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Condor senza meta

Ranchero
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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Può bastare una storia scritta col “pilota automatico”, priva sì di errori eclatanti, ma al contempo di mordente, a poter soddisfare un lettore affezionato, che da svariati anni ama l’universo di Aquila della Notte? Magari ci saranno utenti che risponderanno affermativamente a tale quesito e, per carità, rispetto in pieno la loro opinione, tuttavia il sottoscritto non se la sente di accodarsi a tale schiera. “La rivolta dei Cheyennes” è quanto di più prevedibile e soporifero abbia letto nel sesto centenario (500-600 specificazione doverosa per non ridare adito all’annosa questione della numerazione dei centenari). 😀 Aldilà di un soggetto che definire abusato è riduttivo, aspetto comprensibile in una saga che contava già allora quasi 600 numeri e un’enorme sfilza di speciali, è proprio l’andamento piatto della trama a non andarmi giù. La sceneggiatura procede d’inerzia seguendo un canovaccio definito e ben conosciuto, senza alcun sussulto o colpo di scena che ravvivi la lettura e con dialoghi spenti e ripetitivi. L’ennesimo complotto contro una tribù indiana (i Cheyenne per l’occasione per variare almeno qualcosa), è già chiaro fin dalle prime pagine e i nostri non dovranno sforzarsi minimamente a scoprire nulla, visto che apprenderanno tutti i dettagli dai vari interlocutori di turno. Questa scorciatoia narrativa, utilizzata in quantità industriale nella fase più critica della sua carriera creativa da Nizzi, mi irrita più del consueto origlione di turno, visto che a mio avviso sgonfia di fatto l’interesse per l’intreccio della trama e sminuisce notevolmente i meriti investigativi dei due pards. Tex e Carson si riducono così a due abili pistoleri che devono solo sventare le pallottole degli avversari e sconfiggerli a revolverate, dopo essere stati indirizzati sulla giusta strada da immancabili rivelazioni esterne. Tex non compie nessuna piccionaggine stavolta e va bene, ma in fondo funge solo da esecutore e il suo unico merito è quello di aumentare smisuratamente la statistica del numero di avversari uccisi, che vedendo come sparano, avrei ucciso anch’io sebbene al luna park, col fucile ad aria compressa, non riesco a beccare nemmeno due bersagli di fila 🤣. Pallottole e polvere da sparo ne troviamo a quantità nei due albi, visto che l’ossatura della scarna trama è un susseguirsi di agguati e trappole senza soluzione di continuità, con avversari poco caratterizzati, un continuo richiamo nei dialoghi al complotto della compagnia ferroviaria e un epilogo veloce come uno sprint di Usain Bolt. Troppo poco per un lettore storico, che queste tematiche ormai le ha assimilate da tempo e già a mezzo albo, non essendoci colpi di scena, prevede per filo e per segno lo svolgersi degli eventi. Prova non da bocciatura, ma nemmeno meritevole della sufficienza. Su Del Vecchio mi sono espresso già nel commento della storia che sanciva il suo debutto sulla saga: un disegnatore classico, pulito e molto elegante. Un artista di talento che con pochi fronzoli, evidenzia le sue capacità e brilla notevolmente nei primi piani e le espressività dei personaggi. La caratterizzazione grafica di Tex mi piace un botto e la sua linea chiara, unita a un’accurata pulizia di tratto, (doti che molti lettori ritengono non adatte alle tematiche western) mi affascina molto. Il mio voto finale è 5
  2. Avete presente alcune reunion di vecchie band del passato, che dopo tantissimi anni si ritrovano sullo stesso palco e aldilà dell’emozione suscitata ai fans per l’evento, spesso forniscono un’esecuzione non all’altezza della loro storia, a causa della ruggine accumulata o il feeling artistico compromesso? Il sottoscritto, non sa dir bene il perché, ma è così che rivede il terzo capitolo della Tigre Nera sulla saga. Il ritorno del celebre arcinemico creato da Nizzi indubbiamente alimentò le aspettative di quei lettori innamorati della splendida storia d’inizio anni 90’ ma alla resa dei fatti la delusione (almeno per me) fu direttamente proporzionale alle attese. Rileggendo i due albi, la prima impressione che balena in mente è che l’autore abbia scritto il sequel troppo “a tavolino” privato da quella verve e divertimento creativo che aveva contraddistinto l’esordio. La prova si presenta alquanto piatta e priva di eccessivi spunti e trattandosi di un così atteso ritorno, questo aspetto è un’aggravante. Nizzi con un pizzico di furbizia, ambienta a San Francisco il terzo capitolo della sfida, cercando di sfruttare al massimo anche l’amato scenario californiano e Chinatown che in passato tanto aveva dato alla saga, ma a dire il vero, al netto della pirotecnica (nel senso pieno della parola) scena nel quartiere cinese con il pestaggio e successivi “fuochi artificiali”, neanche questa scelta contribuisce granché a far prendere quota all’episodio. Già l’incipit lo trovo affrettato, poco coinvolgente; in un esiguo numero di pagine i nostri hanno già la certezza di ritrovarsi al cospetto del vecchio nemico. Nessun dubbio, nessun pathos, così come il proseguo delle indagini, celeri e senza alcun colpo di scena visto che la Tigre Nera non varia di una virgola il suo modus operandi, divenendo alquanto prevedibile. Fra le immancabili origliate del poliziotto corrotto (che la farà franca senza essere mai individuato) e trappole alquanto telefonate che dimostrano l’appannamento d’intuito dei nostri, che ci cascano più volte come topolini attratti dal formaggio, si arriva all’epilogo finale, che in qualche maniera si fa apprezzare, soprattutto grazie al lungo duello a filo di scimitarra tra Tex e il principe malese. Tralascio nel mio giudizio il ruolo di Carson, visto che è praticamente imbarazzante in questa storia, così come trovo inopportuna la copiatura dei due colossi guardie del corpo: una volta va bene, ma riprendere simile stratagemma non paga a mio avviso. Pure la motivazione dell’oppio alla base del folle piano di vendetta di Sumankan è piuttosto debole: il malese non spaccia la sostanza stupefacente per arricchirsi ma nell’intento di indebolire gli avversari e prendere il potere (vedi il folle sogno di dichiarare guerra agli Usa dichiarato nella prima storia) e vendicarsi dei bianchi; in poche parole voler uccidere un elefante con uno spillo! Anche il rapporto fra il capoccia e gli adepti della setta soggiogati dal terrore, punto cardine delle tappe del passato, in questa storia non viene approfondito e risulta solo abbozzato. Craig, unico adepto tratteggiato da Nizzi, è lontanissimo anni luce da personaggi del calibro di Jean Morel, che nella prova di origine arricchivano la storia. Degli altri associati alla setta nemmeno l’ombra, solo una fugace inquadratura nel vignettone nei sotterranei della lussuosa bisca. Perdonatemi se sono troppo critico, ma anche il castello nero nella Valle del Fiore Rosso è ben poca cosa rispetto al covo del Colorado: volete mettere a confronto la straordinaria odissea tra i cunicoli, scale parlanti, trappole con pavimenti ruotanti con un casermone anonimo in cui al nostro basta infrangere una vetrata per sfuggire al nemico? Se Carson non brilla, Tom Devlin avrà l’onore di sparare il colpo decisivo che permetterà di salvare Tex, in estrema difficoltà, e far sparire la Tigre Nera; a tal proposito sono molto curioso di scoprire quale stratagemma narrativo verrà usato per recuperare un personaggio che obiettivamente alla fine di questa storia, pare messo definitivamente fuori gioco. Suppongo che, come nel caso di Mefisto, si dovrà trovare una scelta forte che inevitabilmente spaccherà le opinioni dei lettori, tuttavia spero solo che la qualità della storia sia tale da far accettare anche un’eventuale forzatura. Interessante, per finire, il dialogo fra i due nemici durante l’ultimo duello, dove Sumankan sostiene che in fondo Tex dovrebbe essergli alleato, visto che come i nativi d’America, la sua vendetta è mossa dalle ingiustizie e soprusi subite dai colonizzatori bianchi; ovviamente il ranger gli rinfaccia tutti i suoi cruenti crimini che esulano dal desiderio di rivalsa e che mai possono autorizzare il suo appoggio, tuttavia proprio questo scambio di opinioni, pare, poter fungere da preludio a un’eventuale “ sorpresa” futura in Borneo. Il quarto capitolo dovrebbe essere nuovamente assegnato a Venturi e questa è ovviamente una buona notizia: l’ottima performance grafica dell’emiliano è la miglior nota positiva dell’ Artiglio della Tigre ed evidenzia l’alto livello raggiunto dal disegnatore. A mio avviso sceneggiature simili sono molto complicate da illustrare, ma Venturi se la cavò da campione, curando molto nei dettagli le vignette, caratterizzando in maniera egregia i nostri e i comprimari (vedi la perfetta resa della Tigre Nera) e fornendo una ampia sfilza di interessantissime inquadrature che accattivano l’occhio e rendono scorrevole e dinamica la lettura delle varie sequenze grafiche. Proprio grazie al suo ottimo contributo, non me la sento di assegnare la mediocrità all’episodio e abbuono un voto in più per stima. Il mio voto finale è 6
  3. Appena Gianfranco Manfredi approdò su Tex, fui molto contento. Già da anni apprezzavo il suo stile originale su Dylan Dog e Magico Vento. Il “battesimo del fuoco” sul maxi mi convinse parecchio e l’attesa di vederlo alle prese con la regolare era alta. Non ho mai nascosto la mia stima nei suoi confronti: artista eclettico, dalle idee chiare e mai banale. Il debutto sulla serie non tradì la sua originalità, perché è indubbio che si approcciò al personaggio senza grossi timori riverenziali e già dall’insolito ma avvincente soggetto, si scorse la sua notevole personalità artistica. L’idea di costruire la trama sulla guerra dell’acqua, preziosa più dell’oro negli aridi campi dell’Arizona, non è affatto male e pure l’intreccio è ben costruito. La prima impressione leggendo la storia è quella di un realismo insolito su Tex, con i giochi politici a muovere le fila. Il losco Lansdale è il tipico affarista spietato che non esita ad assetare i contadini della contea, pur di arricchirsi e abilissimo a scatenare una triste guerra fra poveri per allontanare da sé i sospetti. Un ladrone in guanti bianchi che sfrutta i cavilli legali per danneggiare il prossimo e imbottire il portafoglio e con un metro di pelo sullo stomaco, visto la semplicità con cui si libera dei suoi sottoposti. Il primo albo è decisamente buono, ma purtroppo la storia si sgonfia parecchio nella seconda parte, appesantita da dialoghi un tantino verbosi e da un epilogo un po’ arruffato. Già l’agguato organizzato da Lansdale al vecchio pueblo, lascia un po’ interdetti: troppo superficialità quella mostrata dai banditi che lasciano tracce visibili del loro passaggio, dando conferma ai nostri che Lansdale non è giunto solo nel luogo dell’appuntamento, per non parlare della figura di pivello che fa uno dei killer prezzolati che si fa tradire dalla sua ombra. Un po’ nebulosa pure l’idea di Hawks, che si definisce un asso in una battuta col suo principale, ma si assiepa nella casa grande minata da gran codardo e fallisce in pieno nonostante la grossa quantità di dinamite. Un asso che si rivela una vera scartina quando dà le spalle al villain dopo essere stato pagato, facendosi freddare come l’ultimo degli idioti. La scena finale con la protesta dei Pima e i contadini, che su consiglio di Tex e Swilling (personaggio storico ben tratteggiato dall’autore) finalmente seppellisco fra loro l’ascia di guerra e concentrano le loro mire contro il comune nemico e la successiva distruzione della diga è molto effervescente, ma alquanto discutibile. In effetti è vero che Lansdale sia una carogna e tale si dimostra fino alla fine, visto che vedendosi perduto non esita a voler far saltare in aria governatore e nemici, ma suona strano che Tex agisca in modo così subdolo, predisponendo con cinismo l’inevitabile fine del villain. In effetti, oltre alla forzatura degli esplosivi di scorta assiepati dentro la diga, è assurdo che il nostro rischi di creare una strage di persone innocenti con una tale scelta azzardata. Un’azione più da Diabolik che da ranger. Debutto in chiaro scuro di Manfredi che sembra presagire il suo contributo sulla saga, alquanto altalenante; come già accennato altrove, non mettendo minimamente in dubbio la sua qualità, deduco che il suo andamento sia dovuto a una scarsa affinità col personaggio. Pure la mancata continuità con lo sceriffo di Phoenix, fatta notare in precedenza forse è dovuta a una non completa conoscenza delle tappe passate, anche se un minimo di editing avrebbe permesso di colmare la lacuna. Fortunatamente al giorno d’oggi, per la gioia dei lettori esigenti, con Borden curatore questi aspetti non sono più secondari. Davvero innovativa e divertente la scena della tintura, con l’esilarante battuta di Tex che fa notare a Lansdale che “sta sudando catrame”. D’altronde con le parole Manfredi ci ha sempre saputo fare, sia nelle sceneggiature che nelle canzoni. Piccolo aneddoto OT che forse può interessarvi poco: appena finito di rileggere “La grande sete”, ho messo su l’album “Passpartù” della Pfm per godermi la band italica che adoro, ma anche i testi particolari di Gianfranco in quell’occasione paroliere per Di Cioccio e company. Civitelli sempre superlativo; il tipico caso di disegnatore che basta da solo a innalzare il valore di una sceneggiatura. L’agguato al vecchio pueblo, se da un lato non brilla per l’inconsistenza dei banditi, dal punto di vista grafico è un piccolo gioiello, con due tavole in particolare che, esulando dalla tradizionale gabbia bonelliana, sfoderano una pulizia di tratto e dinamismo da urlo. Poi il sottoscritto è letteralmente innamorato della tecnica del puntinato, in cui l’artista aretino è un maestro. Alzi la mano chi non rimane estasiato dinanzi a vignette come quella verticale di pagina 49 del secondo albo! Classe sopraffina! Il mio voto finale è 7
  4. Condor senza meta

