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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. La piacevolissima oretta dedicata alla lettura di questo suggestivo speciale dalle spiccate tinte gotiche, con annessi pathos ed emozioni, vale alla grande il "prezzo del biglietto". La serie Tex Willer è ormai una certezza e Boselli libero di osare di più, essendo meno vincolato dai rigidi schemi della regolare, son certo che ci farà divertire.
  2. Condor senza meta

    [488/489] Matador!

    Uno dei più grandi rimpianti per noi lettori rimarrà la prematura morte di Aldo Capitanio: un triste destino che si è portato via troppo presto un talento innato e privato gli appassionati della saga di assicurate perle grafiche. Purtroppo “Matador” rimarrà l’unica storia illustrata dal maestro vicentino per la regolare e, ogni volta che mi appresto a rileggere i due albi, non posso che rimanere estasiato dinanzi lo stile elegante e raffinato che contraddistingue ogni singola vignetta. Una dovizia di particolari che non influisce minimamente con il dinamismo della narrazione, un’espressività dei personaggi notevole e un campionario di tratteggi così pulito e ricco che arricchisce ogni singola scena. Con un simile fuoriclasse, la sceneggiatura non può che fare un salto carpiato di qualità e credo che ogni soggettista vorrebbe poter disporre di un collega con tanto talento. Basti vedere la resa grafica magistrale della scena della vestizione di Rafael Guerrero o il piccolo capolavoro dello svolgimento della corrida nel primo albo, con scorci di arene e borghi affollati che sono una delizia per gli occhi. Ogni singolo tratto è messo al suo posto, molto ben resi gli abiti e non dispiace nemmeno la rappresentazione grafica di Tex e Carson, sebbene reputo che il risultato migliore lo si ottenga con Montales, reso davvero molto bene dal pennello dell’artista. Dopo la doverosa premessa relativa al comparto grafico, che, in maniera del tutto eccezionale, anticipa nel mio commento le considerazioni sulla trama, mi accingo a esprimere il giudizio sulla prova di Boselli. L’attuale curatore della serie, appena reduce da una trama tipicamente gbonelliana, virò il timone della sua fantasia verso la rotta opposta, sfornando un soggetto originale e fresco che indubbiamente affascina il lettore. La trama sviluppata ha il sapore di una novella mista alla Soap, con un amore contrastato dalla prepotente tirannia di una ricca famiglia di allevatori, che vagamente ricorda la celebre ostruzione di manzoniana memoria. Le sorti dei giovani Rafael ed Elvira s’intrecciano con il passato dei genitori, coinvolti in un tragico triangolo amoroso, le cui ferite non hanno mai smesso di sanguinare. In un brulicare di soprusi, violenze e agguati, spuntano i nostri rangers, che, sebbene un po’ defilati dalla centralità della trama, non lesinano il loro onesto contributo. Ottimamente resi, come consolidata tradizione del nostro Borden, protagonisti e comprimari e l’accurata caratterizzazione contribuisce a valorizzare la prova. Bello l’epilogo con la “corrida privata” all’ultimo sangue e il colpo di scena (un po’ telefonato a dire il vero) dell’identità di Santiago che confida di essere il padre di Rafael. Il lieto fine risulta inevitabile dopo tanta violenza e sangue e con il pentimento del giovane Rico, cala il sipario su una bella storia, che sebbene non eguagli il capolavoro che da lì a poco Boselli sfornerà a fine centinaio, mi colpì fin dalla prima lettura. Proprio in quel periodo Borden scavalcò Nizzi nella graduatoria delle mie preferenze; non ho mai nascosto il fatto di essere un grande estimatore dell’autore di Fiumalbo, che contribuì con le sue creazioni nei tardi anni 80 a farmi innamorare del personaggio, ma, al netto di qualche piacevole eccezione, con l’inizio del nuovo millennio il suo estro creativo ebbe un’involuzione palese e ben presto la forbice con l’ispirazione di Boselli si divaricò notevolmente. P.s. Fortunatamente la vignetta con Rafael che sostiene: “fumare mi distende i nervi” non ebbe la coda polemica e processuale della simile battuta recitata da Laredo qualche anno prima! Ovviamente ho sempre trovato quella querelle paradossale ed esagerata, tanto è vero che il tutto si schiuse, come ovvio, in una bolla di sapone. Mi chiedo, a tal proposito, se Mauro optò per un tale testo, con l'intento sarcastico di scimmiottare tutta quell’orda di “buon pensanti”, che davvero credettero che un fumetto western potesse nel XX secolo istigare i giovani al vizio del fumo. Beh, stendiamo un velo pietoso su simili tentativi assurdi di censura. Il mio voto finale è 8
  3. “Tutto il resto è noia” cantava Califano e per la storia in questione il ritornello si addice perfettamente. La noia infatti la fa da padrona lungo lo sviluppo della lunga (anche troppo!) sceneggiatura. Sorvolando sullo spunto poco originale di soggetto, il più classico dei canovacci western con lotte fra allevatori per il dominio dei pascoli, visto che la ripetitività tematica che in una lunga saga come quella del famoso ranger è a tratti inevitabile, ciò che più fa storcere il naso è il modo con cui Nizzi affrontò la sua prova. Un primo errore basilare, a mio modo di vedere, fu optare per uno sviluppo di narrazione spalmato su tre albi; il soggetto scarno non garantiva un così massiccio numero di tavole e infatti la sceneggiatura appare molto dilatata e poco incisiva in alcuni passaggi chiave. Anche i dialoghi, vero cavallo di battaglia di Nizzi nella sua fase di massimo splendore, diventano prolissi, pesanti e troppo spesso ribadiscono azioni e circostanze che il lettore ha avuto modo già di vedere tra le vignette. Tutto sommato l’autore non incappa in grossi svarioni narrativi, ma non riesce mai a far spiccare il volo alla sua prova e gli sbadigli si moltiplicano come le zanzare nelle afose notti estive . Un esempio della netta involuzione creativa nizziana? Quanto pathos ed epicità trasudavano scene passate, quali Tex al paredon in Messico o nel fiume sotterraneo in una delle prime magistrali interpretazioni di Villa; adesso il tentativo di ricrearne una simile, con Carson ferito e colto dallo sconforto, suona come una patetica caricatura. Una sequenza del tutto evitabile. Molto buona la caratterizzazione di Tessy Malone, una delle poche note positive della prova, molto meno quella di Jubal Ford. E’ vero che l’amore fa perdere lucidità, ma il tirapiedi sembra avere davvero il salame sugli occhi, eddai! Ci voleva la sfera di cristallo per capire che la perfida Tessy lo stesse prendendo per il c… ehm colletto? Anche l’epilogo da parodia di una tragedia shakesperiana finisce col convincere poco. Tex sembra deciso e tutto d’un pezzo ma cade banalmente in troppe trappole telefonate. Male Carson, tornato a indossare il suo abito di “macchietta”. Inaccettabile, a tal proposito, la sua reazione nella scena dell’arrivo in notturna della notizia della morte di Braddock: manco fosse un pensionato rintronato che si lamenta a lasciare il letto per sincerarsi dell’accaduto . Nell’epilogo Nizzi cerca di riabilitarne l’onore, ma queste macchie rimangono. A completare il quadro della mediocrità della storia, i disegni un po’ sottotono di Fusco. Il grande disegnatore comincia a far trapelare un po’ di stanchezza; il suo stile rimane sempre possente ma parecchi profili sono a dir poco grotteschi con colli sproporzionati e i menti esili esili. Non resa in maniera eccelsa nemmeno Tessy: doveva essere una bella presenza tale da fa girare la testa agli uomini solo a vederla, ma l’esito grafico è così e così. Mi chiedo poi come mai il compianto artista ligure fosse così avaro con le sue creature femminili in quanto a taglie di reggiseno: mi auguro che nel selvaggio west le donne non fossero tutte come quelle rappresentate da Fusco, se no i produttori di biancheria intima erano destinati tutti alla bancarotta. Il mio voto finale è 5
  4. Preciso che ho sempre stimato Letteri, però è innegabile che negli ultimi anni di carriera il suo tratto subì una grave regressione artistica. A mio avviso uno sceneggiatore, anche non volendo ovviamente mancare minimamente di rispetto per il lavoro di un illustre collega, un simile fattore non può trascurarlo nella fase di assegnazione di una storia. Che poi soggetto minore o meno ambizioso non significa storia peggiore o chissà cos'altro. Reputo naturale che in una programmazione seriale se si ritiene che un episodio presenti delle caratteristiche meno adatte a un disegnatore, si provveda ad affidarlo ad altri colleghi e scrivere per l'interessato, uno spunto più adatto alle attuali possibilità. P.s. Sul Passato di Carson, non scherziamo: se non è un capolavoro quello mi mangio un cactus intero!
