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Condor senza meta

Ranchero
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Messaggi pubblicato da Condor senza meta

  1. Con Nolitta l'atipicità è un marchio di fabbrica. La storia in questione non fa eccezione alla regola. L'autore si mise alla macchina da scrivere con l'intento di contribuire alla programmazione di alcuni albi e con mestiere portò a casa il compitino, ma l'episodio partorito, sebbene leggibile, come di consueto varcò abbondantemente i confini della texianità tracciati dal padre. La prima parte, con Tex che assume il compito di guidare una spedizione in terra Sioux per recuperare il corpo dell'ufficiale Larrimer perito nella battaglia delle Blue Hills, sfruttando il suo ascendente sui nativi, sembra la rielaborazione del soggetto zagoriano di "La sabbia è rossa". Tuttavia se sulle pagine dello Spirito con la scure, Nolitta riuscì a ottenere vette altissime, sulla saga del ranger non bissa il successo narrativo. Nota personale: assurda la gestione di Carson; farlo apparire nell'incipit senza farlo partecipare alla vicenda, è un autentico sacrilegio a mio avviso! :craniate:. Dopo una lenta sequenza con uno stucchevole duello indiano e un Tex molto "chiacchierone", la trama si ravviva con le due morti sospette dei soldati della spedizione, che fanno presagire che qualcosa puzzi di bruciato. Puntualmente giunti sul luogo, il sergente Rampling getta la maschera e si scopre che lo scopo reale della missione è recuperare una cassa di quattrini, seppellita sul campo di battaglia. Ahimè come di consueto, il Tex di Nolitta non prevede né intuisce niente e si becca una botta in testa come uno sprovveduto. Il colpo di scena della mascherata di Larrimer, aggiunge pepe alla pietanza, ma suona come stonatura assordante. Passi che si sia salvato dalla coltellata, ma attendere più di un anno il ritorno sulle colline del nemico, è dura da digerire. Il finale è una girandola di emozioni e passaggi forzati. Larrimer si mostra troppo grigio per essere vero, ma l'errore più grave dal mio punto di vista, è riabilitare la sua figura sostituendo di fatto Tex, relegato nuovamente a ruolo di spettatore non pagante. In fin dei conti l'eroe alla fine si mostra il vecchio ufficiale traditore, che da solo sbaraglia i Sioux di Mahonga, fra colpi d'ascia e giochi psicologici basati sulla superstizione. Ancor più da mal di testa le elucubrazioni mentali dei personaggi nelle pagine finali, col figlio di Larrimer che prende le distanze dal padre che si è sacrificato per la sua pelle, il fratello che pensa solo alla nomea della famiglia e Tex che avalla con troppa leggerezza la via della menzogna. Più che sciogliere la matassa della trama all'epilogo, Il buon Sergio fece un grosso nodo, ma tirando le somme, la sufficienza la raggiunse abbondantemente.

    Più indeciso e meno pulito, rispetto ai suoi canoni, il tratto di Nicolò, ma ancora accettabile. Il mio voto finale è 6 

  2. Il titolo "Fiesta di sangue", col quale viene introdotto l'episodio, è molto forte e già indirizza il lettore verso gli aspri sentieri su cui correrà la trama. Il vile eccidio ai danni degli Apaches, tra le mura di Santa Rita, rappresenta una delle scene più cruente e malvagie dell'intera serie e l'aspetto che fa più rabbrividire, la consapevolezza che l'autore si sia ispirato a fatti realmente accaduti. Purtroppo, nella vita reale nessun "Tex" si prodigò a punire i colpevoli di un simile atto infame e tali stragi dimostrano quanto il razzismo sia sempre stato una piaga vergognosa nell'umanità, in ogni epoca. Chiusa la triste considerazione, bisogna dire che G.L. Bonelli orchestrò una prima parte di sceneggiatura molto possente e valida, che via via sfocia però nel classico schema narrativo che accomuna simili storie, senza grandi sussulti o colpi di scena. Solo molta azione e i pards decisi a tutto (anche distruggere a suon di dinamite un intero villaggio) pur di ottenere la sacrosanta vendetta. Il finale risulta molto affrettato e il casuale incontro dei nostri con i beceri cacciatori di scalpi, delude un po'. L'incongruenza geografica che ci mostra Santa Rita in terra messicana in un'epoca in cui i confini degli Stati Uniti correvano ormai più a sud, o la strana scelta di inscenare un attacco Apache con tanto di urla e frecce incendiarie, dopo aver convinto Cochise a non far disseppellire l'ascia di guerra per evitare ripercussioni alla sua gente, rappresentano i primi segnali di un cedimento del grande Bonelli.

    Nei primi anni '80, sebbene il vecchio leone fosse ancora in grado di ruggire, divenne evidente che il suo fiato cominciò a diventar sempre più corto. L'età dell'oro della saga, nel terzo centinaio, fu solo un ricordo e la stella compositiva del patriarca del fumetto italiano cominciò lentamente (ma inesorabilmente!) a spegnersi. Discorso inverso per Ticci, in piena parabola ascendente, forte di uno stile grafico sempre più espressivo e raffinato, che diverrà il punto di riferimento per folte schiere di disegnatori attuali. Il mio voto finale è 7

  3. Capita spesso nelle competizioni calcistiche che una squadra, dopo aver disputato un'ottima prova nel primo tempo, cali notevolmente nella ripresa, compromettendo l'esito finale del match. L'episodio in questione, a mio avviso, è come quella tipologia di partite: dopo un buon spunto iniziale, che ci presenta un villain degno di nota, una discreta caratterizzazione della sua banda, nonché una movimentatissima scena fino alla caduta nel vuoto di Rocky Durbin, nella seconda parte perde decisamente mordente e finisce con l'annoiare un po'. Durbin, sebbene arso dall'odio faccia di tutto per assaporare il frutto della vendetta, sembra perdere quel carisma accennato nelle prime tavole e finisce ai margini della vicenda. L'incarcerazione di Kit suona come una palese forzatura, visto che il focoso rampollo, innocente, non muove un dito pur di discolparsi. Pure il piano escogitato per farlo finire fra le grinfie dell'apache Cuchillo Negro appare molto tendenzioso e in fondo Tex e co., con Tiger sugli scudi, sembrano non sudare le proverbiali sette camicie, per sventarlo. Interessante la caratterizzazione del capitano dei Rurales Ortega, e pure il perfido Carlos parrebbe ben delineato, mentre delude su tutta la linea Durbin, che viene liquidato in poche vignette. Un po' ingenua e incongruente, la carnevalata dei navajos in borghese, che in fin dei conti, visto le pieghe della sceneggiatura, poteva essere evitata. In netto calo la prova grafica di Nicolò; primo segnale di un logorio fisico che a breve spalancherà le porte delle "Celesti Praterie" all'indimenticato disegnatore fiorentino. Il mio voto finale è 6

