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Condor senza meta

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Messaggi pubblicato da Condor senza meta

  1. La predisposizione di Nizzi per il racconto giallo è proverbiale. Sovente gli capitava d'imbastire trame classificabili nel genere e bisogna ammettere, che nel periodo di maggior fulgore creativo, riusciva quasi sempre a colpire il bersaglio. La storia in questione, sebbene minore, è riuscita a ritagliarsi un piccolo ricordo all'interno della saga, grazie alla sapiente sceneggiatura, che mantiene alta la tensione e la suspance fino all'ultima vignetta. Sin dall'incipit il lettore viene immerso assieme ai due pards, nel misterioso caso della miniera, descritto con dovizia di particolari e atmosfera dai tre minatori in fuga. La leggenda del grande serpente, nota ai nativi e ricorrente in parecchie civiltà (anche un racconto di Salgari "Il boa delle caverne" tratta un simile argomento) terrorizza tutti, compreso Carson, ma non Tex, convinto fin dall'inizio che a Bendito si celi un piano criminoso di qualche furbone, atto a far fuggire tutti i cercatori d'oro per impossessarsi della miniera. Ovviamente le indagini daranno ragione al nostro ranger, ma non mancheranno i colpi di scena: uno su tutti, la scoperta del vero Remick, sepolto in una caverna sotterranea dai delinquenti che gli rubano l'identità per il loro piano, e costretto a cibarsi di carne umana, pur di sopravvivere. Il piano di Tex che porterà alla punizione dei due villain, procederà spedito, scandito da una sceneggiatura serrata e arricchita da ottimi dialoghi. Merito di Nizzi nella sua prova è quello di rendere piacevole e mai banale uno spunto di soggetto, interessante ma non eccelso. Anche l'identità dei nemici, sebbene non impossibile da scoprire fin dall'inizio, viene ben celata con abili trucchetti del mestiere, ciò permette al lettore alla fine di ritenersi alquanto soddisfatto. Personalmente l'ho sempre reputata una buona storia, ma riconosco che sono particolarmente legato al filotto di episodi del centenario 300-400 e forse questo aspetto sentimentale, rischia di rendermi poco oggettivo in alcune valutazioni. Una particolare menzione meritano i sempre efficienti disegni di un Letteri infaticabile e preciso come un orologio svizzero. Il suo stile pulito e dinamico,  gli permetteva di essere adatto a qualsiasi sceneggiatura western proposta. Un grande autore, davvero! Il mio voto finale è 8

    • +1 1
  2. Prima di scrivere un commento dettagliato sulla storia appena conclusa, preferisco assimilare l'episodio con calma e analizzarlo a mente fredda dopo altre letture. Posso però affermare che a primo acchito, l'opera di sceneggiatura di Boselli risulta magistrale e la prova grafica di Dotti (special modo per gli sfondi e le location di New York) è di alta classe. Era da tempo che non mi divertivo così tanto a leggere un episodio di Tex!

  3. Per Giove, qui la standing ovation ci sta tutta! :Ave: "La leggenda della vecchia missione" se non è un capolavoro, è un gemello monozigote :D. Ma procediamo per gradi. Un Nizzi in stato di grazia creativa, opta per dare un seguito all'infelice prova "Il disertore" data alle stampe pochi anni prima da Nolitta. Premetto che visto l'esito finale e la mia scarsa considerazione per la trama nolittiana precedente, il confronto risulta impietoso a mio modo di vedere, ma cerchiamo di lasciar fuori le considerazioni personali. Il capitano Morrow, archiviate definitivamente matite, prototipi e risme di carta, avvisa Tex di aver localizzato il rifugio di Manuel Pedrosa oltre confine. Ovvia la reazione del ranger, che non si lascia crescere l'erba sotto i piedi, pur di ottene la sacrosanta (e doverosa, oserei aggiungere!) vendetta. Non starò qui a descrivere i vari passaggi narrativi che rendono memorabile la prova dello sceneggiatore modenese, d'altronde suppongo che ogni texiano che si rispetti, l'avrà imparata a memoria dopo le innumerevoli riletture. Straordinario il mix di azione, umorismo, suspence e colpi di scena. Geniale l'idea di sfruttare la superstizione dei bandidos in merito al tesoro, utilizzando Carson e Kit in saio di frate. La scena del primo arrivo a Charango è da spanciarsi dalle risate! Carson in questo episodio raggiunge picchi elevatissimi e alcune sue battute sono da oscar della risata, come è pur ovvio che la sua presenza accanto a Tex sia da sempre fondamentale (mi chiedo a tal proposito, come poter giustificare chi preferiva lasciarlo spesso fuori dalle scene :furiosi75:). Molto ben pensata la rivalità tra Juanito e Manuel, per non tacere dell'eccellente caratterizzazione dell'eremita Ramon. Tex è Tex, non la pallida copia di rintronato pistolero fornita da Nolitta. Deciso, acuto, molto abile nel tessere tranelli e sfruttare a suo vantaggio ogni situazione. Una sceneggiatura scoppiettante, che ti fa immergere nella lettura e perdere la concezione del tempo; dialoghi di alta scuola che richiamano lo stile bonelliano e non lo fanno affatto rimpiangere. In mezzo a cotanta ironia e polvere da sparo, non mancano piccoli melodrammi, quale l'ingenua fine di Ramon o il vigliacco omicidio di Rosita che ci mostra un Pedrosa nella sua reale condizione di detestabile assassino col pelo sul cuore. Molto dura la lezione a suon di dinamite scelta da Tex nei titoli di coda, ma in fondo il turbolento epilogo ci sta tutto, compresa la frana sulla vecchia missione e la definitiva scomparsa del maledetto carico di lingotti di argento. Mi perdoni il buon Sergio, ma gli unici aspetti che ricollegano la sua incolore prova a questo classico della saga, sono solo la presenza di Pedrosa e la magia che si sprigiona dalle incantevoli vignette di Ticci. Il mio voto finale è 10   

  4. <span style="color:red;">1 ora fa</span>, Grande Tex dice:

    Io invece la trovo  adatta, Tex e i pards devono essere muscolosi, altrimenti come li tirano  i cazzotti.