    [583/584] Missouri!

    La recente rilettura della mia collezione mi sta regalando un’autentica girandola d’emozioni. Parecchi episodi li conservo scolpiti nella memoria e riprenderli è sempre un piacere, altri li ricordo meno e per l’occasione li sto rispolverando e albo dopo albo è come goderseli per la prima volta. Ciò che più però mi sta colpendo è il notare come una stessa storia, letta in fasi diverse della propria esistenza, possa procurarti sensazioni diverse. Gli albi sono identici a come li avevi lasciati un decennio prima ma evidentemente nel frattempo (come è ovvio che sia) cambia il modo in cui li vedi. Mi scuso per la lunga premessa che può apparire off topic ma mi premeva esternare questa strana sensazione, riacutizzata in maniera eclatante durante la rilettura di “Missouri”. All’epoca dell’uscita in edicola ricordo che, sebbene l’avessi in gran parte apprezzata, non avevo colto a fondo la bellezza intrinseca della storia. Ovviamente anche oggi non mi sento di sostenere che sia l’episodio migliore composto da Boselli per la saga, ma è indubbio che dopo una lettura più attenta e matura ho di gran lunga rivalutato il complesso. A mio avviso uno dei grandi meriti di Borden su Tex è sempre stato (e lo è tuttora) il suo approccio alla scrittura, più da fumetto d’autore che da serie popolare. I suoi soggetti, a parte qualche caso meno riuscito, sono sempre molto articolati e complessi; le sue sceneggiature innovative sebbene nei solchi dei più classici stilemi western e poi, la caratterizzazione psicologica dei personaggi rimane sempre il fiore all’occhiello della sua produzione. “Missouri” rimarca lo schema fortunato del capolavoro al debutto, con un incipit movimentato a cui segue un lungo flashback ambientato nel passato che anticipa la resa dei conti finale. Tex porta nel suo racconto, a beneficio del figlio, le lancette del tempo indietro, fino ai tempi della guerra civile. Aldilà della missione vera e propria affidatagli dal comando nordista, la grandezza del flashback sta proprio nella truce atmosfera di odio e terrore aleggiante attorno alle violenze del conflitto, che l’autore trasmette al lettore con magistrale perizia. Come in ogni dannata guerra, il torto e la ragione non stanno mai da una sola parte e anche la sanguinosa disputa tra i Jayhawkers del Kansas e i Bushwackers missouriani, fulcro del racconto, ne è una lampante testimonianza. Una paradossale sottoguerra intestina tra due stati sulla carta alleati contro la Confederazione ma divisi da una forte rivalità e il diverso orientamento in merito alla politica abolizionista. Nella vicenda rievocata da Tex tutti i facili luoghi comuni che vedrebbero gli antischiavisti dalla parte della ragione, vengono messi in discussione con una matura e cruda riesamina delle brutture del conflitto, dove nulla è mai quello che sembra, a parte gli orrori della violenza e la morte. Come in un racconto realista, Borden ci descrive le angherie, i soprusi, le razzie compiute da uomini, convinti che la divisa e il conflitto li autorizzi a tutto. Scene forti come la fucilazione di innocui civili a Trading River, accusati senza processo né prove di dare rifugio a dei ribelli, dipinge con mestizia le assurdità delle guerre e l’enorme prezzo da pagare della gente comune. Un detto recita che “Nella lotta fra elefanti, chi ci rimette sono le formiche, schiacciate dall’enorme mole dei contendenti” e trovo perfettamente adatta questa similitudine, visto che ogni guerra lascia scritto un capitolo di storia, dove i deboli e gli sconfitti non saranno mai menzionati e la realtà dei fatti verrà sempre addomesticati dai vincenti. Tex e “Damned” Dick si adoperano più che altro a cercar di salvare gli innocui civili, in un triste gioco più grande di loro; in parte la lieve ingenuità giovanile ma soprattutto i molteplici voltafaccia degli arroganti ufficiali gallonati, li mettono in seria difficoltà, soprattutto nella scena della liberazione del giovane ragazzino rapito, ma il coraggio e gli ideali del futuro ranger sono doti ben radicate nel suo cuore. È superfluo specificare l’ottimo lavoro svolto da Boselli nella caratterizzazione delle sue creature di carta che agiscono nell’episodio. Il tenente Robbins è il tipico galantuomo in divisa che opera seguendo la sua forte etica morale, come non manca il coraggio e il buon senso in figure come Hawkins o il dottor Edwards. Ma a mio avviso è magistrale il lavoro che Borden svolge sui villain. Già le figure secondarie del caporale Lewis e Corky Smith sono dipinte molto bene, soprattutto il ragazzo che appare come un facinoroso roso dall’odio e la violenza, che coglie l’occasione del conflitto per dar sfogo alla sua naturale indole: tuttavia nella sua mesta fine mostra pure una solida fedeltà al suo comandante. Di certo il villain più di spessore è senza dubbio il capitano Jude West. Sebbene sia un ufficiale arrogante, spietato e mosso da sentimenti negativi che lo assimilano alla categoria dei banditi, si nota subito che è un osso duro da rodere e soprattutto il suo carisma lo porta a essere seguito e stimato dai suoi uomini. Emblematica in tal senso, la bella sequenza della morte del giovane soldato di colore Rebo, che sul punto di esalare il suo ultimo respiro, si preoccupa di far riferire a West di essere stato un suo degno soldato: una forte senso di appartenenza, purtroppo mal riposto nei confronti di un’emerita canaglia! L’epilogo finale ambientato nel presente e che vede la squadra dei nostri al completo, con la bella sorpresa della presenza del redivivo Damned Dick, in effetti è un po’ accelerato e non tiene il confronto con le sezioni narrative precedenti. Qualche tavola di sceneggiatura in più sarebbe stata l’ideale, soprattutto per chiarire maggiormente l’alleanza fra West e Rhett Corrigan, due guerriglieri posti su schieramenti opposti durante la guerra, ma accomunati da una simile indole. In fondo non trovo tanto implausibile la loro collaborazione, anche se, senza tanti chiarimenti, potrebbe sembrare un po’ campata in aria. Di certo Rhett si mostra meno di spessore rispetto a West anche nella sessione del presente, visto che a differenza del socio, sembra ormai muoversi solo per denaro, mentre l’ex capitano del Kansas, anche a distanza di anni, continua a covare i suoi risentimenti e il desiderio di vendetta verso gli artefici del suo fallimento in divisa, che lo induce alla sua spedizione di vendetta a Glendale che movimenterà il crudo incipit. Riassumendo: non sarà il capolavoro di Boselli e forse qualche ingranaggio narrativo andava oliato meglio, ma la reputo davvero una gran prova “d’autore” che arricchisce una saga già di suo monumentale. Il comparto grafico, affidato a Corrado Mastantuono al debutto sulla regolare, si rivela efficace per la cupa ambientazione, visto che il suo tratto spigoloso e sporco si sposa perfettamente con la trama. Comprendo che lo stile sintetico e nervoso dell’autore, a tratti affine a quello di Font, divida la platea dei fans texiani, in virtù soprattutto di una presentazione grafica dei pards non convenzionale, che può apparire poco riuscita, ma bisogna riconoscergli molta personalità e dinamismo. Ammetto che non è il mio autore preferito ma non mi ha mai disturbato, anzi lo reputo col tempo molto migliorato nella leggibilità delle vignette e nella resa grafica generale. Il mio voto finale è 8
