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TWF - Tex Willer Forum

Laramie

Cowboy
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Everything posted by Laramie

  1. So di ripetermi, ma "ci arrivo un po' lungo, ma ci arrivo". Ad arrivarci un po' al photofinish il rischio è di ripetere diverse opinioni già espresse in precedenza, ma tant'è. Trovo molto intrigante il soggetto di partenza, ovvero che quattro donne che hanno avuto i mariti uccisi da Tex decidano di allearsi per fargliela pagare. Dopotutto noi diamo per scontato che i nemici uccisi da Tex siano quasi tutti degli scapoloni incalliti, ma non per forza è così: anche serial killer e mafiosi vari trovano moglie, talvolta anche dopo che le loro malefatte sono diventate di dominio pubblico, talvolta all'interno stesso del carcere, quindi l'idea di questa storia di Tex mi sembra solida. Lo svolgimento invece mi ha convinto di meno, nel senso che per me già il poker di vedove, almeno due delle quali apparentemente piuttosto facoltose e quindi con molti mezzi a disposizione, sarebbe più che sufficiente a dare filo da torcere ai tre pards senza per forza volerci infilare il desperado psicopatico. Riguardo a Josè Meza, ho come l'impressione che almeno una delle quattro vedove la farà fuori lui, oppure si accopperanno a vicenda. Mi segno questa mia previsione e vediamo fra ormai un mese e mezzo se ci ho preso o no. Sulla famosa scena della diligenza ho molto poco da dire, se non che non mi è proprio piaciuta. Tex fa spesso dei piani arditi e rischiosissimi (e uno dei leit motiv della serie è Carson che gli dà del pazzo incosciente), ma lo fa perché il suo obiettivo sarebbe altrimenti impossibile da raggiungere con i metodi normali, mentre qui non mi sembra ci siano le premesse per agire in modo così sconsiderato se non per ottenere un'entrata a effetto per i due pards. Di ordinaria amministrazione il pestaggio del bandito e la scazzottata nel saloon, quest'ultima molto diversa da quella vista nella storia precedente del mensile in cui Tex scazzottava il primo venuto che poi si è rivelato essere un suo "alleato". In sintesi devo ammettere che questo albo non mi è piaciuto tanto anche se ha delle cose positive e un buon potenziale per ora inespresso. Vediamo quello che succederà nei prossimi mesi.
  2. Alla prima lettura lo pensai anche io e ricordo che ho pensato la stessa cosa anche per le altre due quadruple sulle navi perdute e sulla Mefisto Family (la parte di Civitelli), perlomeno ridurle a tre albi e mezzo (sulle navi perdute in realtà lo penso ancora dopo averla già riletta un paio d'anni fa). In questo caso posso dire che la lettura-fiume ha mitigato moltissimo quella sensazione. Sì, tra il secondo e il terzo albo ci sono dei momenti tagliuzzabili, ma nulla che mi abbia realmente guastato la lettura. Magari più che comprimere la storia in tre albi avrei preferito sintetizzare qualche passaggio per avere qualche pagina in più per spaccare tutto nella battaglia finale (diciamocelo, dopo 400 pagine un po' di botti ed esplosioni sarebbero stati divertenti), ma probabilmente si sarebbe andati contro all'approccio generale della storia, quindi per me va bene così.
  3. Complice questa domenica piovosa e fresca, annunciatrice dell'autunno in arrivo, mi sono preparato una bella tisana calda, mi sono seduto in poltrona e ho ripreso in mano TUTTA l'ultima storia della Tigre Nera leggendola d'un fiato con giusto una breve pausa di qualche minuto tra il secondo e il terzo albo come se fosse l'intervallo di un film. Orbene, rileggendola in questo modo, sapendo già come andava a finire e senza più le stramaledette aspettative di mezzo, posso dire di averla apprezzata enormemente di più rispetto alla lettura precedente, che pure mi aveva lasciato soddisfatto nonostante la sensazione di lungaggine qui e là. Stavolta ho optato per un approccio radicalmente diverso: avendo un pomeriggio intero a disposizione ho potuto rimuovere dalla mia quei "blocchi" mentali che ogni tanto mi pregiudicano la lettura ("ho un'ora di tempo, poi devo andare a fare X" è il caso più lampante), così mi sono seduto, ho impilato gli albi di fianco al mio e ho aperto il primo con l'obiettivo di proseguire fino alla conclusione dell'intera storia indipendentemente dal tempo ci avrei messo. Leggendola in questo modo, come se fosse un libro di avventura, mi sono immerso nella vicenda in totale relax e in un attimo mi sono sentito trasportare in un mondo perennemente in bilico tra Salgari (ambientazione e citazioni) e Dumas (l'atmosfera generale e l'aura tragica di determinati personaggi), due autori di cui Boselli è un lettore e un estimatore. Se i richiami a Salgari sono i più evidenti e dichiarati, quelli a Dumas sono forse più involontari, ma altrettanto palesi. Il procedere lento della narrazione da feuilleton ottocentesco, con l'occhio che segue i personaggi quasi passo per passo durante le scene, con quel ritmo da vita reale sul quale anche Roberto Benigni ha ironizzato in passato, può rivelarsi una scelta insidiosa al giorno d'oggi dove il tempo da dedicare alla lettura, specie se si hanno lavoro e famiglia, è molto ristretto, ma è un bene che Boselli abbia scelto di andare contro alla nefasta tendenza a scrivere albi da 100 pagine che si leggono in 10 minuti per "costringere" il lettore a tornare a