Vai al contenuto
TWF - Tex Willer Forum

Condor senza meta

Ranchero
  • Contatore Interventi Texiani

    1246
  • Iscritto

  • Ultima attività

  • Giorni con riconoscenze

    82

Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Condor senza meta

    [300] La Lancia Di Fuoco

    "La lancia di Fuoco" è l'ultimo centenario scritto da G.L. Bonelli e purtroppo, mi duole dirlo, è il peggiore albo celebrativo apparso sulla serie. Lo sceneggiatore, entrato da tempo in una inarrestabile fase d'involuzione, non riuscì a produrre una storia degna per l'occorrenza. Il soggetto basato esclusivamente sull'inseguimento operato dai nostri nei confronti di una minuta banda di ladri, che si è impossessata di una preziosa reliquia indiana, risulta esile come un grissino e purtroppo nemmeno l'opera di sceneggiatura riesce a rendere avvincente la prova. Si assiste a intere pagine di dialoghi verbosi e ripetitivi, con poca azione e molte supposizioni verbali, che rendono la lettura molto ostica e noiosa. Da sconsigliare a coloro che amano leggere fumetti prima di andare a letto, o, quantomeno, si raccomanda prima, l'assunzione di un ettolitro di caffè nero e forte come piace a Carson! L'epilogo non brilla per emozioni e a fin dei conti, il contributo dei nostri è quasi nullo. A voler spaccare il pelo in quattro, anche l'incipit della storia è viziato di alcune incongruenze a mio avviso: in primis, se la lancia era così preziosa come detto direttamente dallo sceriffo di Phoenix, come mai al museo c'era solo un semiaddormentato Hopi a far da guardia? Poi, i banditi che necessità avevano di tirarsi dietro un calesse in pieno terreno accidentato per giunta, quando sarebbe bastato scalzare il rubino e il teschio di avorio, uniche cose preziose della rudimentale lancia di pietra? Nettamente superiore il comparto grafico, affidato naturalmente ai pennini di Galep. Molto piacevole la scelta di gabbie atipiche, che si rifà alla sperimentale "Gli sterminatori", anche se graficamente il compianto disegnatore non riuscì a raggiungere il livello del su citato gioiellino. Un Galep ormai in fase discendente ma ancora molto efficace, penalizzato da una colorazione molto accesa che invece di valorizzare il suo tratto, ottiene il risultato quasi opposto. Il mio voto finale è 5
  2. "Perchè il viale del tramonto si percorre a piedi nudi" cantavano Elio e Le Storie Tese nella sigla del celebre programma Mai dire goal negli anni novanta; il ritornello del brano, con le dovute modifiche, può essere adattato pure al mondo delle nuvole parlanti: magari non a piedi nudi, ma con la macchina da scrivere sotto braccio, sì! Perdonate l'introduzione un po' fuori contesto, tuttavia è fuori dubbio che episodi come "La foresta pietrificata" siano le inconfutabili prove del declino artistico dell'immenso Bonelli. L'autore, dopo aver notevolmente ridotto la lunghezza delle proprie sceneggiature, cercò di mettere su, una storia più complessa che coprisse almeno i due albi. Trascurando il soggetto trito e ritrito, ciò che salta più all'occhio rileggendo i due volumi, è l'evidente difficoltà del vecchio leone d'imbastire una sceneggiatura corposa e spumeggiante, come gli riusciva con estrema naturalezza negli anni del suo apice creativo. I complotti, gli intrighi, le trame criminali perdono credibilità e appaiono un po' ingenui. Anche la lotta fra allevatori e "zappaterra" appare molto stucchevole, quasi fosse una partita a Risiko fra le due compagini. Tex e Carson poco incisivi e a tratti troppo sbrigativi con la dinamite, manco fossero i fratelli Granger di pochi albi prima. Ma poi i ritmi narrativi, di solito serrati e avvincenti nel bagaglio bonelliano, si dilatano e si assiste a una continua serie di spostamenti dei protagonisti a destra e a manca, che rallentano la lettura e annoiano non poco. Forse bisognava allungare la minestra, ma il troppo brodo alla lunga diviene indigesto! Deludente, a dir poco, l'epilogo: non solo l'arrivo provvidenziale della cavalleria (espediente fin troppo abusato nelle ultime prove dal padre letterario di Tex) pone fine all'aspro scontro fra piombo e candelotti di dinamite, ma l'armistizio firmato col solo impegno di risarcire gli agricoltori, senza nessuna severa punizione verso le anime nere del complotto, suona come una chiusura alquanto buonista e inappropriata, dopo il sangue versato. Anche il colloquio finale di Tex con Bucker, risulta paradossale. Una scazzottata con i fiocchi all'infido allevatore, era il minimo che Tex potesse fare, dopo tutto il dolore e la distruzione seminato dagli avidi villain della storia (vedi al proposito, la struggente scena del ranch assaltato, con il bambino, unico superstite, a dover seppellire i suoi cari) . Nella norma, senza grandi picchi o pecche, i disegni di Letteri, forse poco ispirato dall'insipida sceneggiatura. Il mio voto finale è 4 P.s. Curiosa la vignetta a pag. 78 dell'albo "La foresta pietrificata": la voce fuori campo di Carson è una scelta stilistica che non brilla per eleganza. Non so se dipenda da un'errore grafico di Letteri o da una leggerezza di sceneggiatura, tuttavia una tale vignetta, a mio avviso, si poteva evitare, o quantomeno correggere nelle ristampe. Fino al Tutto Tex (l'albo da cui ho tratto la scansione) non fu corretta, ma ignoro se nelle successive, si è intervenuto in tal senso. D'altronde sarebbe bastato solo togliere il baloon della frase di Carson, visto che il contenuto, non incideva più di tanto nel dialogo in questione.
  3. Le mie tre preferenze: - Il segno di Yama; - Winnipeg; - I rangers di Lost Valley.