  5. Per una particolare coincidenza, la triste notizia della morte di Gian Luigi Bonelli arrivò mentre era in pubblicazione questo episodio, uno dei più Gbonelliani scritto da Boselli fino a quel momento. Un segno del destino a voler consacrare un simbolico passaggio di consegne? L’episodio in se è efficace, sebbene non trascendentale e una curata sceneggiatura colma uno spunto di soggetto non del tutto originale. La mia impressione è che Boselli in quegli anni, destinasse a Letteri i suoi soggetti minori e non è un caso che anche la storia in questione sembra scritta per portare a casa il compitino. Inconsueto e poetico il preludio, con il maggiore Owen Wingate che prende congedo dalla sua amata Arizona per andare in pensione. Non male il ritmo e lo sviluppo narrativo che porta al dipanarsi della trama, con una cricca di scavezzacollo che trucidano il povero Nantay per noia e razzismo e un Tex duro e deciso nelle vesti dell’inflessibile giustiziere. Non manca, nella migliore tradizione bonelliana, il boss di turno e la lista di colpevoli da punire, come non si fatica a trovare omaggi al grande Gianluigi, uno fra tutti la scena finale con la fuga nel deserto degli ultimi due banditi superstiti con le nubi a forma di morte con tanto di falce (vedi una Campana per Lucero) e la follia di Donovan che ricorda l’epilogo di Rio Verde con il complice di Proteus che dà di desta durante la fuga. Prova che si attesta abbondantemente sopra la sufficienza, non avvalorata purtroppo dai disegni di Letteri, ormai giunto a un livello grafico troppo debole e altalenante rispetto ai suoi passati canoni. P.s. Con la storia non c’entra nulla ma mi va comunque di esprimere una considerazione, che si è insediata tra i miei pensieri rileggendo il vecchio albo: quanto mi manca l’elenco degli arretrati stampato in quarta pagina! Capisco che l’era di internet ha stravolto molte delle vecchie abitudini, ma era comodo consultare i titoli passati direttamente sull’albo (poi quando per riempire eventuali spazi vuoti nella lista si inseriva lo splendido disegno di Galep, oltre all’utile ci si lustrava pure gli occhi). Il mio voto finale è 6
  6. Di colpo, sembrò che Nizzi, dopo aver scorto la celebre DeLorean parcheggiata in via Buonarroti, si concesse un viaggetto nel decennio precedente per scrivere il sequel del fortunato episodio delle "Colline del vento". In effetti, dopo un periodo di appannamento artistico, la storia in questione si rivelò un autentico gioiello e rileggendola, si ha l'impressione che l'autore fosse tornato ai suoi tempi d'oro, quando la verve creativa era al top. Che le storie con le guerre indiane siano nelle corde di Nizzi, non vi è dubbio, come è innegabile che il ciclo con i Sioux di Nuvola Bianca sia uno dei suoi fiori all'occhiello. Lo spunto iniziale, inevitabilmente si rifà e si intreccia, senza grandi novità, con l'episodio precedente. L'accordo tra esercito e Sioux, firmato dopo la sconfitta di Stonewell torna a traballare per l'assidua presenza dei cercatori d'oro nel terreno destinato agli indiani. La trovata di Tex per evitare il peggio è quello di proporre agli emissari del governo un accordo scritto che garantisca agli speculatori il diritto di sfruttamento dei giacimenti auriferi, lasciando il possesso delle sacre colline al popolo di Nuvola Bianca. Lo sforzo diplomatico del ranger, avrebbe successo se non ci si mettesse di mezzo il fato. L'incidente al forte il giorno della firma a Fort Walsh fa precipitare il tutto e il conflitto sembra a tal punto inevitabile. Anche la cieca intransigenza dell'ottuso colonnello Drake, unito all'odio per gli indigeni, complica il tutto. Il canovaccio della trama è il classico nizziano, ma l'ottima sceneggiatura, i giusti tempi narrativi e i funzionali dialoghi rendono la storia interessante e coinvolgente. Il culmine comunque si ottiene nel terzo albo, quando fra colpi di cannone, sassi ruzzolanti dalle gole, urli di Drake e l'intervento di Davis, l'episodio prende quota, raggiungendo vette altissime di epicità e lirismo con il sacrificio di Nuvola Bianca e il picchetto militare d'onore voluto dal generale all'arrivo della sua salma nell'accampamento militare sui Saka Wata. Anche molto bella la scena del breve diverbio verbale tra Tex e Davis, due uomini dalla forte personalità e stima reciproca, che affrontandosi sullo spinoso argomento, danno scintille. L'epilogo è da lode e rende memorabile la prova di Nizzi. Da menzionare l'ottima personalizzazione dei protagonisti e comprimari. L'autore di Fiumalbo sembra indossare per una volta i panni di Boselli (maestro nel dipingere i caratteri delle sue creature letterarie) scodellandoci un parco personaggi molto ben assortito e delineato. Nuvola Bianca è un capo saggio, fiero, leale e sincero (bella la scena in cui ammette a Tex di aver momentaneamente perso fiducia in lui durante il cannoneggiamento della montagna sacra). Non gli manca l'ironia e il senso di responsabilità. Per il bene del suo popolo sacrifica la sua vita in una sequenza splendidamente scritta da Nizzi. Il colonnello Drake è il tipico militare arrogante, smanioso di gloria e razzista. S'incaponisce sulle sue posizioni con ottusa intransigenza e nei momenti topici della vicenda mostra la sua meschinità e vigliaccheria. Gli fa da contraltare l'ottimo capitano Orwell, un autentico galantuomo pieno di buon senso e ligio al suo dovere. Personaggio molto interessante che pur di evitare un inutile bagno di sangue, asseconda il piano di Tex e boicotta la spedizione punitiva. Odia palesemente Drake ma gli salva la vita, mostrando un innato coraggio. Un personaggio che mi è sempre molto piaciuto e che riceverà giustamente una meritato avanzamento di grado sul finale. Stupisce come Nizzi nelle due sue ultime prove rivaluti alla grande Carson , dopo averlo a lungo bistrattato. Il vecchio cammello è praticamente perfetto nell'episodio e il ruolo da leader che assume nelle caverne in assenza del pard, gli fa onore. Tex, sebbene sia fatalmente destinato a pagare un prezzo molto alto, dà l'anima per salvare il salvabile; chi mi ha invece lievemente deluso è Cervo Veloce, che rispetto alla sua prima apparizione, risulta più impulsivo, meno freddo e sarà proprio una sua infausta reazione a generare l'effetto domino degli eventi. Ottima pure la prova grafica di Monti, giunto all'apice della sua carriera artistica. Non fa rimpiangere affatto Ticci (mica poco!) e mantiene costanza e qualità nella considerevole distanza dei tre albi. Unico caso per lui e considerata la sua nota lentezza, credo sia stata struggente l'attesa in redazione. Ottimi paesaggi, notevoli vignette di combattimento con numerosissimi soggetti e discreto dinamismo di tratto, avvalorato da sapienti contrasti fra bianco e neri. Unico neo, già più volte da me fatto notare, l'eccessiva ripetitività di fattezze dei suoi soldati. Curioso difetto ripetuto dal compianto disegnatore che stranamente gli editor non evidenziarono mai nelle sue storie. Il mio voto finale è 9
  7. Condor senza meta

    [Texone N. 35] Tex l'inesorabile

    Attendere febbraio per poter finalmente soppesare in mano il canonico texone, giusta o sbagliata che sia la scelta di marketing della casa editrice, può in fondo non essere un problema; rischiare di vederselo spoilerare (anche se involontariamente) sui social o sul forum, invece è alquanto antipatico. Per non correre rischi, d'ora in avanti, mi asterrò dal leggere i commenti su questo post ed eviterò come la peste le pagine social ufficiali. P.s. Inutile nasconderlo, anche il sottoscritto è rimasto un po' deluso della programmazione editoriale che trascura la fascia tradizionalista di lettori che da decenni segue (e supporta!) la saga con immutata passione e affetto per il personaggio, ma le parole di Boselli e il suo evidente disagio a gestire una scelta "dei piani alti" da lui non condivisa, aiuta ad attenuare lievemente il senso d'amarezza e merita il nostro ringraziamento.