    Ovvio che debbano essere muscolosi, tuttavia, personalmente, preferisco la rappresentazione con un fisico più asciutto e atletico. Fusco eccedeva nella stazza, soprattutto per ciò che concerneva spalle e collo. A tratti sembrava di trovarsi al cospetto di culturisti gonfiati a proteine e creatina :D. Comunque, detto questo, non voglio affatto sminuire il grande talento grafico del compianto Fernando, anzi, sono il primo ad asserire che il suo magistrale contributo è stato basilare per il successo della saga. :) 

  5. Piccola gemma "sepolta nelle paludi". Nizzi, ormai saldo al timone della saga, architetta una trama sfavillante e la sua consueta abilità di sceneggiatura, valorizza un soggetto molto interessante. L'episodio si intreccia fra i sogni indipendentisti del folle Pierre de Rochelle, "un piccolo Napoleone dei poveri" evaso dal manicomio e smanioso di dichiarare guerra agli States per ottenere l'indipendenza della Lousiana e la tentata rivolta degli uomini di colore ai comandi di Mandeba sotto l'effige del Grande Alligatore. Entrambi i bizzarri personaggi tuttavia sono semplici burattini manovrati dal perfido Martin Stingo, un verminoso mascalzone che trama nell'ombra per impossessarsi dell'eredità dei nobili fratelli De La Rochelle. I piani ben congegnati dal villain di turno, andrebbero facilmente in porto senza l'intromissione dei nostri pards, richiamati dallo sceriffo Mc Kenneth per far luce sull'oscura vicenda. Un serrato susseguirsi di agguati e colpi di scena, con sullo sfondo le malsane paludi pullulanti di famelici alligatori, tengono il lettore incollato alle pagine. Memorabile la scena del ponte che conduce al villaggio delle palafitte, con Tex e Carson a rischio di precipitare tra le fauci degli affamati rettili. Come risulta davvero enigmatica e arcana la figura del centenario Kabagi, uno stregone cieco e sordo ma capace di fare premonizioni e comunicare i suoi ordini agli alligatori della palude. Ammetto che la sequenza che lo vede trasformarsi a sua volta in rettile, mi ha sempre molto colpito e rappresenta una delle pochissime escursioni di Nizzi nel paranormale. Stingo risulta ben caratterizzato e la sua spietatezza, unita a un cervellino di prim'ordine, lo rende un avversario molto temibile. Ma come lo stesso Tex ammette: il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi", infatti sebbene ben architettate le sue trame, i nostri riescono a sconfiggerlo su tutta la linea e pur di non farsi arrestare, il soprastante traditore preferirà togliersi la vita, tuffandosi nel vuoto dalla finestra dello sfarzoso palazzo. Episodio molto brillante, arricchito da dialoghi superbi e il quartetto di pards in forma esplosiva. Quanto mi mancano le ispirate prove di Nizzi del centenario 300-400! Eccellenti i disegni di Fusco; un asso nel rappresentare i dedali delle paludi e le dinamiche scene che si susseguono lungo i tre albi dell'episodio. Peccato solo per quella stazza da culturista che affibbiava ai nostri, palesemente marcata nella rappresentazione del collo, dettaglio che mi ha sempre fatto un po' storcere il muso. Meno male che alla lunga ci si abitua e bisogna ammettere, che simili trame affidate al compianto Fernando, fanno il salto di qualità. Il mio voto finale è 9 

  6. L'opera di lettura, studio e documentazione della pubblicazione bonelliana, effettuata da Nizzi prima di approdare alla serie ammiraglia, dovette essere davvero immane e minuziosa. L'autore, oltre a ricreare uno stile narrativo molto affine a quello del creatore della serie, assimilò per bene anche le tematiche care al suo celebre precedessore e con molta abilità, prese spunto da esse, per proporre episodi abbastanza avvincenti. "Gli spiriti del deserto" è uno degli episodi più gbonelliani uscito dalla penna dello sceneggiatore modenese. Già il particolare soggetto richiama alcune tematiche care a G.L. Bonelli: la leggenda di una nave arenata nel deserto; una valle misteriosa isolata dal mondo esterno e abitata da una comunità di cinesi discendenti dai naufraghi; un popolo indiano raro come i Pima posti alla guardia del segreto regno, soggiogati dal consumo d'oppio, coltivazione che porta ad arricchire l'avido villain della storia, che altri non è che un archeologo opportunista, che prima di tutti ha scoperto l'accesso alla misteriosa valle. L'alone di mistero che circonda le indagini di Tex e Carson, rende molto interessante la prima parte della storia. Le morti misteriose, le tante scomparse nei pressi della Laguna Salada e molte dicerie cariche di superstizione, inducono inizialmente a credere che qualcosa di soprannaturale si celi dietro la vicenda. I nostri pards, duri come il granito e decisi più che mai, non si fermano dinanzi i primi intoppi e riescono a trovare il bandolo razionale della matassa. La scena del duello fra Velarde e i rangers nei pressi dell'arca perduta, è molto a effetto (sebbene gli indigeni non brillino per pericolosità), come risulta molto carica di adrenalina la fuga lungo il passaggio per evitare la dinamite scagliata dall'avversario. Particolare la scelta narrativa di Nizzi di far eliminare il villain da uno dei suoi Pima, amareggiato dalla distruzione dell'arca sacra, ma il vero picco emotivo dell'episodio è l'odissea vissuta da Tex, Carson e Doberado lungo il tumultuoso fiume sotterraneo. Le tavole in cui i nostri vedono sempre più abbassarsi il soffitto della caverna sono da cardiopalma, come è un tuffo al cuore vedere la disperazione dipinta sul volto di Tex appena scopre che il cunicolo in cui son precipitati è totalmente sommerso. Forse mai come in questa sequenza il nostro eroe sente di essere vicino alla morte e l'umana paura sul suo volto, straordinariamente rappresentata da Villa, è un apice narrativo nizziano difficilmente raggiungibile. A pensarci bene tuttavia, un tocco soprannaturale lo si ritrova tra le pagine: solo un sortilegio può aver permesso a Doberado di mantenere i suoi occhiali dopo cascate, vortici e tuffi nel fiume :D. Sebbene Claudio Villa fosse ancora alle prime esperienze grafiche sulla collana, il suo talentuoso apporto fu fondamentale per la buona riuscita dell'episodio. Davvero magistrali le sue espressioni facciali, come da lode i suoi paesaggi o le dinamiche sequenze del fiume sotterraneo. Un disegnatore immenso, che si propose già da allora come punta di diamante della scuderia e delizierà il lettore con un crescendo grafico che lo porterà a divenire uno dei più amati fumettisti bonelliani. A tal proposito, proporrei una provocatoria petizione fra forumisti e lettori, per indurre i vertici della Sergio Bonelli Editore a liberarlo dai gravosi impegni di copertinista e restituircelo a tempo pieno come autore della serie. Dover aspettare decenni per ammirare i suoi capolavori fra le pagine degli albi, è una tortura che al confronto, quelle dell'Artiglio Nero son carezze. :D Il mio voto finale è 8

