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TWF - Tex Willer Forum

Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Episodio molto breve che incarna perfettamente tutti gli stilemi del western classico. L'assalto al treno, la ricerca del bottino nascosto, la caccia ai banditi degli uomini di legge, tempeste di sabbia e sparatorie nella ghost town, tutti elementi che hanno reso celebre l'epopea del selvaggio West e che Nizzi gestisce con molta abilità, architettando una trama, non certo originalissima, ma molto ben strutturata e piacevole. Ciò che irrobustisce l'esile soggetto, è la notevole caratterizzazione dei banditi; proprio la diffidenza che serpeggia nella banda dopo la liberazione di Fraser dal treno, mette pepe alla parte centrale della storia. Thorpe e il detenuto fuggiasco si rivelano ben presto più velenosi e letali di due scorpioni. fanno fuori i primi due complici sotto una valanga di massi in una gola (scena molto d'impatto a mio avviso, con una resa grafica magistrale, ma su Giolitti tornerò in seguito), per poi far eliminare da un bislacco alleato, il sempre vigile sceriffo Beckman, altro "giuda" ben tratteggiato dallo sceneggiatore. Rimasti soli, i due villain finiscono con lo scornarsi fra loro, ognuno con un vantaggio rispetto all'avversario: la conoscenza dell'ubicazione del tesoro per Fraser, e la pistola per Thorpe. "Fra i due litiganti, il terzo gode" recita il proverbio e proprio lo svitato Lomax, bandito dato per morto da Fraser, finirà per spuntarla fra i due. Un po' banale la fine di Thorpe, che si fa impallinare come un tordo e pure Fraser finisce col fare una fine magra, precipitando in un fosso nella miniera. Lomax, a sua volta, dopo aver coltivato a lungo la vendetta ed essere giunto a un passo dalla vittoria, morirà banalmente a causa di un crotalo durante il recupero della grana: la tipica giustizia divina sempre molto presente fra le pagine della saga. E Tex? Proprio la poca incisività dei nostri, rappresenta il punto debole dello scoppiettante episodio. I due rangers, si limitano a un lungo inseguimento, senza interferire con gli eventi che portano alla distruzione intestina della banda. Esclusa la liquidazione di Amos Quincy e il recupero del bottino, avvenuto grazie a un provvidenziale aiuto della dea bendata, i protagonisti fanno ben poco; ricorda vagamente la trama della storia bonelliana "Dinamite", ma lì almeno il cinese cade sotto il piombo di Tex. Togliendoli dalla sceneggiatura, la storia avrebbe funzionato lo stesso e questo fattore non è positivo in un episodio di "Aquila della Notte" secondo il mio punto di vista. Palese l'omaggio dell'autore agli spaghetti western di Sergio Leone e non è casuale che le fattezze di Fraser ricordino vagamente (per usare un eufemismo) il famoso attore Van Cleef. Un grosso rimpianto la prematura morte di Giolitti che ci impedì di vederlo più spesso sulla saga, una volta arruolato da Sergio Bonelli agli inizi degli anni '90. I suoi disegni sono strepitosi e lo stile fatto apposta per il genere western! Sfondi da urlo, un panneggio eccezionale, il migliore visto sulla saga fino allora (solo Villa tiene il passo su questa caratteristica), la grande capacità di far "bucare le vignette" e dare l'impressione al lettore di poter respirare la polvere del deserto e sentire l'odore del legno marcito delle costruzioni in rovina. Peccato solo per la "strana" rappresentazione di Tex, che appare molto invecchiato e poco idoneo con lo standard grafico del personaggio, ma visto l'elevato livello del resto, gli si perdona facilmente questa lieve debolezza. Il mio voto finale è 7
  2. Condor senza meta

    [354/357] La Congiura

    Fu il mio primo commento che scrissi sul Forum e mi accorgo di non aver reso palese la votazione. Provvedo subito. Il mio voto finale è 10
  3. Perfettamente d'accordo. Nizzi fin dalle prime prove, crea un rapporto speciale fra i due pards. Un'amicizia solida e preziosa più del diamante. Come reciterà Sam Brennan nell'albo seguente: "Di amici così s'è perso lo stampo! Hai ragione Grande Tex, erroneamente ho citato il centenario 400-500, ma realmente intendevo alludere a storie più recenti. Gran Matusalemme ballerino, la senilità avanza.