  4. Mountain Meadow: la criptica scritta che appare nei dintorni di un ranch di una famiglia di mormoni, sterminata da ignoti assassini. Il mistero si infittisce, allorché la carovana, a cui si sono uniti pure Tex e i suoi pards, fa la stessa sanguinosa fine e su un telone di carro, riappare la stessa coppia di parole. Un assalto cruento portato sempre dagli stessi indefiniti nemici, mentre i nostri vengono spediti (troppo facilmente seguendo le prerogative stilistiche di Nolitta) su una falsa pista. Inizia così un episodio che ha tutte le carte in regola per accattivare l'attenzione del lettore e, tutto sommato, riesce a mantenere le aspettative, tra alti e bassi. Proprio raggiungendo Cedar City, in pieno territorio mormone, Tex viene a conoscenza di un vile gesto compiuto dalla comunità in passato ai danni di una carovana di emigrati in transito e proprio questo segreto, riemerso in qualche modo, è l'origine della nuova scia di sangue. Confrontandosi con soggetti ambigui e palese ostilità, il nostro ranger cerca di far luce sull'intricata vicenda. Il primo albo si fa molto apprezzare, peccato però che il seguente perda molto dello slancio iniziale, annoiando un po' durante lo sviluppo. Superflua a mio avviso, la visita al villaggio minerario, che oltre a suonare come una forzatura, si presta come l'ulteriore occasione per far fare la figura dello zimbello al protagonista, scacciato dal villaggio senza porre resistenza, da quattro mezze calzette. Anche l'indagine si arena, visto che la soffiata giusta arriva dal vaneggiamento del folle profeta notturno (scena davvero notevole e d'impatto) e il velo di mistero tolto dalla confessione di Moses Boglum. L'identità del misterioso capo banda, diviene prevedibile visto le poche alternative mostrate e purtroppo la presenza di Kit e Tiger è gestita in maniera inopportuna; tanto valeva far agire da solo Tex fin dalle prime pagine. A tal proposito, Nolitta non è mai riuscito a valutare degnamente i coprotagonisti della serie (basti vedere quanto snobbi il vecchio Carson), e questa lacuna lo penalizza moltissimo sulle sue prove, a mio parere. Il colpo di scena finale, non stupisce più di tanto e l'epilogo entusiasma poco, suscitando il pensiero di trovarsi dinanzi all'ennesima occasione sprecata. Sempre molto emozionanti i disegni di Galep, ancora belli da vedere sebbene il disegnatore fosse già in fase calante. Qualche incertezza nei primi piani e nelle somiglianze, ma davvero poca cosa, che nel complesso non inficia l'egregia prova grafica. Il mio voto finale è 7
  5. La lunghezza media delle storie di G.L. Bonelli nel centenario 200-300 si abbassò notevolmente. Stare alla macchina da scrivere evidentemente divenne molto più faticoso per l'allora ultrasettantenne autore e purtroppo anche la qualità delle sue sceneggiature si ridimensionò. "Dinamite" presenta uno sviluppo modesto di tavole, ma quanto meno, rispetto alla poco riuscita "Bandoleros" che la precede, è leggibile. Il soggetto non è tanto ricco, ma la trama si sviluppa bene e i dialoghi riescono a colmare in parte le lacune. La banda di tangheri, che distribuisce dinamite a destra e manca neanche fossero chicchi di riso all'uscita degli sposi, appare abbastanza caratterizzata e in fondo tutta la trama si snoda attorno alle loro criminose azioni. Molto simpatica la scenetta della sfida a braccio di ferro che introduce Tex nell'episodio, una breve parentesi di comune svago quotidiano del nostro eroe che fa piacere leggere. Da lì a poco inizierà la caccia dei due pards, che però rimarranno un po' troppo ai margini della vicenda. Saranno infatti i Comanches a spedire all'inferno i fratelli Granger, mentre ai nostri toccherà la "consolazione" di liquidare (troppo facilmente) il superstite della banda soprannominato il "cinese". Epilogo a mio avviso troppo sbrigativo con i Comanches che si sciolgono come ghiaccioli al sole dopo la dipartita del loro capo. Anche la sceneggiatura pecca di alcune debolezze, in primis la poca centralità risolutiva di Tex nell'azione: molto probabile che il grande Bonelli si ammalò di "Nolittite" negli ultimi anni di carriera. A parte le battute, l'episodio raggiunge una risicata sufficienza e si avvale di un Fusco in grande spolvero. Ammetto che ho molto rivalutato negli anni lo stile molto personale del compianto Fernando; da ragazzino le sue vignette non mi facevano impazzire, adesso rivedendole con occhio più maturo, riconosco che il suo stile dinamico e possente, è stato un valore aggiunto che ha contribuito al successo della saga. Come non menzionare poi quei piccoli dettagli di stile come vignette senza tradizionale cornice tirata con la squadra (che adoro) o i suoni onomatopeici dei proiettili, scritti all'interno delle traiettorie di tiro. Per non tacere dei suoi tratteggi incrociati molto forti che conservano sempre un fascino particolare. Il mio voto finale è 6
  6. "Buona la prima" verrebbe da dire, considerando l'egregio debutto di Claudio Nizzi nella saga. L'autore, con evidente rispetto riverenziale per il celebre personaggio, entrò in punta di piedi tra le tavole della serie, cercando di emulare al massimo lo stile narrativo di G.L. Bonelli, creando magnificamente dialoghi funzionali e una trama molto fluida. Suppongo che i lettori dell'epoca non si accorsero minimamente che "Un diabolico intrigo" fosse stato scritto da un'altra mano e non solo per via dei mancati crediti nel frontespizio. Nizzi fin dal debutto si mostra più in sintonia col personaggio rispetto a Nolitta e la freschezza della sceneggiatura, condita da un gergo che tiene abbastanza testa al celebre marchio di fabbrica di Bonelli Senior, fa subito intuire che l'autore abbia tutte le carte in regola per prendere in consegna il testimone dal padre letterario del ranger. La trama è un misto fra giallo e western tipico texiano, con molta investigazione e parecchi colpi di scena. Ben presto il diabolico piano di Francisco e Dolores viene a galla e Tex con decisione riesce a riabilitare il ricordo dell'ex colonnello Remington e farne onorare le spoglie. Oltre alla scorrevolezza della sceneggiatura, salta subito all'occhio l'ottima gestione dei due pards in mano a Nizzi: fin dalle prime pagine emerge una grande complicità fra Tex e Carson che diverrà il punto saldo della produzione nizziana, oltre alla grande ironia dei siparietti che riesce a imbastire con estrema maestria. Mi par di ricordare che in una vecchia intervista, Sergio Bonelli definì Nizzi l'angelo della finestra di fronte, alludendo alla vicinanza della redazione del "Giornalino", dove il buon Claudio operava prima di entrare nella blasonata scuderia texiana e suppongo che una simile definizione non faccia una grinza: con G.L. Bonelli ormai da tempo incamminatosi sul lungo viale del tramonto e l'estrema difficoltà personale dell'editore di gestire il personaggio nelle sue storie, mi viene da pensare che, senza l'innesto dello sceneggiatore di Fiumalbo, la collana del mitico ranger nei tardi anni '80 rischiasse la deriva. Importante anche ricordare che questo episodio è l'ultimo a essere illustrato interamente da Nicolò, prossimo alla morte. Il tratto dello storico disegnatore fiorentino sebbene non più pulito come un tempo, rimane tutto sommato accettabile fino agli ultimi colpi di pennello, senza verticali cadute di rendimento. Il mio voto finale è 8
