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TWF - Tex Willer Forum

[606/607/608]Caccia Infernale


Sam Stone
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[606/607/608]Caccia infernale (di M. Boselli e Y. Ginosatis)  

96 utenti hanno votato

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<span style="color:red;">3 minuti fa</span>, borden dice:

Ma ricordo che Parkman doveva essere una persona normale, con difetti, tipo il razzismo, orgoglio ecc...

 

Ma infatti era una persona normale. Soprattutto, era evidente che tu "gli volessi bene", lo hai tratteggiato (bene) per creare empatia nel lettore. Da qui il dispiacere per un massacro evitabile.

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Volevo un'altra sfiga per lui, ulteriore caduta nell'abisso. Parkman non si sceglie le compagnie giuste. Il suo riscatto è eroicamente macchiato, non immacolato.

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On 4/11/2012 at 03:15, Leo dice:

In effetti Boselli se lo sarebbe potuto risparmiare, Laredo, perchè è fin troppo evidente che l'autore non ha alcun interesse per lo scout, lo considera una mera comparsa, uno che non ha più nulla da dire. Il suo interesse è tutto per Parkman, il vero protagonista e il personaggio tutto sommato più riuscito della storia. Sono i flashbacks di Parkman che viviamo, la sua frustrazione e la sua amarezza per la perdita della donna amata, i suoi ricordi dolorosi rievocati dal ritratto di lei sempre conservato gelosamente. Ma Parkman non è solo uno che si piange addosso, ha un suo concetto dell'onore e non è un vigliacco, e il lettore può apprezzare entrambe queste caratteristiche dalle reazioni dell'ex tenente alle provocazioni delle carogne assoldate da Cunningham.

Questa storia è la storia di Parkman: la storia dei suoi rapporti tesi con quei nuovi e atipici compagni d'arme, dei suoi conflitti interiori e delle sue reazioni alle provocazioni esterne e alla sua amarezza interiore.
Ed è una bella storia, che Boselli ci sa raccontare, anche attraverso il sempre evocativo flashback, con le consuete delicatezza e sensibilit?. Certo, la scena dell'eccidio del villaggio Pima, con Parkman che dice che nel furore della battaglia non si è avveduto, se non troppo tardi, del massacro che stavano compiendo non l'ho proprio digerita, e la considero un vero infortunio di Boselli: come fa un soldato, e un ex ufficiale per giunta, a non accorgersi di stare infierendo su degli inermi? E? una forzatura troppo grossa, un errore talmente grande che rischia di minare pesantemente il processo di rivalutazione del tenente che l'autore ha perseguito con questa storia.

 

Mi rifaccio alla mia descrizione dell'epoca, evidenziando in grassetto le caratteristiche che attribuii a Parkman: frustrazione, amarezza, conflitti interiori e ricordi dolorosi generano empatia (i tuoi flashbacks sono impareggiabili). Poi senso dell'onore e coraggio: destano ammirazione. Infine senso di colpa: Parkman compie il massacro inconsapevolmente, non si accorge di infierire su degli inermi, non lo fa volontariamente. Quello che rimproveravo era in effetti che un militare navigato come lui non potesse non accorgersi, sia pure nella concitazione della "battaglia", di star combattendo uno scontro fasullo. In questo senso, sì, il suo riscatto è macchiato. Ma Parkman resta un bel personaggio. 

 

Modificato da Leo
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In effetti ora che ci penso questa storia non mi ha mai entusiasmato perché leggendola e rileggendola ero sempre partito con l'idea che fosse il ritorno di Laredo, l'avventura contro Revetki. Interpretandola come la redenzione di Parkman, un personaggio comunque fallibile, umano, imperfetto, avrebbe molto più senso. Mi sa che la rileggerò una terza volta partendo con questa disposizione di spirito e magari scriverò qui le mie imprescindibili impressioni.

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Anch'io penso che traspaia una sostanziale positività, pur in mezzo a molti errori, di Parkman (e una certa simpatia di chi ha scritto la storia nei suoi confronti). Oltretutto, nel finale il sopravvissuto Parkman proclama esplicitamente, senza alcun tono trionfalistico, ma con umiltà, una sua richiesta: quella di ripartire da capo, proprio nell'esercito, ma rifacendo la gavetta da soldato semplice (e continuando a nutrire dubbi sul fatto di poterne essere degno).