  7. <span style="color:red;">9 ore fa</span>, Grande Tex dice:

    Sono  completamente  d'accordo  con il commento di Condor Senza Meta sulla sceneggiatura, su cui pero, proprio  per le caratteristiche  da lui evidenziate, sono  ancora più  positivo nel giudizio

    In effetti hai ragione Grande Tex, riconosco di essere a volte un tantino tirato nei voti; meno male che non faccio l'insegnante, se no gli alunni per ritorsione, mi legherebbero alla lavagna! :D

  8. Episodio abbastanza breve che, all'apparenza, presenta tutte le caratteristiche del più classico dei riempitivi. Tuttavia Nizzi, giunto nella sua fase più ispirata, riesce a imbastire una trama efficace e molto scorrevole, che si legge con piacere. Abbastanza insolita l'ambientazione, in un Missouri ancora sconvolto dalla guerra civile, in cui comuni banditi vengono visti come patrioti ribelli. Ben caratterizzate le figure dei fratelli Border e anche i nostri si mostrano in grande sintonia e perfetta forma. Sempre notevoli i dialoghi e l'opera di sceneggiatura, che rende la storia molto fluida e con i giusti tempi narrativi. Il primo Nizzi fu indubbiamente un acquisto straordinario per la saga e la sua opera portò una fondamentale ventata di freschezza, utile a rilanciare il personaggio. Sempre molto particolari i disegni di Blasco; un tratto molto diverso rispetto alla consuetudine della serie in quei tempi. Uno stile classico con influenze latine, che riesce a essere pulito e non, allo stesso tempo. Qualche incertezza nelle proporzioni e qualche vignetta un po' legnosa, ma funzionali i primi piani e molto suggestivo l'uso dei neri e dei tratteggi. Le mitiche vignette dell'autore spagnolo, hanno accompagnato molte letture della mia infanzia e, sebbene non rientri proprio tra i miei disegnatori preferiti, non posso non ricordarlo con affetto e malinconia. Chiusa la parentesi "Nostalgia canaglia", riassumo il mio giudizio sull'episodio in questione: non un capolavoro, ma una storia molto solida che conferma il periodo d'oro vissuto da Nizzi sul finire degli anni '80. Il mio voto finale è 7

  9. Episodio della serie che mi è sempre molto piaciuto. Nizzi trae spunto dalla storica vendita di Santa Ana, che cedette ai confinanti Stati Uniti una fetta di territorio al sud del Gila River, e architetta una trama avvincente e gradevole da leggere. I folli sogni del ricco haciendero Don Guillermo di rimpossessarsi delle sue proprietà, con la violenza e un piccolo agguerrito esercito, sbattono presto contro la decisa azione dei nostri due pards. La banda di banditi, foraggiata dal ricco messicano e affidata ai comandi del pericoloso Pablo Contreras, può disporre di una gatling, con cui semina morte e terrore lungo il confine. Il soggetto è interessante, l'azione non manca, come brillano per freschezza, ironia e efficacia i dialoghi di un Nizzi particolarmente ispirato. La sceneggiatura fila via che è un piacere e il colpo di scena finale, funge da ciliegina sulla torta. La caratterizzazione del capitano Lafferty è l'ulteriore fiore all'occhiello della storia; l'autore riesce a ricamare con estrema abilità un ruolo da doppiogiochista (triplo gioco a essere pignoli!) che spiazza Tex e i lettori. Solo l'entrata in scena della delusa Beatriz, corteggiata per scopo dal villain principale, aiuterà i nostri eroi a cavarsi fuori da una situazione resasi complicata. Molto bella la sparatoria al pueblo, così come c'è da togliersi il cappello dinanzi alle tante battute esilaranti che Tex e Carson si scambiano durante la storia. Il Nizzi del centenario 300-400 è uno sceneggiatore brillante, in piena verve creativa, meritevole dell'oneroso ruolo affidatogli dalla casa editrice in quegli anni. Le sue scoppiettanti sceneggiature, permisero alla celebre saga di uscire dal pericoloso guado, in cui si era impantanata, con lo spegnimento della stella compositiva di Bonelli padre e la debole sintonia di Nolitta col personaggio. Ammetto che furono proprio storie come "L'arma del massacro" e successive del periodo, ideate dall'autore di Fiumalbo, a farmi affezionare al mitico ranger. Molto validi i disegni di Vincenzo Monti, sempre a proprio agio con ambientazioni marcatamente western, peccato solo per la sua tendenza alla ripetitività della fattezze dei personaggi. Il mio voto finale è 8

  10. <span style="color:red;">6 minuti fa</span>, gilas2 dice:

    In realtà, purtroppo, in quel periodo di disegni di Galep erano già ben al di sotto della sufficienza...

    Concordo con te, che il calo grafico del grande Galep cominciasse a palesarsi, ma a mio parere sembra più netto ed evidente nelle prove successive. 

  11. Il grande G.L. Bonelli ha sempre attinto a piene mani l'ispirazione dal dorato forziere dei romanzi salgariani e Claudio Nizzi, assoldato come suo degno successore, ereditò questa caratteristica, proponendo, sporadicamente al lettore, trame che si rifanno all'universo narrativo del celebre scrittore veronese.

