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TWF - Tex Willer Forum

Condor senza meta

Ranchero
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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Leggo Tex da più di trent'anni, fai tu! Rimodulo il mio pensiero, magari spogliandolo dell'ironia non colta, mi spiego meglio: non reputando nelle mie corde le storie brevi, ho deciso da tempo di non acquistare l'albo apposito. Stavolta ho fatto uno strappo alla regola (anche per via della presenza di Carnevale, non vedo cosa ci sia di così tanto strano, io i fumetti li acquisto pure per la qualità dei disegni) e obiettivamente il livello delle storie mi ha ribadito che forse la scelta originaria era la più adatta.
  2. Fa un po’ specie notare che, per il settantesimo anniversario di Tex, sulla regolare, il primo gettone di presenza dello sceneggiatore principale (nonché curatore) si ebbe solo nell’albo celebrativo a colori di settembre. Un paradosso che in effetti pesò un po’, perché è indubbio che l’assenza di Borden influì sul livello qualitativo della programmazione. Nulla togliendo a Ruju, che recitò la parte del leone nel 2018, firmando ben sette albi su nove fino a settembre, però a mio avviso le prove da lui scritte in quel periodo pagano una lieve involuzione creativa. Uno stallo d’ispirazione, forse dovuto all’incremento di scrittura, che lascia il segno in alcune trame opache e poco accattivanti. “Cuore Apache” a parer mio non è nemmeno classificabile nell’ipotetica “Zona Ruju” da me spiritosamente coniata, visto che il livello si attesta qualche gradino sotto della consueta media. L’autore fin dall’esordio ha mostrato di curare molto la caratterizzazione dei personaggi principali e specie all’inizio, questo aspetto si è notato con comprimari molto funzionali e interessanti. Anche per la prova in questione, le sue intenzioni suppongo fossero queste, ma stavolta l’esito non è affatto positivo. Il giovane apache Johnny, vero protagonista della trama, dopo una promettente premessa, scade tavola dopo tavola e a fine lettura, tirando le somme, non si può non notare una buona dose d’incoerenza nella sua caratterizzazione. Mi accodo a tutti i pareri precedenti che denotano perplessità in merito alle azioni del ragazzo, visto che davvero sembra implausibile che un rampollo allevato all’est e iscritto perfino a West point (al netto di vessazioni subite dai commilitoni per il colore della pelle che lo porteranno all’espulsione dell’accademia, ma pur sempre deciso e capace di riscattarsi con gli studi in legge), di colpo rinneghi la sua educazione e ceda a un non chiaro richiamo ancestrale che lo porta a divenire un banale predone con le pigne nel cervello. Nel primo albo, Johnny ci viene mostrato dall’autore come un ragazzo in gamba e pure l’onestà che palesa nel rifiutare la corruzione pur di aiutare i suoi fratelli rossi, depone a suo favore. Anche Tex non ha dubbi nel battezzarlo come un elemento a posto, in caso contrario non gli avrebbe offerto una tale investitura per sostituire l’ineffabile Barckley. Inaspettatamente lo scenario cambia radicalmente nel corso di poche tavole. Johnny incontrando tre teste calde apache, non si sa perché, si beve il cervello e comincia a prendere decisioni scellerate, che lo condurranno al sepolcro in maniera poco decorosa tutto sommato. Un abile stratega distintosi a West Point, come fa a credere di poter assaltare ranch in quattro gatti, solo per procurare derrate alimentari e senza spargere sangue? Davvero uno smilzo gruppetto di spelacchiati coyotes ai suoi occhi potevano rappresentare la base di una rivoluzione contro le angherie del popolo bianco? Agisce così per il legame con le sue origini? Non credo, visto la freddezza mostrata nei confronti della madre, ma dunque quale droga ha assunto Johnny per uscire così di testa? Purtroppo stavolta Ruju si è fatto prendere la mano e il suo desiderio di stupire il lettore altera la plausibilità del personaggio e ottiene l’esito opposto, visto che realmente si fa fatica a parteggiare per il giovane. Anche il finale, studiato per suscitare un forte pathos, a me appare freddo ed evidenzia la scelleratezza di Johnny che un tale epilogo se l’è cercato con fastidiosa ostinazione. Per completare il quadro della valutazione, il contributo di Tex e Carson non brilla, ma anche su questo aspetto si è già molto parlato in precedenza e non mi soffermerò più di tanto. Cochise addirittura non pervenuto, tanto valeva non tirarlo in ballo. Modesta pure la causa che dovrebbe scatenare disordine nella terra degli apache, visto che i due addetti della ferrovia ci vengono in fondo mostrati come due perfettissimi idioti, come è pure assurdo che il truffaldino mercante non sostituisca i sacchetti dell’esercito, facendosi così beccare con le mani del sacco. Altra scena che ho poco apprezzato è quella che vede Johnny sparare alle spalle del soldato in fuga e il futuro compagno di scelleratezze che si complimenta, dicendogli che diventato uno dei loro: il popolo apache è quindi riassunto con un così codardo gesto? A maggior ragione, che fine ha fatto il fiuto di Tex, visto la sua topica di valutazione? E perché i due pards non sono mai padroni della situazione, anzi vengono relegati a semplici spettatori degli eventi? Detto questo, è ovvio che stavolta reputo la prova di Ruju insufficiente, anzi son certo che se la stessa fosse stata scritta dall’ultimo Nizzi o da Faraci le imprecazioni dei fans delusi non si sarebbero contate. Da salvare solo la superba prova grafica di Ginosatis, che si conferma un gran bel disegnatore. Tratto pulito e dettagliato, con influenze classiche ma non datato. Buon bilanciamento delle vignette, discreta rappresentazione dei pards e uno stile alquanto personale e immediatamente riconoscibile. Particolare pure l’usanza di marcare i riquadri delle vignette con un pennino molto spesso, non sono tanti gli autori a farlo; nel suo caso sembra che dia più risalto e profondità alle splendide vignette. Un artista davvero dotato che merita appieno la vetrina sulla saga più famosa. Il mio voto finale 4
  3. Di rado acquisto il color storie brevi; questa volta, attratto dalla splendida copertina di Carnevale, ho deciso di fare un salto in edicola ma, col senno di poi, ammetto che il volume meritava di essere lasciato sullo scaffale. La prossima volta per ammirare le splendide cover di Carnevale, faccio prima a farmi prestare la serie di John Doe da un mio amico.