  4. Storia che presumibilmente fu concepita senza grandi pretese; un riempitivo, ma di gran classe! Nizzi, raggiunto l'apice creativo, sfornò un episodio molto gradevole e divertente, ambientando nuovamente l'azione tra gli acquitrinosi canali della Louisiana (a distanza di pochi albi dalla precedente escursione dei nostri nei dintorni di New Orleans). Il soggetto prende spunto dalla tradizionale guerra tra compagnie fluviali, con una banda di inafferrabili pirati del fiume che, destabilizzando le concorrenti, fa il gioco del bieco Coleman, che conta di rimanere padrone incontrastato dei trasporti sul Mississippi. Come al solito, l'intervento deciso di Tex e Carson, convocati da Mc Parland nell'occasione, farà tramontare i progetti criminali del villain e contribuirà a ristabilire la giustizia. L'ambientazione, la presenza di Mc Parland, le sparatorie sui battelli, le carte da gioco rilasciate sulle vittime, ricordano vagamente la celebre storia "L'asso di picche" composta da G.L. Bonelli sul primo centinaio. Nella sceneggiatura di Nizzi non mancano né l'azione, né siparietti ironici. Molto ben riuscita la scena dell'assalto dei nostri al covo della banda di Matieu nel cuore della palude, nei pressi del battello arenato in disuso. Una sequenza ben scritta, che si legge ben volentieri, con i due pards in forma strepitosa. Ottimi i dialoghi e la carrellata di personaggi che sfilano tra le pagine, ognuno con una ruolo ben definito e funzionale alla trama. Forse manca quel pizzico di originalità e qualche colpo di scena a effetto, ma tutto sommato sono sottigliezze. Non posso esimermi dal notare il primo insorgere di due debolezze nizziane, che nell'episodio in questione incidono poco, ma diverranno zavorra nelle storie del centenario seguente: la presenza risolutiva dell'origlione di turno, e l'eccessivi brontolii di Carson che rischiano di sconfinare nella fifa. La prima origliata la fa il bandito sul battello che scopre subito il bluff dei rangers in merito all'abbandono delle indagini e gli permette di organizzare l'agguato. Molto più importante come snodo narrativo, quello del vecchio Mac, che serve praticamente sul piatto d'argento la soluzione dell'enigma. Azzeccata la scelta di Blasco ai disegni. L'artista spagnolo, ciò che paga in resa anatomica dei personaggi, lo recupera con ottimi sfondi e splendide scene fluviali, fra battelli e liane. Mi par di aver scorto pure un ritocco redazionale apportato da Galep in un viso di Tex verso la fine dell'episodio, oltre ai consueti interventi di Monti, ma potrei pur sbagliarmi. Molto carina la caratterizzazione grafica di Nadine, Blasco d'altronde se la cavava abbastanza bene nella realizzazione di affascinanti fanciulle, peccato che incappasse pure lui nella trappola della ripetitività di fattezze, tanto è vero che a memoria, mi sembra di ricordare che in "Topeka", Molly venne disegnata come la gemella della fascinosa complice dei pirati del teschio. Il mio voto finale è 7
  5. Le mie tre preferenze: - Il segno di Yama; - L'ombra del maestro; - La stirpe dell'abisso.
  6. Condor senza meta

    [347/349] Zhenda!

    Una delle più ricorrenti scelte narrative di Nizzi, fu quella di ripescare per le sue sceneggiature personaggi (Gbonelliani e non) già apparsi sulla serie. Nell'epoca in cui si accingeva a dare alle stampe l'episodio in questione, aveva già rispolverato in rapida sequenza nel giro di poche decine di albi, antagonisti del calibro del Carnicero, Proteus, Manuel Pedrosa e a breve avrebbe ridato lustro al capitan Barbanera. In tempi più recenti l'abitudine è rimasta, ma i risultati, purtroppo, sono via via andati scadendo. Chiusa la premessa, bisogna ammettere che optare per il ritorno di Zhenda sulla serie, appare oggi come una lieve forzatura. L'orripilante strega non aveva del tutto incantato già nel suo debutto con Bonelli e Galep, e in fondo era difficile trovare uno spunto di soggetto originale che la riguardasse. Infatti, sebbene l'abile sceneggiatore riesce a tirar fuori una storia di tutto rispetto, le motivazioni che spingono ad agire il "demonio in gonnella" risultano l'esatta fotocopia della storia che la precede e lo stesso Sagua (sarà poi davvero il cognato di Tex?), torna a essere rappresentato come una personalità troppo ambigua e poco convincente a mio avviso. L'incipit è molto brillante e ricco di tensione, a me ricorda, con le dovute proporzioni, le scene iniziali della celebre storia del Diablero scritta dal grande Bonelli. Tutto sommato il ritmo narrativo si mantiene accettabile per tutto il corso della storia e molte scene meritano di essere ricordate: la sparatoria contro i mercanti di armi al soldo di Walcott a esempio o il particolare agguato alla Roccia del Corvo, con l'inusuali armi dei Sinaguas che spiazzano inizialmente i nostri. Proprio la presenza dell'ennesimo popolo primitivo scoperto per caso dai villain e divenuto complice dopo essere soggiogato, non mi fa tanto impazzire come idea, molto più caratterizzato invece l'avido Koster, che, sebbene detesti la strega, conta di sfruttarla per arricchirsi; peccato per lui che i piani finiranno contro una pallottola sparata da Tiger. Ero già a conoscenza del fatto che Nizzi, non del tutto soddisfatto delle "innocue grinte" con cui Civitelli disegnò i Sinaguas, si vide costretto a mutare il finale, invece apprendo solo adesso leggendo il commento di Ymalpas, che le vignette in flashback non sono copie delle originali di Galep, bensì una riproduzione certosina del disegnatore aretino, che riesce a imitare alla perfezione lo stile dell'illustre precedessore. Che bello questo forum, si riesce sempre a scoprire qualcosa di nuovo! . Ritornando al finale, ammetto che delude un po', vuoi per la poca attinenza col soggetto della scena negli abissi del Gran Canyon con tanto di mostruosi varani e foresta tropicale sotterranea di Verniana memoria, sia perchè risulta troppo rapida l'arresa di Zhenda, che come giustamente fa notare pure Carson nelle ultime vignette, se la cava pure a buon mercato, in fondo. Dopo più di due albi di azione e trappole, si poteva escogitare qualcosina di meglio. Molto belli i disegni di Civitelli, forse non del tutto adatti alla tematica dark dell'episodio, ma estremamente puliti ed espressivi. Era evidente di quanto stesse raffinando il suo stile in quel periodo e cominciarono ad apparire pure i primi effetti di chiaroscuro; una sperimentazione che lo porterà con gli anni, a raggiungere una qualità grafica eccelsa. I suoi puntinati, li adoro letteralmente! Il mio voto finale è 8 P.s. In una rubrica di posta su TuttoTex, qualche anno dopo l'uscita degli albi, Sergio Bonelli ammise una potenziale inesattezza commessa da Nizzi in sceneggiatura, quando definì pantere nere le sanguinarie belve ammaestrate da Zhenda. Qualche lettore di allora tramite lettera (come cambiano i tempi! ) fece notare che fosse stato più corretto descriverle come giaguari neri e l'editore, sempre molto attento alle segnalazioni, ne parlò nella rubrica e chiarì la questione, citando pure un testo specifico da lui posseduto. Un semplice pourl parler nostagico il mio, che poco influisce nella valutazione finale, ma ci fa capire come la rivoluzione copernicana di internet, abbia radicalmente cambiato il mondo e la vita di tutti i giorni.