    "Gli strangolatori" è liberamente tratto dall'avventuroso romanzo "I misteri della Jungla nera" e scorrendo le pagine, viene spontaneo associare Tex a Tremal-Naik, Carson al simpatico Kammamuri e il perfido Raymangan all'antagonista letterario incarnato dal truce Suyodhana. Anche l'esotico scenario in cui si svolge l'episodio, con lussureggianti foreste, caverne sotterranee con tanto di statua di Kalì, accessi ai sotterranei nascosti da alberi cavi e lastroni di pietra, richiama all'opera del ciclo Indo-malese di Salgari. Il grande merito di Nizzi è stato quello di riuscire a tessere una trama molto avvincente e scoppiettante, con un ritmo narrativo notevole e dialoghi molto funzionali e divertenti. A tal proposito, sono davvero esilaranti i battibecchi ironici fra Tex e Carson e proprio simili siparietti, diverranno un marchio di fabbrica della produzione nizziana sulla saga. Un giusto cocktail di azione, avventura, ironia e scene ad alto impatto; come non citare la cruenta sezione dell'abbordaggio al veliero, fatto naufragare dopo un'infernale trappola? Molto ben congegnata pure la messinscena ideata da Tex per ingannare gli sgherri di Mc Murdo durante l'agguato presso la casa in fiamme dello sceriffo o l'inseguimento notturno lungo le silenziose acque della laguna di Galveston.  Raymangan e Mc Murdo sono due antagonisti che vivono una complicità "burrascosa" per via dell'avidità che li accomuna, ma alla fin dei conti si riveleranno villain rognosi, ma tutt'altro che  imbattibili. L'epilogo, sebbene molto movimentato, risulta un po' troppo affrettato, tuttavia non rovina l'esito della prova. Tex appare in forma strepitosa: abile e svelto con le armi quanto nei corpo a corpo con i Thugs nella foresta; molto acuto e intuitivo nello studiare dovute contromosse o trappole con i fiocchi; deciso al punto giusto per sbaragliare il nemico e liberare i pards in catene, non lesinando candelotti di dinamite a profusione, fra gli oscuri antri della caverna. I disegni di Galep mostrano un lieve calo qualitativo per ciò che concerne le rappresentazione dei volti e qualche incertezza anatomica, ma si mantengono ad altissimi livelli nella rappresentazione delle scene notturne, nelle illustrazioni delle sequenze marinare e molto affascinanti nel tratteggio della fitta vegetazione della foresta, che fa da sfondo alle azioni clou della storia. Come già accennato nel mio intervento relativo all'albo che lo precede, l'avventura contro i Thugs è la seconda storia che lessi da ragazzino e il legame affettivo è altissimo. Ho letteralmente divorato decine di volte le pagine che compongono l'albo e ammirato nei minimi dettagli ogni singola vignetta, nel corso delle tantissime riletture. Se nel lontano 1990 scoccò la scintilla e decisi di continuare ad acquistare gli albi del ranger (ben lontano dall'immaginare che questo intenso amore me lo sarei portato intatto fino ad oggi), lo devo pure a questa splendida storia. Il mio voto finale è 9 

  12. Premetto che, per l'episodio in questione, sarà difficile per il sottoscritto fornire un giudizio imparziale. Si sostiene che il primo amore non si scordi mai e in par modo, non potrò mai dimenticare il giorno in cui mi capitò fra le mani la Ristampa Tre Stelle di quest'albo. Dopo vari anni trascorsi a divorare Topolino e Diabolik, alla soglia del decimo compleanno, la mia pista incrociò quella di Aquila della Notte e da allora nulla fu più come prima. Chiamatelo colpo di fulmine, folgorazione o sortilegio, fatto sta che fin dalla prima lettura fui totalmente rapito dalle gesta di quella coppia di eroi a cavallo lungo le polverose praterie. Era forse già scritto nel destino che dovessi divenire un autentico fan della serie, visto che la prima storia che lessi portava la firma del suo celebre creatore, giunto nella sua fase crepuscolare sebbene ovviamente allora lo ignorassi, e ai disegni debuttava un certo Claudio Villa, un fumettista di prospettiva che negli anni diverrà la colonna portante della saga, nonché amatissimo copertinista. Saranno proprio i disegni di Villa, uniti a quelli di Galep nel successivo albo, a stregarmi e farmi innamorare del disegno in B/N; ricordo con affetto le ore e ore trascorse a ricopiare con amore e passione quei primi piani stupendi per tratto ed espressività. Chiusa questa dolce parentesi malinconica, cerco con la giusta dose di imparzialità di fornire il mio commento relativo alla trama. Ovviamente il G.L. Bonelli che si apprestava alla sceneggiatura del breve episodio, era lontano anni luce dai picchi artistici raggiunti negli anni '70, tuttavia l'esito della storia fu nettamente superiore alle prove incolori che il patriarca del fumetto italico confezionò precedentemente nella sua fase d'involuzione. Il soggetto seppur smilzo e semplice, incarna in pieno l'amato canovaccio western con indiani sul piede di guerra e ranch presi d'assalto, ma ciò che più rende piacevole la breve lettura, una sceneggiatura col giusto ritmo e molto scorrevole. Anche i dialoghi si mantengono di buon livello e pazienza se manca il colpo di scena o se le azioni che si susseguono siano poco originali, la storia si rivela comunque piacevolmente leggibile. I disegni di Villa, sebbene ancor lievemente acerbi, mostrano prepotentemente le potenzialità di un grande talento. Ottimi per pulizia, bilanciamento di chiari e scuri, inquadrature splendide e discreta dinamicità. Encomiabile pure la realizzazione dei paesaggi e dei cavalli: uno stupendo esordio, che sarà seguito da una maturazione di tratto e acquisizione di consapevolezza dei propri mezzi sul genere, che porteranno il buon Claudio a diventare uno dei migliori disegnatori del panorama internazionale. Stima immensa!

    La storia sarebbe da sette scarso, ma anche i sentimenti hanno il loro peso ed essendo così tanto legato a questi miei primi albi, mi permetto di aggiungere un voto in più, seguendo il mio cuore texiano. Il mio voto finale è 8  

  13. "La lancia di Fuoco" è l'ultimo centenario scritto da G.L. Bonelli e purtroppo, mi duole dirlo, è il peggiore albo celebrativo apparso sulla serie. Lo sceneggiatore, entrato da tempo in una inarrestabile fase d'involuzione, non riuscì a produrre una storia degna per l'occorrenza. Il soggetto basato esclusivamente sull'inseguimento operato dai nostri nei confronti di una minuta banda di ladri, che si è impossessata di una preziosa reliquia indiana, risulta esile come un grissino e purtroppo nemmeno l'opera di sceneggiatura riesce a rendere avvincente la prova. Si assiste a intere pagine di dialoghi verbosi e ripetitivi, con poca azione e molte supposizioni verbali, che rendono la lettura molto ostica e noiosa. Da sconsigliare a coloro che amano leggere fumetti prima di andare a letto, o, quantomeno, si raccomanda prima, l'assunzione di un ettolitro di caffè nero e forte come piace a Carson! :D L'epilogo non brilla per emozioni e a fin dei conti, il contributo dei nostri è quasi nullo. A voler spaccare il pelo in quattro, anche l'incipit della storia è viziato di alcune incongruenze a mio avviso: in primis, se la lancia era così preziosa come detto direttamente dallo sceriffo di Phoenix, come mai al museo c'era solo un semiaddormentato Hopi a far da guardia? Poi, i banditi che necessità avevano di tirarsi dietro un calesse in pieno terreno accidentato per giunta, quando sarebbe bastato scalzare il rubino e il teschio di avorio, uniche cose preziose della rudimentale lancia di pietra? Nettamente superiore il comparto grafico, affidato naturalmente ai pennini di Galep. Molto piacevole la scelta di gabbie atipiche, che si rifà alla sperimentale "Gli sterminatori", anche se graficamente il compianto disegnatore non riuscì a raggiungere il livello del su citato gioiellino. Un Galep ormai in fase discendente ma ancora molto efficace, penalizzato da una colorazione molto accesa che invece di valorizzare il suo tratto, ottiene il risultato quasi opposto. Il mio voto finale è 5