  7. È più forte di me, sebbene lo abbia sempre molto apprezzato sulle storie di Zagor, Nolitta sulla serie di Tex lo vedo come la cipolla nella carbonara. Anche negli episodi meglio riusciti e piacevoli da leggere, non centra mai il personaggio e il suo stile narrativo poco si presta ai canoni che hanno reso celebre il ranger. Figurarsi poi in sceneggiature come quella in questione, che alla fine ti lasciano l’amaro in bocca e il desiderio di archiviare gli albi nello scaffale e farli riempire di polvere. Procediamo per ordine: lo spunto del prototipo di fucile da vendere all’esercito, i boicottaggi della grossa compagnia di armaioli, la diserzione dell’ufficiale “ingegnere”, l’inserimento nella trattativa del governo messicano e via dicendo, rappresentavano un buon punto di partenza per una storia originale e di spessore, purtroppo il buon Sergio, come sovente gli accadeva, finì col compromettere tutto con una trama che traballa come un novantenne sui trampoli. L’overture con il salvataggio sulla neve dei tre soldati assediati dai lupi non è affatto male, come molto ben si presta l’inatteso agguato che fa presagire a un mistero da svelare. Purtroppo arrivati al forte in costruzione, l’impianto narrativo comincia a scricchiolare rumorosamente. Innanzitutto si parla del tenente Morrow come di un disertore, quando si viene poi a sapere delle sue dimissioni prima di sparire. Non la reputo proprio la stessa cosa. Una volta gettata la divisa alle ortiche, sentendosi tradito giustamente dall’esercito per via del suo prototipo, mi par plausibile che si sentisse libero di vendere i frutti del suo studio al miglior offerente, nel caso specifico all’esercito messicano, con lauto anticipo intascato. Forzata mi sembra la scelta di far incontrare gli emissari e il progettista in un covo di lupi come Pequeno Paraiso, ma tralasciando questo punto, ancor più improbabile mi pare la missione di Tex di far tornare l’ufficiale americano sui suoi passi. Altra stranezza: non capisco le necessità degli emissari messicani di portarsi dietro un intero esercito con tanto di cannoni per un simile incontro d’affari, per non tacere dello scarso senso della battaglia che scoppia dopo fra i soldados e i nostri. In fondo il torto è dalla parte di Morrow che non rispetta gli accordi presi, e un Tex “comune” avrebbe dovuto spendere le sue doti diplomatiche per appianare l’inghippo, non sparare su incolpevoli uomini in divisa. Ma la ciliegina sulla torta (acida! ) è la scelta narrativa, assurda per come la vedo io, di far salvare Tex da Manuel Pedrosa e i suoi scannagatti. Oltre alla mancata azione risolutiva del ranger, che tirando le somme incide poco o niente, è dura da digerire che accetti un ricatto in denaro, impostogli da volgari banditi per riprendere la via del Nord. Siamo su Scherzi a parte? Altro che dover aspettare un lustro per assistere alla doverosa vendetta, l’episodio non doveva esimersi dal mostrarci i nostri punire severamente Pedrosa e co. Rimedierà Nizzi in seguito con una vicenda di ben altro valore, ma ciò non basta a giustificare una così grande leggerezza. Un Tex irriconoscibile che si tira fuori pure dall’azione contro la compagnia di armi, rea all’inizio di aver foraggiato dei pistoleri per sopprimere il fratello di Morrow, il cui piombo inevitabilmente è stato pure riversato verso i due pards. Un epilogo così indifendibile, dopo una trama tutto sommato impalpabile, (con tanto di battuta finale di whisky pagato a caro prezzo a Pequeno Paraiso ), mi lascia la fastidiosa sensazione di essere stato raggirato. Se non fosse stato per i sempre ottimi disegni di Ticci e il familiare logo sulla copertina, avrei potuto pensare di aver letto un altro personaggio. Il mio voto finale è 3
  8. Chi ha avuto modo di leggere i miei precedenti interventi sui post, avrà già capito che la dote di sintesi non mi appartiene; stavolta comunque farò uno strappo alla regola, considerato che su “Bandoleros” non trovo davvero tanto da scrivere. Mi verrebbe di riassumere con queste poche parole: episodio da dimenticare. Anche i più grandi campioni invecchiano e a questa insindacabile legge della natura, non è sfuggito nemmeno il titanico Bonelli, comunque se nei precedenti capitoli, sebbene lontanissimo dagli anni d’oro, era riuscito a raggiungere un livello quantomeno sufficiente, con questa storia il crollo è verticale. Una trama senza né capo né coda con un soggetto troppo scarno per garantire un esito soddisfacente. Non riescono a salvarsi nemmeno i dialoghi e in quanto al finale, sembra la fiera della confusione, con interpreti che appaiono fuori contesto e senza un filo logico, vedi gli Apache e ancor peggio, la cavalleria americana in pieno Messico. Unica nota positiva in questa stonata sinfonia, gli eccellenti disegni di Monti, alla sua seconda prova sulla saga; un disegnatore dallo stile molto personale e forse un po’ troppo sottovalutato in Via Buonarroti in quegli anni. Il mio voto finale è 4
