Vai al contenuto
TWF - Tex Willer Forum

Condor senza meta

Ranchero
  • Contatore Interventi Texiani

    1249
  • Iscritto

  • Ultima attività

  • Giorni con riconoscenze

    83

Messaggi pubblicato da Condor senza meta

  1. "Nelle botti piccole, ci sta il vino buono". Episodio breve, ma scintillante. Un Bonelli rinvigorito, parte a tutta mostrandoci un classico dell'epopea western: l'assalto dei banditi lungo la via ferrata. La posse con a capo Tex, non si fa crescere l'erba sotto i piedi per scatenare la caccia ai ladri e recuperare gli ottantamila aquilotti, ma incappa in un'iniziale beffa, che avrebbe potuto spalancare la via della libertà alla banda dei malavitosi. Qui, infilatosi in un cul de sac, l'autore, per poter proseguire la narrazione, deve un po' forzare il gioco e in effetti la sosta a Willcox di Carver e soci appare un tantino illogica, tuttavia, a parte questa nota stonata, il resto della melodia composta dall'inossidabile papà di Tex è tutt'altro che inascoltabile. Bella la trovata della finta evasione per stanare il misterioso informatore e recuperare il malloppo seppellito nel villaggio disabitato di Pantan. Un Tex stratega di prim'ordine che ordisce un piano impeccabile e sebbene agisca meno del solito, contribuisce attivamente con la sua mente fine alla risoluzione del caso. Storia davvero divertente e molto scoppiettante. Ottimi i disegni di Ticci, d'altronde osare mettere in dubbio il suo immenso talento artistico, sarebbe come sostenere che la terra fosse piatta. :D Il mio voto finale è 8

  2. 1 ora fa, Letizia dice:

    Non è tutto merito mio.

    Ho usato un sacco di texture per il legno.

    I texture in Ps sono molto utili e se gestiti in maniera oculata, arricchiscono molto l'esito finale senza dar troppo l'impressione di disegno "artefatto". Nel caso specifico, si notano ma non appesantiscono troppo la tavola, quindi il lavoro è ben fatto. :clapping: 

  3. La caratteristica principale di ogni recensione è la soggettività; ogni giudizio del singolo lettore è opinabile e non di rado capita che, quella che per alcuni è una storia di spessore, per altri non meriti nemmeno la sufficienza. "Fantasmi nel deserto" è la prova di questa teoria. Esaurita la premessa, mi duole dire che per il sottoscritto la storia non va oltre la mediocrità e col passare degli anni, non ho mai avvertito il desiderio di rileggerla, come invece mi succede per altri albi. Bonelli comincia a palesare un lieve calo d'ispirazione che da lì a poco autorizzerà il figlio Sergio ad affiancarlo nella stesura delle sceneggiature (con risultati alterni ma questa è un'altra storia!) Anche ammettendo che il soggetto possa essere nato da una curiosa notizia storica dell'esercito, l'ennesimo caso di popolo inusuale che si coalizza e cospira nell'ombra in suolo americano, alla lunga stufa un po'. Oltre a questa lacuna di base, l'autore stavolta non riesce come suo consueto a colmare i buchi con una sceneggiatura degna di nota, anzi tira fuori una storia alquanto noiosa, ripetitiva e prevedibile. Poca roba i Tuareg che combattono in maniera suicida, fungendo da carne di macello dinanzi i winchester dei nostri pards, a tratti sembra di trovarsi in uno di quei videogame in cui appaiono nemici dappertutto e il giocatore li stende a ripetizione. Molto stucchevole e poco convincente il finale "a tarallucci e vino" (come si suol dire dalle mie parti), che vorrebbe essere un colpo di scena, ma finisce per rivelarsi un banale epilogo a lieto fine, dopo due albi di sangue e pallottole. Una delle poche scene da ricordare, il siparietto comico di Carson con il dromedario, per il resto molta noia e una lista chilometrica di invocazioni ad Allah. Un evidente passo falso per G.L. Bonelli ma glielo si predona: è umano che anche i grandi possano errare! Nella norma i disegni di Nicolò, un professionista sempre costante e lineare, che però a volte mi sembra troppo "pulito" di tratto per essere adatto al genere western, ma, come accennato all'inizio del commento, anche in queste tipologie di considerazioni vige la regola della soggettività. Il mio voto finale è 5

  4. Durante la rilettura dei vecchi albi di Tex, mi sono imbattuto in questo episodio che avevo in parte dimenticato, vuoi per il lungo lasso di tempo trascorso dall'ultima lettura o per il fatto che realmente non mi ha mai troppo preso. Ben inteso che la storia si fa leggere, ma personalmente non rientra nel cerchio delle mie preferite. Bonelli, reduce dalla straordinaria prova precedente, dall'alto della sua conclamata abilità di sceneggiatore, riesce a ottenere il massimo risultato da uno spunto molto esile. Il soggetto, a mio avviso, è troppo povero e poco originale, ma nonostante questa non esaltante premessa, l'autore riesce a sfoderare con maestria una sceneggiatura cruda e serrata, ricca di azione, ottimi dialoghi e personaggi abbastanza caratterizzati. Alcune scene e snodi narrativi sanno troppo di già visto e la trama marcia spedita senza grandi colpi di scena. Pure l'epilogo appare molto affrettato, con i famigerati Broncos spazzati in un baleno dai quattro pards, neanche fossero sagome da tiro a segno. Concordo sulla perfetta inutilità di Verny, suppongo che lo sceneggiatore lo avesse inserito con delle idee narrative, mutate durante il proseguo della stesura dell'opera. Apprezzabili i disegni di Galep ma lievemente inferiori a prove precedenti: alcune imprecisioni e vignette tirate via, mi danno l'impressione di una certa fretta durante la realizzazione, ma nonostante ciò, siamo ancora su alti livelli. Riassumendo: episodio che a mio avviso merita la sufficienza abbondante, ma catalogabile nella lista dei riempitivi della serie. Il mio voto finale è 6