  14. "Perchè il viale del tramonto si percorre a piedi nudi" cantavano Elio e Le Storie Tese nella sigla del celebre programma Mai dire goal negli anni novanta; il ritornello del brano, con le dovute modifiche, può essere adattato pure al mondo delle nuvole parlanti: magari non a piedi nudi, ma con la macchina da scrivere sotto braccio, sì! :D Perdonate l'introduzione un po' fuori contesto, tuttavia è fuori dubbio che episodi come "La foresta pietrificata" siano le inconfutabili prove del declino artistico dell'immenso Bonelli. L'autore, dopo aver notevolmente ridotto la lunghezza delle proprie sceneggiature, cercò di mettere su, una storia più complessa che coprisse almeno i due albi. Trascurando il soggetto trito e ritrito, ciò che salta più all'occhio rileggendo i due volumi, è l'evidente difficoltà del vecchio leone d'imbastire una sceneggiatura corposa e spumeggiante, come gli riusciva con estrema naturalezza negli anni del suo apice creativo. 

    I complotti, gli intrighi, le trame criminali perdono credibilità e appaiono un po' ingenui. Anche la lotta fra allevatori e "zappaterra" appare molto stucchevole, quasi fosse una partita a Risiko fra le due compagini. Tex e Carson poco incisivi e a tratti troppo sbrigativi con la dinamite, manco fossero i fratelli Granger di pochi albi prima. Ma poi i ritmi narrativi, di solito serrati e avvincenti nel bagaglio bonelliano, si dilatano e si assiste a una continua serie di spostamenti dei protagonisti a destra e a manca, che rallentano la lettura e annoiano non poco. Forse bisognava allungare la minestra, ma il troppo brodo alla lunga diviene indigesto! :D Deludente, a dir poco, l'epilogo: non solo l'arrivo provvidenziale della cavalleria (espediente fin troppo abusato nelle ultime prove dal padre letterario di Tex) pone fine all'aspro scontro fra piombo e candelotti di dinamite, ma l'armistizio firmato col solo impegno di risarcire gli agricoltori, senza nessuna severa punizione verso le anime nere del complotto, suona come una chiusura alquanto buonista e inappropriata, dopo il sangue versato. Anche il colloquio finale di Tex con Bucker, risulta paradossale. Una scazzottata con i fiocchi all'infido allevatore, era il minimo che Tex potesse fare, dopo tutto il dolore e la distruzione seminato dagli avidi villain della storia (vedi al proposito, la struggente scena del ranch assaltato, con il bambino, unico superstite, a dover seppellire i suoi cari) . Nella norma, senza grandi picchi o pecche,  i disegni di Letteri, forse poco ispirato dall'insipida sceneggiatura. Il mio voto finale è 4

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    P.s.  Curiosa la vignetta a pag. 78 dell'albo "La foresta pietrificata": la voce fuori campo di Carson è una scelta stilistica che non brilla per eleganza. Non so se dipenda da un'errore grafico di Letteri o da una leggerezza di sceneggiatura, tuttavia una tale vignetta, a mio avviso, si poteva evitare, o quantomeno correggere nelle ristampe. Fino al Tutto Tex (l'albo da cui ho tratto la scansione) non fu corretta, ma ignoro se nelle successive, si è intervenuto in tal senso. D'altronde sarebbe bastato solo togliere il baloon della frase di Carson, visto che il contenuto, non incideva più di tanto nel dialogo in questione. 

  15. Mountain Meadow: la criptica scritta che appare nei dintorni di un ranch di una famiglia di mormoni, sterminata da ignoti assassini. Il mistero si infittisce, allorché la carovana, a cui si sono uniti pure Tex e i suoi pards, fa la stessa sanguinosa fine e su un telone di carro, riappare la stessa coppia di parole. Un assalto cruento portato sempre dagli stessi indefiniti nemici, mentre i nostri vengono spediti (troppo facilmente seguendo le prerogative stilistiche di Nolitta) su una falsa pista. Inizia così un episodio che ha tutte le carte in regola per accattivare l'attenzione del lettore e, tutto sommato, riesce a mantenere le aspettative, tra alti e bassi. Proprio raggiungendo Cedar City, in pieno territorio mormone, Tex viene a conoscenza di un vile gesto compiuto dalla comunità in passato ai danni di una carovana di emigrati in transito e proprio questo segreto, riemerso in qualche modo, è l'origine della nuova scia di sangue. Confrontandosi con soggetti ambigui e palese ostilità, il nostro ranger cerca di far luce sull'intricata vicenda. Il primo albo si fa molto apprezzare, peccato però che il seguente perda molto dello slancio iniziale, annoiando un po' durante lo sviluppo. Superflua a mio avviso, la visita al villaggio minerario, che oltre a suonare come una forzatura, si presta come l'ulteriore occasione per far fare la figura dello zimbello al protagonista, scacciato dal villaggio senza porre resistenza, da quattro mezze calzette. Anche l'indagine si arena, visto che la soffiata giusta arriva dal vaneggiamento del folle profeta notturno (scena davvero notevole e d'impatto) e il velo di mistero tolto dalla confessione di Moses Boglum. L'identità del misterioso capo banda, diviene prevedibile visto le poche alternative mostrate e purtroppo la presenza di Kit e Tiger è gestita in maniera inopportuna; tanto valeva far agire da solo Tex fin dalle prime pagine. A tal proposito,  Nolitta non è mai riuscito a valutare degnamente i coprotagonisti della serie (basti vedere quanto snobbi il vecchio Carson), e questa lacuna lo penalizza moltissimo sulle sue prove, a mio parere. Il colpo di scena finale, non stupisce più di tanto e l'epilogo entusiasma poco, suscitando il pensiero di trovarsi dinanzi all'ennesima occasione sprecata. Sempre molto emozionanti i disegni di Galep, ancora belli da vedere sebbene il disegnatore fosse già in fase calante. Qualche incertezza nei primi piani e nelle somiglianze, ma davvero poca cosa, che nel complesso non inficia l'egregia prova grafica. Il mio voto finale è 7 