  7. Ogni escursione dei nostri nel grande nord, ha sempre rappresentato una variopinta girandola di emozioni, epiche avventure e divertimento allo stato puro. Anche Nizzi, giunto in piena forma creativa, non poteva esimersi di ambientare una sua storia in questi incantevoli scenari. “I predatori del grande nord” è un episodio a dir poco scoppiettante, che riesce a mantenere una nitida brillantezza narrativa lungo la ragguardevole durata di tre albi interi. Se non fosse per un finale un tantino affrettato, avremmo potuto etichettarlo come uno dei capisaldi nizziani sulla saga; tuttavia il valore rimane notevole e, a mio avviso, rappresenta, assieme al texone ”L’ultima frontiera”, la trama “nordica” migliore composta dallo sceneggiatore di Fiumalbo. L’episodio getta le sue fondamenta su un ben architettato complotto politico, atto a sabotare la realizzazione di una linea ferroviaria in Canada. Appena l’ingegnere Stanford, incaricato dei rilievi topografici dei luoghi, scompare assieme alla sua spedizione guidata da Gross Jean, il colonello Brandon non esita a convocare il quartetto completo di amici, per farsi aiutare nelle difficoltose indagini. Ha inizio così un’avventura fiume scandita da scene memorabili, ritmo narrativo serrato e deliziosi siparietti ironici, utilissimi a mantenere alta l’attenzione del lettore senza stancarlo troppo lungo la miriade di tavole. L’agguato presso le rapide del Red River e la successiva scalata da alpinista puro di Tex lungo la scoscesa rupe per sorprendere i Piedineri e rompere l’assedio, aprono una serie di sequenze e colpi di scena, davvero funzionali e memorabili. Ottima la caratterizzazione del criminale Lou Caudill, un’astuta pedina nelle mani dei congiurati che riuscirà più volte a mettere in seria difficoltà i nostri. Ma non mancano altri personaggi interessanti, anche minori, che infarciscono la sceneggiatura e si rivelano azzeccati nei vari snodi narrativi. Jean Morisse, il tirchio capitano Tanakis, il simpatico sergente Wilding, l’infido maneggione Jenkins, la povera ”cuore infranto e occhio nero” Tenera Betulla e altri che al momento mi sfuggono, rappresentano un ricco campionario di comparse ben delineate, che innalzano di molto il valore stilistico della prova di Nizzi. Un continuo susseguirsi di azione e tranelli, il tutto ben descritto da dialoghi freschi e infarcito da ottima ironia, rendono appassionante e divertente la lettura. Merita uno speciale plauso il grande Fusco che, negli episodi ambientati nel grande nord, ci sta come il cacio sui maccheroni. Il suo personalissimo tratto si presta perfettamente per gli scenari e le tematiche dell’episodio e rappresenta un autentico valore aggiunto. Curioso l’aneddoto narrato da Nizzi, che all’arrivo a Winnipeg dei nostri, confida di essersi perso per strada Tiger, infatti per parecchie tavole il povero Navajo scompare dalle vignette, senza che nemmeno il disegnatore ci presti caso; si riuscirà comunque a ovviare all’errore, giustificandone l'assenza col pretesto della sistemazione dei cavalli. Molto esilarante inoltre la scena del pestaggio di Caudill nella topaia, con un Carson ironico all’ennesima potenza e degli "avventori macchiette" da far sbellicare delle risate. Anche Fusco ci mette del suo per alleggerire certe sequenze con enorme dose d’ironia: alcune voli orizzontali e piroette a mezz’aria degli avversari colpiti da Tex, sembrano uscite direttamente dalle scazzottate dei film di Bud Spencer e Terence Hill ed è innegabile affermare, che simili “caricature” grafiche strappano grosse risate in serie. Il mio voto finale è 9
  8. Giusta osservazione Barbanera, credo tu abbia colto nel segno, ma questo stratagemma narrativo mi convince poco. L'epilogo suona come una sorte di preludio a quella forma di buonismo che ha pervaso l'opera Bonelliana nel centenario successivo (vedi come esempio il finale della "Foresta Pietrificata").
  9. Appunto come sostenevo nel mio commento caro pard, in ogni giudizio o recensione vige la regola della soggettività. L'epilogo, seppur legittimo e a lieto fine, a me lascia un po' la sensazione della favoletta del "vissero tutti felici e contenti". Sia ben chiaro, da pacifista sarei felice che ogni controversia si risolvesse così nella vita, ma visto il soggetto e le ripetute battaglie che si susseguono nei due albi (unico leitmotiv della storia visto che la trama è piuttosto esile), trovo un po' troppo semplicistica la resa del principe. Il fanatismo difficilmente fa rima con buon senso e in fondo il capo Tuareg se la cava anche alla grande, visto il sangue di innocenti versato sotto il vessillo del suo utopistico piano.