  5. Ci sono quelle storie, dove non occorre usare tanti giri di parole per sostenere che ci si trovi al cospetto di vere e proprie gemme compositive: "Il laccio nero" rientra, senza tema di smentite, in questa categoria. Un capitolo della saga che rasenta la perfezione e che una volta letto, rimane custodito nell'imbottito bagaglio della memoria di ogni lettore. G.L. Bonelli sfodera una sceneggiatura-fiume avvincente e dal ritmo serrato. La thong cinese, retta dalla feroce quanto affascinante Ah Toy, stende i suoi silenziosi tentacoli su parecchie attività produttive della città di Frisco e non disdegna di praticare la tratta di giovani schiave, prelevate da povere famiglie nella terra d'origine. Già il soggetto si mostra alquanto interessante, ma ciò che rende esplosiva la storia è proprio la caratterizzazione degli avversari, che mostrano una notevole pericolosità. "Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare" recita un vecchio detto e  Tex e la sua affiatata squadra di pards, si prodigano a confermarne la tesi. Non mi soffermerò a elencare tutte le memorabili scene che portano i nostri a sgominare la piovra cinese e distruggerne le attività di copertura, ma non posso esimermi dal menzionare il perfetto gioco di squadra e l'estrema decisione, mostrate durante le intricate indagini. Un Tex duro e impavido che varca a proprio piacimento i labili confini della legalità per ottenere giustizia e che non perde lucidità, nemmeno dopo il colpo di coda della criminosa associazione, che rapisce Carson e lo segrega tra le fogne della città. Una guerra senza esclusione di colpi, vissuta fino all'ultimo respiro; un ritmo narrativo sempre eccellente che non risente minimamente della lunghezza dell'episodio. Adattissimi poi, i disegni di Letteri, sempre a proprio agio nella rappresentazione degli orientali; suppongo che nessun altro disegnatore avrebbe valorizzato meglio l'avvincente sceneggiatura. Le sue dinamiche vignette, frutto di una notevole ispirazione artistica, fungono da ulteriore nodo di forza nell'ottimo episodio. Il mio voto finale è 10 

  6. Episodio che risente un po' dell'appannamento creativo vissuto da G.L. Bonelli in quel periodo. L'autore tutto sommato riesce con mestiere a "salvare capra e cavoli", facendo leva sui suoi punti di forza: i dialoghi brillanti e la funzionale caratterizzazione dei protagonisti e dei comprimari. La vicenda di Tom Foster funge da cornice al vero soggetto della storia, ovvero la losca opera dei comancheros e il loro soffiare sul fuoco del malcontento dei nativi, per indurli alla rivolta e riempirsi le tasche con i loro sporchi traffici. Un Tex molto deciso, ben coadiuvato da un ironico Carson e il simpatico agente della Pinkerton, riesce a sventare i piani dei banditi a suon di cazzotti e polvere da sparo. Alcune scene risultano ben scritte, altri passaggi appaiono un po' forzati e già noti, come l'intervento della cavalleria durante l'assedio dei comancheros. Forse un po' troppo verbosi i dialoghi, soprattutto nella seconda parte e lento il ritmo. Tutto sommato, la sceneggiatura si mantiene accettabile e la caratterizzazione del pensiero dei nativi, rende meno amaro il rifiuto di "Capelli Gialli" a far ritorno fra la gente dalla pelle bianca, vanificando così la missione dei nostri. Nella norma la parte grafica curata da Nicolò, sebbene anche il sottoscritto concordi con chi reputa troppo ripetitive le fattezze dei suoi personaggi.

    Il mio voto finale è 7

  7. Sceneggiatura di ordinaria amministrazione; un riempitivo che molto probabilmente fu studiato su misura per l'esordio di Fusco sulla serie. La trama non brilla di certo per originalità, visto che l'autore, seguendo un canovaccio classico, ripesca i crudeli Hualpai e la loro sinistra tradizione dei sacrifici umani. Nel caso specifico le povere vittime immolate sull'altare sacrificale, sono giovani squaw di tribù vicine, lasciate crudelmente morire su canoe abbandonate sulle rapide di un fiume. Tex, dopo aver salvato fortuitamente l'ultima vittima prescelta, apprende la sanguinosa vicenda e si mobilità per salvare le donne rapite e punire la tribù nemica. Bonelli riesce a imbastire una sceneggiatura funzionale e leggibile, tuttavia a mio avviso, non basta un Tex molto duro e deciso, l'assedio disperato nell'attesa che i Navajos reclutati da Tiger diano manforte, il melodrammatico (ma prevedibile) sacrificio di Hanaba, per lasciare un segno molto marcato nell'immaginario del lettore: non a caso è uno di quelle storie che non sento la necessità di rileggere spesso e finisce ogni volta per essere seppellita nel sabbioso oblio della mia memoria. Accettabile (ma ancora lontano dai suoi canoni che lo renderanno una colonna portante nei decenni successivi), la prova grafica del compianto Fernando Fusco. Il suo ranger appare palesemente ancora "in cantiere" ma lo stile personale e ardito con cui tratteggia le squaw indiane, si fa alquanto apprezzare. Il mio voto finale è 6