  4. Mi trovi perfettamente d'accordo Leo, soprattutto questo grave errore mi induce a definirlo un preoccupante campanello d'allarme. Spero vivamente rimanga un caso isolato.
  5. Purtroppo temo che ormai più di tanto Nizzi non possa dare. Vuoi per ragioni anagrafiche, vuoi che ormai le idee sono quel che sono dopo decenni di storie, reputo poco realistico che possa vivere una seconda giovinezza creativa, che lo porti a un'ondata di freschezza e originalità. A mio modo di vedere, potrà ambire alla stesura di storie accettabili e funzionali, facendo leva sull'indiscussa esperienza e mestiere, ma più di questo, dubito! La mia speranza è comunque che non accusi cali qualitativi eccessivi, in effetti la prova breve del color sembra suonare come un campanello d'allarme, ma confido che un'eventuale involuzione possa agilmente essere arginata dall'attenta gestione editoriale attuale.
  6. Nel commento precedente, avevo coniato la cosiddetta “zona Ruju” e la breve storia autoconclusiva che mi appresto a recensire, rientra perfettamente in questa categoria. L’autore recupera un soggetto più marcatamente western e, a prescindere delle poche tavole a disposizione, sforna una trama abbastanza piacevole e in certi versi molto più coesa e plausibile rispetto le ultime sue due uscite. Sia chiaro, siamo molto distanti dall’ipotetico capolavoro e anche dalle migliori storie di Ruju sulla collana, tuttavia la sufficienza è abbondantemente raggiunta. L’idea della rivalità tra il boss e un ribelle dissidente, non è certo una novità, ma viene comunque gestita adeguatamente. Se volessimo muovere un appunto, forse troppe circostanze fortuite portano i pards sulla giusta strada, ma la narrazione procede spedita senza eccessivi intoppi. Il finale un po’ accelerato ci svela il colpo di scena della vera identità della sorella della giovane Anita, ma soprattutto scoperchia la trappola ordita dal bieco Saldivar. Proprio il modo in cui i due pards vengono gabbati non mi fa fare i salti di gioia, ma più che altro trovo un po’ artificioso che Saldivar, ben sapendo di avere due mastini come i nostri alle calcagna, invece di tentare di toglierli di mezzo, li attira a se con l’inganno solo per punire Tejas: ci sta che non sia capace di ritrovare le tracce dell’ex sottoposto, ma far entrare in gioco i rangers non si rivela un affare, visto come verrà sconfitto malamente, dopo avergli tolto paradossalmente le castagne dal fuoco con Tejas. Di contro, l’autore si conferma un raffinato creatore di forti personalità femminili, nel caso specifico con l’affascinante aspirante cantante messicana che si rivela tutto fuoco e pepe e tanto coraggiosa. Debutto di Prisco sulla regolare, forse dovuto pure alla necessità redazionale di piazzare un albo singolo per far quadrare nella programmazione, la storia settembrina celebrativa a colori e chiudere il centinaio con la lunga maratona narrativa del Maestro di Dotti, inizialmente prevista nel post 700. Il disegnatore se la cava egregiamente con gli sfondi e i paesaggi, ma, a mio avviso, paga forti incertezze nella rappresentazione dei pards. Forse l’emozione del debutto lo ha bloccato un po’, anche con alcune autonomie non impeccabili, soprattutto con alcune figure microcefale e non del tutto proporzionate. Apprezzate invece le onomatopee più curate con effetti in chiaro scuro e altri piccoli accorgimenti, divenuti sempre più rari nelle tavole moderne, dove i “Bang bang” bianchi e lineari sono quasi regola. Stile da migliorare, a mio avviso, per meritare i canoni della regolare. Il mio voto finale è 7
  7. Infatti MacParland, pian piano la mia opera di rilettura mi sta portando alle storie "contemporanee": commenterò anche quelle, visto che mi piace molto interagire e confrontarmi con gli altri utenti del forum. In quanto alla similitudine della Juventus, spero di non dover subire l'assedio di orde di tifosi furiosi, più agguerriti delle bande di predoni Apaches.
  8. Lo sarà fino al ritorno di Mefisto, visto che ormai è certo che Civitelli si ritroverà a rivivere la stessa situazione, dividendo la notevole mole di lavoro con i Cestaro Bros.
  9. Come nel calcio esiste la “zona Cesarini”, su Tex potremmo coniare la “zona Ruju”: un limbo di valutazione sempre ampiamente al di sopra della sufficienza, ma ben lungi dall’ergersi all’appellativo di capolavoro. Anche la storia in questione rientra benissimo in questo limbo e sebbene si legga con piacere, rinvia nuovamente l’attesa per la prova superlativa dell’autore sardo. Rimanendo in tema calcistico, uso una similitudine (poco gradita ai tifosi juventini), infatti così come la blasonata squadra di Torino, sebbene competitiva e vincente in patria, risulta al contempo incapace da tempo immemore di aggiudicarsi il massimo trofeo continentale, anche il buon Pasquale, pur garantendo buone performance sulla saga, stenta a sfornare l’opera al disopra della media e memorabile. L’anno del settantennale iniziò sotto il suo nome e lo vide spesso fra i crediti degli episodi. “Il messaggero cinese” a mio avviso, mostra un passetto avanti rispetto alla poca riuscita “Wolfman”, ma al netto di un ritmo discreto e una linearità narrativa che garantisce una lettura scorrevole, procede per inerzia senza mai spiccare il volo. Ruju non perde la buona abitudine di inserire nelle sue trame alcuni spunti originali, nel caso specifico con venature misteriose, visto il potere soprannaturale della giovane Sun che riesce a guarire le malattie col semplice contatto delle mani. Tutto sommato sembra riuscire pure la figura del villain orientale, che all’inizio mostra una buona dose di ferocia e pericolosità, ma si perde nel proseguo e verrà ricordato solo per il suo desiderio di farsi restituire dalla guaritrice un tocco di gioventù (e magari di virilità visto l’harem di giovani donne ). Altri antagonisti che sembrano promettere bene, si sgonfiano tra le pagine, vedi il colosso Maori che va incontro a una fine goffa sul suo spiedo o l’infallibile arciere, che si fa fregare come un pollo da Tex ma riesce, non si sa come, a uccidere accidentalmente il grande capo dagli occhi a mandorla. Un finale accelerato e alla ricerca del tocco spettacolare che chiude una storia, accettabile ma facilmente da riporre negli scaffali