Non lo vedo come una forma di "buonismo", ma una realistica scelta di una persona che ha avuto modo, in rapporto alle ultime esperienze vissute, di rendersi conto dei suoi errori e che li ammette senza finzioni; dopo di che,  esprime la volontà di intraprendere una sorta di seconda vita. Del resto, pochissime vignette prima di lui, anche Goyaklee (personaggio a propria volta tormentato) chiede ed ottiene di poter rientrare nell'esercito.

Si potrebbero citare altri personaggi cui viene data, nelle storie di Tex, una "seconda possibilità" e questo elemento narrativo per me non disturba, anche se va gestito in modo attento. Ma mi pare che qui ci siano tutte le componenti per renderlo credibile.

Modificato da dario63
  • +1 1
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<span style="color:red;">15 minuti fa</span>, virgin dice:

Interpretandola come la redenzione di Parkman, un personaggio comunque fallibile, umano, imperfetto, avrebbe molto più senso.

 

Qui Laredo non esiste, Borden se ne infischia di lui e secondo me fa anche male a farlo partecipare, visto che non prova per lui alcun interesse. Questa è la storia di Parkman, rileggila e non ne sarai deluso. 

 

<span style="color:red;">8 minuti fa</span>, dario63 dice:

Ma mi pare che qui ci siano tutte le componenti per renderlo credibile

 

Assolutamente sì 

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<span style="color:red;">1 minuto fa</span>, Leo dice:

 

Qui Laredo non esiste, Borden se ne infischia di lui e secondo me fa anche male a farlo partecipare, visto che non prova per lui alcun interesse. Questa è la storia di Parkman, rileggila e non ne sarai deluso. 

 

 

 

Proprio così, qui Borden non mi ha proprio considerato..grazie per il sostegno Leo!:trapper:

Se volete vedermi in azione riprendete in mano "Sulla pista di Fort Apache" che è mille volte superiore a "Caccia Infernale"!

  • Grazie (+1) 1
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  • 2 mesi dopo...