  4. Quando il Napoli, nei primi anni 90 perse l'estro e il talento di Maradona, dopo aver conosciuto la gloria nazionale e non, precipitò rapidamente in uno stato d'involuzione e, nell'arco di pochi anni, gli si spalancarono le porte della serie B. A par modo, perdere Boselli su Tex adesso, dopo che la sua eccellente opera di sceneggiatore e curatore ha risollevato le sorti della saga dopo anni difficili, sarebbe un rischio enorme per la serie ammiraglia. Si sostiene che tutti son utili ma nessuno è indispensabile, tuttavia i "fuoriclasse" sono difficili da sostituire, in ogni settore. 

  5. “Nelle botti piccole ci sta il vino buono” così recita il noto detto, sebbene nell’universo delle nuvole parlanti non sempre sia così. Tuttavia “La pista nel cielo”, a prescindere della sua brevità, è una storia molto divertente e piacevole. G.L. Bonelli parte da un’idea poco originale, quale una rapina alla banca durante un giorno di ressa, ma riesce brillantemente a far fare il salto di qualità alla sua sceneggiatura, escogitando la fuga in mongolfiera dei banditi, con relativo inseguimento dei due pards ad alta quota, fra nuvole minacciose e saette. Presumibilmente l’autore colse ispirazione dal romanzo “Attraverso l’Atlantico in pallone” di Salgari, fatto sta che la trovata, inedita nella saga, si fa molto apprezzare e rende frizzante la breve, ma particolare, caccia all’uomo. Esilarante il giganteggio pestaggio iniziale, fatto scoppiare dai banditi per distogliere l’attenzione dalla banca da svaligiare, così come risultano molto spassosi i dialoghi fra i due pards, durante il pericoloso viaggio in mongolfiera, con un Carson che raggiunge quasi i livelli di ironia dell’episodio della folle corsa in canoa sulle ruggenti acque del Colorado River.

    Non mancano i punti deboli: il finale si presenta molto lento e meno coinvolgente rispetto le scene iniziali, come risulta un po’ una forzatura il pretesto con cui i nostri vengono chiamati a Durango. A mio avviso, i banditi appena prendono quota, avrebbero dovuto per sicurezza bucare il secondo pallone, ma si sta cercando il classico pelo nell’uovo che poco sposta l’ago della bilancia.

    Meritano una menzione, i bellissimi disegni di Letteri durante le scene dell’inseguimento in mongolfiera. Il prolifico disegnatore romano, a quei tempi, macinava tavole su tavole, svariando tra indiani, cinesi, conestoga, animali preistorici, treni in corsa, palloni aerostatici con una facilità invidiabile e esiti notevoli. Il mio voto finale è 7

  6. Classico esempio di come sciupare un discreto soggetto con una sceneggiatura non all’altezza. Nolitta dopo la precedente mezza ciofeca, imbecca un buon spunto, basato sullo sfruttamento minerario del borace e la concorrenza sleale di una compagnia di furfanti, che non esita a schiavizzare una tribù di Shoshones, pur di mandare sul lastrico la società rivale, gestita da Hewitt, un vecchio amico di Tex, che disperato tenta il suicidio. Purtroppo la trama non riesce minimamente ad avvalorare il soggetto, vuoi per una lentezza a tratti esasperante, vuoi per dialoghi molto verbosi e pesanti. Si procede nella lettura stentando, fra badilate di noia e pochi sussulti, fatta eccezione solo per i classici colpi di scena nolittiani, che sul finale ci svelano la vera anima nera del progetto criminale e il tradimento dello sceriffo Anderson, che al loro arrivo a Las Vegas aveva indossato la maschera dell’amicone affidabile. Poca roba. Ancor più increduli, si assiste a due leggerezze imperdonabili di Tex, che fanno dubitare se il personaggio, che agisce fra le pagine dell’albo, sia davvero l’eroe che conosciamo o un clone rincitrullito dell’originale :D. E’ duro accettare che un acuto ranger che all’inizio della storia intuisce le intenzioni dell’amico, salvandolo dal suicidio, col proseguo della trama riesca a farsi cogliere impreparato nella sede dell’agenzia indiana, nonostante sappia già che Glen Spark sia un furfante matricolato. Ancor più assurda la scelta di dividersi da Kit e lasciarlo nelle mani di Tanner e Dennison, quando ormai anche un neonato avrebbe capito il loro ruolo marcio nella faccenda. Due passaggi narrativi incomprensibili e gravi, che a mio modo di vedere compromettono irrimediabilmente la prova dell’autore. Bisogna riconoscere che il Tex nolittiano non manca di coraggio e abilità da pistolero per rimediare ai suoi errori, ma alcune valutazioni rimangono inaccettabili visto la caratterizzazione ben delineata fatta dal creatore. Per mettere in difficoltà il protagonista, Nolitta lo fa spesso e volentieri cadere in trappole troppo forzate (e scontate!), tanto che ci si chiede, se il suo eroe abbia preso qualche colpo nella zucca, perdendo parte del suo innato quoziente intellettivo. :D

    Per un fan di Carson come il sottoscritto, pesa inoltre la sua reiterata assenza tra le pagine della saga in quei mesi; con “La valle infuocata” terza storia consecutiva marcata Nolitta, il vecchio cammello colleziona la terza assenza (seconda e tre quarti se si considera la minima parte avuta in “Il solitario del west”). Troppo poco, ai limiti del mobbing fumettistico. :P

    Nella media i disegni di Fusco, che ho comunque maggiormente apprezzato in altre prove. Il mio voto finale è 5

  7. Verrebbe da dire: “dalle stelle alle stalle!” Nolitta dopo aver sfornato un’eccellente storia, scivola sulla proverbiale buccia di banana e manda in stampa un episodio alquanto modesto e arruffato.