dell’oblio. Un’occasione sprecata in fondo, visto che le gang cinesi hanno da sempre offerto sulla saga spunti interessanti, ma l’autore non riesce minimamente a ricreare la magia bonelliana su queste tematiche; è pur vero che il capolavoro del “Laccio Nero” come metro di paragone è proibitivo, ma Ruju ha volato troppo basso e l’esito finale è abbastanza scontato e poco emozionante. Si ricostituisce per l’occasione una coppia già attiva in passato su Dylan Dog, ovvero Cossu-Ruju. Il disegnatore già visto su altre collane, approda un po’ a sorpresa sulla regolare e come già accade in altri lidi, divide alquanto le platee. Il sottoscritto che ama disegnare (seppur amatorialmente) e sa quanta fatica e costanza bisogna mettere sul piatto della bilancia per coltivare questa passione, non si permetterà mai di criticare ingenerosamente un professionista; ammetto che lo stile di Cossu non è proprio nelle mie corde, ma spesso alcune critiche sono troppo feroci e poco generose nei suoi confronti. Forse l’averlo conosciuto dai tempi di Dyd mi ha abituato alla sua linea chiarissima e ai suoi tratteggi ripetitivi e poco originali volendo, tuttavia lo digerisco senza eccessivi problemi, anche se ammetto che non lo reputo affatto adatto al genere western. L’eccessiva staticità delle sue vignette non aiuta, così come la quasi totale mancanza di panneggio rende troppo lineari le sue figure. Qualche incertezza anatomica e un sbilanciato uso dei neri non depone a suo favore, ma bisogna riconoscergli uno stile personale e distinguibile, cosa non scontata anche con autori all’apparenza più dotati. Certo il livello dell’asticina sulla regolare è un tantino alto per lui, ma in fondo se l’è cavata in qualche modo. Con le dovute proporzioni, a tratti le sue vignette chiare mi hanno ricordato il grande Letteri, che da sempre ha giganteggiato nelle storie di Chinatown: ovviamente non mi sogno minimamente di paragonare i due artisti, visto che il compianto disegnatore romano è oggettivamente superiore a Cossu su tutta la linea, solo mi andava di esternare una sensazione malinconica che mi ha catapultato indietro nel tempo, quando da ragazzino mi perdevo nelle miriade di pagine illustrate da Letteri e da altri mostri sacri storici come Galep, Ticci, Fusco, Nicolò, Monti, che hanno condito di sogni la mia infanzia. Il mio voto finale è 6
  10. Grazie Mac Parland, sei sempre molto gentile! In quanto alla valutazione, di rado considero la qualità dei disegni nell'assegnazione del voto finale della storia. Esprimo sempre i miei giudizi sul comparto grafico, ma a parte poche eccezioni, scindo le due cose. Visto l'eccezionale parco di disegnatori della saga, dovrei quasi sempre aggiungere parecchi punti e anche le storie meno riuscite (come questa), si troverebbero voti sfalsati. Sarebbe stato più corretto mettere una valutazione relativa alle sceneggiature e una ai disegni (come molti utenti fanno), ma all'inizio non lo feci e ormai per coerenza, procedo con questo sistema. D'altronde è pur sempre un "giochino" quello del voto, non siamo mica insegnanti che decretano con un "numerino" l'eventuale promozione o bocciatura di un alunno.
  11. Il commiato di Faraci su Tex, fu alquanto modesto. Ricordo perfettamente che all’epoca dell’uscita, la storia in questione mi infastidì parecchio e ammetto che anche oggi, rileggendola, la fastidiosa sensazione non si è affatto smorzata. Più di una volta mi è venuta la tentazione di chiudere l’albo e sospendere la lettura, ma caparbiamente ho desistito, solo per poter scrivere la presente recensione; la noia comunque “si è tagliata col coltello” come si suol dire. Il soggetto, trito e ritrito, lo reputo alquanto desueto al giorno d’oggi; è vero che sia G.L. Bonelli che Nizzi più volte hanno narrato di improbabili popolazioni nascoste ed estraniate dal mondo esterno, ma forse proprio per questo, riproporre daccapo uno spunto simile, che rende troppo naif e somiglianti tra loro le trame, poteva benissimo essere evitato. Oltretutto, a differenza del vecchio Bonelli, Faraci non riesce quasi mai a rendere appassionante la trama e pagina dopo pagina la prova somiglia più a un polpettone cucinato male e indigesto. Già vedere Kit catapultato in un’assurda e improbabile città medioevale (manco fosse Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere”!), fa storcere il naso a un lettore del secondo decennio del duemila, poi, visto la facilità con cui sia i nostri che i banditi della banda Stroke trovano l’accesso alla “città”, fa sorgere il dubbio di come sia possibile che, in più di tre secoli, il segreto non venga mai violato da nessun viandante. Il triumvirato di saggi, le guardie agghindate come vecchi conquistadores, l’assenza di armi e di denaro, tutti aspetti sui generis del soggetto che inducono a credere che, più di un omaggio alle vecchie storie di Bonelli, quella presente sia una parodia, nemmeno tanto riuscita. La trama è pur molto esile: tolta la consueta sparatoria tra i nostri e Stroke nella “città antica” poco altro attira l’attenzione. Stroke si rivela un avversario di poco spessore e la sua resa è di una facilità disarmante. Pure il continuo ruolo di Kit “sciupafemmine” alla lunga stufa, soprattutto se le scene vengono imbastite con tanta superficialità. Per tacere del consueto e inutile flashback iniziale. Altra sequenza da matita rossa a mio avviso, quella in cui Tex, per liberare il figlio e la dolce Conchita, elimina a uno a uno i nemici, neanche fossero barattoli in un luna park: possibile che i banditi fossero così idioti di non correre ai ripari dopo i primi spari? Mi spiace doverlo dire, ma l’ultima prova di Faraci fa acqua da tutte le parti e non mi stupisce che la redazione, considerato l’ormai bassissimo livello di resa, abbia deciso di spostare lo sceneggiatore su saghe a lui più congeniali. Sempre molto efficace il tratto di Venturi, ottimo professionista e perfettamente a suo agio sulla celebre collana del ranger. Considerata la sua nota lentezza realizzativa, dispiace che un disegnatore della sua qualità sia stato sciupato con una sceneggiatura così modesta. Il mio voto finale è 4
  12. Con un mio vecchio disegno "zagoriano" ma suppongo vada comunque bene anche qui, auguro a tutti i pards un sereno Natale. (Scusatemi se non viene mostrato in anteprima, purtroppo da quando è andato in tilt Tinypic non so più come fare :D)