  8. Durante la rilettura degli albi passati della collana, mi sono imbattuto in questa ben riuscita storia. Mi ha fatto una certa impressione leggere la data di pubblicazione: agosto e settembre 2000, in pratica son passati diciannove anni, ma sembra ieri quando uscì in edicola. Avrei potuto esprimere le mie impressioni senza necessariamente rileggere l'episodio, visto quanto l'avvincente trama mi è rimasta impressa e già questa considerazione, depone, ovviamente, a favore della prova del grande Boselli. La chiusura texiana del primo anno del nuovo millennio fu col botto: dopo l'ottimo esito de "Il presagio", che Nizzi ribadirà con il ritorno di Nuvola Bianca nel trimestre finale, anche l'attuale curatore contribuì, con questa effervescente sceneggiatura, per innalzare il livello qualitativo della saga in quei mesi. Riprendendo una vecchia leggenda del west, l'autore architetta una trama funzionale e scoppiettante. Tex e Carson in forma granitica, si ritrovano casualmente a incrociare le orme del bulbero immigrato tedesco Kurt Weiser e pagina dopo pagina emergono aspetti del suo oscuro passato che si intrecciano con i piani del losco ranchero Sutton, che è pronto a tutto pur di impossessarsi della perduta miniera dei Peralta. Su tutto capeggia la maledizione del ricco giacimento, che sembra essere protetto da sanguinari fantasmi tagliatori di teste. Scorrendo l'agevole lettura, conosciamo meglio i protagonisti, ottimamente dipinti dal sapiente autore. Ci stringiamo attorno al dolore dell'affascinante Maria, affranta per le sorti del figlioletto Andres, vittima di un diabolico piano studiato da Sutton e messo in pratica dall'ineffabile dottor Manning, che gettando la maschera, rivela un'anima cupa più di un cielo plumbeo durante un violento temporale. Kurt Weiser al contrario, dietro una scorza di bulbero orso, si rivela un brav'uomo, rispettoso verso il popolo rosso e fedele amico del socio tedesco, dispersosi sui monti superstizione anni prima. Proprio il segreto estorto a "Loco" ( che altri non è che Jacob Stolz) con una potente droga che lo porterà alla morte, permetterà al villain di scoprire l'ubicazione della ricchissima miniera sotto l'ombra del pinnacolo "L'ago del diavolo". Tra i contrafforti spettrali dei Monti Superstizione si svolgerà l'avvincente battaglia finale, con i nostri eroi abilissimi a strappare Andres dalle mani dei nemici e sconfiggerli definitivamente, grazie anche all'inatteso aiuto dei famigerati tagliatori di teste, che alla resa dei conti nulla hanno a che fare con il paranormale, essendo degli irriducibili guerrieri Apache, un po' in là con l'età che sfruttano il tempo libero della loro "pensione" proteggendo la miniera e Kurt Weiser, entrato nelle loro grazie.. Non mancano alcuni colpi di scena a effetto come il recupero della parola del piccolo Andres o il rinsavimento prima della morte dello sfortunato Jacob, come è un vero tocco d'artista quello di punire con la pazzia, le malefatte dell'infido traditore dottor Manning. Ottimo ritmo e dialoghi per un episodio da ricordare. Non era affatto scontato rendere avvincente una storia tratta da una leggenda, ma Boselli, in piena grazia compositiva, ci riuscì brillantemente. Strepitoso pure Ortiz, che con il suo riconoscibilissimo segno grafico caratterizzerà in pieno la sceneggiatura. Splendidi i paesaggi brulli e assolati che fanno da sfondo all'azione, ma non sono da meno le ottime scene notturne, con un sapiente uso di ombre che trasmette realmente ansia e pathos. Che dire poi dei suoi primi piani che ritraggono alla perfezione i visi rugosi e arsi dal sole dei protagonisti? Mimiche facciali ben riuscite e personaggi come Weiser, Stolz, Manning e Sutton resi alla perfezione. Ho sempre avuto un debole per l'arte del maestro iberico; qui alle prese con una delle sue migliori prove sulla serie regolare. Peccato solo per la lenta e impietosa involuzione, che lo accompagnerà negli ultimi anni della sua carriera, e gli farà destinare alcune ingenerose critiche. Il mio voto finale è 9
  9. Non è mica facile scrivere una recensione su questa storia. Potrei iniziare col dire che, sebbene lo spunto di soggetto riguardante l’ennesima congiura atta a mirare all’oro dei Navajos sia ricorrente sulla saga, nel caso specifico Nizzi ricava una sceneggiatura avvincente, ma non sarei il primo a sostenerlo. Potrei evidenziare che l’ardita novità sulla saga di abbozzare una love story con Tex protagonista fa fare un salto di qualità al soggetto, ma anche questo punto è stato scandagliato in lungo e in largo dai forumisti che hanno commentato prima di me. Imperterrito, da buon carsoniano, potrei dunque esaltare l’ottima performance risolutiva e indipendente del mio beniamino in baffi e pizzetto, che dopo svariate prove non esaltanti donatagli dall’autore, si riscatta alla grande in questa tripla, ma anche questo aspetto è stato adeguatamente spiegato in un altro commento precedente. Premesso ciò, la logica vorrebbe che io mi astenessi da scrivere il mio giudizio e passassi avanti, ma non me la sento proprio di esimermi dal dire la mia su un episodio che ho sempre apprezzato e che, a mio modo di vedere, rappresenta una delle vette qualitative del centinaio. Proverò dunque ad esprimere comunque le mie considerazioni. Nizzi, dopo una netta fase di appannamento creativo, sforna una sceneggiatura di spessore che valorizza in toto il soggetto, reso molto originale dall’idea suggeritagli da Civitelli. E’ indubbio che la presenza di Alison renda molto intrigante la storia. Tex è stato spesso circondato da belle donne, ma mai come in questo caso sembra vacillare dinanzi il fascino della sfortunata vedova. Nizzi abilmente, ricama scene molto ad effetto e si ha la netta consapevolezza che il nostro eroe, consapevole dei sentimenti sorti nel cuore di Alison, lotti con se stesso per rimaner fedele alla memoria di Lilith. Perché, a mio avviso, è palese che Tex non sia del tutto indifferente alla donna, scene come la doppia vignetta con i due che si augurano la buona notte al villaggio indiano fissandosi negli occhi, raccontano molto più delle parole che si pronunciano. Ovviamente, l’esito finale non poteva essere diverso: la donna seppur affranta dalla sua scelta obbligata, sarà costretta a dire addio al suo amato e cedere alle future avance del cognato e lo stesso Tex rimarrà fedele alla defunta moglie e non riuscirà a proferir parola vedendo Allison allontanarsi sul carro. Rimpianto? Amarezza per il suo destino di eroe? Rassegnazione? Non lo sapremo mai. Anche Tiger sembra accorgersene del turbamento interiore del ranger e, da buon amico, lo supporta, evitando di essere invadente e metterlo a disagio. Sarebbe davvero interessante se Alison tornasse in futuro, ma temo che nessun autore se la sentirà mai di cogliere fra le mani una castagna così bollente. Come precedentemente detto, anche la trama con la congiura ideata dallo squallido ufficiale, attratto più dall’oro che la gloria, e il forzuto Orso veloce che, sobillato dall’imbroglione Yanado, sfida Tex in un epico duello nel finale, rendono avvincente la prova, ma l’originale implicazione sentimentale (più unica che rara oserei dire) lascia il segno più di ogni altra cosa. Straordinari i disegni di Civitelli. Non condivido chi sostiene che il suo tratto non sia adatto al western; il talento del maestro aretino è universale. Sfondi fantastici, effetti in chiaroscuro eccelsi e un’espressività dei personaggi da urlo. Proprio i suoi disegni rendono indimenticabili il gioco di sguardi tra Tex e Alison, e la perfetta recitazione facciale dei protagonisti valorizza la sceneggiatura. D’altronde è innegabile che l’artista sentisse sua la storia, avendo contribuito alla stesura del soggetto, e indubbiamente questo lo spronò ulteriormente a dare il massimo. Il mio voto finale è 9
  10. Condor senza meta

    [Texone N. 35] Tex l'inesorabile

    Da buon tradizionalista, attenderò l'uscita del canonico "Texone" in edicola. Visto l'eccezionalità dell'evento, la speranza che si opti per una pubblicazione straordinaria di fine anno, è molto alta (d'altronde capitò una situazione simile, con doppio albo speciale annuale, nel lontano 1996 appena il compianto Magnus consegnò l'opera, ultimata dopo una lunghissima e struggente attesa dei fans); ma se anche si dovesse attendere, per esigenze redazionali, la data di giugno 2020, lo farò senza eccessivi patemi. A giudicare da alcune straordinarie anteprime di tavole postate da Villa, il livello grafico dell'opera è così stratosferico che, parafrasando un noto modo di dire, l'attesa del piacere sarà pur essa un piacere! Concordo con Letizia: una scelta cromatica a mio modo di vedere del tutto fuori luogo, che disturba non poco l'occhio e rischia di non far risaltare l'ottimo soggetto illustrato da Villa. Ancor più sconcerto lo si prova, osservando l'originale sfondo architettato dal disegnatore, molto meno monocorde ed efficace. Suppongo che ci siano ragioni redazionali dietro simile scelta che noi lettori non conosciamo, magari la fretta per l'approssimarsi dell'evento di Lucca o valutazioni sui costi di produzione, fatto sta che un tale esito finale è una sorta di "stupro" all'eccezionale cover abbozzata da Villa.