  8. Lascio anch'io un piccolo contributo in questo interessante topic:

     

    "Il Saskatchewan è nuovamente teatro di una congiura politica, spalleggiata dalla Compagnia della Hudson’s Bay (con dietro le quinte la Francia) e da alti ufficiali delle Giubbe Rosse, atta a scatenare una rivolta che porti alla formazione di uno stato indipendente dalla corona britannica, nei territori del Nord ovest. I congiuranti favoriscono pure l’evasione di Big Bear, per riorganizzare la rivolta dei Black Foot, ideali alleati per il piano di ribellione. Jim Brandon, visto la partecipazione di alti funzionari dell’esercito nella congiura, decide di indagare in incognito, ma tradito da un suo sottoposto, cade vittima di un agguato nelle foreste nei pressi di un fiume. Richiamati in Canada da Gross-Jean, Tex e i suoi pards iniziano la loro difficile missione in cerca dell’amico e poter contrastare la congiura. Nel frattempo Jim Brandon, gravemente ferito, viene salvato e soccorso dalla bellissima Isabel Libert, la donna del duro Jack Lawson, braccio destro di Big Bear. Non riconosciuto dai nemici, Jim Brandon finge di aver perso la memoria e continua la sua indagine spacciandosi per alleato, sperando che i suoi salvatori lo portino fino alla tana di Big Bear. Durante il periodo della convalescenza, tuttavia fra il giubba rossa e l’affascinante Isabel, nasce del tenero. Dopo varie peripezie, i quattro pards si congiungono al vecchio amico e insieme, contribuiscono allo cattura di Big Bear, lo smantellamento della banda e al crollo della congiura. Durante i processi, Jim deve prendere la difficile decisione di avallare la condanna dell’amata Isabel: il cuore non vorrebbe ma il dovere glielo impone. Tuttavia, sebbene incarcerata con una pena lieve rispetto agli altri componenti della congiura, la donna potrebbe divenire un personaggio riutilizzabile in altri futuri episodi."

  9. Dopo qualche storia un tantino sottotono, il grande G.L. Bonelli tirò fuori dal cilindro questo splendido episodio. Già dall'incipit si comprende che la lettura degli albi sarà tutt'altro che noiosa e deludente. L'arrivo dei quattro pards nel villaggio dei Dakotas, che portano stampati nei loro scheletrici volti l'inconfondibile marchio dell'inedia, è una scena che lascia il segno. Ci si immedesima così tanto, che viene quasi la tentazione di aprire la dispensa o partecipare personalmente alle battute di caccia per fornire il proprio aiuto a quei poveri affamati. Ancor più rabbia mette il diabolico piano ideato dal bieco Billing che pur di impossessarsi delle pepite d'oro della vallata, non esita a condannare a morte un'intero villaggio, non fornendo le riserve di viveri per l'imminente inverno. Altro che pelo sul cuore, il pezzo grosso di Great Falls è davvero un verme di prim'ordine! L'intervento dei nostri, divisi in due coppie per l'occasione, sarà risolutivo e dopo vari agguati falliti e tanta azione, riusciranno a far miseramente fallire il criminoso piano e garantire la tranquillità ai pacifici Dakotas. Ancora una volta lo sceneggiatore opta per la punizione divina per il villain di turno, infatti ormai isolato e incalzato da Tex, Billing sparirà sotto le lastre di un fiume ghiacciato durante il suo disperato tentativo di attraversarlo durante la fuga. Una fine tanto orribile, quanto meritata, visto l'indicibile crudeltà dei suoi progetti. Ottima la sceneggiatura, avvalorata da una magistrale gestione dei quattro pards nella storia. Eccezionali, come di consueto, i disegni di Ticci, abilissimo a tratteggiare la disperata fame dei Dakotas, ma anche dei paesaggi innevati mozzafiato. Nessuno meglio di lui riesce a immortalare gli scenari naturali, sia se si tratti di deserti assolati,o foreste imbiancate. Un autentico maestro! Il mio voto finale è 9  

    • +1 1
  10. Vado un po' controcorrente rispetto ai commenti positivi che precedono; personalmente l'episodio di "Apache Kid" non mi ha mai tanto appassionato.

    Ho da sempre una mia ben precisa opinione rispetto al connubio fra Tex e la storia propriamente detta: trovo che ci può stare inserire personaggi realmente esistiti nella saga del ranger, ma a patto che appaiano come comparse o eventuali figure di contorno in sceneggiature di fantasia, ma al contrario, inserire Aquila della Notte tra le tappe biografiche di personaggi storici, reputo sia solo una faziosa forzatura, che limita oltremodo il soggetto e il protagonista. Nel caso specifico, il nostro eroe non solo assiste impotente alla sorte del celebre apache, ma in parecchie circostanze il suo agire finisce col cozzare con le sue caratteristiche peculiari, che lo identificano fin dalla sua prima apparizione in edicola. In primis, fa storcere il naso che debba incassare l'assurda sentenza del generale Miles senza poter menare le mani e ribellarsi concretamente a tale ingiustizia. Per ovvie ragioni, G.L. Bonelli non se l'è sentita di far pestare Miles, un vero pezzo grosso nella storia dell'esercito degli Stati Uniti dalla sua creatura fumettistica, ma in altre occasioni, con generali di fantasia, Tex non si è mai creato simili problemi di sudditanza verso le boriose divise blu. Altrettanto palese, che il ranger non possa ovviamente in nessun modo scongiurare il triste epilogo di Apache Kid e finisce addirittura con penalizzarlo indirettamente. In altri casi il suo prestigio presso i nativi, lo aiuta a fare accettare i suoi consigli per dipanare le matasse ingarbugliate, qui l'amico rosso man mano che evolve l'episodio, ignorerà ogni altro suggerimento senza dar peso alle parole del ranger. Infine, a parte l'ingiustizia subita , Apache Kid si macchia le mani con il sangue di innocenti coloni e non si capisce proprio come Tex non possa biasimare questo aspetto. Unica libertà narrativa, l'azione contro i due fratelli comancheros, ma troppo poco a mio avviso per salvare l'episodio. Non contribuiscono a migliorare la mia valutazione nemmeno i disegni di Nicolò, che non mi ha mai fatto esaltare nella sua rappresentazione molto uniforme degli indiani. Il mio voto finale è 5