    https://imgur.com/a/7hXnS8M

    1. JohnnyColt

      JohnnyColt

      Buone feste anche a te, CSM!

    2. Condor senza meta

      Condor senza meta

      Tanti auguri anche a te Johnny. :)

       

  13. Condor senza meta

    [684/685] Wolfman

    È innegabile che dopo una partenza col botto, anche Ruju pagò un periodo di appannamento creativo. Qualche segnale lo si riscontra già nella storia del guerriero immortale e pure, la non trascendentale, prova con i fratelli Forrester evidenzia un lieve calo di rendimento che fino ad allora era stato altamente soddisfacente. In linea con le precedenti sceneggiature, anche quella in questione rimarca questa involuzione qualitativa a mio avviso, ma fortunatamente, col senno di poi, possiamo sostenere che fu solo temporanea, visto che l’autore sardo, a differenza di Faraci naufragato nel suo proseguo su Tex, seppe rialzare un po' tiro. “Wolfman” è un episodio molto luci e ombre; parte bene e si fa apprezzare per alcuni aspetti, vedi il giallo della morte di Justin Lang (all’inizio) e delle discrete caratterizzazioni di alcuni personaggi, ma nell’incedere, perde spessore e mostra un soggetto abbastanza labile. Trovo inverosimile lo spunto che due uomini, per quanto spietati e abili, possano tenere in scacco una cittadina in quel modo. Lo sarebbe già senza la presenza di Tex e Carson e a maggior ragione, lo è con il loro arrivo. Se ci trovassimo dinanzi alla presenza di una folta banda, potrei pure capirlo, ma come imbastito da Ruju è una forzatura bella e buona. Tutti codardi a Silver Bow? Possibile che nessuno sia in grado di cogliere di sorpresa i due bruti, magari nelle poche ore di sonno? E anche ammettendo che la popolazione sia così intimorita, possibile che i nostri pards non riescano ad aggirare un simile assedio? Buon parte della storia ruota attorno a questo spunto e per me la dice lunga sulla plausibilità narrativa. Altro aspetto controverso: se Lang tiene in scacco la città, perché permette a Tex di entrarne così facilmente, senza nemmeno tentare di impedirglielo? Poi visto che a Tara basta un morso a una mano per liberarsi dalla morsa di Wolfman, è mai possibile che nessuno riesca a sfuggirgli per chiedere aiuto alle autorità? Una caterva di forzature narrative che prendono peso nella scena in cui il gambler e concittadini muovono armati contro Tex, che difende Tara e il fratello da chi vorrebbe prelevarli e offrirli al boia Lang: la scena che viene pure immortalata da Villa nella copertina del secondo albo (non so perché mi ricorda il "Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo) evidenzia un altro buco narrativo, visto che sarebbe bastato riunirsi così per ribellarsi degnamente ai due psicopatici che tenevano in scacco la città! Il finale svela il vero colpevole dell’omicidio di Justin Lang, in effetti War Cry è insospettabile fino a quel punto ma come fatto notare prima da altri forumisti, la sua presenza a Silver Bow quella mattina è un po’ “strana” per usare un eufemismo. Il tentativo di creare passaggi a effetto, spinge Ruju a scrivere il particolare duello a petto nudo fra la neve (possibile senza assiderarsi? Boh?) e la scena sui generis di Wolfman che spezza con un sol pugno un tronco di notevoli dimensioni (ma dai!), per non parlare del lancio di coltello perfetto a tranciare la corda che tiene il sacchetto con i soldi o Lang che in fin di vita riesce a gettare War Cry nello strapiombo. Troppo fumo e poco arrosto per ambire a una sufficienza; un passaggio a vuoto dell’autore sardo, a cui contribuisce un Font sottotono, che se la cava bene nelle rappresentazioni paesaggistiche innevate, ma perde tantissimo nelle anatomie e mimiche facciali, che assumono caratteristiche grottesche maggiori del solito e il solito è già al limite per la serie. Tavole simili, se la storia è avvincente si sopportano, ma nel momento in cui anche la sceneggiatura non appaga la lettura, diventano ulteriore zavorra. Il mio voto finale è 5
  14. Grazie pard per le tue belle parole . Per me è un onore poter esprimere le mie opinioni su un forum, che annovera tanti utenti molto preparati e accomunati dalla mia stessa intramontabile passione. Trovo il tutto molto costruttivo e stimolante.
  15. Storia che portò con sé pesanti aspettative. Un ritorno così nostalgico è ovvio che riaccenda nei fans grande curiosità, accresciuta ancor più, almeno personalmente, dalla splendida locandina stile cinematografico realizzata da Piccinelli appositamente per la speciale circostanza. Boselli, privo di patemi, non si tirò indietro e accettò l’ennesima sfida da far tremare i polsi e tutto sommato la sua scommessa non fu persa. Prima permettetemi un piccolo aneddoto personale che poco ha a che vedere col giudizio della storia, ma che ricordo con piacere: fu proprio durante il periodo della pubblicazione dei due albi in oggetto che il sottoscritto scoprì l’esistenza di questo splendido forum. Transitai per caso come visitatore e lessi i primi commenti degli utenti proprio su questo episodio. Man mano il Forum mi appassionò così tanto da indurmi a decidere, dopo qualche mese, di iscrivermi e lasciare pure le mie considerazioni sul nostro amato ranger. Chiusa la parentesi emotiva, che