uno stile di lettura precedente. La storia in quanto tale l'ho trovata ottima. I difetti che avevo evidenziato alla prima lettura li confermo tutti, ma con una minore incidenza nel risultato finale. Diciamo che questo secondo giro ha amplificato gli aspetto positivi e ha ridotto quelli negativi. Anche le lungaggini che avevo riscontrato tra il secondo e il terzo albo risultano più attenuate dopo averle inquadrate nell'ottica complessiva della storia. Boselli riprende benissimo la Tigre Nera e lo rielabora rendendolo più vicino al modello salgariano che era nelle intenzioni di Nizzi (benché nella storia capostipite faccia più la figura del pazzo fanatico), più lucido e razionale anche se non meno spietato. La palma d'oro però va a Daniel Silva, figlio della Tigre Nera, ennesimo caso in cui Boselli mette in atto un vero e proprio passaggio di consegne fra personaggi (era già successo con il Maestro e Nick Castle, poi più di recente con Mefisto e Lily Dickart) forse con l'intento di scrollarsi di dosso eredità ingombranti e creare una nuova pletora di alleati/antagonisti a uso e consumo degli sceneggiatori futuri. (prima che qualcuno salti su e mi azzanni al collo lo chiarisco: ovviamente Lily Dickart NON è un personaggio nuovo, ma Boselli è riuscito ad appropriarsene e a rimetterla in circolazione con un nuovo background e dei nuovi obiettivi dandole una bella rinfrescata). L'aspetto migliore di tutta la vicenda, però, risiede nell'aver messo Tex in un posizione difficile sul piano etico morale: aiutando in maniera netta uno dei due contendenti, Tex avrebbe tradito i propri ideali di giustizia, per cui si è dovuto muovere su un difficilissimo filo di lana per riuscire, almeno in parte, nel proprio intento, ovvero salvare Kit, detronizzare Van Gulik e arrestare la Tigre Nera. Adesso è quasi certo che Daniel Silva non si limiterà a questa semplice comparsata, perlomeno me lo auguro, e possa servire, sia pure con molta moderazione, per ulteriori incursioni dei pards in territori esotici.
  4. Il soggetto di questa storia per me è molto buono: l'oppressione dei soldati contro i nativi e i soliti trucchetti per convincerli a sloggiare dalle loro terre. Un canovaccio visto mille volte che conserva intatto il suo fascino. Se poi a metterlo in pratica sono Nizzi e Ticci, cioè gli stessi che hanno fatto "Le colline del vento" allora siamo a cavallo. O meglio, SAREMMO a cavallo perché da "Le colline del vento" sono passati 34 anni ed entrambi gli autori sono invecchiati. Uno dei due è invecchiato benissimo, l'altro malissimo (a voi indovinare chi). E infatti la storia che ho letto contiene solo un pugno di scene degne di nota (il saluto della moglie di Falco Giallo alla sua partenza e il massacro al villaggio indiano), mentre il resto oscilla tra il noioso e il pessimo. Noiosi i dialoghi, zeppi di spiegoni di cose che il lettore già sa (il punto più basso è quando Falco Giallo ripete a Tex ciò che nell'albo viene raccontato una decina scarsa di pagine prima); pessime diverse scene che con pochi aggiustamenti sarebbero potute essere divertenti o drammatiche a seconda dei casi. Esempio: la rissa nel saloon. Tex che arriva e picchia il primo che passa per poi essere avvisato da Carson che "quello è dei nostri" è una scena ridicola che trasforma Tex in un bulletto di quartiere. Sarebbe bastato che fosse stato il povero malcapitato il primo a sferrare un cazzotto al ranger, in quel caso la scena avrebbe avuto un effetto diverso. Altro esempio: la cattura di Falco Giallo. A leggerla così, sembra che questa storia sia tipo collocabile tra "Il tranello" e "Il figlio di Tex" perché non è possibile che uno come Tex, con tutti i suoi trascorsi, non sia minimamente sospettoso nei confronti del comandante del forte, un tipo che si capisce SUBITO che è in combutta con i cattivi già solo dalla faccia che ha e ben prima dei balloon rivelatori. Sempre Tex non può commettere un'ingenuità tale da consegnare gli indiani direttamente in bocca ai soldati così dal nulla, senza neppure un piano B. Sarà il fatto che parliamo del mensile, sarà che il tema proposto è comunque quello da grandi occasioni (sia pure per soli due albi), sarà che quando c'è Ticci uno spera sempre nel guizzo, fatto sta che questo primo albo è da bocciare in quanto a sceneggiatura. Discorso diametralmente inverso per i disegni. Io non so per quali motivi Ticci si sia lamentato di questa storia (posso immaginarli, ma li sa solo lui), ma lo capisco. "Amico, sono a fine carriera, non posso chiudere con una storia così" Eppure Ticci, nonostante l'età, nonostante i segni del tempo siano evidenti sul suo tratto, riesce ancora a convincere e a confermarsi il miglior interprete che il ranger abbia mai avuto. Sì, la rissa del saloon è complicata e non si capisce dov'è Carson, sì, alcune anatomie sono un po' "fantasiose", sì, le scene più movimentate hanno degli scricchiolii, sì, va bene, ok, ho capito, ma ragazzi, è Ticci! Le atmosfere polverose del vecchio west, dei fortini militari e degli accampamenti indiani sono le sue, uniche e irripetibili, e rimane un maestro anche a quest'età. Da levarsi il cappello. Io non so se Ticci stia lavorando a qualcosa, ma se ha in progetto di chiudere la carriera e ritirarsi a vita privata lo capirei benissimo. Tuttavia, nel mio cuore batte una sola parola: cartonato.