    Viene rispolverata per l’occasione la continuity di episodi già vista durante la trasferta sul Pacifico, ma a differenza del padre, il buon Sergio cicca clamorosamente il secondo atto. Il breve riempitivo che prende forma, non brilla per soggetto e anche il ritmo narrativo non è eccelso.

    La storia fa acqua da tutte le parti: già il villain principale risulta poco credibile. A mio avviso è dura accettare la presenza nel mare delle Antille, di niente popò di meno che il nipote di Brooke, il Rajah Bianco le cui gesta la storia ci tramanda e che ispirarono il grande Salgari, che lo inserì in uno dei suoi romanzi del Ciclo della Malesia. Assurdo per assurdo, è più plausibile avvistare un dinosauro in… ehm… temo che l’esempio non sia adatto per l’occasione :D. Ironia a parte, il piano bislacco del giovane Brooke, di conquistare una piccola isola messicana con l’ausilio di pochi ragazzotti inesperti e con le pigne nel cervello è uno spunto di soggetto al limite della demenzialità. Anche ammettendo la mancanza di rotelle del leader “basettone”, ma gli altri complici per assecondarlo come minimo si erano fumati il cervello. Stonano ancor più le varie figure di piccione che fa Tex, che prima non riesce a impedire che quatto mezze calzette dirottino il veliero su cui viaggia, ma ancor peggio, quando si fa ricattare da Brooke in una circostanza in cui per liberare Kit dal suo aguzzino sbarbatello, sarebbe bastato un bambino. Il buon Sergio mi perdoni, ma se un autore qualsiasi proponesse oggi un soggetto simile al curatore della serie, credo che come minimo il foglio finirebbe fuori dalla finestra. La trovata dei tarbosauri ibernati nella stiva, che riprendono vita al contatto dell’acqua salmastra durante il naufragio, fa virare la trama verso inattesi sviluppi fantascientifici che poco si sposano con il contesto e non ravvivano più di tanto la zoppicante sceneggiatura. Per completare il quadro, si aggiunge un epilogo da sbadigli e incongruente, con Zagor ehm pardon… volevo dire Tex :P, che tace al governatore il piano di Brooke pur di imbarcarsi in fretta e furia su una goletta e se lo fa sfuggire dalle grinfie in vista delle coste del Texas. E’ vero che il capitano di nave assicura il lettore che il giovane antagonista non potrà mai farcela a nuoto, ma la figuraccia di un irriconoscibile Tex, rimane.

    Ricapitolando: un palese passo falso di Nolitta che propone ai fans un Non-Tex d’annata, che spreca abbondantemente il lavoro di un Letteri, in pieno apice artistico. Il mio voto finale è 4

    • +1 1
  8. <span style="color:red;">21 minuti fa</span>, Letizia dice:

    Il figlio di Carson, cresciuto senza la guida del padre che ignora la sua esistenza, sarà un fuorilegge o un bravo ragazzo?

    Difficile dirlo.

    Gli scenari che si aprono sono infiniti e tutti allettanti, non trovate?

     

     

    Sperando però che non si innamori di Donna Parker; un rapporto incestuoso scatenerebbe una sorta di guerra civile fra i fans! :P:D

    • Haha (0) 1
  9. Non è un mistero il fatto che digerisco poco Nolitta su Tex, ma con questo episodio il compianto Sergio mi ha fornito un “potente digestivo” :). Giungla Crudele è davvero una gran bella storia e la rileggo sempre volentieri. Forse la prova che preferisco di Bonelli jr. sulla saga.

    Molto originale la trama e soprattutto affascinante l’ambientazione tropicale che porterà i nostri ad agire nel lontano Istmo di Panama, di supporto a una spedizione tecnico-scientifica che ha il compito di fare i dovuti sopralluoghi per la realizzazione di un canale di navigazione che metta in collegamento (come oggi avviene) i due oceani. Il tutto nasce dalla proposta del bizzarro fotografo Timothy O'Sullivan (personaggio realmente esistito) al giovane Kit, caduto in una sorta di depressione dopo la perdita di un caro amico, ucciso da predoni Apache durante l’azione di aiuto prestata dalla coppia di giovani guerrieri Navajos allo stravagante artista della camera oscura.

    Inizia così un’avventura costellata da scazzottate, ironia e tanta azione, resa molto interessante anche dalle grandi difficoltà che la natura selvaggia dei luoghi pone dinanzi ai componenti della spedizione. Nolitta intreccia le sue trame alternando gli stilemi del tipico romanzo tropicale salgariano e un giallo degno di Doyle, infatti i numerosi sabotaggi opera di un misterioso nemico celato nell’ombra, decimano i marines di scorta e portano lo sconforto fra i partecipanti.

    Un Tex molto duro e deciso (come non sempre capita nelle architetture narrative di Nolitta), prenderà presto le redini della situazione e con coraggio e sagacia porterà in salvo la spedizione, difendendola anche dall’assalto dei selvaggi Indios Bravos, scoprendo alla fine l’insospettabile traditore, ovvero Phil Thunder, uno dei promotori dell’iniziativa, nonché vecchio amico del ranger, che avvinghiato da complotti politici, decide di intascare i proverbiali “trenta denari” pur di impedire il buon esito dell’operazione.

    Accettabile il ritmo narrativo, tolta qualche caduta di tono nel secondo albo e memorabili alcune scene, quale la colossale rissa di Cartagena. Tipico il colpo di scena finale nolittiano, con il villain che non ti aspetti (forse!) ma tutto sommato caratterialmente più plausibile rispetto ad altre precedenti uscite narrative.

    Dulcis in fundo, la straordinaria prova grafica di Ticci, davvero titanico nella rappresentazione dei paesaggi tropicali che fanno da sfondo alla storia. Son certo che finirò presto gli aggettivi per etichettare il grande maestro senese, che rappresenta per il sottoscritto un autentico mito vivente. Il mio voto finale è 9

  10. Ci troviamo al cospetto di una storia più unica che rara.

    G.L. Bonelli, nei panni di un estroso stregone, riversa nel calderone un pizzico di western, horror, noir e dopo aver mescolato con maestria, tira fuori una pozione esplosiva, che lascia al palato quell’essenza tipica dei romanzi gotici.