  10. Gradevole "antipasto" servito da Nizzi, prima dell'arrivo di pietanze ben più corpose e saporite. Storia breve ma alquanto piacevole, sebbene la sceneggiatura perda un po' di tono nella sessione finale. Interessante lo spunto del corpo di polizia indiana, ma la trama, a tratti molto semplice e lineare, non lo sfrutta appieno. L'episodio, scivola via senza eccessivi sussulti. Ben presto si scopre a cosa fosse dovuto l'interessamento del turpe Wolson, disposto a tutto pur di rintracciare la giovane guida Na-Ta-Wah, costretta a disertare dal forte dopo uno spiacevole episodio. Tex riuscirà a dimostrare la verità e far trionfare la giustizia, non senza qualche grattacapo iniziale dovuto all'orgogliosa testardaggine degli ufficiali di Fort Whipple. Sempre ottimi i dialoghi di Nizzi, accompagnati da una sceneggiatura efficiente. Risultano molto ben caratterizzati il colonello Moresby e il capitano Buntline, militari dalla testa ai piedi, ma disposti ad ammettere i propri errori e chiedere scusa. Un po' sottotono invece il giovane Kit che durante il colloquio al quartier generale, perde lucidità e complica i piani del padre. Wolson è il tipico malvagio vigliacco e infido, mentre non brillano per caratterizzazione i soldati Yuma ai suoi ordini: sembrano più delle marionette che si limitano ad eseguire gli ordini del villain senza alcuna remora. Come non citare inoltre l'azione brillante di Carson, molto autonomo e risolutivo nel finale? Eccellente la prova grafica di Monti, ormai ben calatosi nel ruolo di disegnatore effettivo della saga. Splendida la tavola con insolito vignettone verticale, con Kit che si tuffa dalla rupe per sfuggire dalle grinfie degli sgherri in divisa. Uniche note dolenti a mio avviso: la sua rappresentazione troppo matura di "Piccolo Falco" che in alcune vignette sembra quasi più anziano di Tex e la consueta ripetitività di fattezze dei suoi personaggi, che a ogni lettura danno sempre la convinzione di essere già stati visti in altre storie. Al contrario di Zaniboni, che dichiarò in una vecchia intervista di prendere spunto dai visi incontrati per strada per lo studio dei suoi personaggi, il compianto Monti forse usciva di rado o era troppo discreto per fissare insistentemente gli avventori, considerato il suo povero campionario di modelli facciali. Il mio voto finale è 7
  11. Non avrei letto le tue opere se avessi pensato una cosa simile .
  12. Propongo un altro spunto di soggetto per questo interessante gioco: Appena giunge alla riserva la notizia del ferimento di El Morisco in un misterioso agguato, Tex e Carson si precipitano a Pilares per sincerarsi delle condizioni del dotto amico e scoprire il movente e l'identità dei colpevoli del vile attentato. Raggiunto il brujo egiziano (in gravi condizioni ma fuori pericolo di vita), scoprono che Eusebio è scomparso. Alacremente i due rangers avviano le loro indagini, cercando di rivolgere le loro attenzioni verso eventuali nemici dello "stregone di Pilares". Ben presto però l'attività investigativa prende una svolta radicale e con sorpresa viene a galla un bandolo inatteso dell'intricata matassa. Si viene a scoprire che il vero obbiettivo dell'agguato non fosse il Morisco, rimasto ferito casualmente, bensì Eusebio. Emergono dal passato strane ombre dalla vita del taciturno e fedele servitore, risalenti ai tempi in cui da ragazzo orfano, faceva parte di una banda di rapinatori comandata dal bieco Carlos Libeiro. Il giovane Eusebio desideroso di cambiar vita, abbandonò la banda prima che i rurales la smantellassero e procedessero alla cattura del pericoloso capo dei desperados. A distanza di anni, evaso dalle carceri messicane, Libeiro (divenuto patologicamente paranoico) mette in moto la macchina della vendetta, contro colui che ritiene lo abbia tradito e si sia impossessato del bottino nascosto della banda (in realtà requisito dalle autorità messicane dopo l'arresto). Inscenando l'agguato, fa rapire l'ignaro Eusebio e lo tortura per ritorsione e farsi rivelare il nascondiglio della grana. L'arrivo provvidenziale dei nostri, sancirà la sconfitta del folle desperado e salverà la vita al malconcio amico messicano.
  13. Se poi specifichi a Boselli che Kansas Kid in realtà è un figlio di Tex, concepito con un'altra donna prima del matrimonio indiano con Lilyth, gli fai venire il mal di testa e reputerà ancora più impubblicabile il soggetto.