  5. Sono consapevole di non aggiungere nulla di nuovo se sostengo che le prime storie di Faraci su Tex ebbero il loro perché. “Lo sceriffo indiano” risulta pure migliore rispetto a quella del debutto, già di suo accettabile. L’autore mostrò in principio di avere tutte le carte in regola per entrare in ruolo definitivo nello staff texiano ma purtroppo, col senno di poi, il brillante esordio si rivelò solo un “fuoco di paglia”. Non volendo correre troppo avanti, tralascerò ogni considerazione sul deludente proseguo di Faraci e mi soffermerò solo sul giudizio della storia in questione. Il soggetto non è originalissimo e in alcuni punti rimarca quello scritto da Nizzi per il texone “Il soldato comanche”. Anche qui avremo un giovane indiano, accusato ingiustamente di un duplice omicidio e Tex che si muove personalmente per raggiungerlo e cercare di dimostrarne l’innocenza. Jerry Norton è inoltre un vecchio amico del ranger e con il suo coraggio è riuscito perfino a farsi affidare negli anni la stella di sceriffo nella cittadina di Greystoke. Purtroppo col progresso e l’arrivo di spietati speculatori, la vita del paese cambia in peggio e la presenza dei Rowen, nei panni degli immancabili padreterni arroganti a caccia di accaparrarsi beni e potere, rende ancor più venefica l’aria per il giovane sceriffo. Appena si rinvengono i corpi senza vita di Stanley e Rita Kent, amica di Norton e promessa forzatamente in sposa a Rick Rowen, la macchina del fango viene subito avviata dal boss cittadino e il povero sceriffo viene accusato e costretto alla fuga per sfuggire ai cacciatori di taglie, attratti dal premio di cinquemila dollari offerto in caso di cattura. Tex, per l’occasione “orfano” dei suoi pard, troverà nel giudice Frank Forrest un potenziale alleato, anche se con lo scorrere della trama il lettore scopre il doppiogioco di quest’ultimo. Una sceneggiatura discreta, che si avvale di un particolare schema di flashback e scene d’impatto come la lotta contro i lupi famelici nella foresta, arricchita da dialoghi pregevoli, rende molto piacevole la lettura. I ritmi narrativi non sono forsennati, soprattutto nel primo albo, comunque la tensione che si respira nella seconda parte, con il cerchio che si stringe attorno a Norton, assediato dagli sgherri prezzolati da Rowen, è apprezzabile. Discreta la caratterizzazione dei personaggi e spicca il ravvedimento di Foster, comprimario alquanto grigio che verrà chiuso in un penitenziario, ma avrà l’occasione di espiare le sue colpe appena uscito, grazie a una seconda opportunità offertagli da Norton. Storia non indimenticabile ma comunque ben strutturata e gradevole nel complesso. L’assenza dei pards si fa sentire, tuttavia Faraci gestisce la trama abilmente senza incappare in quelli che diverranno i limiti nel proseguo della sua opera texiana. La prova grafica dei fratelli Cestaro, giunti alla terza apparizione sulla saga, è adeguata e convincente; si nota fra le tavole la loro ricerca continua di uno stile funzionale. Il tratto dei fratelli campani è molto personale e convincente, anche se mi accodo a coloro che hanno trovato alcuni primi piani di Tex non del tutto perfetti. Comunque ogni tavola è ben bilanciata e ottimi appaiono gli scorci naturali. Una continua evoluzione stilistica che conferma la bontà della scelta redazionale di arruolarli nella squadra texiana. Il mio voto finale è 7
  6. In effetti, il soggetto presenta punti non chiari che alimentano alcune perplessità durante la lettura. Capita di rado con Boselli, che di solito è molto attento e preciso con gli snodi della trama. Sebbene la storia si faccia comunque leggere, a mio avviso simili "debolezze" minano il valore complessivo della prova e lasciano un tantino delusi. C'è pure da dire pard, che Borden ci ha da sempre abituato troppo bene e da lui ci si aspetta sempre il massimo. Mica facile accontentare una platea così eterogenea ed esigente! 😀
  7. Reduci dalla splendida tripla boselliana col pirata alchimista, l’aspettativa per il ritorno di Montales sulla regolare lievitò smisuratamente. Ammetto però che personalmente rimasi un po’ deluso; la prova non fu insufficiente ma non del livello che mi sarei aspettato, considerando pure il periodo di buona ispirazione dell’autore. Il primo albo trasuda western da ogni vignetta e si lascia leggere con piacere, il secondo assume un ritmo narrativo vertiginoso ma evidenzia alcune debolezze di un soggetto, a mio modesto parere, non solidissimo. Un vizio di fondo lo individuo nel controverso ruolo di Montales nella storia. Dai suoi trascorsi da desperado è plausibile che possa aver frequentato amicizie poco raccomandabili come Nacho Gutierrez, ma è dura pensare che abbia potuto avallare e partecipare a un’ignobile azione nei confronti del paese di San Raphael per depredare l’oro dei Villahermosa. Borden, ovviamente, col proseguo della trama specifica al lettore che il governatore all’atto dell’odioso crimine era già fuori dalla banda e si oppose al piano, ma a tal punto il presunto ricatto di Nacho che induce il messicano a tornare fuorilegge, in cosa consiste? La logica porta a credere (come di fatto sarà) che Montales si infiltri nella banda solo come un “cavallo di troia” per permettere ai soldati di sgominare il clan criminale e troncare sul nascere i sogni di gloria del sedicente dittatore, ma Nacho come fa a non sospettare un piano simile appena riaccoglie il vecchio compagno, che nel frattempo è diventato un’importante carica istituzionale? Si fida forse dell’antica amicizia, ma se così, perché ricattarlo? Altro aspetto strano, come mai Montales, in previsione della sua pericolosa missione, non studia con Tex un piano di collaborazione e lascia nel dubbio l’amico sulle sue reali intenzioni? Il nostro eroe di spontanea volontà si fa arruolare nella banda sotto falso nome per vederci chiaro, correndo seriamente il rischio di essere riconosciuto visto che ai tempi della rivoluzione a fianco di Montales era divenuto alquanto famoso. Ma Gutierrez non sospetta nulla e contrariamente alla sua feroce fama, sembra quasi ingenuo. Facendola corta: uno spunto di soggetto pirotecnico ma che lascia qualche dubbio a mio modo di vedere. L’azione e il divertimento non mancano e ciò per merito della consueta abilità in cabina di regia di Boselli che compone una sceneggiatura a tratti scoppiettante. A sorpresa ma strana, la presenza tra le macerie dei reduci dei Villahermosa. Mi viene da chiedere come mai abbiano aspettano tanto tempo a recuperare il loro oro e si apprestino a farlo, guarda caso, appena Nacho e sgherri si prefiggono a fare altrettanto. Perché starsene chiusi come topi se la via di fuga dai sotterranei c’è e la usa Montales per avvisare i soldati? Piccole incongruenze che mi hanno un po’ infastidito ma per il resto la lettura dell’episodio è gradevole e alcune trovate, come l’amicizia del bandito con Tex, sono apprezzabili. L’epilogo con Nacho che rimane schiacciato da quelle campane (che sembrano voler simboleggiare il suo rimorso) lo trovo molto bello e a effetto, ma è indubbio che con una cura maggiore sul soggetto, la prova boselliana poteva essere di ben altra caratura, così la reputo sufficiente ma sotto i suoi consueti standard. Con la storia in questione debuttò sulla saga uno dei disegnatori della nuova leva che preferisco e già dalla prima opera mostrò tutto il suo talento. Piccinelli è un grande artista che ricorda vagamente il grande Villa, ma riesce comunque a mostrarsi sempre molto elegante e con stile alquanto raffinato. Peccato che i suoi molteplici impegni, non ultimo il ruolo di copertinista su Zagor, non gli permettano di essere più presente sulla serie, ma ogni volta è sempre un grande piacere. Il mio voto finale è 6
  8. A mio avviso la tua parte è riuscita abbastanza, non a caso avevo specificato nel mio commento che la seconda sessione meritava un sette pieno. Non intendevo certamente sostenere che tu fossi stato vincolato da veti o opposizioni di Sergio, più che altro pensavo che il riprendere un'opera già iniziata, con un'ambientazione definita, alcuni personaggi già abbozzati e una collocazione geografica fissa, non sia la stessa cosa di poter lavorare in toto su uno spunto proprio. Magari sono totalmente in errore, ma era questo il pensiero che intendevo esprimere.
