sostituito direte, ma non era il caso specificarlo in qualche dialogo? Poi visto l’efficacia dei quattro braccialetti che ogni volta limitano e quasi umiliano i poteri enormi dei due avversari, lo sciamano navajo basterebbe e avanzerebbe a sconfiggerli. A parte l’ironia, l’episodio a mio avviso delude su tutta la linea e sciupa l’immane lavoro di uno stratosferico Villa. Per una volta scinderò la votazione dei disegni da quella finale, visto che mentre la storia è insufficiente, le sue tavole meritano il 10 pieno. Stupenda la resa e l’espressività dei volti, alcuni primi piani di Tex sembrano fotografia. Eccellente la rappresentazione di Mefisto che supera pure quella di Galep, come si presentano superbe le scene con demoni e mostriciattoli simili. Una prova da antologia che mostra, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto Villa sia un fuoriclasse. Che manchi da quasi due decenni sulle tavole di Tex, è un “piaga dolente” che presto si avrà modo di rimarginare, visto che il sospirato Febbraio è giunto. Il mio voto finale è 4
  19. Condor senza meta

    [500] Uomini In Fuga

    Riavvolgendo la sbiadita pellicola del tempo, rievoco quella lontana estate del 2002. Ho il nitido ricordo di quanto fossi impaziente e su di giri, al pensiero di poter leggere in rapida sequenza il texone di Brindisi (disegnatore da me già abbondantemente apprezzato sulle pagine di Dylan Dog), l’albo a colori del centenario affidato per la prima volta ai pennelli del maestro Ticci, e la storia col ritorno di Mefisto, dopo decenni di assenza sulla saga, realizzata da Villa, il mio autore preferito. Il mio entusiasmo era pure giustificato dalle ottime due ultime prove che avevano chiuso il centinaio, con Nizzi che sembrava tornato in fase ispirata e Boselli reduce da un autentico capolavoro. Piccola digressione malinconica: se mi avessero detto che dopo la storia di Mefisto avrei dovuto attendere fino al febbraio del 2020 per rivedere una prova di Villa, avrei come minimo imprecato per un anno intero . Chiusa la breve parentesi fuori contesto, riprendo col dire che la grande trepidazione di quella estate fu fatalmente disattesa. Non anticipando nulla in merito alle mie impressioni sull’attesissimo (e deludente) ritorno del mefistofelico stregone, anche “Uomini in fuga” fu una vera e propria delusione. Il sottoscritto fa parte della categoria di lettori che reputa le storie autoconclusive su Tex non sempre all’altezza del caso, e un episodio simile non può che rafforzare la mia tesi. Nizzi chiamato per la seconda volta a sceneggiare un albo celebrativo, riuscì a far peggio del suo “battesimo del fuoco” avvenuto con il numero 400. Un soggettino insulso e abusato, che richiama spudoratamente molte altre situazioni già viste su altre storie molto più valevoli ed epiche. L’idea dell’oltraggio alla tomba di Lilyth per creare un diversivo e distrarre l’attenzione dei pards dalle caverne dell’oro Navajos, non è male e offre all’autore una piccola parentesi lirica con Tex che giura rivalsa sul sepolcro dell’amata moglie, peccato solo che simile scena finisce ovviamente con l’essere comparata con quella splendida scritta da G.L.Bonelli e il paragone risulta impietoso. Il proseguo della sceneggiatura è di una noia mortale, con un susseguirsi di eventi triti e ritriti e svariati sotterfugi narrativi che si digeriscono peggio di una peperonata a cena. La banda di scalcinati va incontro a un contrattempo dopo l’altro che li porta a sciupare il loro iniziale vantaggio. Fra un morso di crotalo, un ferro perso, una stolta alla caviglia dell’immancabile esperto minerario ricattato che si ritrova suo malgrado a fare da guida ai tangheri, si arriva al velocissimo scontro finale nelle grotte che palesa totalmente l’inconsistenza degli avversari. Che poi al pensiero che il piano di modesti manigoldi simili, sia reso vano solo dall’inspiegabile confessione del moribondo nella capanna, mi induce ogni volta a chiudere il volume. Espediente