    L’atmosfera che aleggia tra le pagine è cupa, asfittica; lo sviluppo narrativo incute ansia al lettore che, man mano che procede nella trama, sente un forte senso di repulsione verso le atrocità commesse dai fanatici. Non è certo la prima volta che l’autore inserisce nelle sue opere ombre demoniache, basti pensare le formule magiche e i riferimenti ai cieli neri di Mefisto, ma mai come in questo episodio il male radicato nella mente degli abitanti di Quemado fa rabbrividire.

    Si capisce fin dall’incipit che la faccenda delle squaw Zuni rapite, nasconde un macabro mistero, reso ancor più acceso dal rinvenimento dell’atipico casolare sull’altura, pieno di simboli esoterici e ceppo sacrificale.

    I due pards giunti a Quemado, hanno la perfetta percezione di aver messo piede in un’autentica anticamera dell’inferno e i sinistri personaggi come Crandall, Prescott e Turok non fanno che confermare che la puzza di marcio si sprigiona proprio dalle costruzioni di quel tetro villaggio.

    L’atroce ritrovamento dei resti delle povere donne (scena molto forte e dalle marcate venature splatter), indirizzerà i due rangers sulla giusta pista e decisi come non mai, intraprenderanno l’opera di distruzione della sanguinosa setta.

    Le scene finali tra la cripta e il tempio del male (con tanto di vetrate sataniche e statue demoniache) sono molto adrenaliniche e spettacolari, con il fuoco purificatore che metterà fine a questo piccolo regno del male.

    Storia davvero notevole, che tiene inchiodati alle pagine in apnea e suscita forte emozioni; alla fine anche il lettore sembra tirare il fiato appena Tex e Carson sfuggono dall’inferno di fiamme volando dal rosone.

    Non mancano alcune piccole imperfezioni ma che tirando le somme non influiscono troppo nel buon esito nella prova. Certamente non brilla di ingegno la trovata di Crandall di far dar fuoco al casolare, dopo averne parlato con i nemici, mossa che non ottiene altro esito che attirare sul suo villaggio le mire dei due rangers. Anche Tex stranamente perde qualche colpo, non fiutando subito il marcio dal presunto prete e da Prescott, e dire che la croce di fuoco che gli fanno trovare davanti la porta della sua stanza in segno intimidatorio, sia identica a quella cucita sul petto del “testa pelata” in saio nero. Anche lasciare il povero Grady ferito nelle mani di Prescott, sembra proprio una stonatura, per non parlare dell’inaudita ferocia con cui spara quasi alle spalle del fratello di Lennox, ma alla fine lo sfolgorante epilogo cancella tutto, pure le eventuali imperfezioni. La totale assenza di donne e bambini nel villaggio è una licenza narrativa che si prende Bonelli; ovviamente la circostanza è assurda, ma se notate anche nell’episodio “Il linciaggio” in cui i beceri sentimenti di razzismo serpeggiano fra gli abitanti della cittadina, del gentil sesso non c’è nemmeno l’ombra: l’autore cavallerescamente sembra voler preservare di coinvolgere il genere femminile in simili brutture collettive.

    Davvero efficienti i disegni di Fusco; le sue vignette inquietanti arricchiscono all’ennesima potenza, una sceneggiatura già travolgente di suo, rendendo la storia una delle chicche della saga.

    Il mio voto finale è 8

  11. È proprio vero che non si finisce mai d’imparare nella vita: solo dopo più di vent’anni dalla prima lettura dell’episodio, scopro che il soggetto in questione fu suggerito a G.L. Bonelli dal figlio minore. Fermo restando questa curiosità, che funge da conferma di quanto sia interessante e costruttivo frequentare forum tematici come questo, mi appresto a esprimere i miei giudizi su questa storia breve, ma intensa.

    L’ambientazione in Tennessee è abbastanza inusuale per il nostro ranger e la dose viene rincarata da un soggetto particolare e alquanto inedito per la saga ai tempi della pubblicazione, ma purtroppo sempre troppo attuale: il becero razzismo rivolto contro gli uomini di colore. La trama si dipana fra cacce all’uomo, inseguimenti e sparatorie, ma conserva come unico filo conduttore, l’odio razziale di un’intera cittadina verso un povero ragazzo afroamericano, che all’apparenza ha il solo torto di aver sfidato l’assurdo divieto di farsi un cicchetto in un saloon, dove la gente della sua razza non è gradita. Realmente oltre alle deplorevoli vessazioni dovute al colore della pelle, il malcapitato personaggio (di cui Bonelli non specifica il nome) si ritrova nell’occhio del ciclone per aver casualmente scoperto che Eric Warren, non è il notabile commerciante che intende apparire, bensì un bandito accusato di aver fatto parte a una sanguinosa rapina anni prima. Proprio Warren ha interesse a infiammare gli animi intolleranti dei compaesani per far linciare il testimone, ma l’arrivo di Tex complica tutto. Sarà proprio il nostro ranger ad acciuffare il fuggitivo, per poi difenderlo dall’assurdo linciaggio, una volta intuita la verità, anche a costo di dover mettersi contro il suo vecchio amico Boone, esasperato dalla morte del fratello. Episodio dall’atmosfera molto tesa e crepuscolare, che alla fine lascia un po’ di amarezza; la presenza di alcune incongruenze, però, lima a tratti lo spessore della prova. Suona alquanto forzata la coincidenza che Tex incontri casualmente il suo vecchio amico così distante dalla riserva, ma oltre questo, alcuni aspetti di Boone, che si mostra incline ad accettare il razzismo della sua cittadina, fa sorgere dubbi sulla possibilità che i due possano essere andati d’accordo in passato. Anche la scena dentro in saloon, dove gli aguzzini si distraggono al banco, permettendo alla loro vittima di recuperare i sensi e armarsi di pistola senza essere visto, appare una leggerezza troppo grande. La figura del gambler è positiva, ma a mio avviso troppo eroica nel contesto. Un uomo che si sacrifica per uno sconosciuto, in una faccenda che in fondo non gli riguarda, mi convince poco. Anche poco plausibile, a esser pignoli, il piano della rapina in cui Warren fa da basista: è assurdo che i suoi complici accettassero che il bottino rimanesse nelle sue mani; anche senza l’intervento dell’esercito, chi gli garantiva che non si dileguasse (come puntualmente avviene) con la grana? Molto aulico il finale, con il villain della storia che muore annegato in un fiume in piena, dove gli viene (verrebbe da dire giustamente) negato l’aiuto da uno degli uomini di colore che ha dovuto subire in passato le sue angherie. Discreti i disegni di Nicolò, sebbene appaiano lievemente in calo rispetto al suo standard qualitativo. Curioso l’utilizzo dei retini in alcune pagine della storia, a memoria mi vien di affermare che forse fu proprio il primo caso nella saga in cui apparve questa tecnica, ma potrei sbagliarmi.