Ho sempre reputato “Sulla pista di Fort Apache” una delle migliori storie di Boselli sulla saga, di conseguenza, appena saputo del ritorno di personaggi come Laredo e Parkman, fui molto trepidante e contento. Conservavo un ricordo positivo dell’episodio, sebbene non lo leggessi da tempo. Di recente, durante la mia rilettura cronologica degli albi del passato, son tornato a imbattermi in “Caccia infernale” e devo dire che le impressioni di allora, sono state in gran parte riconfermate. Ciò che mi ha un po’ stupito a esser sincero, l’enorme mole di messaggi nel topic apposito sul forum, con opinioni a tratti opposte fra i forumisti. Di certo, sebbene non reputi la presente prova all’altezza della precedente, non credo sia da buttare come sostenuto da alcuni, piuttosto se dovessi valutarla su due piedi, mi verrebbe da dire che si attesta abbondantemente sopra la sufficienza. Ma proseguiamo per gradi; Boselli per il sequel di Fort Apache decide di creare una trama ambiziosa da spalmare sui canonici tre albi. Il soggetto è alquanto variegato e se da un lato ci mostra un aspetto non del tutto innovativo, ovvero un profeta cha soggioga guerrieri rossi per spingerli alla rivolta, dall’altro si caratterizza con la scelta valevole di aggiungere l’eterogenea “posse” agli ordini dell’ex colonnello Cunningham sulle tracce dei seguaci di Revekti, dando vita di fatto a due azioni parallele, che donano alla trama un tocco in più. L’autore, seguendo il consueto stile, arricchisce le tavole con una folta di schiera di comprimari, che, se da un verso, come fatto notare, rischiano di defilare la figura di Tex, dall’altro rendono molto più ariosa la narrazione. Mi asterrò stavolta di citare i numerosi componenti della banda del colonnello e non mi soffermerò neanche sui motivi personali che spingono il feroce ex ufficiale sulle tracce del profeta, ma sposterò le mie attenzioni sui due personaggi tanto attesi: Laredo e Parkman. Borden chiarisce fin dalle prime tavole che il vero coprotagonista sarà proprio l’ex tenente, difatti Laredo agirà più da contorno ai nostri, deludendo un po’ a dire in vero, visto che il suo contributo sarà alquanto ridotto, mentre è molto ben delineata la connotazione di Parkman in questa avventura. Una scelta ben precisa che spiazza un po’il lettore, ma che analizzata attentamente, non è errata: su Laredo in fondo non c’era tanto da aggiungere dopo l’ottima prova di esordio e il rischio di riproporre una poca appetitosa minestrina riscaldata, era alto. Parkman invece veniva ricordato solo come l’odioso ufficiale ottuso e arrogante e sulle macerie del suo precedente fallimento è stato più interessante cercare di ricostruire una caratterizzazione caratteriale più accurata e profonda. Boselli, a mio modo di vedere, riesce nel suo intento, senza cadere nella trappola del buonismo. E’ vero che l’ex tenente in qualche modo si riscatta alla fine, ma rimane comunque un uomo abile ma molto complessato, controverso e fallibile. Pesa ancora in lui l’onta della precedente sconfitta, l’orgoglio lo spinge a reagire, ma non tutte le sue scelte si riveleranno azzeccate, tra le quali quella di accettare la missione del feroce Cunningham che lo porterà a contribuire a un’assurda aggressione ai danni di una piccola tribù inerme di Pima. Anche molto efficaci i flashback che rievocano la fine del suo fidanzamento con Liz, che ci mostrano un uomo ancora innamorato, che ha compreso i suoi errori e si è reso conto solo dopo averla persa, di quanto teneva a lei. In merito a Miss Starrett avrei gradito un maggior coinvolgimento anche di Laredo, che dopo averla sposata, in questa storia sembra quasi ignorarla del tutto. Capisco che non bisogna eccedere con la melassa nella saga di Tex, ma sembra passare il messaggio che l’ex rivale sia più innamorato dello scout e personalmente a me questo aspetto stona. In passato avevo espresso la speranza di un possibile ritorno anche di Liz sulla serie, ma Mauro mi ha chiaramente fatto capire che una tale ipotesi al momento è esclusa, ma coltivo ancora qualche esile speranza di ripensamento. Chiusa la parentesi sentimentale, torniamo al giudizio della storia: l’azione e la tensione narrativa non mancano e la lettura nel complesso è piacevole ma ammetto che, a differenza della “Mano del morto”, ho l’impressione che la gestione della sceneggiatura sulla lunga distanza delle 330 tavole, sia meno riuscita. Il ritmo cala un po’ nell’avvicinamento al covo del profeta per divenire troppo accelerato nell’epilogo e a tratti i dialoghi appaiono un po’ troppo verbosi. Anche la figura di Revekti rimane pressochè un personaggio di contorno, ma in fondo è una scelta dell’autore e può starci. Sull’evanescenza di Laredo mi sono in parte espresso, per ciò che riguarda Tex l’ho trovato meno brillante di altre occasioni, ma pur sempre idoneo, mentre Tiger si ritaglia fra le tavole un ruolo lodevole e ammetto che con Borden non è un caso che il pard indiano venga ampiamente rivalutato. Dovrei ancora menzionare la funzionale trovata della droga che genera dipendenza nell’esercito del profeta o il fascino paesaggistico della Sierra Madera, ma credo già di essere fuori tempo massimo e, non volendo rendere il mio commento troppo chilometrico e noioso, forse è meglio passare al comparto grafico dell’episodio. Il debutto di Ginosatis è da applausi; il disegnatore greco unisce dovizia di particolari a tratti sporchi, tipicamente western all’Ortiz. Buona la caratterizzazione dei nostri e dei comprimari e molto ben realizzati pure gli sfondi, con efficaci effetti puntinati che richiamano vagamente il maestro Civitelli. Dinamismo e bilanciamento dei neri non mancano nelle sue tavole e per essere un debuttante, se la cavò alla grande anche nella tenuta sulla lunga distanza. Autore che mi rapì immediatamente con il suo stile personale e dettagliato, peccato solo che non saranno tante le sue apparizioni seguenti sulla saga. Il mio voto finale è 7  

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  • 3 settimane dopo...