  16. La lunghezza media delle storie di G.L. Bonelli nel centenario 200-300 si abbassò notevolmente. Stare alla macchina da scrivere evidentemente divenne molto più faticoso per l'allora ultrasettantenne autore e purtroppo anche la qualità delle sue sceneggiature si ridimensionò. "Dinamite" presenta uno sviluppo modesto di tavole, ma quanto meno, rispetto alla poco riuscita "Bandoleros" che la precede, è leggibile. Il soggetto non è tanto ricco, ma la trama si sviluppa bene e i dialoghi riescono a colmare in parte le lacune. La banda di tangheri, che distribuisce dinamite a destra e manca neanche fossero chicchi di riso all'uscita degli sposi, appare abbastanza caratterizzata e in fondo tutta la trama si snoda attorno alle loro criminose azioni. Molto simpatica la scenetta della sfida a braccio di ferro che introduce Tex nell'episodio, una breve parentesi di comune svago quotidiano del nostro eroe che fa piacere leggere. Da lì a poco inizierà la caccia dei due pards, che però rimarranno un po' troppo ai margini della vicenda. Saranno infatti i Comanches a spedire all'inferno i fratelli Granger, mentre ai nostri toccherà la "consolazione" di liquidare (troppo facilmente) il superstite della banda soprannominato il "cinese". Epilogo a mio avviso troppo sbrigativo con i Comanches che si sciolgono come ghiaccioli al sole dopo la dipartita del loro capo. Anche la sceneggiatura pecca di alcune debolezze, in primis la poca centralità risolutiva di Tex nell'azione: molto probabile che il grande Bonelli si ammalò di "Nolittite" negli ultimi anni di carriera. :D A parte le battute, l'episodio raggiunge una risicata sufficienza e si avvale di un Fusco in grande spolvero. Ammetto che ho molto rivalutato negli anni lo stile molto personale del compianto Fernando; da ragazzino le sue vignette non mi facevano impazzire, adesso rivedendole con occhio più maturo, riconosco che il suo stile dinamico e possente, è stato un valore aggiunto che ha contribuito al successo della saga. Come non menzionare poi quei piccoli dettagli di stile come vignette senza tradizionale cornice tirata con la squadra (che adoro) o i suoni onomatopeici dei proiettili, scritti all'interno delle traiettorie di tiro. Per non tacere dei suoi tratteggi incrociati molto forti che conservano sempre un fascino particolare. Il mio voto finale è 6

  17. "Buona la prima" verrebbe da dire, considerando l'egregio debutto di Claudio Nizzi nella saga.

    L'autore, con evidente rispetto riverenziale per il celebre personaggio, entrò in punta di piedi tra le tavole della serie, cercando di emulare al massimo lo stile narrativo di G.L. Bonelli, creando magnificamente dialoghi funzionali e una trama molto fluida. Suppongo che i lettori dell'epoca non si accorsero minimamente che "Un diabolico intrigo" fosse stato scritto da un'altra mano e non solo per via dei mancati crediti nel frontespizio. Nizzi fin dal debutto si mostra più in sintonia col personaggio rispetto a Nolitta e la freschezza della sceneggiatura, condita da un gergo che tiene abbastanza testa al celebre marchio di fabbrica di Bonelli Senior, fa subito intuire che l'autore abbia tutte le carte in regola per prendere in consegna il testimone dal padre letterario del ranger. La trama è un misto fra giallo e western tipico texiano, con molta investigazione e parecchi colpi di scena. Ben presto il diabolico piano di Francisco e Dolores viene a galla e Tex con decisione riesce a riabilitare il ricordo dell'ex colonnello Remington e farne onorare le spoglie. Oltre alla scorrevolezza della sceneggiatura, salta subito all'occhio l'ottima gestione dei due pards in mano a Nizzi: fin dalle prime pagine emerge una grande complicità fra Tex e Carson che diverrà il punto saldo della produzione nizziana, oltre alla grande ironia dei siparietti che riesce a imbastire con estrema maestria. Mi par di ricordare che in una vecchia intervista, Sergio Bonelli definì Nizzi l'angelo della finestra di fronte, alludendo alla vicinanza della redazione del "Giornalino", dove il buon Claudio operava prima di entrare nella blasonata scuderia texiana e suppongo che una simile definizione non faccia una grinza: con G.L. Bonelli ormai da tempo incamminatosi sul lungo viale del tramonto e l'estrema difficoltà personale dell'editore di gestire il personaggio nelle sue storie, mi viene da pensare che, senza l'innesto dello sceneggiatore di Fiumalbo, la collana del mitico ranger nei tardi anni '80 rischiasse la deriva. Importante anche ricordare che questo episodio è l'ultimo a essere illustrato interamente da Nicolò, prossimo alla morte. Il tratto dello storico disegnatore fiorentino sebbene non più pulito come un tempo, rimane tutto sommato accettabile fino agli ultimi colpi di pennello, senza verticali cadute di rendimento. Il mio voto finale è 8

  18. È più forte di me, sebbene lo abbia sempre molto apprezzato sulle storie di Zagor, Nolitta sulla serie di Tex lo vedo come la cipolla nella carbonara. Anche negli episodi meglio riusciti e piacevoli da leggere, non centra mai il personaggio e il suo stile narrativo poco si presta ai canoni che hanno reso celebre il ranger. Figurarsi poi in sceneggiature come quella in questione, che alla fine ti lasciano l’amaro in bocca e il desiderio di archiviare gli albi nello scaffale e farli riempire di polvere. Procediamo per ordine: lo spunto del prototipo di fucile da vendere all’esercito, i boicottaggi della grossa compagnia di armaioli, la diserzione dell’ufficiale “ingegnere”, l’inserimento nella trattativa del governo messicano e via dicendo, rappresentavano un buon punto di partenza per una storia originale e di spessore, purtroppo il buon Sergio, come sovente gli accadeva, finì col compromettere tutto con una trama che traballa come un novantenne sui trampoli.

