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Vaughn Steele

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  1. Vaughn Steele

    [Texone N.40] Sierrita Mountains

    Sono ormai diversi mesi che leggo Tex solo su Bonelli Digital Classic, ma per il Texone ho deciso di fare un’eccezione. Proverò ad esporre le mie sensazioni a caldo mentre leggevo la storia. Prima di cominciare, devo rivelare un mio pregiudizio: non amo i disegni di Palumbo. Non è un giudizio sul disegnatore e men che meno un commento tecnico, semplicemente il suo tratto non rientra nei miei gusti, così come, per fare un esempio sempre in ambito Texoni, preferisco i disegni di Villa o della Zuccheri a quelli di Magnus. S P O I L E R I disegni confermano che lo stile di Palumbo non è tanto nelle mie corde, però mi piace questa Nogales così messicana, come architettura, così polverosa e con un che di “non finito”, che mi sembra cogliere molto bene lo spirito di una città di frontiera (o, almeno, di come la immagino io). Inizio intenso. Questo Billy era un duro e Selina sembra una promettente dark lady. L’arrivo in scena di Tex e Carson mi lascia perplesso per un dettaglio futile: hanno rubato i pantaloni a Zagor? Mi sembra la prima volta che l’effetto jeans viene realizzato sui pantaloni di Tex con questo tratteggio. A miei occhi l’effetto è che stia indossando dei pantaloni elasticizzati. Lo so che è una sciocchezza, ma è un dettaglio che mi ha accompagnato per tutto l’albo. Durante la sparatoria al saloon mi sono chiesto dove fosse Carson, prima di scoprire che era rimasto fuori. A pag. 55 mi sembra un’esagerazione che il vecchio pard dica: “Buona idea quella di lasciarmi sorvegliare il retro!”. Premesso che la spiegazione è forse superflua (lo svolgimento degli eventi mi sembra sufficientemente chiaro), davvero serviva sottolineare che non si è trattato di un’iniziativa di Carson e neppure di una scelta condivisa? Quel “lasciarmi” mi sembra eccessivo. Credo che un semplice “È stata una buona idea restare a sorvegliare il retro!” sarebbe stato sufficiente. Siamo arrivati all’ormai famigerato pestaggio in cella, sul quale già è stato scritto molto. Voglio solo sottolineare un particolare. Nella scena di Bonelli e Galep, postata come confronto, c’è un dettaglio che non mi sembra sia stato finora evidenziato. In quella scena Tex sollevava il detenuto prima di colpirlo (si vede che lo afferra per la camicia). Non cambia la sostanza delle cose, ma, almeno a me, fa un effetto diverso rispetto a colpire un uomo seduto. Un’altra scena simile che stona è a pagg. 95-96. Long John è in ginocchio, con le braccia alzate, e si arrende dicendo a Tex: “ Hai vinto,”. Il ranger gli rifila uno sganassone. Non ricordo un’altra scena di Tex che colpisce così un uomo che si è appena arreso, salvo forse i casi in cui questi abbia prima sparato alle spalle o si si reso colpevole di qualche crimine particolarmente odioso. Forse è la mia memoria che fa cilecca. Se qualcuno ricorda una situazione simile, me la può indicare? Alla fine la storia scorre abbastanza bene e, devo dire che è stata una lettura piacevole, anche se sostanzialmente, la storia è solo un lungo inseguimento. Un po’ deluso dal quadrato Selina, Billy, Yaqui, Long John che, in fondo, è il vero motore della storia, nel senso che la maggior parte degli eventi sono conseguenza diretta o indiretta delle azioni e del rapporto tra questi personaggi. Le dinamiche psicologiche del quartetto le ho trovate un po’ sbrigative, soprattutto il “c’è del tenero” tra Selina e Long John alla fine della storia. Forse sono io che sono impiccione, ma ero curioso di sapere se questo “tenero” esisteva già quando Billy era ancora vivo. Magari non c’era lo spazio per approfondire, ma, restando in tema western, “Sentieri Selvaggi” è un ottimo esempio di come sentimenti inespressi possano essere mostrati allo spettatore con una semplice inquadratura.
  2. All’epoca non avevo letto questa nuova storia di Proteus e l’ho recuperata recentemente sull’app della Bonelli. La storia in sé non è male, però ha il difetto, almeno ai miei occhi, di far fare ingiustamente la figura del becaccione a Kit Willer, sacrificato sull’altare di due trovate di Ruju: 1) il duello tra i due Kit (immortalato persino in copertina); 2) la capacità di Tex di riconoscere Proteus dagli “occhi da serpente velenoso”. Per riuscire a mettere in scena queste due idee, sicuramente suggestive, Ruju però tradisce il personaggio, in quanto la trama impone che Kit esca sconfitto dal corpo a corpo con Proteus, per essere salvato dal padre. Dico tradisce perché questo Kit è ben diverso dal Kit che si guadagna il rispetto dei gauchos in “Patagonia”, o compie spettacolari imprese individuali in “Il Grande Re”. Il Kit Willer di questa storia è “sbagliato”, perché è il figlio di Tex Willer e non può fare così facilmente la figura del pollo. Proteus si sarà pire indurito nel suo soggiorno a Yuma, però non avrebbe dovuto avere gioco così facile nel prevalere (gli è bastato un cazzotto). Per chi non credesse nel fattore ereditario, bisogna considerare anche l’impareggiabile educazione di Kit Willer: ha imparato a cavalcare, tirare con l’arco, seguire le tracce e andare a caccia da Tiger Jack, ha imparato a sparare dal padre ed è il figlioccio di Kit Carson (leggenda del West e il più grande ranger della storia insieme a Tex). Spesso si sottolinea una presunta inesperienza del giovane Kit, ma è comunque molto più esperto, quanto a duelli e sparatorie, di quanto lo fosse Tex quando si era recato in Messico con Gunny Bill per vendicare la morte del padre. Kit in questa storia si mostra anche poco sveglio. Messo di fronte ad un sosia perfetto, capace di imitare atteggiamenti e voce di chiunque, non trova di meglio che dire al padre: “No… Non dargli retta… Kit sono io!”. Mentre leggevo la storia ho subito pensato che, al posto di Kit, avrei semplicemente parlato in navajo, togliendo così ogni dubbio su chi fosse chi. Tex e Kit, infatti, parlano entrambi navajo, mentre non vedo come Proteus potrebbe conoscere questa lingua.
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