  11. Una legge non scritta nelle arti recita che è quasi impossibile (o tanto meno complicatissimo) bissare un capolavoro. Per il "Ritorno di Yama", a mio avviso, tale regola risulta azzeccata. L'episodio, per inteso, è godibile, ma non tiene minimamente il confronto con il capitolo precedente, in cui il figlio di Mefisto esordiva nella saga.

    G.L. Bonelli sceglie come scenario per la tentata rivincita dello stregone, le lussureggianti foreste tropicali dello Yukatan e come alleati, un gruppo di discendenti degli antichi Maya. Molto interessante lo spunto che vede Yama sfruttare a suo vantaggio i problemi di Manuela Romero, nobile discendente ben voluta dalla sua gente ma costretta all'esilio per colpa dei piani diabolici dello zio generale Zamora, che intende eliminarla per impossessarsi dei suoi beni. Purtroppo con il progredire della storia, le solide basi su cui si poggia il soggetto si sfaldano gradualmente, vuoi per le analogie di scene con il capitolo precedente, l'incipiente declino caratteriale dell'antagonista o per la troppa semplicità con cui gli uomini della Romero si alleano a Tex, segnando l'ennesima sconfitta di Yama. In quanto ai quattro pards, la grinta e l'azione non manca di certo, ma tuttavia si ha l'impressione che non vadano mai in totale difficoltà come in altre più riuscite sceneggiature. Il sacrificio della Romero, che si becca la freccia avvelenata diretta a Tex, risulta un colpo di scena telefonato e poco convincente, così come il fatale errore di leva commesso da Yama nel turbolento finale, rischia di essere più esilarante che drammatico. Grandiosi i disegni di Galep, del tutto a suo agio nelle ambientazioni esotiche e soprannaturali; proprio il suo notevole contributo ai pennelli mi induce a innalzare di un voto la mia valutazione. Il mio voto finale è 7

  12. Storia breve, che rappresenta una delle rare escursioni di G.L. Bonelli nella fantascienza. Premetto che, quando lessi l'episodio da ragazzino, rimasi favorevolmente colpito; a distanza di anni (e di molte altre letture texiane) il mio indice di gradimento è andato al ribasso. L'idea di base del soggetto è poco originale e molto abusata nell'universo tematico "dell'extraterrestre". Lo sceneggiatore ci mette del suo, immaginando dei ricci vampiri a metà strada tra regno animale e vegetale, ma a dire il vero ne viene fuori un'idea alquanto confusa e naif. Ancora meno convincente l'epilogo, visto che trovo quasi una forzatura il rimedio dell'alcool "scioglitutto" e, a voler essere pignoli, molto facilona l'opera di rastrellamento e distruzione dei ricci assassini: vista la rapidità di riproduzione mostrata nelle prime pagine, un'invasione era assicurata. Detto questo, la storia in questione evita la mia bocciatura solo grazie a una buona opera di suspense creata dallo sceneggiatore nelle prime battute, l'ottima presenza del Morisco sempre in smagliante stato di forma intellettuale e i buoni disegni di un Letteri abbastanza ispirato. Poca traccia lasciano i quattro pards, che per una volta fungono più da spalla che da risolutori. Il mio voto finale è 6  

  13. Di gonzi disposti a farsi spennare, ne è pieno il Far West! Forse questo pensiero ha dato l'imput al soggetto di Bonelli per l'episodio in questione: ma un conto è farsi infinocchiare da un baro al tavolo del poker, un altro credere alla storiella dell'antico tesoro di dobloni. Risulta non tanto plausibile che in presenza di un così leggendario e ricco ritrovamento, colui che ne è a conoscenza cerchi alleati per dividere il bottino. La di puzza di bruciato la sentirebbe anche un raffreddato cronico, ma evidentemente i piedidolci dell'est difettavano di olfatto! A parte questa forzatura iniziale, la trama imbastita dallo sceneggiatore è molto avvincente; un vero e proprio giallo con tinte noir, caratterizzato da personaggi variegati e molto ben descritti. Le indagini di Tex scatenano un effetto domino che porterà l'organizzazione criminale a vacillare e decimarsi in una lotta intestina per salvare la pelle. Crandall, Velasco, lo sceriffo Walsen non rientreranno nella lista degli antagonisti memorabili della saga, ma la loro viltà e avidità senza scrupoli "fa prudere la nocca delle mani" durante la lettura. Molto più acuto e pragmatico l'infido Li-Wang che non esita a saltare il fosso appena le acque si agitano, tanto che il suo aiuto diviene fondamentale per i quattro pards. A mio avviso però Tex si rivela troppo magnanimo con lui, in fondo il cinese, anche se ai margini della banda, si è sporcato le mani di sangue. Non mancano alcuni punti deboli durante l'inchiesta, ma tutto sommato la sceneggiatura scorre spedita e tiene il lettore col fiato sospeso. Molto forte emotivamente la scena finale del linciaggio di Crandall, epilogo prevedibile dopo lo sdegno suscitato dal macabro ritrovamento dei resti umani delle vittime della criminosa organizzazione. Buono il livello complessivo dei disegni di Nicolò. Il mio voto finale è 8