    Il mio voto finale è 6

  12. Come direbbe il vecchio Carson: Se questa non è una storia con i fiocchi, mi mangio il cappello! :D Citazione a parte, la saga settantennale del ranger poggia il suo longevo successo su solide fondamenta, quali episodi epici e grandi autori, ma anche simili storie "minori" contribuiscono a rendere celebre la collana.

    G.L. Bonelli tornato saldamente in sella dopo alcuni tentennamenti, riprende seriamente le redini dell'ispirazione e sforna un episodio degno di nota. Partendo da un classico, ma sempre funzionale soggetto, l'autore cesella una sceneggiatura dinamica e divertente, che corre via spedita come un treno sopra i binari della fantasia. Merito anche di dialoghi superbi, azzeccati, divertentissimi e mai troppo verbosi, d'altronde la maestria del Bonelli nel riempire i baloons con testi esplosivi, è il suo marchio di fabbrica. Il villain di turno è l'avido banchiere Brady, un affarista senza scrupoli che pur di far soldi, ingannerebbe pure il diavolo; un autentico vampiro al cui confronto il famigerato Conte Dracula è un povero vegetariano. Il piano di impossessarsi della miniera di Walcott, destabilizzandola con numerosi furti e sfruttando il fratello del proprietario minerario, strozzato dai debiti di gioco, è degno di un infido verme della sua risma. Solo la brillante azione dei quattro pards, in forma smagliante, farà in modo che torni a trionfare la giustizia. L'episodio è zeppo di scene memorabili come la scoppiettante e divertente scazzottata nel saloon contro Bill "manico di scopa" Reno, o la brillante idea di far assoldare Kit e Tiger dalla banda per eliminare i due presunti "esperti di esplosivi" Tex e Carson. Molto ben caratterizzata è la personalità dello stalliere Pop, un furbastro di quattro cotte che si rivela un valido alleato nella indagine, così come si rendono preziose le informazioni del vecchio pescatore, che plausibilmente con i suoi sensi di risentimento, mette i due pards sulla giusta strada, dipingendo il quadro chiaro su Brady. Uniche due note stonate a mio avviso, in primis la leggerezza di Horan che indossa il sigillo sottratto alla sua vittima, azione degna da essere premiata con la targa "L'imbecille dell'anno" e la sequenza finale sulla casa del fiume, molto avvincente, ma non del tutto originale e troppo simile ad altre situazioni già viste sulla saga. Pure il duello finale fra le due anime nere che si uccideranno a vicenda, suona come un epilogo troppo scontato e già visto. Ottima la gestione dei quattro pards, soprattutto i due Kit, con un Carson molto propositivo e acuto e il piccolo Willer molto deciso e intraprendente. Buoni i disegni di Galep, tranne qualche sbavatura nel finale. A tal proposito, come non menzionare la splendida inquadratura della copertina dell'albo "L'aquila e la folgore" a cui fa da contrappasso la bruttissima ultima vignetta dell'episodio, che sembra essere stata disegnata da un'altra mano o da un Galep dopo una bottiglia di Chianti. :P Il mio voto finale è 8

  13. <span style="color:red;">5 ore fa</span>, Mister P dice:

    Purtroppo Nizzi deve aver usato il Carson di questa storia come modello per il suo Vecchio Cammello. Però, mentre quello di GLB è comunque simpatico anche quando brontola, quello di Nizzi, principalmente dalla metà del quinto centinaio in poi, risulta particolarmente fastidioso

    Il Carson di Nizzi agli inizi era una "spalla" brillante e molto ironica. Di certo non paragonabile alla caratterizzazione originale di G.L. Bonelli, ma decisamente più valida e centrale rispetto all'opaca rappresentazione data da Nolitta, che spesso e volentieri lo lasciava fuori dalle sue storie (sacrilegio a mio avviso!). Purtroppo col calo creativo di Nizzi nei tardi anni '90, anche il suo Carson ha perso spessore e mordente. Però non mancano episodi in cui il valore e la lealtà del Carson nizziano raggiunge cime altissime, come in "Appuntamento con la morte" per farne un esempio. Come non essere d'accordo con Barbanera in merito agli splendidi dialoghi con spassosi battibecchi tra i due pards: una solida amicizia fraterna, che trasuda pagina dopo pagina, rendendoli una coppia affiatatissima e amata agli occhi di molti lettori della mia generazione, che si sono affacciati nell'universo texiano nei lontani anni '80. 

  14. <span style="color:red;">38 minuti fa</span>, Leo dice:

    Io Nolitta su Tex o lo amo o lo odio, non conosco mezze misure: in questo caso l'ho proprio odiato... 

    Il Tex di Nolitta non mi ha mai tanto entusiasmato a essere sinceri. Alcune storie sono piacevoli e ben strutturate, ma a mio avviso hanno il "piccolo" (per usare un eufemismo) difetto, di essere ciò di più distante possa esistere dalla caratterizzazione del personaggio creata dall'illustre padre. 

    • +1 1
  15. Su questo episodio si è già detto quasi tutto, tuttavia proverò anch'io a dire la mia, basandomi sui disordinati ricordi delle mie passate letture.