  9. Può capitare pard, non sempre ci si trova sulla stessa frequenza d'onda e meno male: sai che noia se i giudizi fossero sempre monocordi! 🙂 Proprio il garbato e costruttivo confronto di opinioni fra appassionati, rappresenta l'energia vitale di questo interessantissimo forum.
  10. Se ancora ce ne fosse stato bisogno, storie di qualità, come quella in questione, rappresentarono la prova lampante di quanto Boselli meritasse il ruolo di sceneggiatore leader nella serie. Essendo un grande estimatore della letteratura gotica in genere, l’episodio non poteva che riscuotere i miei più sentiti elogi, ma aldilà della mia valutazione soggettiva, la prova di Borden fu davvero superba. Già il soggetto brilla per originalità e interesse, ma è la perfetta sceneggiatura, curata in ogni dettaglio, a rendere il thriller con tinte horror una piccola perla compositiva. Il nostro ranger ha spesso varcato il confine della razionalità nella sua ultra settantennale carriera ma la classe con cui Boselli cesella la sua trama, creando una giusta miscela fra azione, esoterismo, suspense, colpi di scena, indagini sul filo del rasoio, il tutto con sullo sfondo una marcata venatura horror, rende “Omicidio in Bourbon Street” una storia quasi unica. La misteriosa sequela di omicidi che indirizzano le indagini verso un movente alchimistico, s’intreccia con l’azione di due gangster locali, che fiutano la possibilità di arraffare denaro. Sia Lagrange che la vecchia conoscenza Diamond Johhny si mobilitano interferendo nell’azione dei nostri nell’intento di poter mettere le zampe sul tesoro del leggendario pirata Lafitte, credendo che gli appunti di Raphael Tenebres, contenuti nei libri che i misteriosi killer stanno via via rubando, contengano il segreto per raggiungere il favoloso bottino. Tex e Carson affiancati da Nat e dall’enigmatico ispettore parigino Henry Carfax non si lasciano scoraggiare e proseguono la loro serrata indagine, fra sparatorie, passaggi segreti, trappole e pedinamenti, il tutto reso più misterioso dall’arcana presenza del “Vecchio di mezzanotte” un presunto spirito avvistato sui luoghi dei delitti. L’epilogo nell’inquietante Maison Estrahan è un condensato di tensione, pathos e sorprese. Si scopre l’insospettabile artefice della catena di delitti e il suo legame con i particolari indiani Choctaw, ma soprattutto si rivelano le sue motivazioni che non riguardano il bottino come auspicato dai boss, bensì la ricetta segreta per l’elisir di lunga vita. Ma il vero colpo di scena da manuale Boselli lo riserva svelando l’incredibile segreto di Henry, alias Raphael Tenebres, nonché l’alchimista scopritore dell’elisir e condannato a una sorta di dannata immortalità. La soluzione del mistero si intuisce prima dell’epilogo, visto che l’autore dissemina nei primi due albi parecchi indizi in proposito, vedi la frase di Tex che spiega a Carson che il loro “collega” sebbene molto giovane possieda già uno sguardo esperto o la scena della rimozione della grata nella trappola sotto la locanda. Anche la facilità con cui Henry si rimette delle ferite è sospetta, ma la certezza la si ha nel terzo albo, quando il misterioso coprotagonista dimostra di conoscere perfettamente la Maison. Un finale davvero ad effetto che chiude un episodio davvero splendido. Ottima la performance di Tex e Carson, con il vecchio cammello che riesce anche a sfoderare le sue doti da incallito seduttore con Mercedes. Il vecchio ranger dipinto da Boselli sembra quasi un “Mimì Augello” molto più abile e affidabile! 😜🤣 A parte le battute, i nostri eroi sono perfetti e agiscono senza sbavature ed è un vero piacere vederli in azione. Il comparto grafico affidato alla coppia esordiente Bianchini & Santucci è ben curato e azzeccato per l’insolita tematica. Molto belle le scene nelle paludi e il sapiente uso dei neri rende parecchio nelle numerose sequenze “dark”. Unico neo, a mio avviso, la caratterizzazione incerta di Tex nei tre albi; non so perché ma non riesce quasi mai a convincermi, mentre Carson e Nat sono decisamente più che accettabili. Il mio voto finale è 9
  11. Grazie @valerio. Gentilissimo. 😊
  12. Forse sull’onda del successo della “Collezione storica a colori” allegata a Repubblica e l’Espresso, Sergio Bonelli avallò la scelta di celebrare il sessantennale con un albo multicolor, contravvenendo alla regola non scritta della saga, di destinare solo ai numeri centenari la colorazione. Altra novità furono i disegni di Civitelli, che sostituì il suo corregionale Ticci alla realizzazione dell’albo celebrativo, mentre la stesura dei testi, ancora una volta fu affidata a Nizzi, per quella che col senno di poi si rivelò la sua ultima storia “speciale”. Abbiamo ormai ripetuto fino alla nausea che lo sceneggiatore di Fiumalbo in quei mesi era giunto “ai minimi termini” e vederlo impegnato sulla breve distanza di un albo celebrativo (prove in cui non aveva eccelso nemmeno nel suo periodo più florido) non lasciava ben sperare. L’idea di recuperare Lilyth e affiancarla a Tex in un aneddoto di gioventù, narrato ai pards attorno al fuoco di bivacco, fu d’impatto. Purtroppo il soggetto esile e una sceneggiatura un po’ sciapa, carente soprattutto nell’approfondire il rapporto affettivo tra i due giovani sposi, delude un po’. Non manca l’azione, soprattutto nelle scene della missione, anche Lilyth mostra il suo valore aiutando Tex in uno dei primi agguati, ma personalmente, mi sarei aspettato un pathos emotivo diverso essendoci la dolce Navajo che Civitelli caratterizza splendidamente. Cuervo Malo non brilla come antagonista, eppure riesce a mettere troppo in difficoltà Tex, vedi quando da solo sguscia dalla missione facendosi scudo della giovane indiana, oppure nella trappola prima del duello decisivo dell’epilogo, dove riesce a far slacciare il cinturone (a dire il vero solo gettare le pistole ma è lo stesso😀) al giovane Tex. Dopo tavole e tavole cariche di azione ma sostanzialmente lineari e piatte, Nizzi salva la sua prova sui titoli di coda, con una sequenza di pagine davvero notevoli. Prima vignetta azzeccata, e non scontata per la saga, il dolce bacio fra i due sposi, ma il picco l’autore lo raggiunge nella sequenza in cui Tex si allontana malinconico dal bivacco rievocando l’amata col vignettone finale che è pura poesia. Una sequenza che basta da sola a recuperare l’esito incerto dell’albo. I disegni di Civitelli sono una garanzia: evocativi, impeccabili, ricchi di dettagli e dinamismo. Ennesima prova di spessore dell’artista, che con la sua tecnica avvalora il colore e non in contrario. A tal proposito, vista la sua innata perizia nel realizzare chiaroscuri stupendi, ammetto che preferisco di gran lunga godermelo in bianco e nero; alcune vignette “vuote” con sfondi lasciati al colorista, con i suoi puntinati sarebbero state perfette. Un purosangue imbrigliato, questa la sensazione che emerge tra le tavole. Chiudo con un doveroso elogio alla copertina di Villa: splendida! Non sempre mi soffermo nei miei commenti sul lavoro eccelso del copertinista (essendo il mio disegnatore preferito dovrei ogni volta dedicare righe e righe di positive valutazioni) ma in questo caso specifico sono costretto a fare un’eccezione. La cover di “Sul sentiero dei ricordi” è un gioiello, avvalorata dalla colorazione pittorica e da un’espressività intensa nei volti della giovane coppia a noi cara. La copertina da sola basterebbe a valere il prezzo dell’albo. Chapeau! Il mio voto finale è 7
  13. Condor senza meta