  14. " Non tutti i bianchi sono cattivi o ladroni. Tu, però, se ne dovessero capitare altri, non dimenticare mai di accoglierli con il sorriso sulle labbra e un buon fucile carico nella destra. Il sorriso serve qualche volta, ma il fucile serve sempre, specie se lo tieni con la canna puntata sulla pancia del visitatore e il dito sul grilletto" Con queste secche e concise parole, Tex prende commiato da Mapua a fine avventura e basta una simile battuta, per comprendere quanto G.L. Bonelli fosse straordinario nella stesura dei testi e dei dialoghi nelle sue indimenticabili storie. Perdonatemi se ho iniziato dai titoli di coda per scrivere il mio commento, ma questa massima filosofica del vulcanico sceneggiatore, metaforicamente sempre attuale anche fuori lo schema narrativo per cui è stata scritta, la reputo eccelsa. Per il resto, tornando all'episodio, bisogna citarne la continuity con il precedente, cosa molto rara nella collana del ranger, fatta eccezione per i pionieristici albi a striscia e poche altre occasioni successive. Il naufragio, l'ambientazione esotica, la lotta iniziale contro i Canachi, l'inattesa alleanza per scalzare gli aguzzini che sfruttano gli indigeni per la raccolta di perle sul fondale, l'epilogo tragico di Vera e il Barone dovuto all'avidità e il tradimento, rappresentano tutti saporiti ingredienti che rendono la pietanza molto appetitosa. La consueta maestria, già dinanzi citata, di Bonelli nell'imbastire dialoghi notevoli, arricchita da un'abilità conclamata di sceneggiatura e caratterizzazione dei personaggi, chiudono il cerchio e mettono il sigillo in quest'ulteriore capitolo del centinaio d'oro. Di certo non lo reputo un capolavoro, ma l'episodio è molto affascinante; sarà pure per l'ambientazione che sa molto di romanzo d'avventura stile Salgari. Proprio riallacciandomi alla letteratura ottocentesca, mi par di cogliere pure una lieve citazione al celebre "Ventimila leghe sotto i mari" di Verne: la scena della pesca subacquea dei Canachi in mare infestato di squali e con il solo ausilio di una pietra piatta legata a una fune, se la memoria non mi inganna fu descritta molto minuziosamente dallo scrittore francese nella sua opera, ma potrei pure sbagliarmi. Efficienti i disegni di Nicolò; a dire il vero lo preferisco più alle prese con questi scenari che in ambientazioni marcatamente western. Il mio voto finale è 8

  15. I primi anni settanta per i lettori di Tex, hanno rappresentato un vero e proprio Eldorado! Non si era ancora metabolizzata la lettura della splendida storia precedente, che già in edicola spuntavano gli albi di un episodio, destinato a rimanere a lungo nella memoria e nei cuori degli affezionati. La storia, divisa idealmente in due parti distinte, inizia tra i quartieri di San Francisco, dove il losco Diamond Jim, per vendicare la morte del fratello bandito ucciso da Tex in una precedente indagine a Frisco, decide di far rapire Kit e farlo spedire in un isolotto sperduto nel Pacifico. A dire il vero, il piano del cattivo di turno ideato da Bonelli, risulta alquanto forzato: sarebbe stato più logico affondare il rampollo a far da cibo ai pesci, ma lo si sa, è una limitazione non da poco, gestire personaggi "immortali" in serie come quella del ranger. Tuttavia, a parte questa lieve forzatura, la sceneggiatura prende subito quota. Kit viene rapito sotto gli occhi Tiger, che nel tentativo di difenderlo si becca una bella coltellata nella schiena (il povero navajo per le innumerevoli ferite collezionate in settanta anni, meriterebbe la pensione di invalidità come minimo! :D). Parte l'indagine di Tex, che duro e deciso come non mai, riesce a furia di sganassoni e interrogatori a limite del regolamento, a scovare il bandolo della matassa. In effetti, a fin dei conti, Diamond Jim non si rivela un villain di grande spessore e la sua punizione risulta alquanto sbrigativa, sebbene costellata da scene celebri come l'invasione delle "Dame della Santa Lega" nel saloon gestito dall'infido biscazziere o il gigantesco pestaggio scatenato da Lefty, Bingo e il "damerino" Angelo nella fumeria sotterranea. Di gran lunga migliore la seconda parte. Sia per la splendida location, molto inusuale per i nostri, ovvero l'immenso e selvaggio Oceano Pacifico, ma anche per la presenza dei capitani Drake e Bart; due personaggi indimenticabili che Bonelli tratteggia con una maestria quasi manzoniana. Barbanera, nello specifico, è davvero un comprimario notevole: sebbene invischiato in loschi traffici, è un uomo d'onore e non rinnega la parola data, anche a costo della vita. Burbero e iracondo è in fondo un buon diavolo e durante la sfida finale, non si riesce proprio a tifargli contro. Ci si affeziona subito a simili personaggi e trovo sia stata un'intuizione geniale quella di Nizzi di recuperarlo anni dopo. Spettacolare pure la rissa nella bettola delle Haway e il piano che porterà Tex a strappare il figlio dalle mani dell'avversario. I dialoghi che Bonelli ci dona sono superlativi, i battibecchi fra Drake e Barbanera spassosi all'ennesima potenza. Straordinario Galep, sia nelle vignette cittadine, ma soprattutto in quelle marinare. Ogni tavola sembra un quadro; l'oceano tratteggiato magistralmente dai suoi indimenticabili pennelli sembra prendere vita e impeccabili le rappresentazioni dei velieri. A tal proposito, alcune inquadrature non convenzionali dall'alto, sono da oscar a mio avviso. Unica piccola pecca da menzionare, la rappresentazione grafica troppo caricaturale e sgraziata delle protagonisti femminili: suppongo che lo sceneggiatore avesse fornito indicazioni specifiche sulle caratteristiche della moglie di Bingo e della proprietaria della bettola sull'isola, ma l'esito finale sembra uscito da una parodia di Cico! :D Il mio voto finale è 9