  9. Se esistesse un girone dantesco relativo alle storie fumettistiche senza infamia e senza lode, l’episodio in questione, senza alcun dubbio, ne farebbe parte. G.L. Bonelli, ormai da tempo in fase calante, sforna una storia breve alquanto leggibile, ma destinata a non lasciare il segno. Si parte con una scena che sembra la citazione dell’incipit della più celebre “Terra promessa”, con un misterioso killer che uccide una povera guida, all’apparenza senza un fondato motivo. L’immediata indagine di Tex porta alla scoperta dell’assassino, ma soprattutto si viene a conoscenza dei motivi della spedizione condotta dai fratelli Roswell, atta al rinvenimento di un antico Teocalli azteco in cui vi è nascosto un favoloso tesoro. Lo spunto di soggetto, particolarmente caro all’autore, non brilla per originalità, tuttavia una passabile sceneggiatura evita la tempesta di sbadigli. Tex s’improvvisa guida e s’incarica di condurre sui luoghi la spedizione, con l’intento di scoprire il giuda che muove invisibilmente (o quasi!) i fili del complotto. Per un caso (troppo) fortunato, conosce i luoghi in questione, essendoci già stato in gioventù e con una scena degna del primo Martin Mystere, individua e porta alla luce il tempio sommerso. La parte degna d’interesse dell’episodio si esaurisce qua; l’assalto dei rubagalline messicani, la scoperta del traditore e il rinvenimento del tesoro, risultano molto scontati. A tal proposito, mi chiedo se davvero l’autore abbia peccato d’ingenuità nell’imbastire il piccolo giallo dell’identità del villain principale o avesse calcolato la prevedibilità della sua scelta narrativa: non bisogna di certo essere Sherlock Holmes per capire fin dalle prime pagine l’anima nera e d’altronde non avrebbe avuto senso, affidare tale ruolo a uno dei tanti “sconosciuti” componenti della spedizione, assolutamente anonimi durante la narrazione e per nulla caratterizzati fino ad allora. Finale inatteso con Tex (più nolittiano che Gbonelliano in questa scena) che si fa cogliere alla sprovvista dall’avido Rick Roswell, che roso dalla cupidigia, non esita a indossare i panni di Caino e far fuoco sul fratello, senza tuttavia riuscire a ucciderlo. Il buon Carson, mette una pezza, risolvendo a suon di piombo la questione e il lieto fine è servito. Ulteriore encomio per Letteri, che con molta disinvoltura e discreti esiti, arricchisce il suo sconfinato repertorio grafico, con templi e sculture azteche, mostrandosi molto a suo agio con la tematica e fornendo l’ennesima prova della sua notevole versatilità. Il mio voto finale è 6
  10. Suppongo che per gli appassionati dei primi anni ’80 la notizia di un grande ritorno di Yama, dopo un decennio circa di assenza sulla saga, avrà suscitato grande curiosità e impazienza. In effetti Bonelli per l’occasione, decise di imbastire una storia di grande respiro, che nel suo intento avrebbe dovuto assumere le sembianze di un grande kolossal della serie del ranger. Purtroppo come recita un vecchio detto: la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni; l’esito finale infatti non collima del tutto con l’ambizioso progetto dello sceneggiatore. A dire il vero l’inizio è promettente: molto originale la trovata del salvataggio di Yama nelle caverne del fiume sotterraneo, con l’aiuto di un folto stormo di pipistrelli; così come risulta abbastanza piacevole tutta la prima parte ambientata a Tampa con i seguaci del voodoo in prima linea. Bonelli imbecca un’altra bella idea con le scene della strega che sottopone il nostro eroe a supplizi di magia nera mediante un wanga e tutto sommato, sebbene superflua, si fa leggere pure la sequenza dell’affondamento del “Black Queen”. Unico neo (o vantaggio!) della prima sessione, la scarsa presenza del maggiore antagonista, che delega gli alleati di colore a fronteggiare i suoi odiati nemici. L’apparizione del Morisco è breve, ma si fa ricordare grazie alla splendida sequenza del duello a distanza a colpi di magia con Yama, ma l’episodio praticamente finisce qui. Il proseguo che vede i nostri pards inoltrarsi nella terra degli Aztechi, scelti da Yama per alleati finali del suo farraginoso piano, ha lo stesso effetto di un tampone di cloroformio. La sceneggiatura diventa lenta e prevedibile, le pagine si riempiono di dialoghi verbosi e ripetitivi; Yama conclude il suo processo d’involuzione rivelandosi un avversario isterico e poco lucido che sbaglia tutte le scelte. Anche i famigerati “Figli del sole” finiscono solo col fare il solletico ai nostri, che si possono perfino permettere il lusso di sparare senza uccidere. Morale della favola: la voglia di strafare di Bonelli, ha finito col fargli sciupare una buona occasione. Senza la seconda parte e strutturando meglio il duello a Tampa, l’episodio forse avrebbe convinto di più. Così delude abbastanza, visto che anche il coinvolgimento dei seguaci voodoo suona come una forzatura, se il piano finale era quello di finire i nemici in terra messicana. Grottesca anche la scelta dell’alleato alato di Yama, richiamato con la formuletta “Hary Hary Arymar” che pare un insulso coretto da stadio, per non tacere della calotta indossata dal diabolico villain, che sembra essere uscita da un film spaziale di serie B. Ciò che comunque appare chiaro nell’idea dello sceneggiatore, è mettere in evidenza i limiti caratteriali del figlio di Mefisto, ma così facendo il giovane stregone, che aveva impressionato nella sua prima uscita nella serie (autentico capolavoro), diviene una macchietta incapace di mettere in difficoltà Tex e co. Anche gli amuleti in forma di anello forniti da Morisco (espediente narrativo ripetitivo), provano quanto il brujo egiziano sia all’altezza del famigerato antagonista, se non superiore. Tutto ciò descritto, influisce molto nella mia valutazione finale e nemmeno i disegni possenti di Galep, che se la cava abbastanza bene per la lunga distanza (tranne un fisiologico calo finale), contribuiscono a dare più della sufficienza piena a questa storia. In fin dei conti sembra un “greatest hits” di scene già viste in precedenti uscite, unite alla bene o meglio senza un convincente filo narrativo, che si perde poi in un finale sciatto e molto noioso. Il mio voto finale è 6
  11. Condor senza meta