    [573/574] Terre Maledette

    In prossimità dei festeggiamenti per il sessantennale, apparve chiaro il passaggio di consegne “quasi ufficiale” fra Nizzi e Boselli nel ruolo di sceneggiatore leader della serie. Per più di sei mesi consecutivi il nome dell’autore milanese figurò fra i crediti della regolare e negli albi a seguire la tendenza sarebbe stata riconfermata, fino al riconoscimento, non da poco, di scrivere l’albo celebrativo per il numero 600. Di certo, considerata l’ormai irreversibile fase d’involuzione nizziana, ancor più messa in evidenza dall’ottima continuità narrativa di Borden, la scelta redazionale fu sacrosanta e volendo, anche un po’ tardiva. Storie come “Tornado” sono il fulgido esempio di quanto l’attuale curatore meritasse “la promozione” e rileggerle è sempre un grande piacere. Per l’intera durata dei due albi, la sceneggiatura mantiene ritmi adrenalinici con tanta azione e continui colpi di scena. Ma sarà proprio lo spunto del Tornado, introdotto magistralmente vignetta per vignetta ad aggiungere ulteriore pathos e tensione alla narrazione. Come nella migliore tradizione boselliana, l’intreccio è ben intessuto e si avvale su un parterre di personaggi studiati ad hoc e rappresentanti il vero valore aggiunto alla prova. Sulla via di Amarillo Tex si ritrova a dover salvare il giovane Steve Lyman, un avvocato preso di mira da svariati killer prezzolati, che per conto del consueto “padreterno” paesano Lowe, cercano di sopprimerlo per impedirgli di deporre in processo proprio contro il boss. Ma la pista dei due finisce con l’incrociare quella della famiglia di contadini e dell’amico Hank, in fuga dai loro ranch devastati dal vento e dalla carestia. Attraverso le desolate Indians Plain la storia si fa appassionante e dopo la stupenda trovata narrativa del tornado, che mette ulteriore pepe e tensione alla vicenda, il rimescolamento di carte introduce alla fase finale dove si “scoprono gli altarini” e il lettore va incontro a una serie di sorprese impreviste. Proprio Hank, che inizialmente accattiva la simpatia con il suo fare scanzonato e tanto di chitarra a tracolla stile “Guitar Jim”, si rivelerà il personaggio più fuorviante per il lettore. Un’evoluzione inversa rispetto alla media dei personaggi che Borden ci ha abituato ad apprezzare, che si tinge di “nero” dopo essere stato introdotto come bravo ragazzo. Il suo gettare la maschera sorprende ma non mancano gli indizi disseminati lungo il percorso dall’autore per intuirlo. La pistola ben oliata, il segnale sulla roccia, la conoscenza del villaggio fantasma, le frasi di Dooley sono tutti segni che inducono a riflettere e lo stesso Tex si mostra ben presto guardingo e giustamente sospettoso. Jim Bernett, sebbene dall’altra parte della barricata, col proseguo della storia si mostra fondamentalmente meno malvagio di Hank e proprio il tradimento di quest’ultimo, con successiva morte dell’amata moglie indiana, a fungere da evento catalizzatore della sua conversione al crimine. Meno caratterizzato Durango, che avrà comunque modo in futuro di tornare nella saga con un ulteriore trovata dell’autore atta a sorprendere i fans, ma ci sarà modo al tempo debito di commentare quella storia. Un po’ in fase calante il finale, con un eccesso di spettacolarità di scene, che si fanno apprezzare, ma forse un po’ troppo artefatte, vedi il duello a quattro fra Tex, Durango, Bennett e Hank, o l’epilogo frettoloso della carriera criminale di Lowe, con l’ingresso in scena di un frizzante Carson e la sua teatrale scenetta della finta impiccagione del boss. Anche con sequenze meno sui generis l’esito sarebbe stato comunque garantito. Buona la performance di Tex, che sebbene non il “padre padrone” della scena, si rivela comunque un uomo esperto, navigato e affidabile: l’eroe tutto d’un pezzo che chiunque vorrebbe al suo fianco nelle peripezie della vita. Sotto l’aspetto grafico Font se la cavò benissimo in una prova non semplicissima da realizzare. Tutte le sequenze del tornado sono ben rappresentate e il disegnatore spagnolo mostra di essere impeccabile nelle rappresentazioni paesaggistiche e metereologiche, un po’ meno nelle fattezze e nelle anatomie dei personaggi che appaiono troppo smilze e con tratti troppo stilizzati e caricaturali, ma come scritto in alcuni precedenti commenti, dopo un tot di tavole ci si abitua alle sua caratteristiche stilistiche e il suo tratto latino riesce perfino a farsi apprezzare, seppur inconsueto. Il mio voto finale è 9
  14. Condor senza meta