Storia che, purtroppo, considero poco riuscita e addirittura irritante, e che, per conto mio, rappresenta il secondo passo falso di Borden nel centinaio, dopo un brillantissimo inizio con la splendida "i giustizieri di Vegas".

Non parlo certo di mancanze di sceneggiatura. Come sempre, Borden imbastisce una sceneggiatura solida e che denota, nella sua complessità, una piena capacità di gestire vicende tutt'altro che semplici.

Ma qui davvero Tex non c'è. E' una storia che pare scrittta apposta per illustrare (efficacemente) le vicende e la psicologia di decine di personaggi, in cui quello che dovrebbe essere il protagonista non si vede mai e non fa assolutamente nulla se non cavalcare verso la sua meta, per due albi e mezzo.

Sembra quasi che Borden sia costretto a inserire Tex ogni tanto, per giustificare di essere su Tex.

Questo meccanismo a volte funziona, se la storia è di quelle eccelse, che Borden sa scrivere, ma se è una storia solida ma sostanzialmente noiosa come questa, l'espediente finisce per irritare e lasciare con l'amaro in bocca.

Aggiungiamo pure che Kit, al solito, è messo ko dopo poche vignette (se non si ha voglia di coinvolgerlo lo si lasci a casa dall'inizio, io non ne sentirò certo la mancanza) per poi tornare ingenuamente e prevedibilmente alla fine a fare da deux ex machina.

Aggiungo anche che l'assenza di Carson, a me personalmente non fa per niente saltare di gioia (la accetto se Tex agisce in solitaria, se ci sono tutti e manca Carson a me non piace).

Per il resto, personaggi stupendamente descritti e delineati, bellissimo Parkman soprattutto (Laredo troppo in ombra, invece), ma a parte il fatto che Tiger fa un figurone, questa è la classica storia di Tex senza Tex e non ci siamo proprio.

 

Ginosatis molto bene direi. Un esordio (mi pare) coi fiocchi. Tratto sporco, con dovizia di giochi di ombre. Molto bene.

 

Borden 5

Ginosatis 7:50

 

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  • 10 mesi dopo...

Allora...Letta prima del blackout del forum quindi vado a memoria (nel frattempo ho letto 4 storie di Ken Parker ed una di Magico Vento). Parto dai buonissimi disegni di Gino satin che hanno impreziosito la lettura. Passando alla storia il Boss ci fa rincontrare dei vecchi "amici"(Laredo e Parkman) concentrandosi di più sull'irritante protagonista di "Sulla pista di a Fort Apache". Un Parkman complesso, tiratore scelto e personaggio sfaccettato e soprattutto evoluto nell'arco delle due vicende.

Parallelamente Boselli dà un po' di spazio a Laredo ed immerge tutto in una storia fatta da tanti personaggi più o meno calibrati e dal "pane degli dei" , una droga diabolica utilizzata dal bicolore Revekti. Si sente un po' l'assenza di Carson e il Kit salvatore di tutti è una trovata un po' "cantata".

Però Tiger è splendido, Tex c'è sempre (io non soffro della sindrome texcentristica che spesso noto in altri) e ci sono tanti temi/personaggi interessanti.

Storia gradevolissima per me.

Il 4/11/2012 at 03:15, Leo dice:

Ragazzi, che topic...43 pagine di botte e risposte, non senza asprezze...

Probabilmente la storia merita un topic così ricco, in quanto essa stessa è ricca di spunti di discussione. Il primo è la solita diatriba sui comprimari di Boselli, qui presenti in larga copia: Laredo, Parkman, Cunningham e tutti i suoi uomini, Mazay e suo fratello Goyaklee, e naturalmente Revekti e i suoi fanatici seguaci: non saranno un po' troppi, e troppo scarsamente delineati è La centralit? di Tex non ne risente in maniera eccessiva?