  5. No, quello è Ticci, io sono sicurissimo fosse una storia disegnata da Galep. Boh, pazienza, in una futura rilettura magari salterà fuori.
  6. @Poe Io ho memoria, ma non ricordo il titolo, di una storia in cui Tex per far parlare il bandito di turno gli ficca addirittura la testa sotto l'acqua del fiume e per poco non lo affoga. Il tutto con un bel sorriso stampato sul volto. Sarà anche stato un criminale odioso finché si vuole, ma a me quella scena non è piaciuta, mentre di solito le sberle ai banditi mi piacciono molto. Storia di GLB e Galep, ma giuro che non ricordo il titolo. Può essere "L'aquila e la folgore"?
  7. Vero, mi auto-correggo. Sta di fatto che l'atteggiamento di Long John mi sembra sensato (sia pure fin troppo "moderno", non so quanto simili finezze fossero presenti nel West dove ti impiccavano se rubavi un manzo) e "spieghi" (argh!) il successivo comportamento dei suoi ex uomini. Condurre una vita criminale, sia pure con uno stile da educanda, comporta una forte pressione sia per i rischi corsi sia per il timore di venire beccati. Il non avere ucciso durante le rapine gli avrebbe forse evitato la forca, ma un bel po' di anni dietro le sbarre non glieli avrebbe tolti nessuno. Ci sta quindi che i banditi abbiano sbroccato appena visto Tex e si siano messi a sparacchiare. Comunque sì, è chiaro che a livello "politico" la figura di Long John serve a far digerire al lettore il fatto che Tex si allei, sia pure temporaneamente, con un criminale. Il che, se si pensa a quando lo stesso Tex si è alleato con dei VERI assassini per progettare un omicidio a sangue freddo, la dice lunga su quanto sia bassa l'asticella oggi.
  8. La butto lì: Long John non vuole che i suoi uomini commettano omicidi durante le rapine perché sa che se accadesse tutti i ranger e gli sceriffi del sud-ovest gli darebbero una caccia spietata (e infatti il loro più grave errore è accoppare un agente Pinkerton). I suoi uomini non vedono l'ora di tradirlo perché si sono rotti gli zebedei di fare le educande durante le rapine, motivo per cui quelli che sono presenti al saloon scattano appena vedono Tex. Poi sì, è chiaro che se presenti un personaggio in questo modo anche il lettore nuovo di zecca capisce subito che presto o tardi Long John si sarebbe alleato con Tex e Carson e questo è uno dei motivi per i quali questo Texone è poco incisivo, ma questo è un altro discorso.
  9. Vado parzialmente controcorrente e dico che a me invece la storia è piaciuta, ho passato una buona ora e mezza. Non mi straccio le vesti, sia chiaro, ma neanche grido allo scandalo. Il problema, come già evidenziato, è che le storie del Texone per me dovrebbero avere una marcia in più rispetto al solito (per intenderci: la storia di routine sul mensile o sul color lungo te la puoi permettere), mentre qui l'impressione pressoché totale è che Rauch non abbia voluto correre rischi e abbia puntato tutto su una vicenda classica senza mai cercare di alzare il tiro con qualcosa che renda veramente indimenticabile questa avventura. Per fare un esempio, la scena di apertura del Texone dell'anno scorso con la commemorazione e poi quella di Carson che si aggira da solo nel paesaggio devastato e allucinato dopo la battaglia di Shiloh Church valgono da sole il prezzo dell'albo. Qui non c'è niente di analogo e quello che ne rimane è una storia media che intrattiene il lettore il giusto senza strafare. Detto questo, a Rauch va anche dato il merito, secondo me, di aver scritto una storia dove le cose non accadono perché devono accadere, ma con un senso logico: la cena a base di bistecche e patatine è vero che compare due volte, ma la prima è giustificata dal fatto che Tex e Carson partiranno il giorno dopo (e non hanno ancora il sale sulla coda), quindi possono permetterselo, mentre la seconda è alla fine quando la vicenda si è conclusa e quindi rappresenta un festeggiamento; Carson viene tramortito qui come nell'ultima storia sul mensile di Ruju e Font, ma qui avviene tutto molto meglio (il vecchio ranger ha la polvere negli occhi, vede annebbiato e Long John ne approfitta per tramortirlo), e potrei continuare. Insomma, è vero che non ci sono guizzi particolari, ma è anche vero, a mio avviso, che non ci sono nizzate da oscar o simili. Discorso più o meno analogo per i disegni di Palumbo: parte bene con la scena a Nogales, poi si perde in un western classico ambientato principalmente di giorno e all'aria aperta. Non sono disegni brutti, per carità, lunghi da me (anche se il volto di Tex non è sempre riuscito benissimo), è che Palumbo si è trovato a disegnare una storia che non ha valorizzato la sua arte. E il problema del Texone è che è un'opera che si fa una volta nella vita. (a proposito di disegni, solo io ho le pagine 99 e 106 mezze sbiadite che sembrano fatte con le sole matite senza gli inchiostri?) Alla fine quello che abbiamo è una storia normale disegnata in maniera normale senza nulla che la renda memorabile. E per memorabile intendo proprio la definizione Treccani: "Degno d’essere ricordato; si dice in genere di fatti, avvenimenti, periodi di tempo, o anche di parole, che abbiano in sé qualche cosa di grande, di glorioso, o siano per qualche motivo famosi" Questo Texone si è esaurito nel momento stesso in cui ho chiuso il volume perché non c'è niente al suo interno che possa spingermi a riprenderlo in mano in futuro a differenza di molti altri che invece rileggo periodicamente.