    L’overture con il salvataggio sulla neve dei tre soldati assediati dai lupi non è affatto male, come molto ben si presta l’inatteso agguato che fa presagire a un mistero da svelare. Purtroppo arrivati al forte in costruzione, l’impianto narrativo comincia a scricchiolare rumorosamente. Innanzitutto si parla del tenente Morrow come di un disertore, quando si viene poi a sapere delle sue dimissioni prima di sparire. Non la reputo proprio la stessa cosa. Una volta gettata la divisa alle ortiche, sentendosi tradito giustamente dall’esercito per via del suo prototipo, mi par plausibile che si sentisse libero di vendere i frutti del suo studio al miglior offerente, nel caso specifico all’esercito messicano, con lauto anticipo intascato. Forzata mi sembra la scelta di far incontrare gli emissari e il progettista in un covo di lupi come Pequeno Paraiso, ma tralasciando questo punto, ancor più improbabile mi pare la missione di Tex di far tornare l’ufficiale americano sui suoi passi. Altra stranezza: non capisco le necessità degli emissari messicani di portarsi dietro un intero esercito con tanto di cannoni per un simile incontro d’affari, per non tacere dello scarso senso della battaglia che scoppia dopo fra i soldados e i nostri. In fondo il torto è dalla parte di Morrow che non rispetta gli accordi presi, e un Tex “comune” avrebbe dovuto spendere le sue doti diplomatiche per appianare l’inghippo, non sparare su incolpevoli uomini in divisa. Ma la ciliegina sulla torta (acida! :D) è la scelta narrativa, assurda per come la vedo io, di far salvare Tex da Manuel Pedrosa e i suoi scannagatti. Oltre alla mancata azione risolutiva del ranger, che tirando le somme incide poco o niente, è dura da digerire che accetti un ricatto in denaro, impostogli da volgari banditi per riprendere la via del Nord. Siamo su Scherzi a parte? :D Altro che dover aspettare un lustro per assistere alla doverosa vendetta, l’episodio non doveva esimersi dal mostrarci i nostri punire severamente Pedrosa e co. Rimedierà Nizzi in seguito con una vicenda di ben altro valore, ma ciò non basta a giustificare una così grande leggerezza. Un Tex irriconoscibile che si tira fuori pure dall’azione contro la compagnia di armi, rea all’inizio di aver foraggiato dei pistoleri per sopprimere il fratello di Morrow, il cui piombo inevitabilmente è stato pure riversato verso i due pards. Un epilogo così indifendibile, dopo una trama tutto sommato impalpabile, (con tanto di battuta finale di whisky pagato a caro prezzo a Pequeno Paraiso :craniate: ), mi lascia la fastidiosa sensazione di essere stato raggirato. Se non fosse stato per i sempre ottimi disegni di Ticci e il familiare logo sulla copertina, avrei potuto pensare di aver letto un altro personaggio. Il mio voto finale è 3

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  19. Chi ha avuto modo di leggere i miei precedenti interventi sui post, avrà già capito che la dote di sintesi non mi appartiene; stavolta comunque farò uno strappo alla regola, considerato che su “Bandoleros” non trovo davvero tanto da scrivere. Mi verrebbe di riassumere con queste poche parole: episodio da dimenticare.

    Anche i più grandi campioni invecchiano e a questa insindacabile legge della natura, non è sfuggito nemmeno il titanico Bonelli, comunque se nei precedenti capitoli, sebbene lontanissimo dagli anni d’oro, era riuscito a raggiungere un livello quantomeno sufficiente, con questa storia il crollo è verticale.

    Una trama senza né capo né coda con un soggetto troppo scarno per garantire un esito soddisfacente. Non riescono a salvarsi nemmeno i dialoghi e in quanto al finale, sembra la fiera della confusione, con interpreti che appaiono fuori contesto e senza un filo logico, vedi gli Apache e ancor peggio, la cavalleria americana in pieno Messico. Unica nota positiva in questa stonata sinfonia, gli eccellenti disegni di Monti, alla sua seconda prova sulla saga; un disegnatore dallo stile molto personale e forse un po’ troppo sottovalutato in Via Buonarroti in quegli anni. Il mio voto finale è 4

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  20. Se esistesse un girone dantesco relativo alle storie fumettistiche senza infamia e senza lode, l’episodio in questione, senza alcun dubbio, ne farebbe parte.

    G.L. Bonelli, ormai da tempo in fase calante, sforna una storia breve alquanto leggibile, ma destinata a non lasciare il segno. Si parte con una scena che sembra la citazione dell’incipit della più celebre “Terra promessa”, con un misterioso killer che uccide una povera guida, all’apparenza senza un fondato motivo.

    L’immediata indagine di Tex porta alla scoperta dell’assassino, ma soprattutto si viene a conoscenza dei motivi della spedizione condotta dai fratelli Roswell, atta al rinvenimento di un antico Teocalli azteco in cui vi è nascosto un favoloso tesoro. Lo spunto di soggetto, particolarmente caro all’autore, non brilla per originalità, tuttavia una passabile sceneggiatura evita la tempesta di sbadigli.

    Tex s’improvvisa guida e s’incarica di condurre sui luoghi la spedizione, con l’intento di scoprire il giuda che muove invisibilmente (o quasi!) i fili del complotto. Per un caso (troppo) fortunato, conosce i luoghi in questione, essendoci già stato in gioventù e con una scena degna del primo Martin Mystere, individua e porta alla luce il tempio sommerso. La parte degna d’interesse dell’episodio si esaurisce qua; l’assalto dei rubagalline messicani, la scoperta del traditore e il rinvenimento del tesoro, risultano molto scontati. A tal proposito, mi chiedo se davvero l’autore abbia peccato d’ingenuità nell’imbastire il piccolo giallo dell’identità del villain principale o avesse calcolato la prevedibilità della sua scelta narrativa: non bisogna di certo essere Sherlock Holmes per capire fin dalle prime pagine l’anima nera e d’altronde non avrebbe avuto senso, affidare tale ruolo a uno dei tanti “sconosciuti” componenti della spedizione, assolutamente anonimi durante la narrazione e per nulla caratterizzati fino ad allora. Finale inatteso con Tex (più nolittiano che Gbonelliano in questa scena) che si fa cogliere alla sprovvista dall’avido Rick Roswell, che roso dalla cupidigia, non esita a indossare i panni di Caino e far fuoco sul fratello, senza tuttavia riuscire a ucciderlo. Il buon Carson, mette una pezza, risolvendo a suon di piombo la questione e il lieto fine è servito. Ulteriore encomio per Letteri, che con molta disinvoltura e discreti esiti, arricchisce il suo sconfinato repertorio grafico, con templi e sculture azteche, mostrandosi molto a suo agio con la tematica e fornendo l’ennesima prova della sua notevole versatilità. Il mio voto finale è 6