     

  16. <span style="color:red;">6 ore fa</span>, Barbanera dice:

    Ecco, quello che dici tu viene lasciato col punto interrogativo da Glb:non si capisce se Don Fabio si serva di Lucero o Lucero si serva di Don Fabio.Mi spiego meglio: la dicotomia del personaggio è lasciata volutamente ambigua,secondo me non è così chiaro se Lucero sia intenzionato davvero a usare i soldi delle sue scorribande per acquistare un territorio per la sua gente (come sostiene con la madre anziana che,infatti,manifesta dei dubbi sull' operato del proprio figlio).Oppure sia semplicemente intenzionato a vivere da nababbo e ricco haciendero sfruttando attività di commercio apparentemente legali, alimentate dalle rapine, vestendo ogni tanto i panni del Mescalero per alimentare il suo desiderio mai sopito di vendetta e di uccisione dei Bianchi.ed è proprio questo dubbio che fa della storia un autentico capolavoro.

    Osservazione acuta e attinente Barbanera. In effetti G.L. Bonelli non chiarisce del tutto e lascia la questione aperta a qualsiasi interpretazione. Personalmente mi piace credere che, sebbene sanguinario e crudele come pochi, il famigerato Lucero operi per un fine più nobile (e purtroppo utopistico!) rispetto al dio denaro, tuttavia il dubbio da te sollevato è plausibile. Purtroppo non lo sapremo mai, visto che l'indomito mescalero porterà con se nella tomba questo attanagliante mistero. L'unica certezza che rimane a noi lettori: l'episodio è davvero un capolavoro senza tempo! 

  17. Autentica pietra miliare della saga! Episodio che, senza tema di smentite, può fregiarsi dell'appellativo di capolavoro. G.L. Bonelli, in stato di grazia, tira fuori un antagonista con i fiocchi, forse uno dei migliori usciti dalla sua inesauribile miniera della fantasia; uno dei rari casi bonelliani in cui il villain oscura in parte il protagonista. Il progetto criminoso ideato da Lucero per assaltare convogli e diligenze è geniale. Il trucco delle trasformazioni in pastori dei suoi predoni per far perdere le tracce dopo ogni colpo, è a mio avviso uno dei piani più brillanti e originali mai apparsi tra le tavole di Tex. Il sogno utopistico del famigerato mescalero è quello di poter ammassare tanta ricchezza, utile alla formazione di una nazione indiana indipendente dal mondo dei bianchi e pur di perseguirlo, non esita a seminare morte e distruzione, con una fredda ferocia che mette paura. Pur di salvaguardare la sua utile copertura di ricco haciendiero inoltre, è disposto a eliminare cinicamente tutte le tracce del suo passato e sgozzare di suo pugno anche il frate direttore del convento in cui trascorse gli anni della sua infanzia. Però il fato non tarda a intralciare il suo cammino: l'unica traccia lasciata alle spalle dai temutissimi  mescaleros, mette in moto la macchina investigativa di Tex e co. che a breve diventa inarrestabile. Dopo aver ingoiato parecchi rospi amari, i rangers riescono a cingere definitivamente d'assedio la banda dei predoni rossi, smantellandola, ma non riusciranno comunque a vedere mai in viso l'avversario, infatti, sebbene seriamente ferito nell'agguato, Lucero riuscirà a sfuggire alla giustizia terrena,  ma non a quella divina. Il melodrammatico finale, in cui l'inafferrabile predone prossimo alla morte, raggiunge la missione di San Xavier e finisce col convertirsi e chiedere perdono dei suoi peccati, è un'autentica perla di sceneggiatura. Uno degli apici per carica emotiva dell'intera saga; concordo con chi in precedenza paragona simile epilogo con le tragedie greche e a ben vedere il personaggio di Lucero sembra poter rientrare anche nella logica verghiana dei vinti: un'anima inquieta pervasa dall'odio verso i bianchi, che spende tutta la sua esistenza sotto il vessillo dell'odio e la vendetta (non del tutto ingiustificata visto i soprusi subiti dal popolo rosso) ma che alla fine si deve piegare ai disegni supremi di un infausto destino. Tuttavia negli ultimi istanti di vita, sulla tomba del frate a cui tolse la vita, il mescalero trova il coraggio per combattere la sua più importante battaglia, riuscendo a chiedere perdono per i suoi crimini. Altro che un semplice fumetto popolare, qui si rasenta la perfezione stilistica che quasi nulla ha da invidiare alla letteratura più colta! Di notevole fattura pure la caratterizzazione dei comprimari e dinamica la sceneggiatura, con i quattro pards magistralmente gestiti dall'autore, in un'escalation di azione e colpi di scena che porta a divorare le numerose pagine. Impeccabile la prova ai disegni di Letteri; la sua linea chiara al servizio delle lunghe storie della serie, garantì in quei magici anni un rapporto qualitativo-quantitativo che al giorno d'oggi un editore può solo immaginare nei più rosei sogni. il mio voto finale è 10 