  10. Accolgo, in parte, l'obiezione su Lovecraft. Dico in parte perché anche Lovecraft comunque quando serve le informazioni base le fornisce: ne "Il richiamo di Cthulhu", ad esempio, viene detto chi sono gli Antichi, da dove arrivano e cosa vogliono, non è che lasciano queste cose all'immaginazione del lettore. Non viene detto che film guardano, con chi vanno a letto, quale squadra tifano o che lavoro fanno (cioè no, il lavoro ce l'hanno, spaccare tutto), ma questa è infatti la differenza tra spiegare le motivazioni di un personaggio e spiegare tutto, ma proprio tutto su quel personaggio, anche il superfluo. Ma appunto: in realtà sul tema abbiamo opinioni più simili di quanto si possa pensare. Quando dico che le motivazioni del personaggio devono essere spiegate intendo, magari un po' approssimativamente, che all'interno del racconto devono essere presenti tutte le informazioni NECESSARIE alla loro comprensione. Lo spiegazionismo è un'altra cosa. Per intenderci: su "L'isola della paura" di Zagor, Hellingen dice a Zagor, e quindi al lettore, quali sono le sue motivazioni e si ferma lì. Il lettore capisce, perché gli viene detto, che lo scienziato vuole conquistare il mondo con Titan perché è un pazzo maniaco con serissimi problemi di autostima. Fine, non serve altro. Le motivazioni necessarie ci sono tutte, perché ci devono essere. In "Mad doctor", storia uscita una decina di anni fa, si racconta che Hellingen ha lavorato ad Altrove, che i suoi colleghi lo insultavano, che faceva gli esperimenti segreti, eccetera. Ecco, questo è spiegazionismo.
  11. Arrivo leggermente in ritardo, ma, come al solito, arrivo. Letto anche il terzo albo: bene, ma non benissimo. Ricco di azione, mistero, situazioni, eccetera, ma anche di qualche clamorosa ingenuità (la ragazza indiana che sopravvive per anni nei cunicoli del monte Rainier) e di qualche svarione (alla fine la presenza di Gros-Jean è abbastanza superflua, per non parlare del motivo, stiracchiato, per il quale ha chiamato i quattro pards). Alla fine la mia sensazione è che questo tipo di storie siano sì texiane al 100% (ho letto a sprazzi qualche intervento e non condivido sul fatto che questa storia non sia in linea con Tex), ma che, per qualche strana ragione, non siano mai pienamente riuscite, almeno secondo me. Sia "La valle della luna" che "Un mondo perduto", entrambe rilette di recente, sono due storie che mi hanno convinto poco proprio per il modo in cui trattano l'argomento fantascientifico che non era nelle corde di Bonelli. E non mi citate Judok, per piacere, che se quella è fantascienza io sono un bisonte. "il mistero del monte Rainier" fa meglio delle due storie alle quali si riallaccia, ma l'impressione generale rimane quella che la fantascienza è una materia difficilissima da maneggiare su Tex a prescindere da chi la scrive. Bocci ottimo, ma non eccezionale: qualche vignetta risente molto del tratteggio e degli effetti vari (non ha usato i retini, Deo gratias), ma si tratta indiscutibilmente di un disegnatore di prim'ordine. Faccio un'ultima digressione sulla distriba "svelare tutto vs non svelare niente": è chiaramente un finto problema perché innanzitutto c'è sempre la stramaledetta percezione soggettiva in base alla quale ciò che per Tizio è indispensabile spiegare per Caio è del tutto superfluo e amen. Per quanto mi riguarda, in una storia di alieni, ma in generale in qualunque storia, c'è qualcosa che deve essere SEMPRE spiegato: la motivazione dei personaggi, anche e soprattutto se sono gli antagonisti della vicenda. E qui ce l'abbiamo. Detta in due parole, molto sbrigativa, ma c'è: gli alieni sono naufraghi, la loro navicella è precipitata e ci hanno messo anni a ripararla. Andreev lascia la terra sia per intraprendere la più grande avventura mai sognata da un uomo sia per curare Olev. Di più, per me, non è necessario spiegare. Alla fine a questa storia mi sento di dare un 7 abbondante. So già che qualcuno non sarà d'accordo, ma questo voto non è da intendersi come un giudizio scolastico, ma sul mio livello di gradimento.
  12. Disamina corretta, ma mi prendo la responsabilità di dire che forse lo spartiacque esiste. Non netto, ma forse c'è. Ci sono due storie di Nizzi che escono a stretto giro e sono entrambe accomunate dal fatto di essere state scritte in parte prima della crisi e in parte dopo. Molte storie del periodo presentano questa caratteristica, ma, a mio avviso, le volte precedenti il "problema" era nascosto meglio, oppure le si potevano considerare dei casi isolati. Le due storie sono "L'uomo senza passato" e "Yucatan", uscite una dietro l'altra. Non brutte storie, a dir la verità. Soprattutto la prima, la quale presenta una parte iniziale da premio Oscar e che rientra (il primo albo, appunto) fra le migliori cose che Nizzi abbia mai scritto. Anche "Yucatan" per i disegni di Marcello, ha un buon inizio, pur con almeno un momento da piccione. Entrambe le storie però si sgonfiano clamorosamente sul finale che perde di pathos e chiude in tono minore una vicenda che aveva tutt'altro respiro. In "L'uomo senza passato" la cosa si nota molto meno perché finisce come sappiamo, mentre in "Yucatan" il crollo è proprio evidente. E questa diventerà la cifra stilistica del Nizzi post-crisi: storie dal soggetto molto promettente che progressivamente si sgonfiano a causa di pessime sceneggiature composte da scene con il copia/incolla. Ripeto: non sono storie brutte (io "L'uomo senza passato" periodicamente me la rileggo), ma sono, secondo me, due storie che, rilette a posteriori, rappresentano un po' il salto dello squalo di un autore che da lì in avanti non riuscirà più a riprendersi anche al netto di alcune storie buone, talvolta anche ottime, che diverranno sempre meno con il passare degli anni fino a raggiungere gli abissi terribili citati da @Leo. Sarebbe un'idea interessante per un topic che potremmo intitolare "Il salto dello squalo di Nizzi", ma ho paura che lì si arriverebbe davvero alle botte.