molto probabilmente non importerà una cippa a voi pards , torno al giudizio sul “Ritorno di Lupe”. Boselli sceglie di dividere in due tronconi la sceneggiatura: il primo che coincide grossomodo coll’albo n. 682, narra una vecchia avventura vissuta tra Tex e la sua “Hermosa amiga” messicana, poco tempo dopo la morte di Lilyth. Il primo albo, a mio avviso, è davvero molto bello e ammetto che spesso mi son chiesto se non era il caso ridurre al flashback la prova. Tex e Lupe che agiscono contro gli sgherri di don Inigo, sono autentici e il ritmo narrativo esplosivo di Borden, rievoca lo stile del compianto G.L. Bonelli. Appena la trama torna nel presente, perde parzialmente di mordente, o meglio, sebbene tutto sommato funzioni, ha il neo di defilare un po’ Lupe e più che un ritorno il suo, sembra un pretesto per narrare una vicenda messicana. Ovviamente do ragione a Boselli quando afferma che non poteva sceneggiare diversamente l’episodio, di certo la presenza di Lupe non giustificava un Tex rubacuori o che pendesse dalle sue gonnelle, ma proprio queste insidie narrative mi inducono a pensare se simili ritorni sulla regolare siano ideali, visto che rischiano di deludere alcuni lettori. Diverso il discorso se Borden inserirà la bella messicana nella serie Tex Willer in futuro, in tal caso essendo meno legato dagli stringenti paletti della regolare, son certo che il suo estro creativo può sfornare una trama molto più efficace e scoppiettante. Oltre al poco peso di Lupe sulla seconda parte della vicenda, ho trovato un po’ troppo controverso il carattere di Riccardo e soprattutto stonato il buonismo finale dei pards che dimenticano troppo facilmente, gli errori e la ferocia dell’uomo, che arriva persino a fare impiccare un messaggero. Giustificare la sua perfidia solo dalla presenza di Rodrigo che lo influenza negativamente, non mi convince. Esito finale all’agrodolce: storia piacevole ma non eccelsa, i due ritorni precedenti (Yama e Jetrho) sono di tutt’altra caratura. Due curiosità: il colorito (e inusuale) insulto che lo sgherro messicano usa per apostrofare Lupe nella terza vignetta di pag. 55 del primo albo, e il Carson che ricorda quello nizziano dell’ultimo periodo, che quasi necessita un disegnino per comprendere un messaggio cifrato di Kit. Strano siparietto nelle mani di Boselli, l’autore ha sempre dato verve e slancio alla figura del Vecchio Cammello e un po’ disturba questa scena, abusata da Nizzi nel suo declino, dove il ranger doveva farsi spiegare dal pard per filo e per segno ogni cosa, come se fosse incapace di fare 2+2. A essere pignoli, non si capisce il motivo per cui Kit esordisca con quella frase sibillina se poi scrive dettagliatamente le sue informazioni in merito di Agua Negra. Se le parole criptate servivano, come asserito da Tex, per non farsi scoprire dai nemici nel caso in cui il messaggio cadesse nelle loro mani, non ha senso la seconda parte compromettente. Evidentemente ha usato pure lì metafore che il padre non ha citato a Carson intontito, ma dubito che simile trucco potesse permettere al giovane Navajo di dare tutte quelle notizie dettagliate. Piccinelli si conferma un asso. Prova superba, talento innato. Tavole molto accurate e dettagliate, ottimi primi piani dei pards e soprattutto la capacità di disegnare in modo magistrale il fascino femminile. L’artista si supera con Lupe e Luz e si conferma uno dei migliori nella rappresentazione della muliebre grazia sulla saga. Il mio voto finale è 7
  16. In effetti i muri di cinta del fortino, nella vignetta doppia dell'arrivo dei Forrester hanno un aspetto alquanto arcigno. Ammetto che, preso dalla lettura, durante la fuga col "salto della staccionata" avevo rimosso dalla memoria quella vignetta e non avevo inizialmente dato peso all'incongruenza, ma rivedendola dopo il tuo commento, trovo che la forzatura ci sia. Magari è dipesa da un malinteso tra sceneggiatore e disegnatore, con Filippucci che ha esagerato nella rappresentazione dei muri di cinta, o accresciuta da Ruju che poteva benissimo farci sapere che i fratelli, avendo visionato prima la residenza, avevano adocchiato un' eventuale via di fuga rappresentata da un tratto di cinta più "praticabile"; vista così l'evasione effettivamente stona un po'. Complimenti comunque pard, per l'ottimo colpo d'occhio.
  17. La scena che hai citato Leo mi era sfuggita durante la rilettura. Ho ripreso gli albi e riconosco che hai perfettamente ragione pard. Ulteriore conferma dell'appannamento di Ruju in questa prova.