    [Tex Willer N. 01 / 04] Vivo o morto!

    Questioni di gusti @Letizia; la tavola da te postata è molto bella ed è pur vero che non tutte le colorazioni sono uguali, ma personalmente preferisco i chiaroscuri, i bilanciamenti tra bianco e nero sulle tavole, i puntinati, i retini manuali. Ovviamente vale il discorso della qualità grafica: non tutti gli artisti rendono in monocromatico come Magnus su Lurid Scorpions (tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente).
  12. Condor senza meta

    [Tex Willer N. 01 / 04] Vivo o morto!

    Sarò forse troppo tradizionalista o "antico", ma per me il bianco e nero ha un fascino arcano, che la colorazione non potrà mai eguagliare.
  13. Rivedere il paese natio dopo un lungo viaggio, è una carezza al cuore, in par modo, rileggere un'avventura classica del nostro amato ranger dopo varie (e non sempre riuscite) escursioni su sentieri atipici, appaga le papille dei lettori più legati alla tradizione. Sia ben chiaro, l'episodio in questione non è di certo un capolavoro, ma il soggetto, la sceneggiatura, i dialoghi tosti e la presenza della coppia di pards in perfetta forma e sintonia, donano all'appassionato la consapevolezza di "ritrovare un vecchio amico". Bonelli sciorina una trama funzionale, sebbene non originalissima, ricca di azione, intrighi e piombo rovente. E' palese che l'episodio del ring di Tucson sia di spessore diverso, ma in fondo gli intrallazzi dell'Overland e i vari antagonisti, rendono piuttosto avvincente la storia. Finalmente rivediamo accanto a Tex un Carson attivo e ironico; i siparietti tra i due, deliziano il lettore tra le varie sequenze di azione. Molto "esplosivo" (nel pieno senso letterale del termine) l'epilogo, anche se la chiusura affrettata che ci nega di assistere alla doverosa lezione a Ned Turpin, non la comprendo affatto. Ennesimo frutto di quel campionario di errori e imprecisioni, che entrarono a far parte del bagaglio di Bonelli nel terzo centenario e che fanno rimpiangere i tempi d'oro del grande autore. La staffetta ai disegni tra Monti e Ticci caratterizza ulteriormente l'episodio. Su Ticci è superfluo aggiungere altro, rispetto alla montagna di aggettivi elogiativi già spesi in precedenti miei interventi, in quanto a Monti, le tavole che compongono la prima parte della storia, rappresentano il suo debutto ufficiale sulla saga. Un ghost designer già molto utile in redazione, che entrerà a pieno diritto nella squadra titolare della serie, grazie a un piacevole stile personale, molto adatto alle tematiche western. Il mio voto finale è 7
  14. Con Nolitta l'atipicità è un marchio di fabbrica. La storia in questione non fa eccezione alla regola. L'autore si mise alla macchina da scrivere con l'intento di contribuire alla programmazione di alcuni albi e con mestiere portò a casa il compitino, ma l'episodio partorito, sebbene leggibile, come di consueto varcò abbondantemente i confini della texianità tracciati dal padre. La prima parte, con Tex che assume il compito di guidare una spedizione in terra Sioux per recuperare il corpo dell'ufficiale Larrimer perito nella battaglia delle Blue Hills, sfruttando il suo ascendente sui nativi, sembra la rielaborazione del soggetto zagoriano di "La sabbia è rossa". Tuttavia se sulle pagine dello Spirito con la scure, Nolitta riuscì a ottenere vette altissime, sulla saga del ranger non bissa il successo narrativo. Nota personale: assurda la gestione di Carson; farlo apparire nell'incipit senza farlo partecipare alla vicenda, è un autentico sacrilegio a mio avviso! . Dopo una lenta sequenza con uno stucchevole duello indiano e un Tex molto "chiacchierone", la trama si ravviva con le due morti sospette dei soldati della spedizione, che fanno presagire che qualcosa puzzi di bruciato. Puntualmente giunti sul luogo, il sergente Rampling getta la maschera e si scopre che lo scopo reale della missione è recuperare una cassa di quattrini, seppellita sul campo di battaglia. Ahimè come di consueto, il Tex di Nolitta non prevede né intuisce niente e si becca una botta in testa come uno sprovveduto. Il colpo di scena della mascherata di Larrimer, aggiunge pepe alla pietanza, ma suona come stonatura assordante. Passi che si sia salvato dalla coltellata, ma attendere più di un anno il ritorno sulle colline del nemico, è dura da digerire. Il finale è una girandola di emozioni e passaggi forzati. Larrimer si mostra troppo grigio per essere vero, ma l'errore più grave dal mio punto di vista, è riabilitare la sua figura sostituendo di fatto Tex, relegato nuovamente a ruolo di spettatore non pagante. In fin dei conti l'eroe alla fine si mostra il vecchio ufficiale traditore, che da solo sbaraglia i Sioux di Mahonga, fra colpi d'ascia e giochi psicologici basati sulla superstizione. Ancor più da mal di testa le elucubrazioni mentali dei personaggi nelle pagine finali, col figlio di Larrimer che prende le distanze dal padre che si è sacrificato per la sua pelle, il fratello che pensa solo alla nomea della famiglia e Tex che avalla con troppa leggerezza la via della menzogna. Più che sciogliere la matassa della trama all'epilogo, Il buon Sergio fece un grosso nodo, ma tirando le somme, la sufficienza la raggiunse abbondantemente. Più indeciso e meno pulito, rispetto ai suoi canoni, il tratto di Nicolò, ma ancora accettabile. Il mio voto finale è 6
  15. Il titolo "Fiesta di sangue", col quale viene introdotto l'episodio, è molto forte e già indirizza il lettore verso gli aspri sentieri su cui correrà la trama. Il vile eccidio ai danni degli Apaches, tra le mura di Santa Rita, rappresenta una delle scene più cruente e malvagie dell'intera serie e l'aspetto che fa più rabbrividire, la consapevolezza che l'autore si sia ispirato a fatti realmente accaduti. Purtroppo, nella vita reale nessun "Tex" si prodigò a punire i colpevoli di un simile atto infame e tali stragi dimostrano quanto il razzismo sia sempre stato una piaga vergognosa nell'umanità, in ogni epoca. Chiusa la triste considerazione, bisogna dire che G.L. Bonelli orchestrò una prima parte di sceneggiatura molto possente e valida, che via via sfocia però nel classico schema narrativo che accomuna simili storie, senza grandi sussulti o colpi di scena. Solo molta azione e i pards decisi a tutto (anche distruggere a suon di dinamite un intero villaggio) pur di ottenere la sacrosanta vendetta. Il finale risulta molto affrettato e il casuale incontro dei nostri con i beceri cacciatori di scalpi, delude un po'. L'incongruenza geografica che ci mostra Santa Rita in terra messicana in un'epoca in cui i confini degli Stati Uniti correvano ormai più a sud, o la strana scelta di inscenare un attacco Apache con tanto di urla e frecce incendiarie, dopo aver convinto Cochise a non far disseppellire l'ascia di guerra per evitare ripercussioni alla sua gente, rappresentano i primi segnali di un cedimento del grande Bonelli. Nei primi anni '80, sebbene il vecchio leone fosse ancora in grado di ruggire, divenne evidente che il suo fiato cominciò a diventar sempre più corto. L'età dell'oro della saga, nel terzo centinaio, fu solo un ricordo e la stella compositiva del patriarca del fumetto italiano cominciò lentamente (ma inesorabilmente!) a spegnersi. Discorso inverso per Ticci, in piena parabola ascendente, forte di uno stile grafico sempre più espressivo e raffinato, che diverrà il punto di riferimento per folte schiere di disegnatori attuali. Il mio voto finale è 7
  16. Capita spesso nelle competizioni calcistiche che una squadra, dopo aver disputato un'ottima prova nel primo tempo, cali notevolmente nella ripresa, compromettendo l'esito finale del match. L'episodio in questione, a mio avviso, è come quella tipologia di partite: dopo un buon spunto iniziale, che ci presenta un villain degno di nota, una discreta caratterizzazione della sua banda, nonché una movimentatissima scena fino alla caduta nel vuoto di Rocky Durbin, nella seconda parte perde decisamente mordente e finisce con l'annoiare un po'. Durbin, sebbene arso dall'odio faccia di tutto per assaporare il frutto della vendetta, sembra perdere quel carisma accennato nelle prime tavole e finisce ai margini della vicenda. L'incarcerazione di Kit suona come una palese forzatura, visto che il focoso rampollo, innocente, non muove un dito pur di discolparsi. Pure il piano escogitato per farlo finire fra le grinfie dell'apache Cuchillo Negro appare molto tendenzioso e in fondo Tex e co., con Tiger sugli scudi, sembrano non sudare le proverbiali sette camicie, per sventarlo. Interessante la caratterizzazione del capitano dei Rurales Ortega, e pure il perfido Carlos parrebbe ben delineato, mentre delude su tutta la linea Durbin, che viene liquidato in poche vignette. Un po' ingenua e incongruente, la carnevalata dei navajos in borghese, che in fin dei conti, visto le pieghe della sceneggiatura, poteva essere evitata. In netto calo la prova grafica di Nicolò; primo segnale di un logorio fisico che a breve spalancherà le porte delle "Celesti Praterie" all'indimenticato disegnatore fiorentino. Il mio voto finale è 6