  11. Dopo le futuristiche invenzioni di scienziati squilibrati, resurrezioni di mummie, batteri killer provenienti da altre galassie, Boselli affidò ai pennelli dello stakanovista Letteri una sceneggiatura dal sapore letteralmente western; una trama alquanto breve, dal soggetto basilare ma che si rilegge sempre molto volentieri, grazie alla grande abilità narrativa dell’autore. Un Tex Gbonelliano a tutto tondo, agisce fra le pagine senza i consueti pards, trovando per strada degli alleati insoliti come la dolce Rose Clampett e il simpatico sceriffo Merrick, un figlio d’arte particolare che, nonostante non abbia ereditato dal padre la capacità con le armi da fuoco, dimostra nelle emergenze uno spiccato coraggio. Anche il sottoscritto si annovera nella lista di coloro che trovano un po’ forzata la scena del deserto nell’incipit; sarebbe bastato a mio avviso non far perdere i sensi al nostro per renderla più plausibile, tuttavia l’arrivo di Tex affaticato, con tanto di barba incolta, al ranch di Rose e la successiva lezione inflitta a Indigo e soci è davvero ben scritta. Anche il giallo imbastito da Boselli intriga molto il lettore, che tra le pagine tende a passare in rassegna i probabili colpevoli, prima del colpo di scena finale. Meritano menzione gli ottimi dialoghi e la consueta caratterizzazione efficace dei protagonisti. Il Tex boselliano rende onore agli stilemi del suo creatore: coraggioso, deciso e tutto d’un pezzo. Molto ben sfaccettata pure la figura di Sam Brackett, un ranchero vecchio stampo, che non bada per il sottile pur di salvaguardare i propri interessi, ma in fondo non disonesto e dotato di alcune concezioni di etica morale. Indigo è il tipico sgherro sborrone e disposto a tutto, (compreso tradire) per arricchirsi. Arrogante e prepotente, non disdegna di vessare i più deboli, tuttavia è il tipico villain che agisce alla luce del sole. Stanley Dance invece, dietro l’apparenza di galantuomo, nasconde un’anima più nera della pece. Oltre a essere l’assassino del fratello della giovane indiana, circuita e abbandonata, quindi la figura cardine su cui ruota tutto l’episodio visto che Tex è sul sentiero di caccia per vendicare i due navajos, si scopre a fine indagine, essere anche l’autore dell’omicidio del marito di Rose e, come se non bastasse, in combutta con Indigo per fare le scarpe al vecchio Brackett. L’autore ci fa capire che il nostro ranger sa fin dall’inizio, per via del marchio, l’identità della sua preda, ma ovviamente durante la vicenda il lettore stenta a crederlo. Riassumendo, una prova ben riuscita che periodicamente mi fa piacere rispolverare. Nella media del periodo la prova grafica di Letteri, ormai da un pezzo incamminatosi lungo il mesto viale del decadimento qualitativo. Il mio voto finale è 7
  12. Il nostro amato ranger si affacciò nel nuovo millennio con una storia rientrante nei più classici canoni nizziani. Un buon soggetto riguardante l'ennesima congiura ai danni degli indiani, ramificata questa volta fino a Washington, con brutti ceffi, agenti corrotti e i nostri eroi schierati in prima linea per smantellare l'apparato criminale, scortando importanti testimoni indigeni a deporre dinanzi la commissione d'inchiesta voluta da Ely Parker. Ben conscio di muoversi sul suo terreno (perchè è indubbio che Nizzi in queste tematiche ci andava a nozze), l'autore si apprestò a imbastire una passabile sceneggiatura per avvalorare al massimo il buon spunto iniziale, però l'esito finale risente molto della sua fase calante d'ispirazione. Ormai privo di quella effervescente verve creativa che caratterizzò il suo lavoro sulla serie nel decennio precedente, Nizzi fornisce al lettore l'ennesima dimostrazione di affidarsi al mestiere per portare al temine le sue prove, quasi perchè costretto più che ispirato. La sceneggiatura, sebbene conservi un accettabile ritmo narrativo, inciampa su alcuni passaggi forzati, tipici di chi cerca a tutti i costi sbocchi per mirare all'obiettivo e non far arenare la trama. Già alcuni forumisti prima di me, hanno fatto notare in maniera dettagliata quanto la leggerezza nei confronti dello scampato Mike Thompson faccia storcere il muso e si riveli il fulcro su cui basare gran parte dell'episodio. Anche l'eliminazione di Berkamp, avvenuta all'interno dell'infermeria del forte ad opera del gestore dello spaccio (che, se da un lato è ricattabile da Thompson a tal punto di dover macchiarsi le mani di un delitto su un semplice ordine scritto, dall'altro commette l'assurda imprudenza di non bruciare il biglietto), suona come una scorciatoia per indirizzare subito i nostri sulla strada giusta. Infatti da lì a poco, senza grandi problemi, Tex risale la fila, identificando Latimer sul treno, e dopo aver scampato all'agguato teso ai suoi danni grazie al colpo di scena dei navajos imbarcati sul vagone merci, raggiunge Washington con i suoi compagni di viaggio. L'epilogo è molto movimentato, anche se pare alquanto improbabile che uno scaldasedie del calibro di Douglas, sia in grado di prendersi gioco dei ranger in quel modo e costringerli a slacciare i cinturoni. L'autore si rifà alla grande con due pagine di pura poesia: il dialogo fra Tex e Joselito appena giunti in stazione nella capitale è intriso di malinconica filosofia esistenziale e saggezza indiana, lasciando il segno nel lettore. Una considerazione acuta sulla vita e l'assurda corsa al guadagno dell'uomo che si perde le vere ricchezza dell'esistenza durante il suo percorso terrestre seguendo fugaci e illusorie chimere; molto intensa e che fa riflettere. Gran classe! Nel complesso una buon lettura, ma rimane la consapevolezza che, se un simile soggetto Nizzi lo avesse sviluppato in piena grazia compositiva, sarebbe diventato un gioiellino; così a stento si riesce a ricordare la storia dopo aver riposto gli albi sullo scaffale. Ultima prova di De La Fuente sulla regolare, che si disimpegnò senza grandi picchi o grossolani scivoloni di stile, tuttavia il disegnatore spagnolo durante la sua opera sulla serie, palesò una notevole fatica a pareggiare il buon debutto sul texone. Forse fu dovuto allo scarso feeling con il personaggio o al fisiologico calo artistico dovuto all'età, fatto sta che le sue prove, sebbene egregie e ben caratterizzate da un tratto classico ma personale, mancano sempre di qualcosina per fare il vero salto di qualità. Buone le ambientazioni e l'espressività dei personaggi, purtroppo l'artista iberico cicca in pieno i due pards, con un Carson irriconoscibile e il volto di Tex che la redazione preferì affidare ai ritocchi di Monti, anzi mi stupisce come il suo nome non appaia fra i crediti visto la mole di lavoro, come accadeva con Galep nelle storie di Muzzi. Curioso il breve cameo di Kit e Tiger, con il navajo ammutolito che non pronuncia nemmeno un "Ugh" ; sembra quasi che il duo sia stato inserito solo per far cimentare, almeno una volta, De La Fuente con i comprimari, prima del congedo dalla saga. Il mio voto finale è 7
  13. Ho sempre reputato la storia in questione come una delle più deboli composte da Boselli, nel suo brillante lustro di esordio sulla saga. Ciò non vuol star a significare che l'episodio sia insufficiente o da dimenticare, ma rispetto alle altre prove del periodo paga parecchi punti, a mio avviso. Il soggetto si riallaccia alla splendida storia "Cercatori di piste" pubblicata qualche anno prima, difatti assistiamo al ritorno di personaggi come Luna, Novak e il piccolo John Torrence, con l'aggiunta per l'occasione dell'erculeo Pat, che riappare per due avventure consecutive come spesso accadeva durante la gestione di G.L. Bonelli. Fin dall'inizio però si percepisce che l'assenza del ex sergente eroe sarà pesante, infatti, con tutto il rispetto, il pur ottimo Novak, nell'economia di una storia simile, non regge il paragone con il carisma del suo stimato superiore. Anche Luna, sebbene in alcune sequenze ci mostrerà il suo coraggio e l'innata determinazione, servirà all'autore solo come spunto principale per sviluppare la trama, visto che passerà tutto l'arco del tempo prigioniera del crudele Yaqui Narvaez. La caratterizzazione dello spietato villain è alquanto complessa, ma nell'insieme plausibile. Narvaez è il tipico tiranno mediocre e abbastanza vigliacco, che esercita la sua autorità con il terrore e il sangue. Finché tutto gli va bene recita la parte del leone e del padreterno in terra, dispensando vita e morte a proprio piacimento fra nemici e sottoposti, ma appena trova pane duro per i suoi denti (il nostro Tex nello specifico) evapora come acqua al sole e mostra tutta la sua indole meschina. Boselli si diverte pure a ritagliargli su misura il ruolo di un pavido superstizioso che trema dinanzi ai presunti presagi inviategli dal Grande Spirito e gli riserva una fine rapida e alquanto umiliante, come in fondo merita. Il "ratto delle Yavapai" nell'incipit, con tanto di sfida ad Aquila della Notte, a esser pignoli, può sembrare un pretesto un tantino forzato per dar via alla storia, tuttavia l'episodio si dipana bene, anche se il ritmo narrativo, soprattutto nella marcia di avvicinamento alla Sierra Negra, è un tantino lento e ciò stupisce un po', considerando lo stile compositivo boselliano sempre molto serrato ed effervescente. Anche alcuni snodi narrativi nell'epilogo appaiono un po' al limite, vedi il modo con cui si libera dal palo della tortura Pat, o la gabbia divelta a mani nude da un Tex, che evidentemente avrà ingurgitato una buona dose di spinaci come Popeye per riuscire in una simile impresa. Visto l'assenza di Carson e il ruolo marginale del giovane Kit, personalmente non mi sarei sbarazzato di Tiger nella trama, ma l'autore preferì puntare sull'accoppiata Novak-Pat per affiancare Tex, anche se in fin dei conti il loro aiuto risulta marginale e il nostro ranger (in ottima forma), riesce da solo a fare la differenza. Sempre efficaci i disegni di Marcello, destinati stavolta a un episodio nella media qualitativa rispetto alle perle compositive con cui il duo di artisti avevano fin allora abituato i fans, anche se il suo Pat l'ho trovato sempre troppo "longilineo" e con la massa muscolare alquanto asciutta; a mio modo di vedere poco affine alla chiara caratterizzazione di Bonelli, recepita da altri disegnatori sulla saga. Il mio voto finale è 6