  18. Incastonata tra due grandi ritorni (Jehtro e Lupe entrambi a opera di Borden) e a pochi mesi da un altro “kolossal” boselliano con l’arcinemico Yama, la serie presentò una “leggera fiction” composta da Ruju che inaugurò l’estate del 2017 e viene ricordata anche per le allegate carte da gioco tematiche, evento "anomalo" per una pubblicazione bonelli. Sergio era contrario a questi gadget e personalmente credo avesse ragione. Non so gli altri pards, ma il sottoscritto non ha completato il mazzo e mi ritrovo solo i due semi usciti nella regolare. Non entrando oltre in merito su questo aspetto, che esula dalla discussione della storia in oggetto, mi accingo a giudicare la prova di Ruju, anticipando che non mi soddisfò più di tanto. L’autore dimostra di essere affidabile e ben adatto alla saga di Tex, ma prove simili, sebbene ampiamente sufficienti, non esprimono in pieno il potenziale dello sceneggiatore. La trama non presenta gravi incongruenze o errori “da matita rossa”, è pure abbastanza scorrevole ma, a mio avviso, il soggetto è alquanto povero. La banda dei fratelli Forrester ci viene ben presentata da Ruju, (a tratti mi ricorda la banda Chase di Medda, con un fratello in gamba, uno pazzoide e una mamma di forte personalità), ma gira e rigira tutta la storia si avvita sull’assedio dei messicani, spinti dal desiderio di vendetta del prepotente signorotto locale, offeso dai Forrester, ex alleati per un colpo spettacoloso oltre confine. Ci può stare che Tex sia costretto a stringere una provvisoria alleanza con i banditi per contenere l’invasione messicana, ma ben presto l’autore tende a renderlo troppo benevolo nei loro confronti, in fondo la banda familiare oltre confine ha fatto una strage di rurales innocenti con tanto di dinamite e gatling pur di arraffare bottino. Sarà il piombo dei messicani a punire uno per uno i membri della famiglia e a parte l’exploit di Kit, che per l’occasione proverà l’ennesima attrazione per una fanciulla di personalità, la giovane Forrester, il resto è ordinaria amministrazione. Anche lo spunto della schizofrenia del giovane Timothy, non viene sfruttata al massimo nel veloce finale, che paga forse troppe tavole spese per flashback e qualche riempitivo che ricorda vagamente lo stile faraciano su Tex. Storia non da bocciare dunque, ma facilmente dimenticabile. Filippucci dimostra di essere un disegnatore duttile e dallo stile personale, sebbene poco adatto al genere a mio modesto parere, ma proprio per questo va doppiamente apprezzato lo sforzo e l’esito soddisfacente che riesce a ottenere nelle sue prove texiane. Nel suo Tex continuo a distinguere troppi lineamenti del BVZM, saga dove lo conobbi e cominciai ad apprezzare la sua linea chiara ed espressiva, dunque non deve stupire che son comunque molto contento di vederlo spesso all’opera nella serie ammiraglia della Bonelli. Peccato solo per la sua nota lentezza di esecuzione. Il mio voto finale è 6
  19. Come accennato in un mio precedente commento, fino all'ultimo ho avuto il dubbio se prendere o meno questo speciale. Alla fine, la presenza di Andreucci ai pennelli mi ha convinto a fare il salto in edicola e devo dire che sotto l'aspetto grafico mi son sentito ampiamente appagato, visto che l'apprezzato disegnatore romano ha svolto un lavoro sontuoso. Un autore straordinario adattissimo al genere western, che vorrei come presenza fissa su Tex (ma comprendo la ritrosia di Borden a svincolarlo del tutto da Dampyr visto il suo talento!), in ogni modo lo attendo spasmodicamente sull'attesissimo ritorno di Barbanera, son certo sarà una storia memorabile. Tornando allo speciale in questione, ammetto di essere rimasto alquanto deluso dalla storia di Recchioni. Tralasciando parecchi fattori e scene controverse già ampiamente discusse in maniera esaustiva dagli altri pards finora, il vero errore da penna rossa commesso dall'attuale curatore di Dyd, a mio avviso sta proprio nella caratterizzazione di Sam Willer. Mi era stato giustamente detto che per leggere una storia con Tex protagonista, bastava acquistare una delle tante pubblicazioni mensili che affollano gli scaffali dell'edicola, mentre con il fratello minore l'occasione era unica e irripetibile. Giusto! Non ci trovo in fondo nulla di male che Sam fosse il solo protagonista dello speciale, ma finito l'albo mi son chiesto: il cowboy col baffetto era davvero il giovane Willer? Dopo l'avvincente storia sui Seminoles su Tex Willer ho letto alcuni commenti di chi temeva che alcuni espedienti narrativi usati da Borden potessero indurre i lettori a rileggere le classiche storie di Bonelli con un occhio diverso; si citava in esempio il suo arruolamento in Florida e via dicendo. Non entrando in merito su queste elucubrazioni, visto che la storia citata è notevole e Tex appare comunque abbastanza autentico da non crearmi alcun problema, ma volendo usare una simile moneta, dopo aver visto sul finale un Sam "Rambo" sbaragliare il nugolo di avversari con una abilità di pistolero prezzolato e freddezza da far invidia a Tex stesso, come potrò più accettare la scena del White Horse in cui Willer junior si fa freddare come un "pivello" pagando la sua ingenua fiducia nella legge? Lo stesso Sam che fino a poche pagine prima non trova il coraggio di vendicare la codarda uccisione di un amico e di colpo fa un simile macello? Ci sta cercare spunti tra le pieghe del passato di Tex e dei personaggi che hanno reso celebre la saga, ma bisogna farlo rispettandone le caratteristiche e occorre conoscere perfettamente l'universo creato da Bonelli per rendere le scelte narrative plausibili. Comprendo che non è un'impresa semplice ma ciò non giustifica la topica presa da Recchioni. Temo che su questa serie sarà difficile dare l'adeguato cambio a Borden, visto che finora si è mostrato l'unico in grado di disimpegnarsi bene nella complicata ricetta tra tradizione e originalità.
  20. Condor senza meta