  18. Episodio che, data la lunghezza e la collocazione nella serie, andrebbe catalogato tra i cosiddetti "riempitivi", ma personalmente ritengo che una tale definizione sia un po' troppo ingenerosa in questo caso. "Sunset Ranch" (o "L'ultimo poker" che dir si voglia) è una storia canonica, che ricalca gli stilemi classici del western, ma che si legge piacevolmente senza far mai correre al lettore il rischio di impantanarsi lungo lo stagno della noia. Il soggetto scelto da G.L. Bonelli è alquanto convenzionale e forse troppo abusato nella letteratura del west: un ranch preso di mira da razziatori di bestiame; un figlio traviato che per debiti di gioco asseconda il criminoso piano di un allevatore truffaldino e un gambler senza scrupoli; tanti muggiti, polvere e proiettili sui pascoli durante le incursioni dei banditi incappucciati e molta azione. La qualità della storia è comunque garantita da una solida sceneggiatura e dialoghi esplosivi. Tex merita un plauso pure come educatore, tanto è vero che i suoi sganassoni sono la miglior cura contro l'arroganza (e l'ingenuità?) del figlio di Cardigan, ma brilla ancor più nell'epilogo finale dove sconfigge in una memorabile mano di poker i nemici, facendo di colpo tramontare i loro progetti e umiliandoli sul loro stesso campo, senza l'estrema necessità di forzare la mano, trattandoli da banditi da mezza tacca come in fondo meritano. Da notare come il nostro inossidabile ranger non si crei problemi a far scarpinare a piedi nudi il figlio di Cardigan nel deserto per punizione, o barare spudoratamente per sconfiggere Hogan e sistemare la faccenda, il tutto per confermare di quanto la caratterizzazione bonelliana del personaggio sia molto chiara e alcune critiche attuali, dinanzi scene simili adottate dagli attuali sceneggiatori, siano alquanto sterili. Che dire poi, della stupenda battuta sulle quattro donne capitate in mano per via del fascino o la sottigliezza stilistica dell'asso di picche gettato beffardamente in faccia all'avversario, per irriderlo ulteriormente, visto che simile carta sarebbe servita ad Hogan per chiudere il poker vincente. A mio avviso, unica nota dolente i disegni di Muzzi, che sebbene non sia mai riuscito a incidere sulle tavole di Tex, in questa storia fornisce una prova ancor più appannata del solito e non del tutto soddisfacente. Il mio voto finale è 7

  19. Ennesimo episodio cult della serie. Nemmeno il tempo di archiviare la splendida storia del "grande intrigo a Flagstaff", che G.L. Bonelli sfodera un altro gioiello che rimarrà negli annali della saga del ranger. "Terra promessa" è un episodio ben congegnato, contraddistinto da un'ottima sceneggiatura, un soggetto notevole e dialoghi da manuale. Molto assortita pure la galleria di personaggi, ognuno molto funzionale e ben caratterizzato dall'autore. Reputo ben studiata pure la truffa che l'organizzazione criminale, con a capo Goldfield, mette in atto ai danni dei poveri coloni diretti in California: oltre a detenere il monopolio dei magazzini, ove le carovane si riforniscono prima della partenza, il losco mercante spreme altri dollari dai pionieri, costringendoli a rifornirsi una seconda volta in un trading post sulla pista durante il lungo il viaggio, dopo che sistematicamente i complici Cheyenne di Kento assalgono le carovane razziando cavalli, bestiame e altri beni di prima necessità. Bottino che puntualmente viene affidato ad Harport, dietro compenso e rivenduto alla successiva carovana. Una struttura "mafiosa" che tosa a puntino i poveri malcapitati, ma che viene scoperta e sconfitta dai quattro pards, dopo una lunga serie di colpi di scena, sparatorie, inseguimenti e azione pura nella migliore tradizione del racconto western. Bella e scoppiettante la prima parte che si svolge in città, epica la sessione che si evolve nelle praterie verso la California, rese magistralmente dai magici pennelli del grande Ticci. Tex e i suoi pards si mostrano in forma smagliante e molto in sintonia, d'altronde è risaputo di quanto G.L. Bonelli fosse un asso nel gestire il quartetto di protagonisti. Disegni di Ticci eccellenti; uno stile ancora diverso rispetto alla sintesi di tratto suo marchio di fabbrica negli anni a seguire, ma pur sempre gradevole e azzeccato per l'ambientazione in cui si svolge la vicenda. Non nascondo che il grande disegnatore senese è da sempre uno dei miei preferiti. Il mio voto finale è 9