    Le storie ambientate nel grande nord hanno sempre il loro fascino, poi se illustrate da Fusco (vero maestro in simili ambientazioni) assumono ancora più valore. Nolitta per l'occasione, opta per un soggetto davvero notevole e fin dall'incipit si riscontrano tutte le premesse per un possibile capolavoro. La rivolta indiana, la figura del "profeta" Roger Goudret, lo scontro contro le giubbe rosse, canaglie ben caratterizzate come "Big Bear", in pratica lo sceneggiatore sfoggia sulla scacchiera pedine importanti per dare lo scacco matto al lettore esigente, purtroppo sul più bello, dopo aver messo molta carne sanguinolenta sul fuoco, l'ingranaggio s'inceppa e il presunto capolavoro nolittiano si tramuta in una lunga storia piacevole ma a tratti "tirata per i capelli" e contraddittoria. Piccola parentesi fuori contesto: anche il sottoscritto ha notato delle somiglianze del "Profeta" con John Lennon, ma da appassionato di rock progressive, mi piace credere che Sergio abbia voluto omaggiare David Jackson dei Van Der Graaf Generator! :D Scusandomi per la breve divagazione, torno alla storia. A mio avviso l'epicità non manca, però la lentezza della sceneggiatura influisce parecchio nell'esito finale. Altro nodo dolente (peculiarità narrativa di Nolitta), l'assenza dei pards, sostituiti da Brandon per l'occasione , è vero, ma in una storia fiume di questo spessore, la loro mancata presenza si sente eccome. Pure la caratterizzazione di Tex convince poco: un'eroe troppo crepuscolare e verboso per non disorientare il lettore, abituato alla vulcanica verve narrativa di Bonelli padre. Poi nell'episodio, la presenza del nostro ranger è troppo ai margini e poco incisiva per i miei gusti; tolta la cattura di Big Bear sul finale (nata da una forzatura che descriverò in seguito) la sua azione risolutiva è quasi impalpabile. Suona come una palese incongruenza l'abbandono della rivolta degli indiani dopo la morte del profeta, più che una rivolta sembra un castello di carte che viene giù facilmente sotto un soffio e poi reputo illogica la caratterizzazione di Donovan. Dovrebbe essere un patriota ribelle, ma non si indigna dinanzi agli eccidi e le imboscate ai danni dei suoi ex commilitoni, opera di volgari assassini suoi complici. Sembrerebbe una canaglia, ma di colpo (ecco la forzatura sopra citata) libera Tex e Jim dal palo della tortura in nome di chissà quale conversione interiore, che puzza tanto di stratagemma dello sceneggiatore per mettere una pezza dopo aver troppo a lungo tenuto fuori dai giochi i protagonisti. Tirando le somme per non tediare oltre: l'episodio presenta molte luci e ombre (oltre alcuni passaggi a vuoto), ma si riscatta con scene degne di nota e personaggi ben riusciti come il simpaticissimo scout Soubrette. Pazienza se Tex nelle mani di Nolitta "indossa la casacca rossa e afferra la scure", storie come i "Ribelli del Canada", con tutte le loro controindicazioni, rimangono comunque delle piacevoli letture. Concludo, con il mio apprezzamento ai disegni di Fusco, che tra le numerose tavole realizzate nell'episodio, mostra grandi progressi grafici e comincia ad affinare il suo inconfondibile stile personale. Il mio voto finale è 7

  16. "Il buon giorno si vede dal mattino" avranno pensato i lettori all'uscita di questo memorabile episodio, che lasciava presagire un ulteriore centinaio ricco di perle compositive e all'altezza del glorioso che lo aveva preceduto. Purtroppo, col senno di poi, possiamo sostenere che non fu esattamente così e il fisiologico calo d'ispirazione di Bonelli padre, non sempre sostituito degnamente dal figlio alla stesura dei testi, contribuirà a rendere altalenante la sequenza di albi del terzo centinaio. Sorvolando su simile premessa, torniamo all'albo in questione e di certo non posso esimermi di unirmi al coro unanime di coloro che definiscono "L'Oro del Colorado" un piccolo gioiello della saga. Le mire, di loschi individui senza scrupoli, all'oro dei Navajos, non rappresentano di certo una novità nella serie, ma l'estrema perfidia della banda di Benson, che senza minima remora stermina la popolazione di un pueblo a suon di dinamite, solo per rapire Moqui e farsi condurre al giacimento aurifero, scuote il petto come un pugno. Ancor più sdegno provoca il ricatto che deve subire il povero indiano, costretto a filare dritto per non assistere alla violenza carnale (e peggio!) della giovane moglie, rapita insieme a lui dal luogo dell'ignobile sterminio. Convinto di aver il coltello dalla parte del manico, il perfido Benson ignora che presto il castigo di "Aquila della Notte" ricadrà sulle sue infide malefatte. Avvisato da un sopravvissuto all'eccidio, Tex si mobiliterà con estrema celerità per mettersi sulla pista della vendetta. Mentre i suoi Navajos, condotti da un brillante Tiger, talloneranno la banda di assassini, il ranger in compagnia di Carson e il figlio, navigheranno le tumultuose correnti del Colorado per anticipare il nemico e chiuderlo in una attanagliante morsa senza scampo. Proprio le scene sul Colorado rappresentano il punto forte dell'episodio: tanta adrenalina, azione e un Carson spassoso e ironico all'ennesima potenza. Anche l'epilogo lascia il segno; la scelta di Tex di affidare i restanti componenti della banda al loro destino, su una canoa senza pagaie lungo le infernali rapide, è di una classe narrativa sopraffina. Superfluo aggiungere che i disegni splendidi di Ticci sono un valore aggiunto alla storia: la sequenza fluviale è da apoteosi visiva! Il mio voto finale è 9