  14. Dopo più di quarant'anni spesi a scrivere storie di Tex e a far sognare folte schiere di lettori con le sue fantastiche avventure, G.L. Bonelli si apprestò a congedarsi dall'universo di "Aquila della notte". La storia in questione fu la penultima prova del patriarca del fumetto italiano sulla saga della sua celeberrima creatura e per l'occasione, decise di ambientare l'azione nel grande Nord, con il ritorno di due dei più amati coprotagonisti usciti dalla sua penna: Jim Brandon e il simpatico meticcio Gros Jean! Purtroppo il peso degli anni sul groppone si fece alquanto sentire e la trama sfornata, seppur leggibile, risulta lontana anni luce rispetto alle epiche avventure dei decenni precedenti. L'episodio, come gli ultimi composti da Bonelli, è molto breve, ma soprattutto non brilla per complessità nell'intreccio e i tempi di sceneggiatura non sono del tutto ideali. L'inizio è molto fiacco e verboso, viziato inoltre da una sequenza illogica a mio avviso: passi che Gross Jean si sciroppi migliaia e migliaia di chilometri per avvisare Tex di cosa bolla in pentola aldilà del confine, se l'azione fosse dovuta a motivi di sicurezza e per evitare eventuali intercettazioni nemiche dei telegrammi, ma che senso ha raggiungere l'Arizona, se Jim Brandon gli ha taciuto pure i motivi della urgente convocazione? Altro aspetto che non mi fa impazzire dell'episodio, il fatto che non ci sia uno straccio d'indagine dei nostri. Tex e Carson ricevono la lista dei "cattivi" dalla spia di Jim, neanche fosse una lista di votanti a un seggio elettorale, e in fin dei conti si limitano a menare solo le mani. Poco pericolosa si rivela la cricca di Soapy Smith; visto la scarsa consistenza dell'organizzazione criminale, i pards potevano pure risparmiarsi il prezzo del viaggio . Anche i disegni di Letteri sembrano meno ispirati del solito, come sono evidenti i tanti interventi redazionali per adeguare la sceneggiatura, che come già su detto, fu limata da Nizzi. Monti e non solo (in alcune tavole si scorgono più mani nelle varie vignette) si sono dovuti molto prodigare con "pecette" e china per rettificare alcune sequenze. Curioso pure il fatto che l'episodio preceda di pochi mesi un'altra escursione in Canada dei nostri in una splendida sceneggiatura di Nizzi; suppongo che Sergio non se la sentì di non pubblicare o far slittare la storia del padre, così i lettori si trovarono nell'arco di cinque albi, due avventure nel freddo Canada. Proprio l'autore modenese optò per una sorta di continuità narrativa, citando nella sua successiva trama la missione contro Soapy e co. e lo farà pure anni dopo nell'avventura "Yukon selvaggio", quasi a voler giustamente omaggiare il suo celebre predecessore. Il mio voto finale è 6
  15. Le mie tre preferenze: - L'ombra del maestro; - Jethro; - Il ritorno di Proteus.
  16. Considerando il suo consolidato stile, "I diavoli rossi" appare come una trama atipica di Nizzi. Un episodio alquanto breve, dal soggetto molto scarno, sebbene marcatamente western, che deve la sua discreta riuscita, a una sceneggiatura impeccabile e la variegata presenza di personaggi ben caratterizzati. Proprio le azioni e le storie di ogni coprotagonista, rappresentano il cuore pulsante dell'episodio. Lo sceneggiatore, quasi come un Boselli ante litteram, si sbizzarrisce a far recitare una folta schiera di interessanti personaggi: si passa dalla coppia di postiglioni, al malinconico ex militare, passando dal sarto galantuomo, alla dolce maestrina o all'infido rinnegato Colin Chase. Gli Apaches sul sentiero di guerra, l'assalto alla diligenza, l'assedio alla stazione di posta, rappresentano tutte situazioni tipiche del genere, tuttavia saranno proprio le sfaccettature delle sue creature a far lievitare il valore dell'esito finale. Personalmente ritengo che Boselli in seguito riuscirà molto meglio in simili schemi narrativi, tuttavia Nizzi non demerita e facendo leva su dialoghi incisivi e una coppia di ranger altamente performanti, riesce a fare il salto di qualità a un presunto riempitivo. Da citare il ribrezzo che provoca il personaggio di Bellamy, un uxoricida codardo e meschino a cui fanno da contraltare le bellissime figure dell'ex capitano Freemont e il bandito eroe Benton. Sebbene con il veleno nel cuore, devo ammettere che i disegni di Galep palesano un vorticoso calo qualitativo. Concordo con chi precedentemente ha fatto notare che la buona riuscita di alcuni protagonisti, si debba anche alla capacità di recitazione facciale che il compianto papà grafico di Tex riuscì comunque a fornire con molto mestiere, così come non sfigurano le anatomie dei cavalli, ma il resto non è all'altezza del suo standard artistico. Troppe vignette appaiono tirate via e inchiostrate con poca cura, molti primi piani risultano sgraziati, Carson troppo spesso sembra la copia di "Matusalemme" per quanto viene rappresentato vecchio e pure il viso di Tex assume troppe variazioni durante le tavole. L'affetto che mi lega a Galep e alla sua immensa arte, mi imporrebbe di non esprimere simili giudizi negativi, ma ritengo sia onesto esternare il mio reale giudizio. D'altronde rientra nelle leggi della natura che anche le rose più profumate e vellutate col tempo siano destinate ad appassire, e, in par modo, l'innato talento di un maestro, col trascorrere delle primavere, può risultarne scalfito. Il mio voto finale è 7
