Rileggendo le storie di fine secondo centinaio, si nota la lieve involuzione dello stile compositivo del grande Gian Luigi Bonelli.
Anche "Gli scorridori del Rio Grande" rimarcano questa tendenza, a mio avviso, e lo spunto di soggetto che poteva essere alquanto interessante, scivola via danneggiato lungo una prolissa sceneggiatura che alla lunga rischia quasi di annoiare.
Erano passati pochi anni dai celebri capolavori "Il grande intrigo", "Terra promessa", "Una campana per Lucero", "Lotta sul mare" eppure confrontando gli esiti delle prove sembrava che fosse corsa molto più acqua sotto i ponti.
Come dicevo nell'introduzione, l'idea delle orchidee misteriose che producono pillole allucinogene, utili alla coppia di villain per soggiogare i banditi della loro banda e intimorire i nemici durante gli assalti a banche e villaggi, non è affatto male, così come si rivela una location alquanto interessante il castillo sulla laguna e tutta la sequenza del geyser vulcanico che contribuisce alla vegetazione della strana pianta.
La banda di delinquenti, accumunati da baffi e abiti eleganti da nobili messicani, si avvale pure dalla preziosa collaborazione degli indiani Yaqui agli ordini di Quemado e solo la fuga del "disertore" Tonito (cugino di Eusebio) che tradisce l'organizzazione spifferando tutto a Tex e il Morisco, sconvolto dalla morte del fratello, mina le fondamenta di questa pittoresca e cinica organizzazione criminale.
L'episodio comunque pecca di ritmo e spesso anche i dialoghi sono troppo prolissi. Alcune sequenze vengono dilatate oltremodo, altre si fanno più accattivanti e originali (vedi la sequenza del geyser), ma per il resto la trama non viene sviluppata del tutto come si deve e sul finire si assiste a un concentrato di azione e sparatorie, che di fatto incanala la prova verso questo filone, sciupando in parte l'atmosfera particolare e misteriosa del soggetto.
Bonelli mantiene la sua grande e sconfinata fantasia, ma si comincia a evidenziare una maggiore difficoltà nel gestire le sceneggiature, soprattutto quelle più estese, e l'amalgama della trama visto che alcune scene e sequenze sembrano un po' legate con forza e non con i dovuti equilibri narrativi di ritmo e scorrevolezza.
La sufficienza dell'episodio è comunque garantita anche grazie al contributo di Letteri, sempre sul pezzo e abile a divincolarsi fra i tanti fili narrativi della trama. Ho notato una particolarità: mai come in questo episodio l'autore romano firmò tante tavole e vignette. Mi ha un po' incuriosito la cosa, visto che già l'artista aveva eseguito decine di storie per Tex prima, come mai solo in questa sentì l'esigenza di mettere in calce la sua firma? Era particolarmente soddisfatto della sua prova o c'è altro dietro?
Chiudo con alcune curiosità che la mia mente ha elaborato durante la lettura:
- in primis l'idea del fiore misterioso che provoca allucinazioni mi ha ricordato un misto fra "Il fiore della Morte" e la mistura che Mitla preparava per il suo "Diablero" entrambi storie scritte da Bonelli per Letteri;
- Il grande Gian Luigi non perdeva il fascino per gli anagrammi, visto che ci presenta Quemado e Maquedo due componenti della banda, con nomi che sono uno l'anagramma dell'altro (nella miglior tradizione mifistofelica);
- curioso l'errore di ballon che fa dire a Tex ciò che presumibilmente doveva essere dialogo del figlio Kit, visto che è alquanto improbabile che il nostro eroe, sebbene molto acuto e intelligente, abbia mai studiato a scuola cosa sia un geyser.
- Per finire, la scena della dinamite che bloccando la bocca del geyser provoca poi il terremoto distruttivo che porrà la definitiva parola fine al Castillo e la banda, probabilmente ha ispirato Nizzi nella sua "Il risveglio del Vulcano", in effetti sembra un'idea bella e pronta che l'autore di Fiumalbo ha copiato per la fine del suo modesto episodio. Il mio voto finale è 6