  17. “Nelle botti piccole ci sta il vino buono” così recita il noto detto, sebbene nell’universo delle nuvole parlanti non sempre sia così. Tuttavia “La pista nel cielo”, a prescindere della sua brevità, è una storia molto divertente e piacevole. G.L. Bonelli parte da un’idea poco originale, quale una rapina alla banca durante un giorno di ressa, ma riesce brillantemente a far fare il salto di qualità alla sua sceneggiatura, escogitando la fuga in mongolfiera dei banditi, con relativo inseguimento dei due pards ad alta quota, fra nuvole minacciose e saette. Presumibilmente l’autore colse ispirazione dal romanzo “Attraverso l’Atlantico in pallone” di Salgari, fatto sta che la trovata, inedita nella saga, si fa molto apprezzare e rende frizzante la breve, ma particolare, caccia all’uomo. Esilarante il giganteggio pestaggio iniziale, fatto scoppiare dai banditi per distogliere l’attenzione dalla banca da svaligiare, così come risultano molto spassosi i dialoghi fra i due pards, durante il pericoloso viaggio in mongolfiera, con un Carson che raggiunge quasi i livelli di ironia dell’episodio della folle corsa in canoa sulle ruggenti acque del Colorado River. Non mancano i punti deboli: il finale si presenta molto lento e meno coinvolgente rispetto le scene iniziali, come risulta un po’ una forzatura il pretesto con cui i nostri vengono chiamati a Durango. A mio avviso, i banditi appena prendono quota, avrebbero dovuto per sicurezza bucare il secondo pallone, ma si sta cercando il classico pelo nell’uovo che poco sposta l’ago della bilancia. Meritano una menzione, i bellissimi disegni di Letteri durante le scene dell’inseguimento in mongolfiera. Il prolifico disegnatore romano, a quei tempi, macinava tavole su tavole, svariando tra indiani, cinesi, conestoga, animali preistorici, treni in corsa, palloni aerostatici con una facilità invidiabile e esiti notevoli. Il mio voto finale è 7
  18. Classico esempio di come sciupare un discreto soggetto con una sceneggiatura non all’altezza. Nolitta dopo la precedente mezza ciofeca, imbecca un buon spunto, basato sullo sfruttamento minerario del borace e la concorrenza sleale di una compagnia di furfanti, che non esita a schiavizzare una tribù di Shoshones, pur di mandare sul lastrico la società rivale, gestita da Hewitt, un vecchio amico di Tex, che disperato tenta il suicidio. Purtroppo la trama non riesce minimamente ad avvalorare il soggetto, vuoi per una lentezza a tratti esasperante, vuoi per dialoghi molto verbosi e pesanti. Si procede nella lettura stentando, fra badilate di noia e pochi sussulti, fatta eccezione solo per i classici colpi di scena nolittiani, che sul finale ci svelano la vera anima nera del progetto criminale e il tradimento dello sceriffo Anderson, che al loro arrivo a Las Vegas aveva indossato la maschera dell’amicone affidabile. Poca roba. Ancor più increduli, si assiste a due leggerezze imperdonabili di Tex, che fanno dubitare se il personaggio, che agisce fra le pagine dell’albo, sia davvero l’eroe che conosciamo o un clone rincitrullito dell’originale . E’ duro accettare che un acuto ranger che all’inizio della storia intuisce le intenzioni dell’amico, salvandolo dal suicidio, col proseguo della trama riesca a farsi cogliere impreparato nella sede dell’agenzia indiana, nonostante sappia già che Glen Spark sia un furfante matricolato. Ancor più assurda la scelta di dividersi da Kit e lasciarlo nelle mani di Tanner e Dennison, quando ormai anche un neonato avrebbe capito il loro ruolo marcio nella faccenda. Due passaggi narrativi incomprensibili e gravi, che a mio modo di vedere compromettono irrimediabilmente la prova dell’autore. Bisogna riconoscere che il Tex nolittiano non manca di coraggio e abilità da pistolero per rimediare ai suoi errori, ma alcune valutazioni rimangono inaccettabili visto la caratterizzazione ben delineata fatta dal creatore. Per mettere in difficoltà il protagonista, Nolitta lo fa spesso e volentieri cadere in trappole troppo forzate (e scontate!), tanto che ci si chiede, se il suo eroe abbia preso qualche colpo nella zucca, perdendo parte del suo innato quoziente intellettivo. Per un fan di Carson come il sottoscritto, pesa inoltre la sua reiterata assenza tra le pagine della saga in quei mesi; con “La valle infuocata” terza storia consecutiva marcata Nolitta, il vecchio cammello colleziona la terza assenza (seconda e tre quarti se si considera la minima parte avuta in “Il solitario del west”). Troppo poco, ai limiti del mobbing fumettistico. Nella media i disegni di Fusco, che ho comunque maggiormente apprezzato in altre prove. Il mio voto finale è 5
  19. Verrebbe da dire: “dalle stelle alle stalle!” Nolitta dopo aver sfornato un’eccellente storia, scivola sulla proverbiale buccia di banana e manda in stampa un episodio alquanto modesto e arruffato. Viene rispolverata per l’occasione la continuity di episodi già vista durante la trasferta sul Pacifico, ma a differenza del padre, il buon Sergio cicca clamorosamente il secondo atto. Il breve riempitivo che prende forma, non brilla per soggetto e anche il ritmo narrativo non è eccelso. La storia fa acqua da tutte le parti: già il villain principale risulta poco credibile. A mio avviso è dura accettare la presenza nel mare delle Antille, di niente popò di meno che il nipote di Brooke, il Rajah Bianco le cui gesta la storia ci tramanda e che ispirarono il grande Salgari, che lo inserì in uno dei suoi romanzi del Ciclo della Malesia. Assurdo per assurdo, è più plausibile avvistare un dinosauro in… ehm… temo che l’esempio non sia adatto per l’occasione . Ironia a parte, il piano bislacco del giovane Brooke, di conquistare una piccola isola messicana con l’ausilio di pochi ragazzotti inesperti e con le pigne nel cervello è uno spunto di soggetto al limite della demenzialità. Anche ammettendo la mancanza di rotelle del leader “basettone”, ma gli altri complici per assecondarlo come minimo si erano fumati il cervello. Stonano ancor più le varie figure di piccione che fa Tex, che prima non riesce a impedire che quatto mezze calzette dirottino il veliero su cui viaggia, ma ancor peggio, quando si fa ricattare da Brooke in una circostanza in cui per liberare Kit dal suo aguzzino sbarbatello, sarebbe bastato un bambino. Il buon Sergio mi perdoni, ma se un autore qualsiasi proponesse oggi un soggetto simile al curatore della serie, credo che come minimo il foglio finirebbe fuori dalla finestra. La trovata dei tarbosauri ibernati nella stiva, che riprendono vita al contatto dell’acqua salmastra durante il naufragio, fa virare la trama verso inattesi sviluppi fantascientifici che poco si sposano con il contesto e non ravvivano più di tanto la zoppicante sceneggiatura. Per completare il quadro, si aggiunge un epilogo da sbadigli e incongruente, con Zagor ehm pardon… volevo dire Tex , che tace al governatore il piano di Brooke pur di imbarcarsi in fretta e furia su una goletta e se lo fa sfuggire dalle grinfie in vista delle coste del Texas. E’ vero che il capitano di nave assicura il lettore che il giovane antagonista non potrà mai farcela a nuoto, ma la figuraccia di un irriconoscibile Tex, rimane. Ricapitolando: un palese passo falso di Nolitta che propone ai fans un Non-Tex d’annata, che spreca abbondantemente il lavoro di un Letteri, in pieno apice artistico. Il mio voto finale è 4
  20. Sperando però che non si innamori di Donna Parker; un rapporto incestuoso scatenerebbe una sorta di guerra civile fra i fans!
  21. Condor senza meta