    [571/572] Il Fuggiasco

    Storia concepita presumibilmente per colmare il numero di tavole lasciate libere dalla fine dell’episodio precedente e permettere di pattare l’albo. Circostanza diventata inconsueta dopo la decisione redazionale di fissare il numero di volumi per ogni storia e sotto questo aspetto potrebbe benissimo essere considerata un riempitivo, seguendo un episodio più altisonante come quello dei Buffalo Soldiers. Riempitivo fa rima con bassa qualità? Equazione del tutto errata, ancor più in questo caso! Nella storia della musica, quando si pubblicavano i 45 giri, capitava sovente che la B-side arrivasse a eguagliare, se non addirittura a superare, il brano principale che dava nome al disco; in par modo la breve “Il fuggiasco”, sebbene meno ambiziosa della precedente, a mio avviso non le è inferiore, anzi personalmente la preferisco. Boselli riesce a sfruttare appieno il numero di tavole a disposizione con una trama ben congegnata. Già dalle prime tavole, quello che si rivela un flashback, accattiva il lettore e lo introduce allo sviluppo della trama vero e propria, una decina di anni dopo. Ho letto che alcuni utenti mal sopportano i sentimentalismi, ma quando l’autore riesce a gestirli in maniera genuina senza renderli stucchevoli, la trama ne giova e i personaggi assumono spessore. Frank Harris incarna il tipico coprotagonista boselliano, dotato da tante sfaccettature che lo rendono una pedina ben strutturata e quasi magnetica. Ma la maestria dell’autore si nota pure nelle caratterizzazioni minori, vedi il vecchio ranger Donovan: sbirro onesto ma poco incline ad accettare che la preda possa aver, dopo gli anni di carcere, cambiato stile di vita. Tuttavia la sua insicurezza dovuta all’età o molto più probabilmente al timore riverenziale verso un ottimo tiratore come Harris lo porterà a delle ingenuità che gli costeranno la vita. La trama scivola bene e la sceneggiatura è solida, di conseguenza la lettura diviene piacevole e l’epilogo scoppiettante appaga, con Tex e Harris alleati per caso per far trionfare la verità e sconfiggere l’odioso villain. Il finale mieloso col ricomporsi del quadretto familiare di casa Harris, a me non disturba e premia la conversione di Harris, che vuole riporre le ombre del passato in soffitta per andare incontro a una nuova vita onesta. Boselli ama molto entrare nei più nascosti meandri della psicologia dei suoi personaggi e non di rado il suo stile porta a creare protagonisti che, brillando di luce propria, tengono il passo di Tex; un Tex comunque sempre ben caratterizzato e deciso. I paragoni fatti precedentemente con “Caccia all’uomo” non li trovo azzeccati, visto che a differenza della storia di Nolitta, il Tex boselliano, da buon giudice di uomini, nutre pochi dubbi sulla versione di Harris, anche se incappa nella leggerezza di lasciar solo il prigioniero con il ranger ferito. Errore che costerà la vita a Donovan, che a dire il vero ci mette molto di suo per attirare l’attenzione di Spade e soci, tuttavia nel finale il nostro eroe si riscatta e ben coadiuvato da un Harris, tornato ai vecchi fasti, sbroglia la matassa e salva la vita alla moglie e al figlioletto di quest’ultimo. Forse avrei invertito i ruoli nel duello finale, con Harris a sparare alle funi dei cappi e Tex a viso aperto con gli sgherri di Owens, ma Borden non volle togliere l'onore della ribalta all’ex pistolero. D’altronde Tex sarà comunque brillante a disarmare nell’epilogo Owen che si ripara col giovanotto e questo è sufficiente a non renderlo secondario. Tirando le somme: non un capolavoro ma una storia che rientra ampiamente negli indici del mio gradimento. Per Seijas rappresentò il debutto su Tex, sebbene solo per cronologia di pubblicazione, visto che il suo texone era pronto da tempo ma fu dato alle stampe, per le note ragioni, solo qualche anno dopo del “Fuggiasco”. Uno stile abbastanza classico che mi ricorda spesso quello di Blasco, sebbene più pulito ed elegante. Autore del tutto adeguato per la cifra qualitativa richiesta e quindi un ottimo acquisto per la saga. Il mio voto finale è 7
  15. Le aspettative editoriali sull’episodio dei Buffalo Soldiers suppongo fossero molto alte e forse proprio questo aspetto rappresentò la nota dolente. Uno spunto di soggetto suggerito da Sergio Bonelli in persona, un reparto di cavalleria storico da innestare nell’universo fantastico di “Aquila della Notte” e i pennelli di Ticci affidati a Boselli per l’occasione, per garantire un’ottima resa visto le tematiche affini allo stile del maestro senese. Le premesse per creare una pietra miliare della serie c’erano tutte, ma, col senno di poi, qualcosa non funzionò a dovere e sebbene la prova fu gradevole, di certo non raggiunse quel grado di celebrità attesa. L’ho riletta da poco e l’impressione destatami è quella di una buona storia, avvincente e con un ritmo accettabile ma non certo memorabile. Il soggetto non è ricchissimo ma Boselli riesce comunque a ricamarci sopra una trama accettabile. Rispetto ad altre prove dell’autore tuttavia, si prova la sensazione di minore scorrevolezza di sceneggiatura che a tratti appesantisce la lettura. Non so bene come spiegarlo, a mio avviso manca un amalgama ideale fra varie sessioni narrative e senza prestare la giusta concentrazione il lettore rischia di smarrirsi e perdere il filo. Si è così sempre in bilico tra il farsi accattivare dalla trama e il rischio di annoiarsi un po’. L’episodio nel complesso è apprezzabile ma è indubbio che con una valorizzazione migliore degli antagonisti, l’esito poteva essere superiore. Sembra strano trattandosi di una storia boselliana che questo aspetto non sia curato come di consueto ma stavolta qualche pecca la riscontro: in fondo il capo Ute Ouray rimane in seconda linea, non viene sfruttato appieno nemmeno il razzista colonello Redcliff e Carrizo, sebbene funzionale nella trama, non lascia totalmente il segno. Ben diversa la sorte dei Buffalo Soldiers, dipinti molto eroicamente dall’autore. Buona la performance di Tex e Carson, e il vederli sempre in perfetto stato di forma fa piacere. Unico neo la stranezza che per ben dieci anni Carrizo riesca a rimanere uccel di bosco e che di colpo sia i nostri che il sergente Bill Johnson si ritrovino insieme al posto giusto e al momento giusto per infliggergli la pena: uno di quei snodi narrativi un po’ artefatti che evidenziano quel senso di mancata scorrevolezza che accennavo pocanzi. La prova grafica di Ticci è ineccepibile; il tratto in continua evoluzione raggiunse quella sintesi espressiva, molto distante dalle origini ma pur sempre dinamica ed efficace. Una storia simile con molte scene di battaglia e vignette cariche di soldati, comancheros e indiani sul piede di guerra non è una bazzecola da realizzare, ma nessuno meglio del maestro senese riesce a eccellere con naturalezza su queste tematiche e sebbene, qualche incipiente segno di decadenza si cominciò a intravedere in qualche primo piano meno curato del solito, il complesso è ancora una delizia per gli occhi. Il mio voto finale è 7
  16. Condor senza meta

    [530/533] Athabasca Lake

    Infatti, rileggendo gli albi di quel periodo ho notato anch'io la strana altalena qualitativa di Nizzi. La crisi artistica era latente e palese, con esiti a volte al limite del pubblicabile, ma in qualche caso tirava fuori un insospettabile colpo di coda con rari episodi decenti. Proprio ieri, in un mio recente commento, ho ipotizzato come possibile spiegazione di questo strano aspetto, che alcuni spunti di soggetto permettessero all'autore di ritrovare quel barlume di "divertimento creativo" smarrito da tempo. Pochi sprazzi di luce nelle tenebre di una pesante involuzione creativa. Chiudo, quotando in pieno il tuo giudizio su "I territori del Nordovest", poichè la reputo da sempre un lucente gioiellino boselliano.
  17. Condor senza meta