debolissimo e poco plausibile e anche volendo ammettere il contrario, non lusinghevole per Tex. Senza questo gratuito colpo di fortuna con la “C” maiuscola, i nostri avrebbero continuato ad andare a farfalle e reputo questo snodo di trama non accettabile in una storia di Tex. I nostri si limitano solo a cavalcare per tutto il tempo e senza gli incidenti dei banditi e la loro stupidaggine che li induce addirittura ad abbandonare i fucili, l’inviolabile oro dei Navajo non sarebbe più stato tale e passa pure il messaggio che una “simile impresa leggendaria” poteva pure essere compiuta da un semplice impiegato alle poste. Unica nota positiva, i disegni del magistrale Ticci, a cui il colore nulla aggiunge, eccezione fatta per la coppia di tavole ad acquerello che aprono e chiudono la prova: autentiche gemme pittoriche del maestro. Certo il Kit raffigurato nella quinta vignetta di pagina 79 sembra il clone del padre e ancor più, nella pagina 91 Tex sembra essersi sdoppiato e parlare con un suo alter ego, tuttavia sono sottigliezze che poco inficiano la prova grafica dell’artista senese e proprio i suoi disegni, mi dissuadono a mettere un’insufficienza piena nella valutazione generale. Il mio voto finale è 5
  20. Giusto quello che asserisci Sam! La mia considerazione deriva più che altro dall'insolita caratterizzazione "grigia" di alcuni suoi personaggi. Non so, può darsi che la mia sia solo una boiata, ma l'idea si è materializzata tra i miei pensieri durante la lettura e l'ho buttata di getto qui sul forum. Di certo lo spessore narrativo delle due prove non è minimamente comparabile.
  21. Ho riletto per l'ennesima volta questa gemma narrativa e ogni rilettura è un tuffo al cuore. Episodio splendido, coinvolgente e a tratti commovente. Commentai in passato la storia e non reputo necessario ribadire le mie positive impressioni. Di certo al cospetto di un simile capolavoro, non dovrò fare sforzi di memoria per rievocare la votazione che allora misi sull'apposita sezione. Il mio voto finale è 10 P.s. Piccola considerazione personale: e se Nizzi nel suo recente (e decente imho) ritorno sulla regolare, oltre a citare la sua precedente "Senza via di scampo", abbia in parte preso spunto (con le dovute proporzioni) da questa pietra miliare composta da Borden?
  22. Durante la rilettura dei vecchi albi della saga, mi sono imbattuto in questo episodio che commentai tempo fa, quando ero ancora un neofita del forum. Non ritengo sia il caso aggiungere altro in merito alla prova di Nizzi e Ortiz, posso solo palesare la mia valutazione, visto che allora non avevo ancora assunto questa abitudine. Prendendo in prestito la simpatica battuta usata da Borden a Lucca relativa alla "memoria da pesce rosso", che si attaglia perfettamente al mio caso , spero che il voto attuale coincida con quello che espressi mesi or sono nell'apposita sezione. Il mio voto finale è 8
  23. Comprendo le esigenze di programmazione che spesso, in prossimità dell’albo centenario, obbligano gli autori a condensare in un solo volume alcuni episodi, tuttavia è pur vero che alcuni soggetti, compressi nelle canoniche 110 tavole rischiano di rivelarsi più sciapi di un brodino senza sale. “La Morte Nera”, seppur non in maniera trascendentale, parte con il piglio giusto e, secondo il mio personale giudizio, se sviluppata su due albi, poteva alla fin dei conti essere annoverata come una prova più che discreta. Purtroppo Nizzi, se in alcuni episodi come “Ferro spinato” e “La maschera dell’orrore” sembra in alcune sezioni narrative allungare il brodo per riempire i tre albi, nella storia in questione affila l’ascia per ridurre al lumicino alcuni snodi narrativi, che andavano sviluppati con più cura e criterio. Il giallo che viene fuori, ha la debolezza di essere troppo facilmente risolvibile e anche i nostri eroi non devono sudare le proverbiali sette camice per individuare il bandolo della smilza matassa. Anche i personaggi di contorno non