L'autore milanese dice spesso che il suo Tex è fedele a quello di GLB, e molti forumisti (vd Capelli d'Argento, o Anthony Steffen) dissentono da questa sua pretesa in quanto affermano che le storie di Bonelli senior sono texcentriche, manichee e in definitiva lineari. Don Fabio addirittura dice che sta perdendo quel vecchio amico (Tex) che era solito scambiare quattro chiacchiere con i pards e con i lettori (e qui ci vedo nostalgia per GLB ma anche per Nizzi, secondo me impareggiabile nelle gustosissime pantomime tra i pards). Io sono fondamentalmente d'accordo con loro, ma, nonostante le premesse comuni, le mie conclusioni sono totalmente differenti. Anch'io ritengo che Boselli, checch? lui stesso dica (non me ne voglia Borden per questa mia presunzione), non sia troppo fedele a Bonelli senior: Boselli ha in qualche modo rivoluzionato Tex, facendogli perdere molto spesso centralit? nelle storie e privilegiando i comprimari delle stesse. Comprimari molto diversi da quelli classici GLBonelliani, perchè tormentati, non scontati, molto umani nelle loro psicologie tutt'altro che granitiche. Per me Boselli ha portato questi elementi di novità in Tex, discostandosi non poco dagli schemi originari di Bonelli (seguiti abbastanza fedelmente da Nizzi), ed io ritengo che queste innovazioni costituiscano invece il punto di forza dell'autore milanese. Tex lo conosciamo, lui vincer? sempre, i suoi esiti sono scontati. Boselli allora ci fa appassionare a personaggi i cui esiti sono incerti, ed ecco che il lettore ha tutto il tempo di "legare" con questi comprimari, più umani di Tex e in quanto tali fallibili, e con i quali almeno per me è più facile un processo di identificazione. Quale sarà il destino del tenente Parkman° e di Laredo? e di Glenn Corbett? edi Colorado Belle? e di Mitch? Tex non può morire, n° essere sconfitto. Con Boselli entrano in gioco invece più ordinari esseri umani, ed è al loro destino che ci appassioniamo, un destino aperto a tutte le soluzioni. Questo amo di Boselli. In questo l'autore milanese si allontana da GlB, e lui stesso in un'intervista ha confessato che di fronte a Oklahoma di Berardi ha pensato che "allora Tex si può scrivere anche così". E lui lo scrive così, e alleggerisce Tex, e gli fa rubare la scena da un Laredo o da un Parkman, come avviene in questa storia. E' la sua cifra, a molti non piace, io ne sono invece entusiasta.

Per queste stesse ragioni giudico positivamente questa storia. Qui vi è un comprimario perfettamente caratterizzato, e tanti personaggi di contorno comunque ben delineati. Revekti stesso lo annovero tra i personaggi di contorno, perchè in effetti è un po' leggerino, alla fine della storia. Ma non si puo' dire che sia un personaggio mal riuscito, o addirittura paragonarlo all'inguardabile Espectro. Revekti lo vediamo poco, è più un pretesto per la storia, pero' è un pretesto appassionante, un nemico in potenza molto pericoloso: assolda indiani per l'odio nei confronti dell'uomo bianco, e alla fine comprendiamo anche (e non mi pare un approfondimento da poco) che questo suo inestinguibile odio risiede in quell'umiliazione patita da bambino ad opera del suo stesso padre, il bianco Cunningham. Lui, il doppio, lui, il meticcio, rinnega la sua metà bianca e si vota alla causa della riscossa indiana in contrapposizione a quei bianchi che odia, e che ha ben ragione di odiare. Per questo è diventato un predone sanguinario. Non è caratterizzato questo personaggio? Vi sembra forse inconsistente? Certo, fa una magra fine, ma egli era il pretesto della storia, non ne era il protagonista. La storia non è incentrata su di lui, così come non è incentrata su Laredo.

Già, Laredo. Chi si lamenta della sua evanescenza non ha torto. Qui Laredo ha peso scarsissimo, sembra quasi che ci sia solo per giustificare le presenze del suo ben più pesante scout Mazay e del di lui fratello Goyaglee. In effetti Boselli se lo sarebbe potuto risparmiare, Laredo, perchè è fin troppo evidente che l'autore non ha alcun interesse per lo scout, lo considera una mera comparsa, uno che non ha più nulla da dire. Il suo interesse è tutto per Parkman, il vero protagonista e il personaggio tutto sommato più riuscito della storia. Sono i flashbacks di Parkman che viviamo, la sua frustrazione e la sua amarezza per la perdita della donna amata, i suoi ricordi dolorosi rievocati dal ritratto di lei sempre conservato gelosamente. Ma Parkman non è solo uno che si piange addosso, ha un suo concetto dell'onore e non è un vigliacco, e il lettore può apprezzare entrambe queste caratteristiche dalle reazioni dell'ex tenente alle provocazioni delle carogne assoldate da Cunningham.