  14. Staffette di disegnatori su un singolo episodio sono capitate sulla regolare, meno frequenti, per usare un eufemismo, quelle riguardanti le sceneggiature. “Golden Pass” è uno di quei casi più eclatanti in tal senso e l’esito finale della prova viene molto influenzato da questo inconsueto passaggio di consegne. Personalmente ho sempre avuto alcune curiosità legate a questo episodio e magari potrei avere qualche risposta qui sul Forum. Ero a conoscenza del fatto che Nolitta, alias Sergio Bonelli, cominciò la stesura della storia nei primissimi anni novanta per destinarla al grande Galep, appena reduce dell’albo celebrativo del numero 400. Purtroppo il compianto papà grafico del nostro ranger “giunto alla fine della pista”, non riuscì a proseguire l’opera e le sue tavole rimasero archiviate in un cassetto dell’editore, così come affermato dallo stesso Sergio Bonelli in una delle sue rubriche pubblicate in appendice nelle ristampe. Desumo che, trascorsi alcuni anni, in redazione si sia deciso di riprendere lo spunto e rimettere in lavorazione la storia. A differenza dell’episodio dei "Wolfers", Ticci viene incaricato di ridisegnare pure la sessione già illustrata anni prima da Galep, presumibilmente per una carenza grafica dovuta alla malattia del grande Aurelio e il resto della sceneggiatura viene affidata a Boselli. Prima domanda: considerata l’esigenza di ridisegnare tutte le tavole, perché non far scrivere in toto la sceneggiatura a Boselli? Seconda curiosità: L’attuale curatore si attenne allo spunto di soggetto originario di Nolitta o modificò a suo piacimento il proseguo della narrazione? A primo impatto la seconda mia domanda può sembrare scontata, ma considerando il netto stacco fra le due sessioni e il fatto che praticamente nel primo albo Nolitta si limiti a tergiversare con lunghe scene e prolissi dialoghi fini a se stessi, dando l’impressione di andare avanti alla cieca senza sapere quali sbocchi far prendere alla storia, qualche dubbio me lo mette. Inutile nascondere che il primo volume, così come concepito ha poco senso. Ometterlo non solo non avrebbe inficiato l’esito finale, anzi lo avrebbe di gran lunga migliorato. Può darsi che il sottoscritto sia prevenuto nei confronti di Nolitta su Tex, ma analizzando l’albo n. 466 caratterizzato da una lunghissima scena, fine a se stessa, di una noiosa sparatoria a opera di due rubagalline che Tex non si prende nemmeno la briga di punire (anzi gli regala pure 100 dollari), dai disastri comici di un Pat, che riesce perfino a farsi umiliare nella box e i dialoghi verbosi dei nostri, pieni di battute e risatine da orticaria di Carson, non succede nient’altro e già allora ebbi il sospetto di aver buttato le 3.500 lire, prezzo di copertina in quel lontano 1999. Appena la sceneggiatura passò in mano a Boselli, il ritmo cambiò repentinamente e la narrazione entrò nel vivo, con la discreta caratterizzazione dei personaggi e un’accettabile trama, sebbene un po’ prevedibile. A tal proposito, si ha l’impressione che Boselli, costretto a cimentarsi in una storia non del tutto sua, appaia come un po’ imbrigliato; riuscì nell’impresa di dare un filo logico agli eventi e rendere leggibile la prova, ma non potendo dare sfogo oltremodo alla sua fantasia e vincolato dalla localizzazione della vicenda tra Nameless Town e Georgetown, portò a casa il risultato senza eccessive pretese. Buone comunque le caratterizzazioni dei suoi personaggi, scoppiettante la sceneggiatura e vivaci i dialoghi. Consueta prova magistrale di Ticci, sempre molto abile nelle rappresentazioni paesaggistiche e dinamismo di narrazione illustrata, tuttavia, a voler trovare un piccolo neo nelle sue tavole, mi convince poco la rappresentazione grafica della moglie del banchiere, un po’ di sensualità e fascino in più non avrebbe guastato, visto che proprio di queste armi la reale villain si serve per circuire il giovane Behan. Il mio voto complessivo è dato anche questa volta da una media aritmetica: 4 per ciò che concerne il minestrone in salsa comica di Nolitta e 7 il proseguo più consono scritto da Boselli. Aggiungo mezzo punto in più, perché non me la sento di affibbiare un voto inferiore alla sufficienza all’ultima storia di Tex in cui appare fra i crediti il nome del suo editore. Il mio voto finale è 6
  15. Tempo fa, quando mi apprestai a commentare il ritorno della Tigre Nera, espressi il mio punto di vista in merito ai ritorni celebri sulla serie o i sequel di episodi memorabili, specificando che il miglior modo per giudicarli è quello di evitare il confronto con il capitolo precedente. Questa teoria si attaglia perfettamente anche con la storia in questione, visto che qualsiasi confronto con il capolavoro “Il passato di Carson” è sconsigliato, sebbene si è consapevoli di trovarsi, comunque, al cospetto di una degna prova. Leggendo i precedenti commenti, è palese di quanto l’episodio abbia diviso i fans; Boselli stesso ha ammesso che fra le sue tante composizioni, quella che vede il ritorno di Lena e Donna sia stata la più criticata dai lettori. In questa sorta di schieramento fra i pro e i contro, il sottoscritto appartiene ai primi, sebbene non mancano alcune perplessità che mi impediscono di catalogare la sceneggiatura ai livelli delle storie migliori di Boselli sulla saga. Ma procediamo per ordine, scandagliando i vari aspetti che contraddistinguono “I sette assassini”. Il soggetto è alquanto basilare e poco arzigogolato: una banda di feroci e psicopatici criminali che intendono impossessarsi dell’oro della Banda degli Innocenti (o per lo meno quello che ne resta!) seminando lungo la loro strada una lunga scia di sangue. L’armonia di Heaven, piccolo villaggio minerario scelto da Lena Parker per ripartire come locandiera dopo la precedente avventura, ci viene mostrata come la quiete che precede il tifone, visto che il lettore è ben conscio che la banda di Thunder si abbatterà come un ciclone contro la pacifica e operosa popolazione. Tex, con la squadra al completo stavolta, si ritrova nei dintorni, con l’incarico di assicurare alla giustizia un ladro gentiluomo di cavalli, incappato in un omicidio “colposo” e finirà casualmente con l’incrociare la pista e ostacolare i villains. Sebbene il soggetto non brilli come il capitolo che lo precede, un’ottima sceneggiatura, che alterna scenari di ferocia a tranquilla vita quotidiana, introducendo quella che sarà la consueta e tiratissima sfida finale fra le vie di Heaven, accompagna piacevolmente il lettore e alcune scene di forte impatto, come la trappola incendiaria di Firewolf o il duello finale nell’oscura miniera, soddisfano il palato di colui che intende deliziare il proprio tempo con una lettura carica di tensione e colpi di scena. Il piatto forte della storia, come di consueto trattandosi di Boselli, è l’accurata e minuziosa caratterizzazione dei personaggi. E’ vero che l’autore stavolta azzarda un po’, mostrandoci dei villains molto “pittoreschi” e sui generis, ma tutto sommato, a mio avviso, Jack Thunder e la sua banda di squinternati non stridono più di altri strani antagonisti apparsi durante la gestione Gbonelliana. Attorno al pistolero cieco, al folle ma dotto gobbo Monk che recita Shakespeare, al maciste di colore che schiaccia come chiodi con la sua mazza le vittime, al sordomuto mascherato che si crede un mostro, al sadico addestratore di pittbull famelici e l’incendiario indigeno, gravita un alone di terrore e morte che indubbiamente attrae lo spettatore. Anche l’ampio campionario di personaggi minori della locanda è ben tratteggiato e variegato; i fantasmi del passato di padre Sheridan e il valore inatteso di Larrimer il galantuomo ubriacone, aggiungono sale alla narrazione. Rispetto al consueto, Boselli per l’occasione sceglie una classificazione più marcata fra il bene e il male, evitando la presenza di quei personaggi “grigi” suo vero marchio di fabbrica. Non manca il simpatico scavezzacollo che finisce con l’allearsi con i nostri, che risponde al nome di Bronco Lane e che si prenderà il lusso, assieme al coraggioso ma sfortunato fratello, di mandare a caccia di farfalle il quartetto in qualche occasione. Poco invece mi appassiona la figura di Kid Rodelo. Con classe l’autore lo fa