  17. La predisposizione di Nizzi per il racconto giallo è proverbiale. Sovente gli capitava d'imbastire trame classificabili nel genere e bisogna ammettere, che nel periodo di maggior fulgore creativo, riusciva quasi sempre a colpire il bersaglio. La storia in questione, sebbene minore, è riuscita a ritagliarsi un piccolo ricordo all'interno della saga, grazie alla sapiente sceneggiatura, che mantiene alta la tensione e la suspance fino all'ultima vignetta. Sin dall'incipit il lettore viene immerso assieme ai due pards, nel misterioso caso della miniera, descritto con dovizia di particolari e atmosfera dai tre minatori in fuga. La leggenda del grande serpente, nota ai nativi e ricorrente in parecchie civiltà (anche un racconto di Salgari "Il boa delle caverne" tratta un simile argomento) terrorizza tutti, compreso Carson, ma non Tex, convinto fin dall'inizio che a Bendito si celi un piano criminoso di qualche furbone, atto a far fuggire tutti i cercatori d'oro per impossessarsi della miniera. Ovviamente le indagini daranno ragione al nostro ranger, ma non mancheranno i colpi di scena: uno su tutti, la scoperta del vero Remick, sepolto in una caverna sotterranea dai delinquenti che gli rubano l'identità per il loro piano, e costretto a cibarsi di carne umana, pur di sopravvivere. Il piano di Tex che porterà alla punizione dei due villain, procederà spedito, scandito da una sceneggiatura serrata e arricchita da ottimi dialoghi. Merito di Nizzi nella sua prova è quello di rendere piacevole e mai banale uno spunto di soggetto, interessante ma non eccelso. Anche l'identità dei nemici, sebbene non impossibile da scoprire fin dall'inizio, viene ben celata con abili trucchetti del mestiere, ciò permette al lettore alla fine di ritenersi alquanto soddisfatto. Personalmente l'ho sempre reputata una buona storia, ma riconosco che sono particolarmente legato al filotto di episodi del centenario 300-400 e forse questo aspetto sentimentale, rischia di rendermi poco oggettivo in alcune valutazioni. Una particolare menzione meritano i sempre efficienti disegni di un Letteri infaticabile e preciso come un orologio svizzero. Il suo stile pulito e dinamico, gli permetteva di essere adatto a qualsiasi sceneggiatura western proposta. Un grande autore, davvero! Il mio voto finale è 8
  18. Prima di scrivere un commento dettagliato sulla storia appena conclusa, preferisco assimilare l'episodio con calma e analizzarlo a mente fredda dopo altre letture. Posso però affermare che a primo acchito, l'opera di sceneggiatura di Boselli risulta magistrale e la prova grafica di Dotti (special modo per gli sfondi e le location di New York) è di alta classe. Era da tempo che non mi divertivo così tanto a leggere un episodio di Tex!
  19. Per Giove, qui la standing ovation ci sta tutta! "La leggenda della vecchia missione" se non è un capolavoro, è un gemello monozigote . Ma procediamo per gradi. Un Nizzi in stato di grazia creativa, opta per dare un seguito all'infelice prova "Il disertore" data alle stampe pochi anni prima da Nolitta. Premetto che visto l'esito finale e la mia scarsa considerazione per la trama nolittiana precedente, il confronto risulta impietoso a mio modo di vedere, ma cerchiamo di lasciar fuori le considerazioni personali. Il capitano Morrow, archiviate definitivamente matite, prototipi e risme di carta, avvisa Tex di aver localizzato il rifugio di Manuel Pedrosa oltre confine. Ovvia la reazione del ranger, che non si lascia crescere l'erba sotto i piedi, pur di ottene la sacrosanta (e doverosa, oserei aggiungere!) vendetta. Non starò qui a descrivere i vari passaggi narrativi che rendono memorabile la prova dello sceneggiatore modenese, d'altronde suppongo che ogni texiano che si rispetti, l'avrà imparata a memoria dopo le innumerevoli riletture. Straordinario il mix di azione, umorismo, suspence e colpi di scena. Geniale l'idea di sfruttare la superstizione dei bandidos in merito al tesoro, utilizzando Carson e Kit in saio di frate. La scena del primo arrivo a Charango è da spanciarsi dalle risate! Carson in questo episodio raggiunge picchi elevatissimi e alcune sue battute sono da oscar della risata, come è pur ovvio che la sua presenza accanto a Tex sia da sempre fondamentale (mi chiedo a tal proposito, come poter giustificare chi preferiva lasciarlo spesso fuori dalle scene ). Molto ben pensata la rivalità tra Juanito e Manuel, per non tacere dell'eccellente caratterizzazione dell'eremita Ramon. Tex è Tex, non la pallida copia di rintronato pistolero fornita da Nolitta. Deciso, acuto, molto abile nel tessere tranelli e sfruttare a suo vantaggio ogni situazione. Una sceneggiatura scoppiettante, che ti fa immergere nella lettura e perdere la concezione del tempo; dialoghi di alta scuola che richiamano lo stile bonelliano e non lo fanno affatto rimpiangere. In mezzo a cotanta ironia e polvere da sparo, non mancano piccoli melodrammi, quale l'ingenua fine di Ramon o il vigliacco omicidio di Rosita che ci mostra un Pedrosa nella sua reale condizione di detestabile assassino col pelo sul cuore. Molto dura la lezione a suon di dinamite scelta da Tex nei titoli di coda, ma in fondo il turbolento epilogo ci sta tutto, compresa la frana sulla vecchia missione e la definitiva scomparsa del maledetto carico di lingotti di argento. Mi perdoni il buon Sergio, ma gli unici aspetti che ricollegano la sua incolore prova a questo classico della saga, sono solo la presenza di Pedrosa e la magia che si sprigiona dalle incantevoli vignette di Ticci. Il mio voto finale è 10
  20. Ovvio che debbano essere muscolosi, tuttavia, personalmente, preferisco la rappresentazione con un fisico più asciutto e atletico. Fusco eccedeva nella stazza, soprattutto per ciò che concerneva spalle e collo. A tratti sembrava di trovarsi al cospetto di culturisti gonfiati a proteine e creatina . Comunque, detto questo, non voglio affatto sminuire il grande talento grafico del compianto Fernando, anzi, sono il primo ad asserire che il suo magistrale contributo è stato basilare per il successo della saga.