Questa storia è la storia di Parkman: la storia dei suoi rapporti tesi con quei nuovi e atipici compagni d'arme, dei suoi conflitti interiori e delle sue reazioni alle provocazioni esterne e alla sua amarezza interiore. Ed è una bella storia, che Boselli ci sa raccontare, anche attraverso il sempre evocativo flashback, con le consuete delicatezza e sensibilit?. Certo, la scena dell'eccidio del villaggio Pima, con Parkman che dice che nel furore della battaglia non si è avveduto, se non troppo tardi, del massacro che stavano compiendo non l'ho proprio digerita, e la considero un vero infortunio di Boselli: come fa un soldato, e un ex ufficiale per giunta, a non accorgersi di stare infierendo su degli inermi? E? una forzatura troppo grossa, un errore talmente grande che rischia di minare pesantemente il processo di rivalutazione del tenente che l'autore ha perseguito con questa storia.

E questo non ?, a mio modo di vedere, l'unico punto debole della storia: il finale è indubbiamente affrettato, e non parlo qui della pochezza di Revekti (che, ripeto, a mio parere ha comunque ben recitato il suo ruolo e la quantit? di vignette per spedirlo al creatore non mi sembra poi essenziale ai fini della storia), quanto dell'intera scena, che vede Tex e pards avere la meglio (sia pure con il provvidenziale aiuto di Kit e dei navajos) su un avversario che doveva essere (anche se non è ben specificato) di molto superiore in termini numerici. Trovo forzata e poco verosimile questa scena in cui un nemico così forte e così ben guarnito di guerrieri possa essere stato battuto tutto sommato così facilmente.

Queste due forzature (ed altre piccole sbavature qua e l') non mi consentono di gridare al capolavoro. Resta però una bella storia. Il mio amico Don Fabio dice che in Boselli ci vede il dolo, inteso come intenzionalit? a discostarsi dal Tex classico: in qualche modo è vero, Boselli tenta di stupire e di appassionare il lettore, anche uscendo dagli schemi se del caso, e lo fa con la passione e l'amore del cantastorie o del bardo per la propria affezionata platea. Non riesco proprio a fargliene una colpa; anzi, gliene sono grato. E pazienza se non tutte le ciambelle riescono col buco. Bisogna provarci sempre, per partorire capolavori.

Concordo su molti aspetti...

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  • 2 anni dopo...
Il 4/11/2012 at 03:15, Leo dice:

Ragazzi, che topic...43 pagine di botte e risposte, non senza asprezze...

Probabilmente la storia merita un topic così ricco, in quanto essa stessa è ricca di spunti di discussione. Il primo è la solita diatriba sui comprimari di Boselli, qui presenti in larga copia: [...] non saranno un po' troppi, e troppo scarsamente delineati è La centralit? di Tex non ne risente in maniera eccessiva?

L'autore milanese dice spesso che il suo Tex è fedele a quello di GLB, e molti forumisti (vd Capelli d'Argento, o Anthony Steffen) dissentono da questa sua pretesa in quanto affermano che le storie di Bonelli senior sono texcentriche, manichee e in definitiva lineari. Don Fabio addirittura dice che sta perdendo quel vecchio amico (Tex) che era solito scambiare quattro chiacchiere con i pards e con i lettori (e qui ci vedo nostalgia per GLB ma anche per Nizzi, secondo me impareggiabile nelle gustosissime pantomime tra i pards). Io sono fondamentalmente d'accordo con loro, ma, nonostante le premesse comuni, le mie conclusioni sono totalmente differenti. Anch'io ritengo che Boselli, checch? lui stesso dica (non me ne voglia Borden per questa mia presunzione), non sia troppo fedele a Bonelli senior: Boselli ha in qualche modo rivoluzionato Tex, facendogli perdere molto spesso centralit? nelle storie e privilegiando i comprimari delle stesse. Comprimari molto diversi da quelli classici GLBonelliani, perchè tormentati, non scontati, molto umani nelle loro psicologie tutt'altro che granitiche. Per me Boselli ha portato questi elementi di novità in Tex, discostandosi non poco dagli schemi originari di Bonelli (seguiti abbastanza fedelmente da Nizzi), ed io ritengo che queste innovazioni costituiscano invece il punto di forza dell'autore milanese. Tex lo conosciamo, lui vincer? sempre, i suoi esiti sono scontati. Boselli allora ci fa appassionare a personaggi i cui esiti sono incerti, ed ecco che il lettore ha tutto il tempo di "legare" con questi comprimari, più umani di Tex e in quanto tali fallibili, e con i quali almeno per me è più facile un processo di identificazione.