umiliare da Carson nel finale, ma a dire il vero avrei evitato la sua lenta metamorfosi avvenuta nelle successive apparizioni nella serie. E’ curioso notare, come Boselli abbia negli anni cambiato idea e fatto tornare anche il redivivo Thunder; leggendo i commenti datati sul forum una simile situazione era stata categoricamente esclusa, sebbene l’epilogo con il classico crollo della volta, lasciava intendere che l’autore avesse lasciato lo spiraglio aperto per un simile ritorno. La liason di Kit con la giovane Donna, rappresentò per i tempi in cui fu proposta, una piacevole e coraggiosa novità che però si arenò in quei numeri purtroppo, così come la stessa Lena, a mio avviso, finì troppo ai margini della narrazione rispetto alla sua prima apparizione. Anche Tex appare un po’ più defilato del consueto e rischia spesso di farsi rubare troppo la scena, prima dai fratelli Lane, e poi da Tiger, che da vero mattatore, elimina di suo pugno ben due dei famigerati assassini, ostentando sangue freddo e abilità. Carson rispetto alla brillante performance precedente, incide meno e brontola di più, ma si riabilita alla grande acciuffando e umiliando Rodelo. Anche la sfida finale a Heaven, sebbene ben sceneggiata, non pareggia lo splendido scontro di Bannock, ma chiude comunque in maniera accettabile la storia. La mitragliatrice da sella creata da Monk rappresenta una licenza narrativa evitabile, come appare un tantino forzato l’arruolamento di Rodelo nella banda; strano che dei squinternati pazzi accettino di dividere la loro parte di bottino con un ragazzino (andandolo perfino a cercare nel saloon), un giovane che non si sente legato alla “famiglia” e sarà disposto a tradire uccidendo No Face, gettando così la maschera quando vedrà la mala parata sul finale . Ho, invece, molto apprezzato la presunta simbologia che ho colto in due vignette, che mi ricorda un po’ lo stile delle animazioni giapponesi anni ’80: una delle prime scene ambientate a Heaven ci viene mostrata con delle colombe che svolazzano tranquillamente a simboleggiare la pace e la tranquillità del villaggio. Giunta la banda, in una vignetta doppia si notano le stesse colombe minacciate dalle brutte grinfie dei molossi di Lizzard come a indicare che il male e la violenza hanno insediato l’armonia preesistente. Stessa simbologia usata sul finale con il cartello imbrattato rimosso e la popolazione all’opera per ristabilire lo status quo ante, dopo la folle incursione dei diabolici killers. Chiudo citando per l’ennesima volta la buona prova grafica di Marcello, partner ideale per Boselli, e coprotagonista conclamato del grande successo riscosso dall’accoppiata in quegli anni. La mia valutazione complessiva si aggirerebbe sul 7 e mezzo, ma abbuono mezzo voto in più per omaggiare la prolifica coppia dei “gemelli del goal texiani”. Il mio voto finale è 8
  16. Episodio carino partorito dalla penna di Nizzi, ben lungi dall’eguagliare il livello altissimo raggiunto nel precedente centinaio, ma pur sempre divertente e piacevole. Lo spunto di soggetto su cui si basa la storia è funzionale e una discreta sceneggiatura mantiene leggibile la prova per l’intera durata dei due albi. A dire il vero l’imput iniziale presenta alcune sbavature, soprattutto nella scarsa plausibilità di alcune azioni dei personaggi coinvolti, ma, come un motore a scoppio un po’ imballato che dopo aver balbettato all’accensione, appena scaldato, sale di giri e compie il suo dovere, anche la storia, dopo le prime pagine, prende il volo e i numerosi colpi di scena e passaggi di mano del famigerato diamante “maledetto”, rendono interessante la lettura. Accennavo ad alcuni passaggi forzati iniziali, che adesso cercherò di riassumere in breve: ci sta che il Maggiore britannico malato, disperato e reso poco lucido dal delirio della febbre gialla affidi la sua preziosa refurtiva al capitano della nave, nell’esile speranza che possa giungere alla figlia bisognosa; può anche starci che il capitano sia un galantuomo e non se ne approfitti, ma diamine, come si fa a lasciare un così rara meraviglia in cabina e farsela soffiare sotto il naso da due rubagalline? Secondo incongruenza: Flint e socio dopo il furto con aggressione è strano che non trovino di meglio che nascondersi sotto la gonnella di Liza Montego e, come se non bastasse, confidarle il prezioso segreto. Liza non è il capitano e infatti li beffa con estrema facilità. Ma la giostra degli errori non si ferma qui, proprio la Montego e lo sfigato amato, una volta preso il volo con il diamante, fanno in modo di fare arrestare i due marinai citrulli e proprio questo “atto di generosità”, metterà sulle loro tracce Tex e Carson, fino ad allora disinteressati alla grana dell’amico Mc Kenneth. Di tutt’altra pasta risulterà il biscazziere Patterman, che scoperto il segreto della gemma pregiata, non esiterà a liquidare avversari e sgherri propri pur d’impossessarsene. Fra inseguimenti, spiate, trappole e agguati si arriva al tragico epilogo delle sabbie mobili, scena molto ben architettata da Nizzi, che ci mostra quanto l’avidità e il desiderio di ricchezza possa portare l’uomo alla follia e indurlo persino a mettere il denaro dinanzi la propria vita stessa. La missiva ricevuta dai pards nelle ultime tavole non fa che avvalorare la teoria già ripetuta da Carson più volte nell’episodio “quel maledetto uovo di gallina porta sfiga” e visto gli eventi, come dargli torto? Tirando le somme, al netto delle forzature iniziali, l’episodio è buono e personaggi come il capitano del battello è un piacere incontrarli tra le pagine della saga. Chi di certo non portava sfiga era il grande Fusco, possente e solido in ogni sua vignetta. Simili sceneggiature erano nelle sue corde e l’esito garantito. Il suo inconfondibile tratto, seppur meno realistico e accurato di altri illustri colleghi, conserva quel calore e quel senso di familiare, che ti fa sentire a casa sfogliando le pagine. Una sensazione che stento a descrivere a parole ma che provo ogni volta che rileggo una storia da lui illustrata. E’ proprio vero che si apprezza una cosa solo quando non la si possiede più: da ragazzo non amavo troppo lo stile possente e prolifico dell’infaticabile artista ligure, oggi che non possiamo più leggere il suo nome nei crediti delle storie inedite, le sue tavole mi mancano tantissimo. Il mio voto finale è 7
  17. Immagino che per uno sceneggiatore sia sempre abbastanza complicato gestire il ritorno di personaggi, apparsi precedentemente in storie celebri. Le aspettative dei lettori, in questi casi, sono sempre molto alte e può capitare di non riuscire ad accontentare tutti. Personalmente la storia del "Profeta", sebbene non ai livelli di "Sulla Pista di Fort Apache", non la reputo una prova così disastrosa, ma è inutile sindacare su le valutazioni soggettive di ogni utente. Essendo legato alle figure di Laredo e Liz, mi farebbe molto piacere rivederli agire insieme, magari in una storia con la presenza di quel simpaticone del sergente Quincannon, ma mettendomi nei tuoi panni Mauro, posso pur comprendere l'eventuale reticenza a riproporli.
  18. Appena iscrittomi al forum circa un anno fa, una delle prime storie che commentai fu proprio questa e ciò rappresenta la prova tangibile di quanto ne sia legato. Ad avvalorare il mio attaccamento a questa splendida trama western, gestita sapientemente da un Boselli in stato di grazia, auspicai un possibile ritorno in futuro di personaggi come Laredo, Liz Starrett o il sergente Quincannon e non contento, abbozzai pure uno spunto di soggetto nell’apposita sezione del forum. Non ho tanto da aggiungere rispetto al mio giudizio espresso su questa sede mesi orsono, posso solo ribadire quanto reputi la storia molto bella e di valore. Boselli ci donò una sceneggiatura doc, valorizzando al massimo un classico soggetto western e creando, come nella sua migliore tradizione, un campionario di personaggi di tutto rispetto. Anche i disegni di Ortiz contribuirono alla perfetta riuscita dell’episodio. Il suo tratto sporco e vigoroso si sposò perfettamente con la trama e rappresentò un valido appoggio per l’ottimo lavoro dello sceneggiatore. Colgo l’occasione con il presente commento per palesare il mio giudizio complessivo sull’episodio, cosa che non feci nel mio precedente intervento. Il mio voto finale è 9