    [250/252] Giungla Crudele

    Non è un mistero il fatto che digerisco poco Nolitta su Tex, ma con questo episodio il compianto Sergio mi ha fornito un “potente digestivo” . Giungla Crudele è davvero una gran bella storia e la rileggo sempre volentieri. Forse la prova che preferisco di Bonelli jr. sulla saga. Molto originale la trama e soprattutto affascinante l’ambientazione tropicale che porterà i nostri ad agire nel lontano Istmo di Panama, di supporto a una spedizione tecnico-scientifica che ha il compito di fare i dovuti sopralluoghi per la realizzazione di un canale di navigazione che metta in collegamento (come oggi avviene) i due oceani. Il tutto nasce dalla proposta del bizzarro fotografo Timothy O'Sullivan (personaggio realmente esistito) al giovane Kit, caduto in una sorta di depressione dopo la perdita di un caro amico, ucciso da predoni Apache durante l’azione di aiuto prestata dalla coppia di giovani guerrieri Navajos allo stravagante artista della camera oscura. Inizia così un’avventura costellata da scazzottate, ironia e tanta azione, resa molto interessante anche dalle grandi difficoltà che la natura selvaggia dei luoghi pone dinanzi ai componenti della spedizione. Nolitta intreccia le sue trame alternando gli stilemi del tipico romanzo tropicale salgariano e un giallo degno di Doyle, infatti i numerosi sabotaggi opera di un misterioso nemico celato nell’ombra, decimano i marines di scorta e portano lo sconforto fra i partecipanti. Un Tex molto duro e deciso (come non sempre capita nelle architetture narrative di Nolitta), prenderà presto le redini della situazione e con coraggio e sagacia porterà in salvo la spedizione, difendendola anche dall’assalto dei selvaggi Indios Bravos, scoprendo alla fine l’insospettabile traditore, ovvero Phil Thunder, uno dei promotori dell’iniziativa, nonché vecchio amico del ranger, che avvinghiato da complotti politici, decide di intascare i proverbiali “trenta denari” pur di impedire il buon esito dell’operazione. Accettabile il ritmo narrativo, tolta qualche caduta di tono nel secondo albo e memorabili alcune scene, quale la colossale rissa di Cartagena. Tipico il colpo di scena finale nolittiano, con il villain che non ti aspetti (forse!) ma tutto sommato caratterialmente più plausibile rispetto ad altre precedenti uscite narrative. Dulcis in fundo, la straordinaria prova grafica di Ticci, davvero titanico nella rappresentazione dei paesaggi tropicali che fanno da sfondo alla storia. Son certo che finirò presto gli aggettivi per etichettare il grande maestro senese, che rappresenta per il sottoscritto un autentico mito vivente. Il mio voto finale è 9
  22. Ci troviamo al cospetto di una storia più unica che rara. G.L. Bonelli, nei panni di un estroso stregone, riversa nel calderone un pizzico di western, horror, noir e dopo aver mescolato con maestria, tira fuori una pozione esplosiva, che lascia al palato quell’essenza tipica dei romanzi gotici. L’atmosfera che aleggia tra le pagine è cupa, asfittica; lo sviluppo narrativo incute ansia al lettore che, man mano che procede nella trama, sente un forte senso di repulsione verso le atrocità commesse dai fanatici. Non è certo la prima volta che l’autore inserisce nelle sue opere ombre demoniache, basti pensare le formule magiche e i riferimenti ai cieli neri di Mefisto, ma mai come in questo episodio il male radicato nella mente degli abitanti di Quemado fa rabbrividire. Si capisce fin dall’incipit che la faccenda delle squaw Zuni rapite, nasconde un macabro mistero, reso ancor più acceso dal rinvenimento dell’atipico casolare sull’altura, pieno di simboli esoterici e ceppo sacrificale. I due pards giunti a Quemado, hanno la perfetta percezione di aver messo piede in un’autentica anticamera dell’inferno e i sinistri personaggi come Crandall, Prescott e Turok non fanno che confermare che la puzza di marcio si sprigiona proprio dalle costruzioni di quel tetro villaggio. L’atroce ritrovamento dei resti delle povere donne (scena molto forte e dalle marcate venature splatter), indirizzerà i due rangers sulla giusta pista e decisi come non mai, intraprenderanno l’opera di distruzione della sanguinosa setta. Le scene finali tra la cripta e il tempio del male (con tanto di vetrate sataniche e statue demoniache) sono molto adrenaliniche e spettacolari, con il fuoco purificatore che metterà fine a questo piccolo regno del male. Storia davvero notevole, che tiene inchiodati alle pagine in apnea e suscita forte emozioni; alla fine anche il lettore sembra tirare il fiato appena Tex e Carson sfuggono dall’inferno di fiamme volando dal rosone. Non mancano alcune piccole imperfezioni ma che tirando le somme non influiscono troppo nel buon esito nella prova. Certamente non brilla di ingegno la trovata di Crandall di far dar fuoco al casolare, dopo averne parlato con i nemici, mossa che non ottiene altro esito che attirare sul suo villaggio le mire dei due rangers. Anche Tex stranamente perde qualche colpo, non fiutando subito il marcio dal presunto prete e da Prescott, e dire che la croce di fuoco che gli fanno trovare davanti la porta della sua stanza in segno intimidatorio, sia identica a quella cucita sul petto del “testa pelata” in saio nero. Anche lasciare il povero Grady ferito nelle mani di Prescott, sembra proprio una stonatura, per non parlare dell’inaudita ferocia con cui spara quasi alle spalle del fratello di Lennox, ma alla fine lo sfolgorante epilogo cancella tutto, pure le eventuali imperfezioni. La totale assenza di donne e bambini nel villaggio è una licenza narrativa che si prende Bonelli; ovviamente la circostanza è assurda, ma se notate anche nell’episodio “Il linciaggio” in cui i beceri sentimenti di razzismo serpeggiano fra gli abitanti della cittadina, del gentil sesso non c’è nemmeno l’ombra: l’autore cavallerescamente sembra voler preservare di coinvolgere il genere femminile in simili brutture collettive. Davvero efficienti i disegni di Fusco; le sue vignette inquietanti arricchiscono all’ennesima potenza, una sceneggiatura già travolgente di suo, rendendo la storia una delle chicche della saga. Il mio voto finale è 8
  23. Condor senza meta