 [...]ordinari esseri umani, ed è al loro destino che ci appassioniamo, un destino aperto a tutte le soluzioni. Questo amo di Boselli. In questo l'autore milanese si allontana da GlB, e lui stesso in un'intervista ha confessato che di fronte a Oklahoma di Berardi ha pensato che "allora Tex si può scrivere anche così". E lui lo scrive così, e alleggerisce Tex, e gli fa rubare la scena da un Laredo o da un Parkman, come avviene in questa storia. E' la sua cifra, a molti non piace, io ne sono invece entusiasta.


Per queste stesse ragioni giudico positivamente questa storia. Qui vi è un comprimario perfettamente caratterizzato, e tanti personaggi di contorno comunque ben delineati. Revekti stesso lo annovero tra i personaggi di contorno, perchè in effetti è un po' leggerino, alla fine della storia.

 

 [...]In effetti Boselli se lo sarebbe potuto risparmiare, Laredo, perchè è fin troppo evidente che l'autore non ha alcun interesse per lo scout, lo considera una mera comparsa, uno che non ha più nulla da dire. Il suo interesse è tutto per Parkman, to più riuscito della storia. Sono i flashbacks di Parkman che viviamo[...] Ma Parkman non è solo uno che si piange addosso, ha un suo concetto dell'onore e non è un vigliacco[...]
Questa storia è la storia di Parkman: la storia dei suoi rapporti tesi con quei nuovi e atipici compagni d'arme, dei suoi conflitti interiori e delle sue reazioni alle provocazioni esterne e alla sua amarezza interiore.

Ed è una bella storia, che Boselli ci sa raccontare, anche attraverso il sempre evocativo flashback, con le consuete delicatezza e sensibilit?. Certo, la scena dell'eccidio del villaggio Pima, [...]la considero un vero infortunio di Boselli: come fa un soldato, e un ex ufficiale per giunta, a non accorgersi di stare infierendo su degli inermi? E? una forzatura troppo grossa, un errore talmente grande che rischia di minare pesantemente il processo di rivalutazione del tenente che l'autore ha perseguito con questa storia.E questo non è, a mio modo di vedere, l'unico punto debole della storia: il finale è indubbiamente affrettato, e non parlo qui della pochezza di Revekti [...] Resta però una bella storia. Il mio amico Don Fabio dice che in Boselli ci vede il dolo, inteso come intenzionalit? a discostarsi dal Tex classico: in qualche modo è vero, Boselli tenta di stupire e di appassionare il lettore, anche uscendo dagli schemi se del caso, e lo fa con la passione e l'amore del cantastorie o del bardo per la propria affezionata platea. Non riesco proprio a fargliene una colpa; anzi, gliene sono grato. E pazienza se non tutte le ciambelle riescono col buco. Bisogna provarci sempre, per partorire capolavori.

Bellissima recensione, tanto di cappello, ho provato a tagliarla ma più  di tanto non ne ho il coraggio: concordo su molti aspetti, tuttavia, senza "fargliene [proprio!] una colpa", trovo che Boselli molte volte esageri coi comprimari e i loro tormenti.In alcune storie francamente un po' mi perdo, un po' mi stufo di vedere un plotone di comprimari che dovrebbero esprimersi e finiscono solo per ammucchiarsi nell'albo finale (penso alla ricerca delle navi perdute: ottimo spunto, bei personaggi nei primi albi, ma per me finale pesantissimo: speravo quasi morissero tutti, Tex compreso-ORRORE absit omen- pur smettere di leggere.Tralascio il triste, cinematografico e inutile colpo di scena finale).Ma anche questa m'è piaciuta poco.

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