  19. Nell’intento di trovare nuovi spunti e idee originali, Nizzi scelse un soggetto giallo molto particolare, interessante ma abbastanza contraddittorio. La setta di giustizieri che agisce in nome della reale giustizia e che si propone di “lavorare gratis” nei casi di clienti poco facoltosi, pur di garantire la giustizia dove la legge non arriva, così come ci viene posta nell’incipit, sembra quasi essere alleata dei nostri e non nemica. L’autore forzando la mano nelle prime pagine, descrivendo le caratteristiche dell’organizzazione dell’abile Smirnoff (che a me ricorda l’attore James Tolkan di Top Gun), rischia di tirarsi la zappa sui piedi e per giustificare il fatto che i nostri debbano fronteggiarla, cerca via via di trasformarla all’occhio del lettore come un’associazione criminale senza scrupoli, retta da un folle idealista spietato. Il tentativo riesce a metà e rimane l’impressione che il soggetto fosse poco adatto per la serie ammiraglia della Sergio Bonelli Editore. La storia si fa leggere volentieri, grazie anche a una sceneggiatura serrata e ben gestita per gran parte della durata dell’episodio. L’arrivo dei due pards a San Francisco, innesca un effetto domino travolgente che darà vita a una sanguinosa catena di delitti, orditi dalla setta per impedire che i rangers possano afferrare il bandolo dell’intricata matassa. Smirnoff e soci si rivelano degli avversari svegli e attenti, infatti Tex durante le indagini arriva sempre in ritardo e quasi pare di poter essere fatalmente battuto. In effetti Nizzi, lasciandosi prendere troppo la mano, giunge al punto di arenare l’attività investigativa dei nostri. Con l’eliminazione di Duggan, la setta sembra aver ormai, come logico, la vittoria in mano; l’autore conscio di essersi infilato in un vicolo cieco, cerca di rimediare con la forzata scelta del villain di attirare gli avversari in trappola per ottenere vendetta. Bah, visto tutto il casino fatto per non lasciare tracce alle spalle, prendere il toro con le corna era proprio ciò che uno scaltro leader avrebbe dovuto evitare, tuttavia bisognava uscire in qualche modo dalle sabbie mobili narrative. Trovo troppo banale la trappola in cui i due ranger cadono al ristorante e assurda (sebbene inevitabile a quel punto) la scena in cui Smirnoff sulla barca, non butta ai pesci i corpi immobilizzati e privi di sensi dei suoi nemici. Coreografico l’epilogo con la piscina con tanto di squali famelici, ma il modo in cui i due pards riescono a capovolgere la situazione, appare troppo rapido e semplicistico. Un finale non degno che compromette abbastanza una storia fin a quel punto accettabile, sebbene dal soggetto controverso. De La Fuente in qualche modo se la cava, nonostante l’ambientazione cittadina non rientri del tutto nelle sue corde. Molti primi piani di Tex vennero ritoccati in redazione da Monti, ma vedendo l’esito disastroso con cui venne rappresentato il “Vecchio cammello”, avrei fatto ritoccare pure i visi del nostro buon Carson. Curiosa svista grafica in cui incappa il disegnatore spagnolo, nel primo albo, durante l’inseguimento dei nostri al killer dell’investigatore privato: i due pard si calano dalla finestra del retro che dà nel vicolo in cui è scappato l’assassino, ma vedendo la vignetta doppia in cui viene rappresentato Carson durante l’operazione, deduciamo che quella finestra sia posta a svariati metri dal livello del suolo. Passi (e già ho i miei dubbi!) che Tex e Carson siano degli acrobati e riescano a calarsi di spalle aggrappandosi alla soglia come viene graficamente rappresentato, ma rimane il mistero di come diavolo riesca il killer a inforcare frontalmente la medesima finestra e atterrare senza sfracellarsi al suolo, con l’aggravante della ferita alla gamba procuratagli dal piombo di Tex. Il mio voto finale è 6
  20. Condor senza meta

    [455] Vendetta Navajo

    L’albo celebrativo per i cinquant’anni, di speciale ebbe ben poco, se non il ricco inserto allegato e la splendida copertina pittorica di Villa. La storia autoconclusiva fu pubblicata nel consueto bianco e nero e non brillò particolarmente. Nizzi, per l’occasione, optò per un tema classico della serie, ovvero l’accusa ingiusta nei confronti di un Navajo e Tex costretto a mostrarne l’innocenza. La sceneggiatura risente della brevità della prova, ma l’autore ci mette del suo, spiattellando fin dalle prime pagine i veri colpevoli e riempiendo di spiegoni chilometrici alcuni passaggi chiave della trama. La storia si presenta monocorde e senza tanti sussulti. Ben presto la trama diventa prevedibile e la verbosità di alcune vignette alimenta la noia e la propensione a sbadigliare. Non irresistibile l’azione di Tex, che rischia pure di fare la fine del pollo se non ci fosse il giovane Sa-Hua a infilzare come un tordo il bieco Haggarty. Carson agisce di contorno, così come risultano non pervenuti Kit e Tiger. Haggarty e socio si rivelano due villain sciagurati, visto che riescono banalmente ad attirare su di se l’attenzione e per un albo di tale importanza, c’era da aspettarsi di meglio. Non male invece la figura del fiero KI-Nih, che deliberatamente disubbidisce a Tex per amore filiale e finisce per risultare il personaggio meglio riuscito. La storia non presenta vistosi errori di base, ma non appassiona e questo, a mio avviso, non depone a favore. Uno dei pochi momenti da ricordare, la bella scena, molto cinematografica, dell’accerchiamento ai danni della pattuglia dell’esercito a opera dei Navajos, resa ancor più maestosa dai, sempre ottimi, disegni di un Ticci immenso. Il mio voto finale è 5
  21. Da una sommaria analisi, pare che Boselli sul finire degli anni ’90 destinasse a Letteri, le storie più particolari e con soventi escursioni nel fantasioso universo del paranormale. Dopo “Terrore a Silver Bell”, “Wild West Show” ecco il turno del “Ritorno del Morisco”, episodio molto originale e lontano dai canonici stilemi western della serie. Ammetto che una rilettura attuale fa emergere perplessità su alcuni aspetti della narrazione, ma la prima volta che lo lessi vent’anni fa, rimasi entusiasta. L’idea di scandagliare il passato del Morisco è a mio avviso ottima e apre lo spiraglio per trarne interessantissimi spunti. Boselli coglie nel segno, cesellando un soggetto particolare arricchito dalla presenza di insoliti antagonisti, ovvero la setta egizia di fanatici che rispondono al nome dei “Figli di Horus”. La sceneggiatura è ben calibrata, a parte un leggero calo di ritmo sul secondo albo, ma come di consueto l’autore riesce sempre a donarci un finale serratissimo e carico di tensione. Nulla togliendo ai nostri due pards, che la penna boselliana dipinge sempre al top della forma, ciò che più affascina il lettore è la creazione di comprimari del calibro di Raza e il vecchio Jesse, che mostra, se ancora ci fossero dubbi, quanto lo sceneggiatore si trovi a suo agio nel caratterizzare i personaggi nelle sue prove. Juan Raza rappresenta il modello tipo del personaggio boselliano: un uomo molto in gamba, duro, deciso, che vorrebbe apparire malvagio ma in fondo ha un animo leale e nobile che nelle fasi clou della narrazione, lo porta a saltare il fosso e schierarsi con i nostri. Personaggio grigio alquanto complesso che indubbiamente fa l’occhiolino al lettore e lascia il segno. Il vecchio ranger in pensione Jesse, apparentemente sembrerebbe una macchietta, ma mostra il suo perché con l’evolversi della storia. Uomo di vecchio stampo, onesto e generoso, capace di saper perdonare (si veda il suo rapporto con Raza). Due personaggi che bucano la pagina e che l’autore, ovviamente, riproporrà anni dopo in un sequel. Molto simpatici pure i due ragazzini rapiti che rappresenteranno l’evento scatenante della conversione di Raza, come avvenne con la celebre Lucia manzoniana e l’Innominato. Detto ciò, si potrebbe pensare che l’episodio possa fregiarsi del massimo dei voti, ma realmente non è così. Sebbene molto leggibile e coinvolgente, la prova si attesta un paio di gradini sotto il virtuale livello delle migliori composizioni boselliane su Tex. La resurrezione della mummia, sebbene estrema, può starci come idea e sembra richiamare alcuni spunti bonelliani, visto che il patriarca del fumetto spesso e volentieri amava spaziare nell’insolito e nel paranormale, ma trovo che alcuni passi siano un po’ troppo forzati e ingenui, sebben altamente spettacolari. Improbabile che si potessero trovare dei consanguinei di un sacerdote morto tremila anni prima, mentre qui ne troviamo almeno quattro! Anche il campionario magico di oggetti sacri egizi riesumati addirittura da Atlantide, suona come un film di fantascienza o un albo di Martin Mystere: buffa poi la scena dell’occhio di Horus che manda il maleficio, respinto dallo specchio magico sostenuto dal Morisco, sembra più un passo di una fiaba fantasy per bimbi. Sull’identità del demone Bes sorvolo, ma la spiegazione del nano (immortale visto che più di trent’anni non lo privano affatto del suo vigore fisico!) non regge, di conseguenza la sua presenza tra le tavole sembra una forzatura. Anche il finale da “vissero tutti felici e contenti”, con l’improbabile ritorno in scena di Octave, dato per morto in tutta la narrazione e il ravvedimento di Sekhmet, che zitta zitta se la cava dopo aver barbaramente ucciso l’archeologo inglese, col senno di poi lascia la sensazione di un epilogo rosa da fiaba natalizia. Boselli, apre le porte al ritorno di Raza, ritagliandogli un possibile ingresso nei ranger, ma anche questo passaggio sembra un po’ troppo osato e simile al percorso già vissuto da Tex in giovinezza. Tirando le somme: storia gradevole, ma di certo non indimenticabile o esente da pecche. Anche i disegni legnosi di un logoro Letteri non contribuiscono molto a valorizzare alcune scene chiave. Il disegnatore romano tiene ancora botta nei primi piani, ma le figure intere perdono grazia e proporzioni e pure il dinamismo nelle vignette, è uno sbiadito ricordo. Credo che la stessa sceneggiatura, con temi così a lui congeniali, se gli fosse stata affidata vent’anni prima nel periodo del suo apice creativo, avrebbe avuto un esito totalmente diverso. Il mio voto finale è 7
  22. Condor senza meta

    [451/452] Oppio!