  17. Ricordo che da ragazzino, l'uscita dell'albo celebrativo del centenario a colori era per me un evento tanto atteso, che mi induceva a calcolare sui calendari quanto tempo occorreva aspettare per l'uscita in edicola. Per ragioni anagrafiche, il primo inedito "multicolor" che acquistai fu il 400, ma i tre albi celebrativi precedenti, li recuperai prontamente con le varie ristampe. Oggi con le numerose proposte cromatiche del nostro ranger che affiancano periodicamente la serie regolare, quei tempi in cui ci si emozionava dinanzi le vignette colorate sembrano un lontano ricordo e sebbene la colorazione odierna sia di gran lunga migliorata rispetto ad allora, secondo me si è persa quella specie di "magia". Oltretutto capita spesso che il dover condensare un intero episodio in un solo albo, non permetta allo sceneggiatore di ricavare una prova degna della ricorrenza e la delusione in questi casi è sempre dietro l'angolo. L'Idolo di cristallo, a mio avviso, rappresenta uno dei migliori albi centenari pubblicati, anche se di certo faticherei a definirlo un capolavoro. G.L. Bonelli per l'occasione rispolverò gli odiati Hualpai (popolo che allo sceneggiatore doveva proprio stare sulla pancia, visto che nelle sue storie non fanno altro che rapire squaw, rubare idoli e subire batoste da Tex!) per imbastire un albo dal ritmo serrato e caratterizzato da molta azione e miriadi di "BANG BANG". Inutile ammettere che risulta alquanto ripetitivo lo schema di narrazione, che porta Tex e i suoi pard a mettersi sulle tracce dei predoni rossi, recuperare il maltolto e punirli severamente. A differenza della storia precedente con gli Hualpai antagonisti, stavolta i pards agiscono da soli senza i Navajos di supporto e ciò li costringe a una fuga finale molto avventurosa lunga il ponte fatiscente sospeso sulla profonda gola. Soggetto come già detto molto povero e ripetitivo, ma riabilitato da una sceneggiatura piacevole e discreti dialoghi. Molto espressivi i disegni di Galleppini, ancor più esaltati da un'intensa colorazione che, oggi risulta datata, ma conserva un arcano fascino ai miei occhi nostalgici. Il mio voto finale è 7  

  18. Con l'approssimarsi del numero celebrativo del centinaio, Bonelli, armandosi di "forbici e filo", confezionò un episodio dalla giusta taglia per entrare nel ridotto numero di pagine a disposizione. L'esito finale fu alquanto apprezzabile, sebbene risenta, come ovvio, del poco spazio. Il soggetto molto scarno, viene comunque valorizzato da una discreta sceneggiatura e molta azione, nella migliore tradizione western e texiana. Brillanti i dialoghi e la gestione dei quattro pards, che riescono a ritagliarsi una buona parte nelle poche pagine della storia. Pure ben congegnato appare il piano di Slade, con la trovata di ingannare gli inseguitori e far perdere le tracce del settimo bandito nel fiume, per mandarlo a Douglas in cerca di rinforzi per l'agguato alla vecchia miniera di Sulphur Springs. Tuttavia, a parte questa idea, gli antagonisti non danno mai l'impressione di grande consistenza e anche quando sembrano riuscire nell'intento di mettere in difficoltà i nostri, arriva con tempismo la cavalleria a togliere le castagne dal fuoco. Proprio l'epilogo, a mio avviso, molte volte visto in altre avventure,  delude un po' le aspettative e lascia quella convinzione che si potesse escogitare qualcosa di diverso per chiudere la prova. Sempre più eleganti ed espressivi i disegni del maestro Ticci; esemplari per chiarezza e pulizia di stile, contraddistinti da magistrali contrasti fra bianco e nero e alcune inquadrature spettacolari. Il mio voto finale è 7

  19. In un altro post, avevo auspicato il ritorno di due personaggi a me cari. Di conseguenza, perchè non proporli in questo simpatico gioco? :)

     

    Laredo ha lasciato l’esercito e, dopo aver acquistato un ranch nella vallata del Pecos, si è trasferito in New Messico in compagnia della moglie Liz. Dopo anni di silenzio, giunge alla riserva un telegramma di Quincannon che esorta Tex ad aiutare il comune amico, detenuto in prigione con l’accusa di duplice omicidio. I quattro pards, raggiunto il villaggio di Roswell, apprendono pure della scomparsa di Liz e del figlioletto e intraprendono le indagini. Sicuri dell’innocenza dell’ex-scout, ma consapevoli di non poter fare affidamento sulle autorità locali (presumibilmente corrotte), decidono di farlo evadere, con l’intenzione di ritrovare insieme la moglie e dimostrarne in seguito l’innocenza. Quello che all’apparenza sembra il classico piano di un ricco e prepotente ranchero confinante, per impossessarsi delle terre del nuovo arrivato, si rivela in realtà un intrigo molto più complesso. I pards scopriranno che dietro la trappola ordita, si cela l’azione del Governatore, un potente pezzo grosso che aspira alla carica di senatore, che, venuto a conoscenza di alcuni documenti per lui compromettenti appartenuti al generale Starrett, cerca con l’ausilio del bieco Thomas Halmer (il ranchero suo complice) di impossessarsene a tutti i costi.  Liz, sebbene all’oscuro della presenza di simili carte, mai rese pubbliche dal padre a causa della sua avvenuta morte durante l’indagine, viene segregata e sottoposta a ricatto e solo il tempestivo intervento di Tex e i suoi pards, riesce a salvarla insieme al piccoletto, dopo una lunga battaglia con Halmer e i suoi sgherri. Il successivo rinvenimento del segreto carteggio tra i volumi della vecchia biblioteca di famiglia, permetterà ai nostri di mandare di fronte a un giudice il potente villain e scagionare Laredo.

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  20. Bonelli decise di riproporre Proteus per la serie regolare dopo quasi un decennio dalla sua prima apparizione. Il bandito trasformista (che a tratti sembra la riproposizione di un Diabolik nel Far West), diviene il fulco di un episodio piacevole ma non del tutto esaltante. Confesso che "Mister P greco" mi appassionava più nelle letture da ragazzo rispetto ad adesso, vuoi forse la parziale assonanza con la creatura nera delle sorelle Giussani che all'epoca leggevo assiduamente, vuoi perchè alcune forzature narrative allora non venivano colte appieno. E' vero che il fumetto è un'opera di fantasia e ci stanno le "licenze narrative" , ma alcuni passaggi sono duri da digerire oggi. Passi che un'abile trasformista si travesta in un perfetto carneade per non essere riconosciuto, ma che riesca a prendere le sembianze del celebre nemico e gabbare tutti i suoi conoscenti, rappresenta a mio avviso una forzatura notevole. Perry Drayton con le doti da imitatore di voci e cadenze che evidentemente si ritrovava, avrebbe fatto impallidire il povero Gigi Sabani. La storia tuttavia parte bene ma perde di mordente cammin facendo. Troppo presto Tex riesce a provare la sua innocenza, di conseguenza l'episodio si incanala rapidamente sulla falsa riga dell'avventura narrata dieci anni prima. L'incipiente crisi di Bonelli nei tardi anni settanta, forse si palesa proprio in questo calo di sceneggiature, che gli impedì di avvalorare anche buoni soggetti, al contrario del periodo di suo maggior splendore, quando anche se gli avessero proposto un libretto d'istruzioni di un frullatore per spunto, riusciva a tirar fuori una storia avvincente. Interessante, ma non originalissima, la lotta finale sul soffitto del treno in corsa e prevedibile l'espediente di far sparire nelle acque del fiume Proteus, tenendolo buono per una futura storia che paradossalmente Bonelli non scriverà mai. Molto efficaci i disegni di Letteri, troppo chiari per i miei gusti, ma pur sempre di spessore in quegli anni. Il mio voto finale è 7

  21. <span style="color:red;">1 ora fa</span>, francob dice:

    Ma da?.......Su,apriti, sono curioso!