    [567/568] Dieci Anni Dopo

    Per Nizzi non era una novità recuperare personaggi dal passato e riutilizzarli in nuove storie. Anche nel suo centinaio migliore attinse a pieni mani da creature di Gian Luigi Bonelli e in molti casi, vedi Barbanera, ottenendo peraltro ottimi esiti. Non stupì più di tanto dunque la scelta di ripescare i due fratelli mormoni, reduci della celeberrima “Terra promessa” e col senno di poi, posso pur dire che fu una decisione felice, visto che riuscì a proporre una buona prova, in un periodo in cui l’asticella della qualità era proprio precipitata. A bocce ferme, mi viene da pensare che la discontinuità dell’autore post 500, sia l’indizio che la crisi narrativa fosse anche dovuta a un senso inconscio di repulsione verso un personaggio, che di certo ha dato tanto a Nizzi ma di contro ha finito con lo sfinirlo e spremerlo a livello creativo e di idee. Molte storie del periodo sono brutte, senza un briciolo d’ispirazione e danno l’impressione di essere scritte solo per dovere di contratto con l’editore, mentre alcune (poche a dire il vero) mantengono un livello accettabile, magari per via di una certa affinità col soggetto che temporaneamente ha riacceso un piccolo spiraglio di divertimento creativo. “Dieci anni dopo” ovviamente porta in sé i segni della crisi nizziana ma rientra nella suddetta categoria di storie salvabili e tutto sommato scritte decentemente. Con un epilogo a effetto, l’autore si prende pure l’onere di sacrificare Elia Grendon e bisogna ammettere che, sebbene possa sembrare un azzardo, in una storia simile un finale così ci sta tutto. Il soggetto non è originalissimo e Glenda si rifà molto a Tessy Malone; il primo albo è pure un po’ fiacchetto e troppo dialogato, ma ammetto che la sceneggiatura nel secondo si fa apprezzare e sia Tex che Carson tornano a essere gli eroi abili e con poche sbavature, come è giusto che sia. Non mancano le sparatorie, l’azione e il ritmo e, sebbene gli antagonisti non sembrano irresistibili, la lettura è molto soddisfacente. Unica macchia la gestione dello sceriffo corrotto, che prima mette degli assurdi dubbi al ranger e poi la fa franca, ma rappresenta l’unica leggerezza di Tex e in un periodo in cui fioccavano le piccionate, quasi non la si nota. Poco sfruttati i Manning nell’economia della storia, dopo il primo albo ci si aspettava di più da padre e figlio, pure defilato Marcus Grendon, mentre il fratello Elia, sebbene possa apparire pesante con i suoi “sermoni”, lo trovo coerente con la caratterizzazione bonelliana e proprio il suo fanatismo rende funzionale la scena dell’epilogo. Per una volta più luci che ombre in una storia di Nizzi post 500, e questo paradossalmente fece notizia. Anche i buoni disegni di Rossano Rossi influirono nella riuscita dell’episodio. Uno stile pulito e dettagliato in cui le influenze del suo compaesano Civitelli sono molto evidenti. Alcuni tratteggi, dalle venature del legno alle fantasie delle tendine, sembrano realizzati proprio dal più noto disegnatore aretino; mancano gli effetti a puntinato, è vero, ma pure la caratterizzazione dei pard e la linea chiara stilistica, è affine al marchio di fabbrica civitelliano. Concordo con alcuni pards che si sono espressi prima di me, che un qualcosa di Magnus s’intravede tra i tratti di Rossi e tirando le somme (considerando i pezzi da novanta di riferimento) lo stile è gradevole, anche se pecca forse un po’ di mancata originalità. Ma voler la botte piena e la moglie ubriaca è proverbialmente impossibile🙂. Il mio voto finale è 7
  18. Condor senza meta

    [565/566] La Sentinella

    Concordo. Il paragone è improponibile a mio avviso. Il recente ritorno di Nizzi, sebbene non "stratosferico" o esente da pecche, si mostra quantomeno onesto e dignitoso; parecchie sue storie post 500 invece, obiettivamente furono indifendibili.
  19. Condor senza meta

    [565/566] La Sentinella

    Appena toccato il fondo, non resta che scavare! E Nizzi purtroppo il fondo, sul finire del primo decennio del 2000, lo toccò eccome. Le storie di quel periodo, solo adesso le sto rileggendo dalla data di uscita in edicola, ma episodi come la “Sentinella”, se mai dovesse ricapitare, non credo che le riprenderò in mano prima di vent’anni . Già il fatto che mi sia apprestato alla rilettura senza ricordare proprio nulla della trama, non depone a favore della qualità della stessa e dopo aver faticosamente raggiunto la tavola 110 del secondo albo mi è tornato chiaro il motivo per cui i due volumi hanno preso polvere per una decina d’anni sullo scaffale. Una storia sfilacciata, a tratti incongruente, appesantita da dialoghi pesanti e da una sceneggiatura non all’altezza della saga e del passato glorioso dell’autore. Un Nizzi ormai in caduta libera, senza un briciolo d’ispirazione, che macinò storie mediocri buone solo a garantire la puntuale pubblicazione degli albi, ma davvero lontane dal minimo sindacale qualitativo richiesto sulla collana, a mio avviso. Essendo da sempre molto legato all’autore in questione, dispiace dover scrivere certi giudizi, ma è fondamentale essere obiettivi in una recensione. Il soggetto è molto atipico, con un primo albo tutto sommato non malaccio, ma il proseguo quasi pessimo. L’odissea dei due pards sulla Mesa Serrada per sfuggire alla banda di predoni Apache, in qualche modo può pur appassionare, visto che l’autore imbastisce la sceneggiatura mostrandoci la cordigliera come un mondo a sé, selvaggio ma spettacolare. L’incontro inaspettato con John Rickfield, risulta la svolta decisiva dell’episodio ma da qui, a mio modo di vedere, l’opera crolla fragorosamente. In primis, l’idea che il giovane confederato fosse chiuso in quella mesa da moltissimi anni senza nemmeno sapere che la guerra di secessione fosse finita da tempo, è uno spunto duro da digerire. John non è un demente, né tantomeno ha smarrito la memoria, di conseguenza non si capisce come mai, disponendo pure di due cavalli, non abbia mai fatto ritorno alla vita civile. Anche l’eccessiva simpatia che i nostri provano nei suoi confronti stona, in fondo l’eremita prova più volte a farli fuori e inoltre si è pure macchiato le mani col duplice omicidio dei due poveri cercatori d’oro. Capisco che non ci troviamo al cospetto di una vera anima nera ma prenderlo così tanto a cuore e assumersi la briga di riaccompagnarlo fino ad Atlanta, sembra un’ennesima forzatura per allungare il “brodo ristretto”. La caratterizzazione di John è davvero scarsa: mai visto un’eremita che prima si sta rinchiuso di proposito in una grotta e poi ha fretta di ritornare a casa, ma il non plus ultra Nizzi lo propina al lettore quando inserisce nella storia un improbabile mercante ambulante che, guarda caso, conosce vita morte e miracoli della famiglia Rickfield, sebbene originaria di un luogo distante miglia e miglia. Scelta narrativa improponibile che varca abbondantemente il limite della plausibilità e appare come una scorciatoia inelegante nei confronti del lettore. La seconda parte ad Atlanta è pure peggio, con l’ennesima imbeccata del giudice o la lista di possibili testimoni stilata dall’agente postale e i nostri che girano in lungo in largo (e a vuoto) a caccia di testimonianze verbali per incastrare il villain. Davvero un secondo albo che merita poca attenzione per quanto è brutto, scritto male e incongruente con il personaggio: un Tex distante anni luce da quello che ho sempre adorato e per cui da più di trent’anni mi reco in edicola. Repetto fu sfortunato a dover collaborare con un Nizzi così fuori fase, infatti se già “I Fratelli Donegan” si rivelò una ciofeca, anche questa storia non si discosta poi così tanto. Con trame simili pure i suoi disegni sembrano più statici e piatti di quello che realmente sono e non si vede l’ora di scorgere la scritta “Fine dell’episodio” per chiudere l’albo e farlo tornare a prendere polvere nella libreria. Il mio voto finale è 4
  20. Grazie per il chiarimento. Mi scuso per l'inesattezza.
  21. Storia non eccelsa ma godibile, che possiede gli elementi che soddisfano la lettura in un albo di Tex. Troviamo i quattro pards in forma smagliante, molto azione, sparatorie e polvere da sparo, ufficiali corrotti, biechi cacciatori d’uomini, un intrigo ben congegnato, reso vano dai nostri eroi attenti e decisi. Anche stavolta Boselli “gioca” a disorientare il lettore, visto che nel primo albo, sebbene si sospetti già del capitano Masters, la puzza di marcio sembra sia dovuta a qualche tiro mancino da tirare alla banda dei coyoteros di Calvado; anche la presenza del giovane tenentino Baines par voler nascondere qualche insidia, seppur fin dalle prime pagine la sua caratterizzazione ce lo rende simpatico. Si susseguono scene cariche d’azione nella più classica tradizione western e fra uno sparo e l’altro, si divorano le pagine, finché si giunge al momento clou dell’episodio e le trame dei villain vengono svelate. Si scopre che il vero obiettivo in fondo è quello di eliminare Tex per poter impossessarsi della ricca riserva Navajo; motivazione trita e ritrita se vogliamo, ma considerato l’andamento della trama architettato da Boselli, non si rimane tanto delusi per la mancata originalità di soggetto. Si viene inoltre a conoscenza dei motivi della presenza di Baines al fianco ai pards e la motivazione di vendetta, covata dal capitano “ubriacone”, risulta sostanzialmente plausibile. Forse avrei un po’ limitato tutta la tiritera “mielosa” del giovane inesperto che elogia continuamente i nostri, prendendoli come maestri, e che si mostra tanto in gamba da ricevere in cambio complimenti. Dopo un po’ stufa, ma è un piccolo dettaglio in parte trascurabile. Nulla da ridire in merito alla sempre attenta caratterizzazione dei comprimari che appaiono nell’episodio: Borden tiene fede alla sua buona nomea in merito, inserendo personaggi ben tratteggiati e funzionali, basti vedere il vigliacco capitano Masters, roso dall’ambizione e dall’alcool o il pericolosissimo ed esperto Yaqui Islero. Anche ai i rurales l’autore non lesina la giusta attenzione e la scelta di affiancare ai cospiratori, Jim Tipton, fratello di quel Bill facente parte del famigerato ring di Tucson, suona come un omaggio al grande Bonelli. La fugace apparizione di Tom Rupert sui “titoli di coda” e il festoso brindisi nella posada di Paco, dà quel tocco di continuità narrativa nelle ambientazioni di Tucson, evidentemente cara a Borden e molto gradita al sottoscritto. Buono il debutto di Spada, che sfoggia una discreta personalità di tratto e ricorda, con le dovute proporzioni, il compianto Capitanio. Furono anni in cui molti giovani autori si affacciarono alla saga in rapida sequenza e non tutti rimasero in pianta stabile. Ammetto che se dovessi stilare una graduatoria di preferenza relativa alla rappresentazione dei pards fra le new entry del biennio 2006/07, Del Vecchio sarebbe in cima alla lista, tuttavia riconosco che Spada fece comunque un discreto lavoro. P.s. In un episodio di Nizzi mi aveva infastidito che Tex dovesse autorizzare Tiger per reagire alla provocazione di uno sgherro; seppur inconsapevolmente denotava una sorta di subordinazione “razziale” non concepibile per la saga. Borden all’inizio della storia invece scrive un dialogo che, a mio avviso, mostra perfettamente il rapporto fraterno e paritario tra i due pards. Baines dice a Tex che lo scout Tonio accompagnerà il navajo a sistemare i cavalli, sottintendendo inconsciamente che la mansione spetti ai due nativi, ma il ranger chiede al fido pard: “Tiger, te ne vuoi occupare tu?”. Tra le righe di quella che, in apparenza può sembrare una banale domanda di circostanza, scorgo il grande rispetto che Tex nutre per il suo pard indiano; non ordina, ma chiede cortesemente se vuol svolgere quella mansione, come è giusto che sia fra due amici fraterni. Di contro cito il probabile refuso di pag. 56 del secondo albo, dove Ugarte quantifica in chilometri una distanza, ma sarebbe stato corretto usare come unità le miglia. Dopo questa precisazione degna del celebre “Furio” di Carlo Verdone, temo di alienarmi per sempre le simpatie di Borden. Il mio voto finale è 7
  22. Nell'albo "Intrigo a Santa Fe" anche Mac Parland appare in una vignetta, rispondendo a Pinkerton che gli chiedeva quali agenti operavano nella cittadina del New Mexico.
  23. Condor senza meta