  13. Vero, ma è il modo di essere di Tex che mi perplime. Un Tex quasi remissivo, lontano anni luce dell'anarchico con tendenze protofasciste dei primi anni e comunque distante da quello "canonico" del Bonelli più maturo. Un Tex 90enne, potremmo dire, che però di anni ne ha sempre 45. E bada che non sto parlando della qualità delle storie ("Nuvola Rossa" è forse la migliore storia del Nizzi post-crisi), ma di come il carattere di Tex si faccia sempre più flemmatico con il progredire della parabola nizziana. Più le storie diventano un collage di situazioni-tipo più il carattere di Tex si perde, a dimostrazione che quando una serie ristagna a farne le spese è soprattutto il protagonista. Considera, che più o meno nel periodo in cui esce questo Texone, il Tex di Boselli fa il diavolo a quattro con gli Apache Mescaleros, quasi come se Nizzi, per distinguersi dal collega, fosse arrivato a esasperare i tratti tipici della propria scrittura.
  14. E infatti più Nizzi ha affinato la sua ricetta culinaria per la storia-tipo di Tex, più a rimetterci è stato proprio Tex! Ma non le storie: il personaggio. Ultimamente sto rileggendo diverse storie, non solo di Nizzi, pubblicate negli anni '90 e '00 e mi sto rendendo conto di come il Tex di Nizzi sia clamorosamente calmo. Non calmo come potrebbe essere uno che ha il polso della situazione e che tiene i nervi saldi, ma come uno che ha la pressione bassa di natura. Il Tex di questa storia ne è un emblema: il Tex di GLB, ma anche di Boselli, non si sarebbe mai dichiarato sconfitto sul finale. Ma neanche quello di Ruju. Il Tex di Faraci sarebbe addirittura uscito dal villaggio sparando ai nemici con le colt in pugno (e non sto esagerando). Oppure penso a "Nuvola Rossa", con Tex quasi inerme alla fine.
  15. Ok, riformulo: Tex propone di spostare donne e bambini da un'altra parte, ed è una mossa intelligente, ma la scelta del posto è dei minatori. E lui cosa può fare? È arrivato nella valle da due giorni, questi vivono lì da una vita, anche io mi sarei fidato Poi magari sbaglierò, ma a una certa è palese che Nizzi ha architettato tutto lo spostamento in funzione della scena madre finale, e in un certo senso ci sta che vengano catturati per esigenze di trama, però ecco, magari spedirli direttamente in bocca al nemico è stato un po' eccessivo... Comunque ok per "Il cavaliere pallido", vedrò di riprenderlo in mano. Ho in mente una sola scena, sempre che non mi stia sbagliando, quella di lui, da poco arrivato nella vallata, che taglia della legna di mattina presto. MñIn generale me lo ricordo come un western atipico, quasi filosofico.
  16. Riletto il Texone dopo più di 15 anni dalla prima e ultima volta (inutile dire che non ricordassi quasi niente). La mia prima reazione appena finito è stata la seguente: "Cara Maud, figlia mia, il fatto che quel sadico criminale di Norman sia tuo fratellastro è IL MENO! Quello è uno che è rimasto a guardare con sorriso sornione mentre i suoi gorilla picchiavano un uomo inerme e poi ha architettato un piano per prendere prigionieri le donne e i bambini del villaggio solo per dimostrare a suo fratello, che a questo punto è pure fratello tuo, che non ce l'ha piccolo, perché è una gara fra maschi nel West di fine '800 e tutto si riduce a quello. Dulcis in fundo, mentre i suoi bifolchi catturano le donne e i bambini, lui ne approfitta per portarti in una capanna a fare le cose zozze e a sognare un figlio con chiare patologie genetiche. E tu ti innamori di lui?!?!?!?!" Sfuriata mansplainingista a parte, in linea di massima il Texone mi è piaciuto, pur con qualche riserva di cui parliamo dopo. Ovviamente, ma non c'è bisogno di dirlo, promozione a pieni voti per i disegni di Ivo Milazzo. La recitazione dei personaggi evidente, ma mai caricaturale, la rappresentante degli interni e l'ariosità degli esterni (non sono poche le vignette senza fondali, a dimostrazione che non sono indispensabili) e l'atmosfera polverosa che si respira per tutto l'albo che fa quasi toccare con mano le miniere, sembra quasi di sentire il sudore degli uomini e il cigolare delle assi di legno delle case. Lato soggetto: niente più e niente meno della classica lotta della piccola comunità contro lo strapotere del prepotente di turno. Un soggetto buono per tutte le stagioni, un po' come le gomme 4x4. Lato sceneggiatura: luci e ombre. Luci: 1) il patriarca della famiglia Maclean: vecchio, malato, tormentato e dolente, ma non domo e capace di sfidare il suo stesso fisico e il suo stesso sangue per ristabilire la giustizia. 2) legato al punto precedente, il conflitto generazionale: il vecchio Howard si fa portatore dei valori del "buon imprenditore", quello dell'impresa quasi artigianale che crea ricchezza onestamente e della quale beneficia la comunità, mentre il figlio Guy dirige un'azienda con sistemi industriali, risponde agli azionisti e punta all'accumulo del capitale senza preoccuparsi dei metodi e senza reinvestirlo. Una contrapposizione molto stereotipata e anche un po' facilona, ma affascinante. 