  21. Suppongo che per gli appassionati dei primi anni ’80 la notizia di un grande ritorno di Yama, dopo un decennio circa di assenza sulla saga, avrà suscitato grande curiosità e impazienza. In effetti Bonelli per l’occasione, decise di imbastire una storia di grande respiro, che nel suo intento avrebbe dovuto assumere le sembianze di un grande kolossal della serie del ranger. Purtroppo come recita un vecchio detto: la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni; l’esito finale infatti non collima del tutto con l’ambizioso progetto dello sceneggiatore. A dire il vero l’inizio è promettente: molto originale la trovata del salvataggio di Yama nelle caverne del fiume sotterraneo, con l’aiuto di un folto stormo di pipistrelli; così come risulta abbastanza piacevole tutta la prima parte ambientata a Tampa con i seguaci del voodoo in prima linea. Bonelli imbecca un’altra bella idea con le scene della strega che sottopone il nostro eroe a supplizi di magia nera mediante un wanga e tutto sommato, sebbene superflua, si fa leggere pure la sequenza dell’affondamento del “Black Queen”. Unico neo (o vantaggio!) della prima sessione, la scarsa presenza del maggiore antagonista, che delega gli alleati di colore a fronteggiare i suoi odiati nemici. L’apparizione del Morisco è breve, ma si fa ricordare grazie alla splendida sequenza del duello a distanza a colpi di magia con Yama, ma l’episodio praticamente finisce qui. Il proseguo che vede i nostri pards inoltrarsi nella terra degli Aztechi, scelti da Yama per alleati finali del suo farraginoso piano, ha lo stesso effetto di un tampone di cloroformio. La sceneggiatura diventa lenta e prevedibile, le pagine si riempiono di dialoghi verbosi e ripetitivi; Yama conclude il suo processo d’involuzione rivelandosi un avversario isterico e poco lucido che sbaglia tutte le scelte. Anche i famigerati “Figli del sole” finiscono solo col fare il solletico ai nostri, che si possono perfino permettere il lusso di sparare senza uccidere. Morale della favola: la voglia di strafare di Bonelli, ha finito col fargli sciupare una buona occasione. Senza la seconda parte e strutturando meglio il duello a Tampa, l’episodio forse avrebbe convinto di più. Così delude abbastanza, visto che anche il coinvolgimento dei seguaci voodoo suona come una forzatura, se il piano finale era quello di finire i nemici in terra messicana. Grottesca anche la scelta dell’alleato alato di Yama, richiamato con la formuletta “Hary Hary Arymar” che pare un insulso coretto da stadio, per non tacere della calotta indossata dal diabolico villain, che sembra essere uscita da un film spaziale di serie B. Ciò che comunque appare chiaro nell’idea dello sceneggiatore, è  mettere in evidenza i limiti caratteriali del figlio di Mefisto, ma così facendo il giovane stregone, che aveva impressionato nella sua prima uscita nella serie (autentico capolavoro), diviene una macchietta incapace di mettere in difficoltà Tex e co. Anche gli amuleti in forma di anello forniti da Morisco (espediente narrativo ripetitivo), provano quanto il brujo egiziano sia all’altezza del famigerato antagonista, se non superiore. Tutto ciò descritto, influisce molto nella mia valutazione finale e nemmeno i disegni possenti di Galep, che se la cava abbastanza bene per la lunga distanza (tranne un fisiologico calo finale), contribuiscono a dare più della sufficienza piena a questa storia. In fin dei conti sembra un “greatest hits” di scene già viste in precedenti uscite, unite alla bene o meglio senza un convincente filo narrativo, che si perde poi in un finale sciatto e molto noioso. Il mio voto finale è 6

  22. Questioni di gusti @Letizia; la tavola da te postata è molto bella ed è pur vero che non tutte le colorazioni sono uguali, ma personalmente preferisco i chiaroscuri, i bilanciamenti tra bianco e nero sulle tavole, i puntinati, i retini manuali. Ovviamente vale  il discorso della qualità grafica: non tutti gli artisti rendono in monocromatico come Magnus su Lurid Scorpions (tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente).   

  23. Rivedere il paese natio dopo un lungo viaggio, è una carezza al cuore, in par modo, rileggere un'avventura classica del nostro amato ranger dopo varie (e non sempre riuscite) escursioni su sentieri atipici, appaga le papille dei lettori più legati alla tradizione. Sia ben chiaro, l'episodio in questione non è di certo un capolavoro, ma il soggetto, la sceneggiatura, i dialoghi tosti e la presenza della coppia di pards in perfetta forma e sintonia, donano all'appassionato la consapevolezza di "ritrovare un vecchio amico". Bonelli sciorina una trama funzionale, sebbene non originalissima, ricca di azione, intrighi e piombo rovente. E' palese che l'episodio del ring di Tucson sia di spessore diverso, ma in fondo gli intrallazzi dell'Overland e i vari antagonisti, rendono piuttosto avvincente la storia. Finalmente rivediamo accanto a Tex un Carson attivo e ironico;  i siparietti tra i due, deliziano il lettore tra le varie sequenze di azione. Molto "esplosivo" (nel pieno senso letterale del termine) l'epilogo, anche se la chiusura affrettata che ci nega di assistere alla doverosa lezione a Ned Turpin, non la comprendo affatto. Ennesimo frutto di quel campionario di errori e imprecisioni, che entrarono a far parte del bagaglio di Bonelli nel terzo centenario e che fanno rimpiangere i tempi d'oro del grande autore. La staffetta ai disegni tra Monti e Ticci caratterizza ulteriormente l'episodio. Su Ticci è superfluo aggiungere altro, rispetto alla montagna di aggettivi elogiativi già spesi in precedenti miei interventi, in quanto a Monti, le tavole che compongono la prima parte della storia, rappresentano il suo debutto ufficiale sulla saga. Un ghost designer già molto utile in redazione, che entrerà a pieno diritto nella squadra titolare della serie, grazie a un piacevole stile personale, molto adatto alle tematiche western. Il mio voto finale è 7

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