    [Texone N. 03] Il Segno Del Serpente

    Quoto il tuo pensiero, perchè anche per il sottoscritto vale quel legame affettivo con queste storie che richiamano la fanciullezza. L'incipit del "Segno del serpente" con la triste scomparsa della pattuglia, sterminata dalla nidiata di serpenti a sonagli, mi colpì tantissimo. Fu il primo texone che acquistai e da allora non ho più smesso. Mi trovo perfettamente d'accordo pure con @Leo in merito al giudizio dei due albi speciali "iberici" 92-93: sia "Fiamme sull'Arizona" che "La grande rapina" sono dei veri gioiellini texiani. Ortiz, in specialmodo, al debutto mi stregò con il suo stile!
  24. Storiellina insipida come un brodino in cui il cuoco ha dimenticato di aggiungere il sale. Il soggetto, alquanto semplice, dà l’impressione di essere stirato a lungo per riempire i canonici due albi, ma ciò che più incide a penalizzare la prova è, a mio avviso, una sceneggiatura non all’altezza. Vuoi o non vuoi, non puoi esimerti dal notare alcuni buchi narrativi che infastidiscono la lettura, come è palese un ritmo narrativo non eccelso e alcune scelte dell’autore che tendono a lasciare il segno in una valutazione. Già nel primo albo, dopo esser venuti troppo facilmente all’individuazione di Laffert come probabile pedina del piano criminoso, i nostri commettono una terribile leggerezza nel lasciarlo libero al trading post; è assurdo che un criminale a cui è stata estorta a furia di sganassoni la sua colpevolezza, possa stare ad aspettare il ritorno dei rangers per farsi ammanettare. Realmente il bieco individuo non avrà il tempo di fuggire, visto che cadrà sotto il piombo del tenente Hogins, e a tal proposito non è il massimo la trovata del nomignolo scritto col sangue, per indirizzare i nostri sulle tracce dell’assassino. Altro aspetto controverso, che l’autore non chiarisce, il perché le sacche del denaro siano nelle mani degli Yaqui, che dopo aver soppresso i Pima artefici dell’eccidio della pattuglia, si prendono la grana e lasciano liberi i due banditi bianchi. Atteggiamento un po’ strano trattandosi per dei nativi, che in primis fa ipotizzare al lettore che ci sia qualcosa sotto, ma di fatto rimane fine a se stesso. Tutta la sessione che si svolge a Sandy Well si fa apprezzare per scrittura e azione, ma il consueto e abusato arrivo della cavalleria appena Tex sembra spacciato, non lo reggo più! Nizzi, appena la scarna trama sembra essere arrivata al capolinea, tra un’origliata e l’altra di “Clammy” Hogins, ci scodella, come un fulmine a ciel sereno, l’inatteso colpo di scena dell’uccisione di quest’ultimo. Effettivamente il colpo sortisce effetto, visto che il lettore si trova spiazzato, ma da lì a poche pagine, l’autore riesce nella triste impresa di rovinare tutto, con un finale di sceneggiatura piatta e discutibile. Si poteva ipotizzare un finale scoppiettante con i nostri intenti a smascherare il misterioso complice, invece l’autore ci spiattella subito il colpevole e una lunga sequenza di spiegoni, per narrare la scena dell’omicidio di Hogins già vista, togliendo di fatto interesse all’epilogo, visto che è ovvio come andrà a finire. Non basta il tentativo di fornire un’attenuante al capitano per le passate ingiustizie, il finale è proprio lineare e noioso e tutte le ultime quaranta pagine sembrano un riempitivo in una storia che ha, a quel punto, poco da dire. Davvero positivo l’esordio di Del Vecchio sulla regolare. Uno stile pulito ed elegante, affine alla scuola della “linea chiara” ma molto efficace pure nelle ambientazioni western, con ottima resa degli arsi paesaggi assolati e dei due pards. Il Tex e Carson, tratteggiati dalle chine del disegnatore pugliese, mi piacciono molto nelle fattezze, ma anche i comprimari sono ben disegnati, e l’artista inoltre ci mostra la sua abilità nel disegnare una donna molto attraente nel finale. Ammetto che Del Vecchio è un cartoonist che ammiro molto e ben ha scelto Borden ad arruolarlo nello staff di “Tex Willer”. Nulla togliendo agli altri grandi autori, ma la sua caratterizzazione grafica del giovane Tex è quella che fino ad adesso prediligo. Il mio voto finale è 5
  25. Condor senza meta

    [Texone N. 04] Piombo Rovente

    Zaniboni su Diabolik fu un punto fermo, per via dell'infinità di storie che videro le sue matite, nonché per la raffinata caratterizzazione grafica che ha fissato la figura del protagonista nell'immaginario del lettore. Sul texone pagò lo scotto di un genere non nelle sue corde; affermò di essere molto preoccupato per la realizzazione dei cavalli e non fu un caso che Nizzi gli preparò una trama cittadina ad hoc per venirgli incontro. Per chi, come me, è cresciuto leggendo le sue storie per l'Astorina, l'impatto del suo personale stile su Tex fu meno traumatico, ma è indubbio che la sua caratterizzazione dei pards sia poco canonica. Altro aspetto che, a mio avviso, fece perdere qualità a molte vignette su "Piombo rovente" fu l'operandi dell'autore insolito per la saga del ranger: mi pare di aver letto in una intervista, che per accelerare i tempi visti i suoi molteplici impegni su DK, si limitò a consegnare le tavole dell'opera a matita (seppur abbondantemente definite) e in redazione conclusero "l'inchiostrazione" fotocopiando l'originale e aggiungendo ove occorreva i pieni in nero. Comunque si tolse lo sfizio di ritrarre in una vignetta Sergio Bonelli, Galleppini e Nizzi che fanno un cammeo tra la folla durante la scena nell'epilogo. 🙂
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