    [209/210] Linciaggio

    È proprio vero che non si finisce mai d’imparare nella vita: solo dopo più di vent’anni dalla prima lettura dell’episodio, scopro che il soggetto in questione fu suggerito a G.L. Bonelli dal figlio minore. Fermo restando questa curiosità, che funge da conferma di quanto sia interessante e costruttivo frequentare forum tematici come questo, mi appresto a esprimere i miei giudizi su questa storia breve, ma intensa. L’ambientazione in Tennessee è abbastanza inusuale per il nostro ranger e la dose viene rincarata da un soggetto particolare e alquanto inedito per la saga ai tempi della pubblicazione, ma purtroppo sempre troppo attuale: il becero razzismo rivolto contro gli uomini di colore. La trama si dipana fra cacce all’uomo, inseguimenti e sparatorie, ma conserva come unico filo conduttore, l’odio razziale di un’intera cittadina verso un povero ragazzo afroamericano, che all’apparenza ha il solo torto di aver sfidato l’assurdo divieto di farsi un cicchetto in un saloon, dove la gente della sua razza non è gradita. Realmente oltre alle deplorevoli vessazioni dovute al colore della pelle, il malcapitato personaggio (di cui Bonelli non specifica il nome) si ritrova nell’occhio del ciclone per aver casualmente scoperto che Eric Warren, non è il notabile commerciante che intende apparire, bensì un bandito accusato di aver fatto parte a una sanguinosa rapina anni prima. Proprio Warren ha interesse a infiammare gli animi intolleranti dei compaesani per far linciare il testimone, ma l’arrivo di Tex complica tutto. Sarà proprio il nostro ranger ad acciuffare il fuggitivo, per poi difenderlo dall’assurdo linciaggio, una volta intuita la verità, anche a costo di dover mettersi contro il suo vecchio amico Boone, esasperato dalla morte del fratello. Episodio dall’atmosfera molto tesa e crepuscolare, che alla fine lascia un po’ di amarezza; la presenza di alcune incongruenze, però, lima a tratti lo spessore della prova. Suona alquanto forzata la coincidenza che Tex incontri casualmente il suo vecchio amico così distante dalla riserva, ma oltre questo, alcuni aspetti di Boone, che si mostra incline ad accettare il razzismo della sua cittadina, fa sorgere dubbi sulla possibilità che i due possano essere andati d’accordo in passato. Anche la scena dentro in saloon, dove gli aguzzini si distraggono al banco, permettendo alla loro vittima di recuperare i sensi e armarsi di pistola senza essere visto, appare una leggerezza troppo grande. La figura del gambler è positiva, ma a mio avviso troppo eroica nel contesto. Un uomo che si sacrifica per uno sconosciuto, in una faccenda che in fondo non gli riguarda, mi convince poco. Anche poco plausibile, a esser pignoli, il piano della rapina in cui Warren fa da basista: è assurdo che i suoi complici accettassero che il bottino rimanesse nelle sue mani; anche senza l’intervento dell’esercito, chi gli garantiva che non si dileguasse (come puntualmente avviene) con la grana? Molto aulico il finale, con il villain della storia che muore annegato in un fiume in piena, dove gli viene (verrebbe da dire giustamente) negato l’aiuto da uno degli uomini di colore che ha dovuto subire in passato le sue angherie. Discreti i disegni di Nicolò, sebbene appaiano lievemente in calo rispetto al suo standard qualitativo. Curioso l’utilizzo dei retini in alcune pagine della storia, a memoria mi vien di affermare che forse fu proprio il primo caso nella saga in cui apparve questa tecnica, ma potrei sbagliarmi. Il mio voto finale è 6
  24. Come direbbe il vecchio Carson: Se questa non è una storia con i fiocchi, mi mangio il cappello! Citazione a parte, la saga settantennale del ranger poggia il suo longevo successo su solide fondamenta, quali episodi epici e grandi autori, ma anche simili storie "minori" contribuiscono a rendere celebre la collana. G.L. Bonelli tornato saldamente in sella dopo alcuni tentennamenti, riprende seriamente le redini dell'ispirazione e sforna un episodio degno di nota. Partendo da un classico, ma sempre funzionale soggetto, l'autore cesella una sceneggiatura dinamica e divertente, che corre via spedita come un treno sopra i binari della fantasia. Merito anche di dialoghi superbi, azzeccati, divertentissimi e mai troppo verbosi, d'altronde la maestria del Bonelli nel riempire i baloons con testi esplosivi, è il suo marchio di fabbrica. Il villain di turno è l'avido banchiere Brady, un affarista senza scrupoli che pur di far soldi, ingannerebbe pure il diavolo; un autentico vampiro al cui confronto il famigerato Conte Dracula è un povero vegetariano. Il piano di impossessarsi della miniera di Walcott, destabilizzandola con numerosi furti e sfruttando il fratello del proprietario minerario, strozzato dai debiti di gioco, è degno di un infido verme della sua risma. Solo la brillante azione dei quattro pards, in forma smagliante, farà in modo che torni a trionfare la giustizia. L'episodio è zeppo di scene memorabili come la scoppiettante e divertente scazzottata nel saloon contro Bill "manico di scopa" Reno, o la brillante idea di far assoldare Kit e Tiger dalla banda per eliminare i due presunti "esperti di esplosivi" Tex e Carson. Molto ben caratterizzata è la personalità dello stalliere Pop, un furbastro di quattro cotte che si rivela un valido alleato nella indagine, così come si rendono preziose le informazioni del vecchio pescatore, che plausibilmente con i suoi sensi di risentimento, mette i due pards sulla giusta strada, dipingendo il quadro chiaro su Brady. Uniche due note stonate a mio avviso, in primis la leggerezza di Horan che indossa il sigillo sottratto alla sua vittima, azione degna da essere premiata con la targa "L'imbecille dell'anno" e la sequenza finale sulla casa del fiume, molto avvincente, ma non del tutto originale e troppo simile ad altre situazioni già viste sulla saga. Pure il duello finale fra le due anime nere che si uccideranno a vicenda, suona come un epilogo troppo scontato e già visto. Ottima la gestione dei quattro pards, soprattutto i due Kit, con un Carson molto propositivo e acuto e il piccolo Willer molto deciso e intraprendente. Buoni i disegni di Galep, tranne qualche sbavatura nel finale. A tal proposito, come non menzionare la splendida inquadratura della copertina dell'albo "L'aquila e la folgore" a cui fa da contrappasso la bruttissima ultima vignetta dell'episodio, che sembra essere stata disegnata da un'altra mano o da un Galep dopo una bottiglia di Chianti. Il mio voto finale è 8
  25. Il Carson di Nizzi agli inizi era una "spalla" brillante e molto ironica. Di certo non paragonabile alla caratterizzazione originale di G.L. Bonelli, ma decisamente più valida e centrale rispetto all'opaca rappresentazione data da Nolitta, che spesso e volentieri lo lasciava fuori dalle sue storie (sacrilegio a mio avviso!). Purtroppo col calo creativo di Nizzi nei tardi anni '90, anche il suo Carson ha perso spessore e mordente. Però non mancano episodi in cui il valore e la lealtà del Carson nizziano raggiunge cime altissime, come in "Appuntamento con la morte" per farne un esempio. Come non essere d'accordo con Barbanera in merito agli splendidi dialoghi con spassosi battibecchi tra i due pards: una solida amicizia fraterna, che trasuda pagina dopo pagina, rendendoli una coppia affiatatissima e amata agli occhi di molti lettori della mia generazione, che si sono affacciati nell'universo texiano nei lontani anni '80.
×
×
  • Crea nuovo...

Informazione importante

Termini d'utilizzo - Politica di riservatezza - Questo sito salva i cookies sui vostri PC/Tablet/smartphone/... al fine da migliorarsi continuamente. Puoi regolare i parametri dei cookies o, altrimenti, accettarli integralmente cliccando "Accetto" per continuare.