  20. Ci troviamo al cospetto di uno dei capisaldi della settantennale serie. Un episodio fiume che, sebbene a tratti risenta un po' dell'eccessiva estensione, mantiene un'intensità emotiva degna di nota. Si parte da uno spunto di soggetto non del tutto originale, ovverosia l'ennesima congiura per eliminare Tex e mettere le mani sui giacimenti Navajo, ma la complessa trama architettata da G.L. Bonelli, una solida sceneggiatura e la minuziosa caratterizzazione dei numerosi personaggi che vi operano, rendono celebre la storia. Il nostro ranger diviene vittima di una macchinazione machiavellica e rischia seriamente il patibolo; solo grazie la preziosa mediazione di Carson che corrompe gli aguzzini e il prestigio di cui gode Aquila della Notte nei confronti dei Mohaves di Victorio, che si evita il peggio e si può partire al contrattacco per stanare e punire i colpevoli. Eccezionale pure il ruolo di Kit e Tiger, che in assenza di Tex riescono, con maturità e polso fermo, a scongiurare una violenta rivolta Navajo, dopo le numerose provocazioni di Lyman, atte a far intervenire l'esercito per lasciar terreno libero agli speculatori nella riserva. La storia presenta memorabili scene, numerosi doppio gioco, ricatti e una sfilza importante personaggi ben strutturati. Da Myra Solano, passando per Clem; dall'aguzzino Murdoch a Clay, non tacendo dei vari Victorio, Lyman, Foster, Fred: una vera girandola di pedine molto ben funzionali nella scacchiera dell'autore. G.L. Bonelli, dopo aver tenuto incollato alla numerosissime pagine il lettore, sembra alla fine volerlo prendere bonariamente un po' in giro: infatti mantiene l'assoluta segretezza sull'identità del capo congiura per la durata di quattro albi, lasciando supporre il ritorno di chissà quale vecchio avversario, per poi nel momento clou, stupirlo (e deluderlo un po'!) con un perfetto carneade, tanto abile nel tessere un diabolico intrigo, quanto codardo nell'estremo atto finale. I disegni di Nicolò si snodano senza grandi incertezze e picchi, lungo l'intera durata dell'episodio, ma non nascondo che il suo ineccepibile stile un po' troppo lineare per i miei gusti, alla lunga mi annoia e preferisco altre mani, magari meno pulite stilisticamente, ma molto più dinamiche e coinvolgenti. Il mio voto finale è 9.

  21. Episodio western tradizionale. Inizio al cardiopalmo, con i nostri in difficoltà nel deserto e lo sventurato Tiger che, nell'intento di reperire una riserva di acqua, viene massacrato di botte in un villaggio di bandidos, solo per il colore della pelle. Gli ineffabili abitanti di Helltown, al soldo del perfido Don Lopez, non solo riducono in fin di vita il pard indiano, ma vivono taglieggiando e rapinando gli onesti minatori del vicino villaggio di Claypool. Venuto fortuitamente a conoscenza di questa realtà grazie all'incontro con un mercante messicano nel deserto, Tex  ritrova il malconcio Tiger e, dopo avergli fornito le prime necessarie cure, si mobilita con i suoi pards per punire severamente i gaglioffi di Helltown per le loro malefatte. Storia valida, che si fa leggere volentieri, anche se a mio avviso presenta una forzatura iniziale: visto la crudezza della violenza che caratterizza il pestaggio di Tiger e la tangibile crudeltà che aleggia fra gli abitanti di Helltown, trovo molto strano che nessuno degli aggressori si sia preso la briga di scaricare il caricatore sul navajo prima di gettarlo nel torrente. Per il resto, Tex dimostra sempre molto acume nell'ideazione di piani e con molta abilità, coadiuvato da Kit e Carson in discreta forma,  riuscirà a punire i colpevoli, che alla lunga non si riveleranno degni avversari. Efficaci come al solito i disegni di Letteri; è vero che se dovessi stilare una mia personale graduatoria di preferenza fra gli illustratori della saga, il nome del disegnatore romano non occuperebbe i primissimi posti, ma bisogna dare atto che i suoi primi piani di Tex in quegli anni, erano a dir poco strepitosi. P.S. A mio avviso il titolo del topic è errato, visto che "Adios amigo" è ricollegabile all'epilogo dell'episodio precedente con Montales; sarebbe più corretto usare "Arizona" o "Prigionieri del deserto" (Voto 7)

  22. Episodio movimentato, pieno di azione e polvere da sparo. A dire il vero, il soggetto è alquanto scarno e a tratti la sceneggiatura procede lenta con alcune scene che risultano un po' ripetitive, ma G.L. Bonelli, da grande fuoriclasse, riesce a colmare le lacune, tirando fuori una storia carica di tensione e tutto sommato molto piacevole. Un tour de force di attacchi e difese, in un assedio quasi epico, in cui i quattro pards brillano per coraggio, strategia e mira e l'erculeo Pat si candida all'impiego di demolitore di costruzioni abusive :P :D . Poco convincente e prevedibile la scelta narrativa della via di fuga, in fondo pure poco risolutiva ai fini della trama, sfruttata come fu dall'autore. Eccellenti i disegni di Galep: i bandidos con grinfie da pendagli da forca e cartucciere a tracolla sono memorabili, per non tacere della sua grande maestria nel disegnare i cavalli. Non sarà un capolavoro, ma rimane pur sempre un episodio di grande spessore. 

×
×
  • Crea nuovo...

Informazione importante

Termini d'utilizzo - Politica di riservatezza - Questo sito salva i cookies sui vostri PC/Tablet/smartphone/... al fine da migliorarsi continuamente. Puoi regolare i parametri dei cookies o, altrimenti, accettarli integralmente cliccando "Accetto" per continuare.