3) le scene da "ordinaria amministrazione", quindi lo sceriffo e il giudice compiacenti, Tex e Carson che che fanno fesso lo sceriffo, le sparatorie, l'ingresso in città con i morti di traverso sulla sella, eccetera. In termini di mestiere, Nizzi ne aveva ancora da vendere. Veniamo però alle note dolenti: 1) la relazione tra Norman e Maud: al di là della tossicità del rapporto che si vede anche senza il binocolo, il passaggio da "lasciatemi!" al "Perché non possiamo volerci bene" è raccontato in maniera frettolosa, maldestra, a dimostrazione che a Nizzi certe sottigliezze psicologiche non venivano bene. La rivelazione della loro parentela è raccontata altrettanto male: Maud e Norman scompaiono per oltre un centinaio di pagine, entrambi fanno una fugace apparizione e poi, dopo altre decine di pagine avviene il colpo di scena. L'impressione è che sia stata una relazione inserita a forza, peraltro senza alcuna influenza sulla trama, per sfruttare la capacità di Milazzo nel delineare gli stati d'animo delle persone con poche pennellate. 2) il piano di mandare lontano le donne e i bambini: la responsabilità non può essere di Tex perché non è lui che lo propone e non è lui che sceglie il posto, peraltro non gli dicono neppure dov'è di preciso (parlano genericamente di una piccola valle poco lontana), ma la scelta di QUEL posto rimane comunque un'idea talmente stupida che mi sono cascate le braccia: di fatto si trova più o meno a metà fra la miniera dei cattivi e la città, casualmente controllata dai cattivi. Queste sono quelle cose che ti portano a sperare nel test psico-attitudinale per ottenere il diritto di voto, bisogna stare molto attenti quando si scrivono certe scene. 3) Tex che commenta amaramente che sono stati battuti. Questi sono errori da penna rossa, Tex ha mille risorse e conosce mille modi per evadere da una cella, non scherziamo. In definitiva un buon Texone che lievita grazie ai disegni (come quasi tutti i Texoni, dopotutto) e che regala 90 minuti di piacevole lettura al netto della banalità del soggetto e dei punti sopra citati. L'impressione è che Nizzi abbia volutamente puntato su un soggetto classico per andare sul sicuro. Non mi ricordo dove ho letto questa cosa che per anni i Texoni hanno presentato storie classiche e semplici per contrastare l'eccezionalità dei disegni, ma per me ha poco senso: ti capita fra le mani un grande maestro e gli scrivi una storia sui furti di vacche o sui minatori? Leggendo le storie di Nizzi più o meno contemporanee pubblicate sul mensile, molte erano su quella falsariga lì, per cui mi viene da pensare che, più che un diktat vero e proprio, fosse proprio lui che prediligeva questo tipo di storie. Vabbuò, comunque una lettura piacevole, pur senza far gridare al miracolo. (preciso che non ho colto le somiglianze con "Il cavaliere pallido" perché è l'ennesimo film che ho visto una volta eoni fa e del quale non ricordo niente. Se mi confermate che merita lo riprenderò in mano)
  17. Riletta di recente questa tripla storia firmata Boselli&Bianchini/Santucci. Bello tutto, testi e disegni. C'è un leggero calo sul finale, effettivamente un po' frettoloso, ma nel complesso è stata una lettura godibilissima, sicuramente una delle storie migliori della centuria 500/600 (oddio, il fatto che quegli anni non abbiano brillato certamente è stato d'aiuto) e la ricordo come una grande boccata d'aria fresca. L'identità del vecchio di mezzanotte è palese ben prima che avvenga la rivelazione, ma fa parte del gioco: è uno stratagemma tipicamente hitchcockiano quello di far intuire il colpevole al lettore/spettatore prima che al protagonista in modo da aumentare la suspance. Certo, il fatto che alla fine Tex vinca sempre smorza un po' questo effetto, ma perlomeno si rimane un po' in apprensione per i comprimari. Comprimari che, come da tradizione boselliana, sono numerosi e ben caratterizzati con alcuni ripescaggi da vecchie storie e agganci dichiarati al periodo glbonelliano della serie. Breve aneddoto personale: ricordo che una decina d'anni fa, forse qualcuno in meno, parlai di questa storia su Facebook assieme ad un lettore e lui la definì "il salto dello squalo" di Boselli perché, a suo dire, da quel momento in poi le storie di Boselli sarebbero state caratterizzate da un numero elevatissimo di personaggi che avrebbero fatto ombra a Tex e dove si sarebbe progressivamente persa la texianità della serie, ovvero tutti quei luoghi comuni come la sigaretta perennemente accesa, il pestaggio dei cattivi, la centralità di Tex, eccetera. Ho ripensato a quello che mi ha detto quel famoso lettore, sempre una decina d'anni fa, forse qualcuno in meno, anche alla luce delle storie uscite negli ultimi anni e anche basandomi su alcune mie riletture delle storie antecedenti a questa (tipo "I lupi rossi") e mi sono detto che per me quel famoso lettore, sempre una decina d'anni fa, forse qualcuno in meno, alla fine aveva torto.