    [678/679] Jethro!

    Grazie MacParland! Molto lieto
  21. Condor senza meta

    [678/679] Jethro!

    Reduce dal brillante ritorno di Yama, Boselli, a pochi mesi di distanza, tira fuori dal cilindro un ennesimo colpo a effetto, riproponendo sulle pagine della regolare le gesta di Jethro, personaggio noto ai lettori per la sua apparizione nella splendida storia degli “Eroi del Texas”. Non sarà nemmeno l’ultimo ritorno del 2017, visto che a distanza ravvicinata il curatore scriverà la storia con Lupe, ma quella la affronteremo nell’apposita sessione e per adesso soffermiamoci solo sull’episodio in questione. L’autore riprende con ispirazione uno spunto gettato nell’epilogo della celebre prova che chiudeva alla grande il centenario 400-500, infatti proprio in uno degli ultimi dialoghi Tex accenna al figlio che in passato aveva avuto modo di aiutare Jethro nella sua sacrosanta vendetta e adesso ci viene raccontato come. Dal seme gettato anni prima, Borden fa fiorire un’ottima storia e quello che più colpisce, l’originale struttura narrativa scelta, che esula dal consueto racconto di Tex attorno al fuoco del bivacco. La cornice al flashback si svolge al presente, con la vessazione subita da Jethro a causa del prepotente di turno che vuole rubargli la terra; nell’attesa dell’assalto finale, l’ex galeotto narra al figlio la vecchia vicenda che lo vide protagonista assieme ai due vecchi amici: Glenn Corbett e naturalmente un giovane Tex Willer. Veniamo catapultati in un Mississippi ostile, in cui le sanguinose ferite della guerra civile appena conclusa, sono lontane del rimarginare. Boselli mostra la sua abilità creando un’atmosfera cupa, asfissiante, in cui odio razziale e rancore si tagliano col coltello. Rivediamo tra le pagine di Tex le orride tuniche del KKK e assistiamo alle tante contraddizioni di un paese stravolto dalla guerra e in balia all’odio verso gli incolpevoli uomini di colore, trattati ancora come schiavi e vessati senza pietà. Aldilà della trama del flashback, che alla fine vedrà ovviamente i nostri far valer le loro ragioni a suon di piombo e pugni, ciò che più si apprezza è il certosino lavoro sulle personalità che l’autore cura come di consueto. Dal villain, fino al più meschino razzista di paese, dal dottore dal cuore nero come la pece, alla dolce Mary e la sua famiglia, ogni personaggio è ben inserito nel contesto e appare plausibile e funzionale. Splendida poi la figura di Corbett, che anche in questa prova risulta essere una delle migliori creature di carta partorite dall’instancabile vena creativa di Borden. Un eroe controverso, ma generoso. Testa calda e violento con chi merita (vedasi la soppressione a sangue freddo del commesso razzista) ma legato agli ideali di amicizia e alla lotta contro la discriminazione razziale. Il trio Glenn, Jethro e Tex è un piacere vederlo all’opera e dispiace un po’ sapere che non accadrà più. Il finale nel presente con Tex che viene in aiuto dell’amico Jethro e il figlio, chiude in maniera egregia la prova, ma personalmente il vero capolavoro di Mauro sono le ultime tre tavole, in cui ci mostra con un pathos e una malinconia immensa l’ultimo saluto, avvenuto tanti anni prima, fra Tex e Glenn. Una sequenza narrativa altamente poetica che si incastra perfettamente con la storia di un decennio fa e commuove il lettore, che già conosce il triste (e ingiusto) destino dell’ex guerrigliero del Kansas. Non so come spiegarlo, ma reputo simili scene delle vere perle compositive del curatore che arricchiscono oltremodo la saga che amiamo. Classe sopraffina al servizio del personaggio, e grasso che cola per gli appassionati che non possono che essere entusiasti di una tale gestione che ridona lustro alla serie. Mastantuono contribuisce alla grande alla riuscita dell’episodio, con il suo stile claustrofobico adattissimo alla tematica. Il disegnatore, ormai a suo agio sulla saga, palesa i suoi notevoli miglioramenti e si ritaglia il giusto posto nella schiera degli autori texiani. Molto apprezzabile il suo gioco di contrasto fra bianchi e neri, così come risultano più dolci e armoniose le sue anatomie, con una buona resa delle espressioni facciali. Stile personale che non accontenta tutti, ma che a mio avviso si sposa perfettamente con Tex. Unica nota stonata, l’eccessiva “licenza” sulle caratterizzazioni grafiche di Jethro e Corbett, che personalmente (e non sono il solo leggendo i precedenti commenti) mi sembrano troppo distanti da quelle originarie create dall’indimenticabile Marcello. Il mio voto finale è 9
  22. Avendo ancora solo sfogliato rapidamente l'albo, non posso esprimermi sul lavoro di Recchioni; posso però dire che i disegni spettacolari di Andreucci, valgono da soli il prezzo dell'albo. Anche Biglia sulla regolare sta facendo un ottimo lavoro. Pensavo che, fermo restando Villa e Civitelli che ormai sono colonne portanti storiche della saga accanto al decano Ticci, l'innesto di "giovani leve" del calibro di Piccinelli, Dotti, Del Vecchio, Andreucci, Frisenda, Mastantuono, Biglia, Venturi, Cestaro Bros dà lustro alla pubblicazione. Un parco disegnatori così straordinario è davvero una goduria per gli occhi e tiene alto il livello eccelso che ha sempre caratterizzato la saga.