bucano la pagina e conclusa la lettura, si ha l’impressione che per venire a capo di un simile enigma, era quasi inopportuno scomodare i due rangers, bastava un Cico qualsiasi nella sua serie apposita . Accennavo pocanzi alle sette camicie, Carson per l’occorrenza non necessita nemmeno fare la doccia, visto la sua totale inattività . Tirando le somme: episodio deboluccio che si fa comunque leggere, anche se, una volta riposto negli scaffali, si perde nell’anonimato. Ottimi i disegni di Civitelli, ormai giunto nella fase di maturità stilistica e un po’ si ha l’impressione che i suoi pennelli siano sprecati per riempitivi di questa risma. Le sue ambientazioni notturne valgono da sole il prezzo del biglietto e fanno lievitare sulla sufficienza la valutazione di una storia, che, senza l’estro dell’artista aretino, si attesterebbe mestamente su un livello qualitativo mediocre. Il mio voto finale è 6
  24. Ogni talvolta che l’universo di Aquila della Notte entra in rotta di collisione con la storia propriamente detta, l’esito degli episodi non sempre mi lascia soddisfatto. Sia ben chiaro, Nizzi fece un discreto lavoro di sceneggiatura e sfornò una prova notevole considerata la sua media del periodo, tuttavia l’apparizione di Custer sulla saga, oggi come allora, mi lascia un po’ con l’amaro in bocca. Trovo che l’apparizione di personaggi realmente esistiti può andar bene in un fumetto come Tex, a patto che vengano inseriti in un contesto di fantasia utile alla trama (come spesso accade per Cochise, Ely Parker e sporadicamente Buffalo Bill), ma quando si opta per fare l’inverso e intrufolare il nostro ranger tra le pieghe della vera storia di simili protagonisti della frontiera, l’episodio, per quanto ben fatto, risulta alquanto forzato e rischia di snaturare il protagonista. Ebbi una simile impressione quando lessi “Apache Kid” di G.L. Bonelli e purtroppo anche al cospetto della trama ambientata da Nizzi sulle Black Hill, la mia opinione non cambia. L’episodio risulta diviso nettamente in due tronconi: la prima di fantasia che narra la vicenda di una congiura contro Custer, che si fa leggere volentieri, sebbene i villains non danno mai l’impressione di essere all’altezza della situazione e la seconda “descrittiva” che si districa con uno stile quasi da graphic novel, sulla esposizione della battaglia che porterà alla fine del famigerato generale e dei suoi uomini per mano dei Sioux di Toro Seduto e Cavallo Pazzo. A onor del vero lo sceneggiatore se la cava alla grande nel terzo albo e in fondo anche la trovata del racconto di Tex al giornalista è buona e funzionale, purtroppo, a mio avviso, proprio la presenza di Tex sulle Black Hill mi sembra un escamotage forzato. Inoltre dopo essersi ampiamente ispirato all’episodio storico per creare lo splendido dittico delle Colline del vento, l’autore rischia di creare una sorta di doppione che mostra un evidente contrasto nella continuity della saga visto che Nuvola Bianca e Toro Seduto occupano la stessa carica, i luoghi sono geograficamente identici e anche le motivazioni che portano l’esercito a dichiarare guerra ai nativi collimano. Considerando l'episodio slegato dal contesto come plausibilmente lo pensò Nizzi, ciò può contare poco nell'economia della valutazione, ma da amante di una sequenza logica nella saga, non posso che non essere un tantino insoddisfatto di una simile scelta. In tal senso apprezzo molto gli sforzi di Boselli (sia nella regolare che sulla nuova serie) nell’intento di stabilire un minimo di coerenza cronologica che scandisce gli eventi narrati. Straordinari i disegni di Ticci, ma d’altronde su queste tematiche il maestro senese è insuperabile. Il mio voto finale è 7
  25. Condor senza meta

    [488/489] Matador!

    Grazie per la precisazione Carlo. In effetti la vignetta da me citata è nella prima parte della storia, quindi suppongo che la tua ricostruzione cronologica sia esatta.
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