  18. Su questo primo albo purtroppo ho un aneddoto poco felice da raccontare: l'ho usato per battezzare il mio nuovo angolo di lettura così composto: poltrona relax, lampada da terra ad arco e tavolino con camomilla (sono praticamente astemio, skoosate). Ebbene, posso dire di aver dormito benissimo (a scanso di equivoci, sono crollato miseramente altre due volte con due libri diversi, forse questo angolo lettura non è stato una buona idea, mumble mumble) Scherzi a parte, buon inizio di storia con la consueta pletora di personaggi messa in campo da Boselli e la giusta dose di mistero che contribuisce ad arricchire il racconto. I richiami con la prima storia sono evidenti, anche se il rischio del parziale auto-remake per ora mi sembra scongiurato. Il ritmo del racconto è volutamente lento, ma è giusto così per far calare il lettore nell'atmosfera della vicenda. I disegni di Bocci meritano un capitolo a parte: sono belli, bellissimi, fatti magistralmente e nessuno lo nega. Il problema, se così vogliamo chiamarlo, è che sono estremamente densi. Ogni vignetta è un quadro. Aprendo l'albo ho avuto l'impressione di andare a sbattere contro un muro solido e se parlare di illeggibilità è senza dubbio esagerato, è altrettanto vero che la sensazione di soffocamento l'ho percepita. Poi non so se sia un effetto voluto o meno (lo stile di Bocci è questo, prendere o lasciare, ma non è mai stato così massiccio) per contribuire a rendere più opprimente e inquietante la storia, in ogni caso la mia speranza è che per il futuro Bocci si limiti un po'.
  19. Quasi in contemporanea con l'ultimo Maxi di Nizzi, ho deciso di rileggermi il primo, il quale ormai risale a ben 22 anni fa 😱 Il soggetto è praticamente identico: gli allevatori di una piccola località sono tiranneggiati da un profittatore privo di scrupoli che vuole impossessarsi dei loro ranch. La storia in quanto tale è godibile, anche se la durata extra large mette a dura prova l'esilità del soggetto provocando qualche sbadiglio. Con il senno di poi sono ben visibili tutte le storture del Nizzi del periodo, anche se il mestiere c'è ancora e si vede. Tex alterna momenti di calma, quasi come se avesse la pressione bassa (a proposito, ma quanto è quieto il Tex di Nizzi?) a puri scoppi di isteria quando litiga con lo sceriffo. Il cazzottone alla stella di latta prezzolata arriva, ma il Tex di Bonelli gliel'avrebbe rifilata pagine prima. Carson è una pura spalla comica e il suo ruolo è quello di puro supporto senza guizzi di nessun tipo, buono solo per scambiare battute. Kit Willer fa una figura migliore e va bene, ma Tiger Jack letteralmente non pervenuto. Se escludiamo qualche cattivone spedito nei pascoli del cielo, il suo apporto alla vicenda è zero. I cattivi sono dei farabutti qualsiasi, ma il rapporto padre-figlio che si viene a creare tra i due Bascom è molto interessante. Premio "gegno dell'anno" a Bascom padre e a Donovan per inventarsi le cose più strampalate per non compromettersi e poi mandano tutto in vacca ordinando un assalto diretto contro un tribunale, oooooookkk. Bene Mac Coy e Harry Bascom, un po' più defilata Anne Mac Coy, anche se in alcune vignette emerge un caratterino niente male. Miss Herrero vince il premio "bad girl" della storia. Quindi sì, una storia che era già trita e ritrita 20 anni fa, ma che va sempre sul sicuro e alla fine, pur con tutti i suoi difetti e i suoi limiti, posso dire che mi è piaciuta a patto che la si accetti così com'è, ovvero un'avventura western senza pretese se non quella di intrattenere il lettore. Bene Repetto. Stile classico e d'annata che ricorda un po', con le debite distanze, il primo Ticci.
  20. Vi dirò che a me "La città che scotta" è piaciuta un botto. Certo, è una storia di ordinaria amministrazione, niente che non sia già stato visto e rivisto, però oh, considerato le ultime prove di Nizzi (e per "ultime" intendo quelle uscite da fine anni '90 in poi" questa è grasso che cola. Un Tex solido e granitico che gioca al gatto con il topo con i cattivi di turno e che conduce abilmente il suo piano con un unico scivolone che nell'economia del racconto non fa gridare allo scandalo. Tutti e quattro i pards presenti, ognuno con un lavoro da svolgere, un cattivo odioso, la giusta dose di sparatorie. Nessun origlione (o meglio, l'unico che c'è fa anche la figura del fesso, quasi come se Nizzi avesse voluto ironizzare su questo punto), nessun cinturone slacciato dal primo che passa, nessun Carson che fa la figura del vecchio scemo, nessuna pausa pranzo fuori contesto ad ingozzarsi di bistecche e patatine. Io ci ho ritrovato le atmosfere di quei film western di una volta con John Wayne. Mi azzardo a dire che se Nizzi avesse mantenuto più o meno questo livello nel corso degli anni, a quest'ora i forum dedicati a Tex avrebbero molti thread in meno e discussioni molto più corte 🤣 Riguardo a Torti, penso di essere fra i pochissimi che apprezzano il suo tratto, perlomeno per come lo ha declinato sulle pagine di Tex, infatti qui mi è piaciuto un sacco. Un west polveroso, figlio dell'interpretazione di Ticci con qualche spruzzata del Fusco più grottesco. Magari è un'impressione mia, ma le storie che Nizzi ha scritto per Torti sono le migliori tra quelle pubblicate dopo il suo ritorno, o perlomeno sono quelle prive dei proverbiali difetti della sua scrittura. "L'alleato misterioso", su soggetto di Civitelli, è una storia di una sessantina di pagine che diventa prevedibile dopo pochissime scene a causa di un'incauta frase dello sceriffo. Io non so se Serra l'abbia voluta inserire per fornire volontariamente un indizio al lettore prima della fine o se ha pensato che nessuno se ne sarebbe accorto, fatto sta che mi ha bruciato la sorpresa finale. E pazienza. Sceneggiatura in linea con le ultime dell'autore sardo (che ormai risalgono a diversi anni fa), cioè con dialoghi brevi, secchi e maggiore spazio al disegno. Forse, data la brevità del racconto, si poteva fare qualcosa in più. Alla fine è una storia breve che poteva essere senza infamia e senza lode, ma l'effetto spoiler le ha fatto guadagnare un'infamia. Il problema è che non trovo la lode. I disegni della Mandanici belli, ma non ci vivrei.