  21. Piccola gemma "sepolta nelle paludi". Nizzi, ormai saldo al timone della saga, architetta una trama sfavillante e la sua consueta abilità di sceneggiatura, valorizza un soggetto molto interessante. L'episodio si intreccia fra i sogni indipendentisti del folle Pierre de Rochelle, "un piccolo Napoleone dei poveri" evaso dal manicomio e smanioso di dichiarare guerra agli States per ottenere l'indipendenza della Lousiana e la tentata rivolta degli uomini di colore ai comandi di Mandeba sotto l'effige del Grande Alligatore. Entrambi i bizzarri personaggi tuttavia sono semplici burattini manovrati dal perfido Martin Stingo, un verminoso mascalzone che trama nell'ombra per impossessarsi dell'eredità dei nobili fratelli De La Rochelle. I piani ben congegnati dal villain di turno, andrebbero facilmente in porto senza l'intromissione dei nostri pards, richiamati dallo sceriffo Mc Kenneth per far luce sull'oscura vicenda. Un serrato susseguirsi di agguati e colpi di scena, con sullo sfondo le malsane paludi pullulanti di famelici alligatori, tengono il lettore incollato alle pagine. Memorabile la scena del ponte che conduce al villaggio delle palafitte, con Tex e Carson a rischio di precipitare tra le fauci degli affamati rettili. Come risulta davvero enigmatica e arcana la figura del centenario Kabagi, uno stregone cieco e sordo ma capace di fare premonizioni e comunicare i suoi ordini agli alligatori della palude. Ammetto che la sequenza che lo vede trasformarsi a sua volta in rettile, mi ha sempre molto colpito e rappresenta una delle pochissime escursioni di Nizzi nel paranormale. Stingo risulta ben caratterizzato e la sua spietatezza, unita a un cervellino di prim'ordine, lo rende un avversario molto temibile. Ma come lo stesso Tex ammette: il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi", infatti sebbene ben architettate le sue trame, i nostri riescono a sconfiggerlo su tutta la linea e pur di non farsi arrestare, il soprastante traditore preferirà togliersi la vita, tuffandosi nel vuoto dalla finestra dello sfarzoso palazzo. Episodio molto brillante, arricchito da dialoghi superbi e il quartetto di pards in forma esplosiva. Quanto mi mancano le ispirate prove di Nizzi del centenario 300-400! Eccellenti i disegni di Fusco; un asso nel rappresentare i dedali delle paludi e le dinamiche scene che si susseguono lungo i tre albi dell'episodio. Peccato solo per quella stazza da culturista che affibbiava ai nostri, palesemente marcata nella rappresentazione del collo, dettaglio che mi ha sempre fatto un po' storcere il muso. Meno male che alla lunga ci si abitua e bisogna ammettere, che simili trame affidate al compianto Fernando, fanno il salto di qualità. Il mio voto finale è 9
  22. L'opera di lettura, studio e documentazione della pubblicazione bonelliana, effettuata da Nizzi prima di approdare alla serie ammiraglia, dovette essere davvero immane e minuziosa. L'autore, oltre a ricreare uno stile narrativo molto affine a quello del creatore della serie, assimilò per bene anche le tematiche care al suo celebre precedessore e con molta abilità, prese spunto da esse, per proporre episodi abbastanza avvincenti. "Gli spiriti del deserto" è uno degli episodi più gbonelliani uscito dalla penna dello sceneggiatore modenese. Già il particolare soggetto richiama alcune tematiche care a G.L. Bonelli: la leggenda di una nave arenata nel deserto; una valle misteriosa isolata dal mondo esterno e abitata da una comunità di cinesi discendenti dai naufraghi; un popolo indiano raro come i Pima posti alla guardia del segreto regno, soggiogati dal consumo d'oppio, coltivazione che porta ad arricchire l'avido villain della storia, che altri non è che un archeologo opportunista, che prima di tutti ha scoperto l'accesso alla misteriosa valle. L'alone di mistero che circonda le indagini di Tex e Carson, rende molto interessante la prima parte della storia. Le morti misteriose, le tante scomparse nei pressi della Laguna Salada e molte dicerie cariche di superstizione, inducono inizialmente a credere che qualcosa di soprannaturale si celi dietro la vicenda. I nostri pards, duri come il granito e decisi più che mai, non si fermano dinanzi i primi intoppi e riescono a trovare il bandolo razionale della matassa. La scena del duello fra Velarde e i rangers nei pressi dell'arca perduta, è molto a effetto (sebbene gli indigeni non brillino per pericolosità), come risulta molto carica di adrenalina la fuga lungo il passaggio per evitare la dinamite scagliata dall'avversario. Particolare la scelta narrativa di Nizzi di far eliminare il villain da uno dei suoi Pima, amareggiato dalla distruzione dell'arca sacra, ma il vero picco emotivo dell'episodio è l'odissea vissuta da Tex, Carson e Doberado lungo il tumultuoso fiume sotterraneo. Le tavole in cui i nostri vedono sempre più abbassarsi il soffitto della caverna sono da cardiopalma, come è un tuffo al cuore vedere la disperazione dipinta sul volto di Tex appena scopre che il cunicolo in cui son precipitati è totalmente sommerso. Forse mai come in questa sequenza il nostro eroe sente di essere vicino alla morte e l'umana paura sul suo volto, straordinariamente rappresentata da Villa, è un apice narrativo nizziano difficilmente raggiungibile. A pensarci bene tuttavia, un tocco soprannaturale lo si ritrova tra le pagine: solo un sortilegio può aver permesso a Doberado di mantenere i suoi occhiali dopo cascate, vortici e tuffi nel fiume . Sebbene Claudio Villa fosse ancora alle prime esperienze grafiche sulla collana, il suo talentuoso apporto fu fondamentale per la buona riuscita dell'episodio. Davvero magistrali le sue espressioni facciali, come da lode i suoi paesaggi o le dinamiche sequenze del fiume sotterraneo. Un disegnatore immenso, che si propose già da allora come punta di diamante della scuderia e delizierà il lettore con un crescendo grafico che lo porterà a divenire uno dei più amati fumettisti bonelliani. A tal proposito, proporrei una provocatoria petizione fra forumisti e lettori, per indurre i vertici della Sergio Bonelli Editore a liberarlo dai gravosi impegni di copertinista e restituircelo a tempo pieno come autore della serie. Dover aspettare decenni per ammirare i suoi capolavori fra le pagine degli albi, è una tortura che al confronto, quelle dell'Artiglio Nero son carezze. Il mio voto finale è 8
  23. In effetti hai ragione Grande Tex, riconosco di essere a volte un tantino tirato nei voti; meno male che non faccio l'insegnante, se no gli alunni per ritorsione, mi legherebbero alla lavagna!