     

    Che io sappia, in una dimensione parallela, il nostro ranger si ritrova con tre figli concepiti con tre donne diverse. :) Non faccio nomi per evitare spoiler alle fanfiction (se no la poliedrica Letizia potrebbe linciarmi! :D), tuttavia la sua inusuale rivisitazione dell'universo texiano, è alquanto piacevole e originale :) 

  22.  

    <span style="color:red;">12 minuti fa</span>, Leo dice:

    Le ingenuità di Tex sono presenti anche ne Il Colonnello Watson (anch'essa firmata da Fusco), che nonostante ciò io reputo la storia più "da Tex" che Nolitta abbia mai scritto. Anche per me "Caccia all'uomo" non è da Tex, però è una grande storia; storco un po' il naso, ok, ma che piacere leggerla!

    Il mio voto finale alto, prova quanto anch'io sia legato a questa grande storia. Tuttavia mi sembrava doveroso, esprimere onestamente alcune mie perplessità sulla caratterizzazione "insolita" di Tex nella produzione nolittiana. 

  23. Venne il giorno in cui Guido Nolitta affiancò il celebre padre nella stesura degli albi di Tex. Premetto che ho stimato molto Sergio Bonelli, sia come editore che sceneggiatore (con Zagor e Mister No si è ritagliato un'importante fetta di gloria nel pianeta fumetto), tuttavia il suo apporto nella saga del ranger, a mio avviso, ha più ombre che luci. 

    "Caccia all'uomo" segna il suo debutto e bisogna ammettere che è davvero una grande storia, ben architettata, con risvolti psicologici notevoli e un finale intenso e coinvolgente. Peccato però che il suo Tex, non è Tex: inutile girarci intorno! Più che il classico eroe tutto d'un pezzo, pensato e caratterizzato negli anni dal padre, mostra certe sfaccettature che lo riconducono maggiormente verso la figura di un abile antieroe, pieno di dubbi e molto impulsivo. Non esistono controprove, ma dubito che, se simili sceneggiature fossero state allora proposte da un autore esterno, avrebbero ricevuto approvazione in Casa Editrice. Chiusa questa breve parentesi, che riassume il mio pensiero sull'opera nolittiana su Tex, torno alla storia in questione e ripeto che il livello complessivo è eccellente. Le peripezie lungo il viaggio che fanno ricredere Tex sulla colpevolezza di Andy "Faccia d'angelo" Wilson, rendono interessante l'episodio però al contempo storcere il naso, visto che di solito il ranger è un ottimo giudice di uomini, mentre qui prende un granchio dietro l'altro. Molto diverso pure lo stile compositivo che induce ad avere sempre il protagonista presente nel vivo della scena, con tempi di sceneggiatura decisamente dilatati, se paragonati ai ritmi tradizionali di Gian Luigi. Il colpo di scena finale con la brutale impiccagione di Andy, con la successiva vendetta contro "Hungman" Maddox e lo sceriffo tirapiedi, è d'alta classe, ma nasce su un'ulteriore leggerezza di Tex che si fa sorprendere banalmente nella stalla (snodo narrativo fondamentale per introdurre l'epilogo). Riassumendo: ottima storia se il protagonista si chiamasse "Tizio Bill" o "Zagor", ma trattandosi di Tex, non ci si può esimere di notare i molteplici paradossi e le incongruenze caratteriali, che marchieranno, fra alti e bassi, l'intera produzione nolittiana sulla collana. In crescendo i disegni di Fusco, alla sua seconda prova nella saga.

    Paradossi a parte: il mio voto finale è 8

  24. Le cittadine del Far West, con le loro polverose main street, affollati e fumosi saloon, operose botteghe e sfilze di costruzioni in legno, spuntate come funghi attorno le vie principali, hanno da sempre stimolato l'immaginario degli appassionati del genere e ispirato grandi opere, sia letterarie che cinematografiche. Ovviamente, tale location non poteva mancare nel fumetto western nostrano per antonomasia, tanto è vero che spesso Bonelli ha ambientato alcune delle sue sceneggiature tra quartieri cittadini, sceriffi, gambler e manigoldi vari. Non tutte, però, hanno il fascino della storia in questione e mi unisco al coro di chi sostiene che "Una stella per Tex" sia la sua migliore creazione in tal tema. Sebbene il soggetto non brilli di grande originalità, Bonelli ha il pregio di sfornare un episodio scoppiettante con Tex in grandissimo spolvero e tante trovate compositive degne di nota. Azzeccata l'idea di far accettare la stella di sceriffo al nostro eroe sotto falso nome, da qui il via ad alcune scene esilaranti quali l'ultimatum affisso fra le vie del paese, il trattamento ai due teppistelli giunti con la diligenza e non ultimo, la finta sparatoria fra i pards, atta a eliminare il bounty killer assoldato da Clebber, ovvero il villain principale del paese. Sorvolando su altre sottotrame e qualche leggerezza, si arriva alla scena finale della locomotiva kamikaze lanciata contro il saloon posto all'estremità della linea ferrata interrotta: piano davvero spericolato, ideato dal ranger per spazzare la feccia del paese e poter così permettere alla compagnia ferroviaria di riprendere i lavori. Non so a voi, ma personalmente questo epilogo esplosivo mi ha sempre favorevolmente impressionato ed evidenzia che "mostro" di fantasia fosse il grande Bonelli. Purtroppo i disegni non certo eccelsi di Muzzi, giunto alla sua ultima prova texiana, e la scarsa valorizzazione di Clebber, che alla fine si mostra un bandito poco memorabile, mi inducono ad assegnare un voto in meno alla valutazione complessiva. Il mio voto finale è 8  

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