  21. E vabbè, mi accontenterò, nel caso, di una bella storia. Riguardo alla storia principale che dà il titolo all'albo, boh, è il classico canovaccio nizziano visto 719632574 volte, ma non è detto che sia un male. I disegni di Torti mi piacciono e in altri tempi lo avrei visto bene sul mensile. Diciamo che se nel caso di Serra confido in una bella storia, nel caso di Nizzi SPERO in una bella storia.
  22. Antonio Serra, che per me è un genio assoluto, che si cimenta con il western??? Un Maxi da comprare solo per questo. Chissà se l'"inquietante segreto" cui si fa cenno è legato a qualcosa di fantascientifico...
  23. Osservazione giusta, allora riformulo: alla base c'è un dramma psicologico che sfocia immediatamente nel disturbo psichiatrico 😝 Comunque mi sono accorto che non ho parlato dei disegni di Font, rimedio subito. Personalmente, al netto di qualche sbavatura più che comprensibile, ho trovato il segno di Font galvanizzato da questa storia, evidentemente l'aveva sentita in modo particolare. L'ambientazione canadese, poi, si sposa benissimo con il suo tratto attuale. Ora io non sono assolutamente un esperto di disegno, ma mi viene da pensare che l'ambientazione innevata gli sia più congeniale rispetto a quella tipicamente western dove invece, per rendere al meglio, occorre abbondare con segni e dettagli e più abbondi più incappi nelle sbavature, ecc. Anche in "Fratello di sangue", che era ambientato nella prateria e con molte vignette "spoglie", il suo segno mi era sembrato in netto miglioramento rispetto alle sue prove più recenti. Font fa 78 anni nel 2024, quindi non so per quanto tempo intende disegnare Tex, però credo che affidargli questo tipo di storie sia il modo migliore per chiudere la carriera in bellezza.
  24. Sì sì, ho usato un'espressione un po' colorita per dire che più che con un "dramma psicologico" abbiamo a che fare con dei disturbi psichiatrici 😅 Ecco, Rauch potrebbe essere il famoso "terzo uomo" in pianta stabile con Giusfredi e, spero, Barbieri a fare da special guest. Su Zagor è il miglior autore attualmente presente per distacco, almeno secondo me. Sto leggendo la sua saga su Britannia e le storie successive dell'anno scorso e sono nettamente le migliori storie pubblicate da ANNI a questa parte. Su Tex forse ha bisogno di ancora un po' di rodaggio, ma la strada è quella giusta. (a scanso di equivoci, qualcuno potrebbe rinfacciarmi che ho avuto da questionare con Rauch in occasione della sua storia pubblicata sul Magazine dell'anno scorso "La palude del morto". A parte che poi abbiamo avuto modo di chiarirci di persona a Collezionando 2023, quella disputa ideologica non c'entra nulla con l'opinione, altissima, che ho di lui come sceneggiatore)
  25. Arrivo un po' tardi, as usual, ma arrivo. Dopo aver letto il primo albo ero convinto che avrei massacrato il secondo, invece devo ammettere che, tutto sommato, mi è piaciuto abbastanza. Nota bene: "tutto sommato" vuol dire "al netto di tutte le cose che non funzionano" e ce ne sono parecchie. Però, ehi, siccome il tutto vale sempre di più della somma delle parti, ecco che alla fine sì è rivelata una lettura piacevole. Sicuramente non è fra le storie più riuscite di Ruju e alcuni passaggi estremamente raffazzonati (il modo in Big Frank fugge e la risoluzione della morte della fidanzata di Lagarde) lo dimostrano alla grande. È vero, Boucher alla fine si rivela un banditucolo di mezza tacca, ma meglio così. Io stesso temevo una sua evoluzione sadico/sanguinaria alla Artiglio d'Orso o Wolfman, felice di essere stato smentito. Un piccolo appunto sul presunto "dramma psicologico" di Lagarde evocato da alcuni: regaz, non c'è nessun dramma psicologico! Un dramma psicologico sarebbe "mi è morta la fidanzata e io mi arruolo nelle giubbe rosse per dimenticare e finisco ucciso perché non so elaborare il lutto". Qui abbiamo uno che vede e parla con i morti, l'unica soluzione è chiamare la neuro. L'impressione è che Ruju, avendo dovuto aumentare la produzione sia a fronte del numero di albi sempre maggiore sia in seguito all'abbandono di Faraci ormai qualche anno fa, stia arrivando un po' con il fiato corto e che manchi almeno un terzo autore stabile (non "una tantum" alla Giusfredi o Rauch) che possa dare respiro a lui e a Boselli. Ah, giusto, tra le scene da "maccosa...?" ci infilo anche il Tex scimmia che sale su un albero alto 20 metri e arringa gli indiani dall'alto.
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