  24. Episodio abbastanza breve che, all'apparenza, presenta tutte le caratteristiche del più classico dei riempitivi. Tuttavia Nizzi, giunto nella sua fase più ispirata, riesce a imbastire una trama efficace e molto scorrevole, che si legge con piacere. Abbastanza insolita l'ambientazione, in un Missouri ancora sconvolto dalla guerra civile, in cui comuni banditi vengono visti come patrioti ribelli. Ben caratterizzate le figure dei fratelli Border e anche i nostri si mostrano in grande sintonia e perfetta forma. Sempre notevoli i dialoghi e l'opera di sceneggiatura, che rende la storia molto fluida e con i giusti tempi narrativi. Il primo Nizzi fu indubbiamente un acquisto straordinario per la saga e la sua opera portò una fondamentale ventata di freschezza, utile a rilanciare il personaggio. Sempre molto particolari i disegni di Blasco; un tratto molto diverso rispetto alla consuetudine della serie in quei tempi. Uno stile classico con influenze latine, che riesce a essere pulito e non, allo stesso tempo. Qualche incertezza nelle proporzioni e qualche vignetta un po' legnosa, ma funzionali i primi piani e molto suggestivo l'uso dei neri e dei tratteggi. Le mitiche vignette dell'autore spagnolo, hanno accompagnato molte letture della mia infanzia e, sebbene non rientri proprio tra i miei disegnatori preferiti, non posso non ricordarlo con affetto e malinconia. Chiusa la parentesi "Nostalgia canaglia", riassumo il mio giudizio sull'episodio in questione: non un capolavoro, ma una storia molto solida che conferma il periodo d'oro vissuto da Nizzi sul finire degli anni '80. Il mio voto finale è 7
  25. Episodio della serie che mi è sempre molto piaciuto. Nizzi trae spunto dalla storica vendita di Santa Ana, che cedette ai confinanti Stati Uniti una fetta di territorio al sud del Gila River, e architetta una trama avvincente e gradevole da leggere. I folli sogni del ricco haciendero Don Guillermo di rimpossessarsi delle sue proprietà, con la violenza e un piccolo agguerrito esercito, sbattono presto contro la decisa azione dei nostri due pards. La banda di banditi, foraggiata dal ricco messicano e affidata ai comandi del pericoloso Pablo Contreras, può disporre di una gatling, con cui semina morte e terrore lungo il confine. Il soggetto è interessante, l'azione non manca, come brillano per freschezza, ironia e efficacia i dialoghi di un Nizzi particolarmente ispirato. La sceneggiatura fila via che è un piacere e il colpo di scena finale, funge da ciliegina sulla torta. La caratterizzazione del capitano Lafferty è l'ulteriore fiore all'occhiello della storia; l'autore riesce a ricamare con estrema abilità un ruolo da doppiogiochista (triplo gioco a essere pignoli!) che spiazza Tex e i lettori. Solo l'entrata in scena della delusa Beatriz, corteggiata per scopo dal villain principale, aiuterà i nostri eroi a cavarsi fuori da una situazione resasi complicata. Molto bella la sparatoria al pueblo, così come c'è da togliersi il cappello dinanzi alle tante battute esilaranti che Tex e Carson si scambiano durante la storia. Il Nizzi del centenario 300-400 è uno sceneggiatore brillante, in piena verve creativa, meritevole dell'oneroso ruolo affidatogli dalla casa editrice in quegli anni. Le sue scoppiettanti sceneggiature, permisero alla celebre saga di uscire dal pericoloso guado, in cui si era impantanata, con lo spegnimento della stella compositiva di Bonelli padre e la debole sintonia di Nolitta col personaggio. Ammetto che furono proprio storie come "L'arma del massacro" e successive del periodo, ideate dall'autore di Fiumalbo, a farmi affezionare al mitico ranger. Molto validi i disegni di Vincenzo Monti, sempre a proprio agio con ambientazioni marcatamente western, peccato solo per la sua tendenza alla ripetitività della fattezze dei personaggi. Il mio voto finale è 8
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