    Visto l’esiguo numero di pagine e la trama esile, è ovvio classificare questa insolita prova di Nizzi nella categoria dei riempitivi. Si nota nitidamente, che l’episodio è alquanto atipico, considerando il metro stilistico dell’autore usato sulla serie e ciò spiazza un po’ il lettore che volesse esprimere un giudizio in merito. Cerco di spiegarmi meglio: il soggetto a mo’ di novella, infarcito di amore, tradimenti, invidie e rivalse, il tutto consumato fra finzione e realtà, palco e carrozzoni, non dispiace, anzi si fa leggere volentieri. Il problema è che qui non ci troviamo al cospetto di una novella illustrata, bensì di un episodio del ranger più famoso d’Italia e qui s’impunta il carro! (similitudine che calza a pennello visto i mezzi di locomozione utilizzati dalla compagnia Morgan! ) Si ha l’impressione (come spesso mi capita in alcune storie di Nolitta) di leggere una storia con Tex ma non di Tex. In effetti il traffico di oppio che porta all’uccisione del ranger amico e l’avvio delle indagini dei nostri, non si rileva il fulcro centrale della trama, bensì un contorno per giustificare la presenza Tex e Carson. La trama si dipana fra origliate (anche troppe!) e colpi di scena, alcuni notevoli come l’assassinio inconsapevole sul palco di Rick, dopo la sostituzione dei proiettili a salve dovuta al subdolo Ruby (altro personaggio controverso che passa dall’essere un abile manipolatore a un monumentale ingenuo visto la fine che fa, dopo essersi fidato di Eva). In fondo i due rangers sembrano solo spettatori e non risultano affatto risolutivi, sia ai fini delle indagini, visto che le imbeccate giuste arrivano da altri, sia ai fini dell’assicurare i colpevoli alla giustizia, anticipati dal destino sovrano che elimina gli artefici del traffico. Non si capisce in effetti perché abbozzare la presenza di una gang cinese, se poi Tex non entra mai in rotta di collisione con l’associazione con a capo il “venerabile” Wuang Ching. La trama ne risulta così menomata, visto che è quasi innaturale che i due rangers si limitino solo a constatare la fine dei corrieri dell’oppio e non risalgono ai caporioni del traffico. Leggerezza di Nizzi o poco spazio a disposizione per ampliare la sceneggiatura? Troppo abulici e svogliati i nostri anche nei confronti dello sceriffo sfaticato, in altre situazioni lo avrebbero preso come minimo a calci sul fondo dei calzoni. Riassumendo: credo che gli aspetti negativi superino quelli positivi e di conseguenza, a mio avviso la sufficienza non viene raggiunta. Buono il debutto di Venturi sulla regolare, un disegnatore che avevo già apprezzato su Dylan Dog e che subito mostrò di essere degno per la serie ammiraglia. Disegni molto dettagliati, bilanciati e dinamici e ottima espressività dei personaggi. Il personaggio nero di Eva che esce dai pennelli dell’abile disegnatore, detiene forse il record di taglia di reggiseno, visto che Venturi sembra optare per una quinta abbondante! A parte le battute, la buona prova grafica del debuttante artista rientra nei pochi fattori positivi della storia. P.s. Interessante lo spunto di discussione in merito alla copertina fuorviante dell’albo n. 451; in effetti la scena ripresa da Villa poco ci azzecca con la trama. Tuttavia noto una sottigliezza dell’autore che forse non è casuale: il viso del boss cinese ci appare immerso nella penombra: casualità, o il buon Claudio volle mandarci un messaggio subliminale, facendoci intendere che il villain dagli occhi a mandorla fosse destinato a non incontrare il nostro eroe? Il mio voto finale è 5
  23. Dopo alcune prove altalenanti, sintomo di una palese involuzione creativa, Nizzi sfodera una brillante storia, avvincente e dal ritmo vorticoso, che appassiona il lettore e pare catapultarlo indietro di un decennio, ai tempi in cui lo stimato sceneggiatore viaggiava a gonfie vele sulle tumultuose onde dell’ispirazione. Bello lo spunto di soggetto con l’intrigo politico a fare da filo conduttore e ottima la sceneggiatura che scorre via a ritmi alti. Agguati e colpi di scena si susseguono senza soluzione di continuità e il secondo albo è un concentrato di azione e adrenalina che appassiona tavola dopo tavola. I due pards fronteggiano adeguatamente gli agenti del servizio segreto agli ordini del senatore Wallace e riescono, dopo tante peripezie, a far pervenire al Presidente le prove dell’inatteso complotto nordista che portò all’assassinio di Lincoln. Ironia e dinamicità viene ben dosata da Nizzi, che ci dona pure (finalmente!) un’ottima performance risolutrice di Carson, troppo spesso bistrattato in quel periodo dallo stesso autore. Non manca qualche leggerezza e origliata, ma il tutto funziona in fin dei conti e la riuscita dell’episodio è garantita. Più che buono l’esordio di Ortiz sulla regolare. Personalmente ho amato fin dal texone il suo stile nervoso e “sporco”; il tratto dinamico e spigoloso dell’artista iberico, ben si prestò alla narrativa western e garantì ottime prove grafiche sulla saga, prima del vistoso cedimento negli ultimi anni di carriera. Mi chiedo quanti affari facesse con lui la cartoleria di fiducia, visto la quantità industriale di china utilizzata nelle sue tavole, in cui il nero faceva da padrone! A parte le battute, proprio il suo massiccio uso di zone scure e tratteggi nervosi, fece sì che il fumettista spagnolo entrasse nella cerchia degli autori che più mi apprestavo a ricopiare e imitare nelle lunghe ore destinate alla mia passione per il disegno. Curiosa (e famosa!) la topica della vignetta errata, con il Palazzo del Congresso rappresentato al posto della Casa Bianca. Strano che Ortiz incappò in questo grossolano errore solo nel primo riquadro, per poi rappresentare correttamente nelle tavole successive gli scorci della residenza presidenziale; ancor più strano che la svista sfuggì alla sempre attenta redazione prima della stampa, causando così particolare clamore, visto che anche alcuni quotidiani riportarono allora l’insolita notizia. Nelle successive ristampe fu apportata la dovuta correzione, ma non nascondo che possedere l’albo con la vignetta “incriminata” mi fa molto piacere. Il mio voto finale è 8
  24. Per inaugurare le celebrazioni del mezzo secolo di vita editoriale, Nizzi decise di ripescare uno dei suoi villain meglio riusciti. Dopo la splendida storia con Cochise, che vide nuovamente agire sulla saga Cobra Galindez, l’autore pensò che i tempi fossero maturi per recuperare il Colonnello Oliveira, altro personaggio fondamentale che contribuì a rendere celebre il capitolo dell’Uomo con la frusta. Si ha immediatamente la sensazione però, che il soggetto sia troppo scarno e non renda giustizia al ritorno di un avversario di simile caratura. La storia parte col piglio giusto e attira subito l’attenzione del lettore. Nizzi con esperienza imbastisce una discreta sceneggiatura e per buon due terzi dell’episodio se la cava bene, per poi perdere molti punti nel finale, con alcuni snodi narrativi dubbi e controversi. La scelta di avvalersi di Tex e Carson per farsi scortare oltre il Rio Grande dopo la “particolare” fuga dal penitenziario, suona un po’ come una forzatura per avviare la storia. Si potrà obiettare alla mia considerazione sostenendo che l’idea di Oliveira è dettata pure dal desiderio di vendicarsi e umiliare i detestati avversari, ma credo che fosse più logico, che un cervello fino come il suo, imbastisse un piano di rivalsa più funzionale e sicuro, appena messosi in salvo in terra americana. Sorvolando su questo aspetto, lo spunto dei diamanti che fanno gola ai bandidos messi in moto da Cardoso, aggiunge pepe a un soggetto alquanto sciapo e i vari assalti alla diligenza, rendono piacevole e spedita la narrazione. Ciò che delude a mio avviso, il finale un po’ arruffato e aggiustato frettolosamente alla meglio dall’autore, per chiudere la prova. La scena dei Rurales (variante poco originale alle consuete giacche azzurre) che disperdono i bandidos, rimarca uno snodo narrativo abusato e poco avvincente, in questo caso pure un po’ illogico visto che la sbirraglia messicana non si prende nemmeno la briga di sincerarsi sull’identità dei fuggitivi e segue a rotta di collo gli inseguitori. Passaggio forzato visto che l’eventuale riconoscimento di Oliveira come evaso, avrebbe giustamente compromesso la strampalata operazione dei nostri. Pure lo sganciamento di Oliveira da Tex non mi convince: davvero il colonnello, dall’alto della sua intelligenza, pensava che i rangers non lo avessero tallonato prima del famoso invio del telegramma? Sorvolando sulla leggerezza del villain, che lasciando sciaguratamente in vita Potrero (dare il colpo di grazia in fronte no?) scodella nelle mani degli avversari i bandoli della matassa, trovo insoddisfacente la maniera in cui il famigerato ex-colonnello cede a Tex, dopo solo un paio di sberle. Come già fatto notare prima di me, che senso ha per Tex farsi ricattare per tutto il tempo e correre rischi in una tortuosa fuga verso il confine, costellata da agguati di ignoti avversari, quando sarebbe bastato sbatacchiare il messicano a dovere e farsi snocciolare la parola d’ordine e l’indirizzo a cui spedire il telegramma, per la liberazione del pargolo di Conchita? Unica nota positiva nel confuso epilogo, la scena della vendetta di Cardoso e Zamora nei confronti dell’infido traditore, che, se da un lato funziona ai fini narrativi come discreto colpo di scena, dall’altro cala definitivamente il sipario sul possibile ritorno di un avversario molto interessante, che avrebbe meritato una vetrina migliore nella sua ultima apparizione. Affidabili e possenti i disegni dell’infaticabile Fusco. Il suo stile inconfondibile e personale rende al meglio in simili sceneggiature, ricche di agguati e pendagli da forca. Il mio voto finale è 6
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