  23. Credo che se il color e il maxi tornassero a cadenza annuale, la redazione potrebbe respirare un po' e magari la qualità delle storie giovarne. Capisco l'esigenza editoriale di aumentare gli albi in edicola, ma gli autori son comunque uomini e non macchine e sottoporli a uno stress eccessivo per produrre inediti, alla lunga rischia di far divenire inversamente proporzionali quantità e qualità di proposte, soprattutto in una saga così longeva. Egoisticamente da lettore gradirei meno albi inediti (ma buoni!) e magari una nuova ristampa che, dopo quasi trent'anni, partisse dal numero uno per permettermi di colmare alcuni buchi di collezione nei primi centinai , ma comprendo che le ragioni di marketing marcino in verso opposto ai miei desideri. In quanto alle ristampe, francamente l'idea del varo del Classic Tex non l'ho mai molto apprezzata; snaturare la numerazione classica per i vecchi fans può equivalere a un'eresia, avrebbe avuto senso se proposta nel formato striscia, ma così mi lascia tiepido. Dopo la chiusura della Tre Stelle (per presunto calo di vendite) e, considerato che Tutto Tex e la Nuova Ristampa viaggiano ormai "vicine" (anche qui il numero di vendite suppongo non sia più quello di un tempo, ma potrei sbagliarmi) , l'idea di sopprimerne una per dedicare spazio al lancio di una nuova riproposta non mi sembrerebbe così assurda. La speranza è sempre l'ultima a morire.
  24. Inizierò il mio commento in maniera anomala, ovvero elogiando la bellissima copertina di Villa. Ovviamente l'anomalia non è dovuta alla grandezza dell'immenso Claudio (chi mi conosce sa che è il mio autore preferito) bensì al fatto che quasi mai nella mie recensioni cito questo aspetto, anche perchè se dovessi farlo, rischierei di essere ripetitivo, visto l'altissima qualità delle sue opere. Comunque, non entrando in merito sull'annosa questione della fredda colorazione digitale che "sporca" i capolavori del maestro, posso dire che, se non fossi stato un lettore di Tex, la vista di una copertina così suggestiva e melanconica mi avrebbe comunque stuzzicato e indotto ad acquistare l'albo. Chiusa la premessa, mi accingo a esprimere le mie considerazioni sulla storia in questione, riletta di recente. Faraci ormai giunto ai titoli di coda nella sua avventura su Tex (purtroppo bisogna ammettere anche giustamente, visto la sua conclamata involuzione creativa), tira fuori il suo "canto del cigno". Sia chiaro, l'episodio conserva parecchie delle caratteristiche controverse che hanno via via portato la maggior parte dei lettori a disamorarsi dell'autore, tuttavia a mio avviso, rappresenta la sua prova migliore, o la meno peggio se preferite. I consueti flashback non mancano, ma almeno sembrano più funzionali alla trama rispetto ad altre occasioni, così come ahimè si riscontrano alcune sequenze "riempitive" per allungare il minestrone (vedi l'attacco del lupo al ragazzino o la sua quasi caduta nel burrone). Gli Spari a gogo ci sono, soprattutto nella rivisitazione del passato di Bowen (la scena del repulisti al saloon è un plagio a Bonelli e al suo Crazy horse? ) e concordo con le accurate disamine scritte da @Leo, che evidenziano in maniera perfetta alcuni buchi narrativi che forzano la sceneggiatura: l'avversione di Bowen verso l'odioso acquirente del suo ranch non ha tanto senso e aggiungo che anche la figura di colui che dovrebbe essere il villain principale, ovvero Mr. Hall, poco mi ha accattivato e l'epilogo affrettato che lo vede sconfitto da Tex, non crea un briciolo di atmosfera. Tenuto conto di tutto ciò, si potrebbe presumere che il mio giudizio sia del tutto insufficiente, ma invece non è così. Faraci salva la prova con la presenza di Bowen, personaggio alquanto sfaccettato e che rappresenta a mio avviso la sua migliore creatura sulla saga. Finalmente un personaggio che lascia il segno (al netto di alcune incongruenze, ma pazienza Tito non è Borden), che riesci a ricordare anche dopo anni che non prendi in mano gli albi della storia. Non è un caso che sarà pure l'unica "pedina faraciana" a ritornare in gioco con Ruju qualche anno dopo. Il suo deja vu che lo porta ad affezionarsi al piccolo Tim è un po' stucchevole? Ma ci può stare! La magnanimità con cui Tex lo tratta a fine storia è esagerata? Forse, ma Tex sa leggere nel cuore degli uomini e capisce che Kenneth merita una seconda possibilità, a tal senso più stonata fu quella col Rodelo, ma inutile tornare su quella storia. Ricapitolando: non è affatto una trama perfetta, ma tutto sommato mi è piaciuta. L'ultima unghiata di Faraci prima del mesto congedo con Tex. Acciarino, alla sua seconda prova sulla regolare, confermò quanto di buono espresso nell'esordio. Tangibile il miglioramento stilistico (al netto di qualche primo piano di Tex incerto) tanto è vero che reputo il suo migliore esito. Purtroppo la parabola discendente dell'artista campano inizierà già nel sequel scritto da Ruju, visto che l'eccessiva sintesi grafica scelta, mi convince poco e sembra palesare scarsa ispirazione e stanchezza. Mi par di ricordare al proposito, che proprio Borden, mesi or sono, scrisse in un post che Acciarino avesse manifestato il desiderio di lasciare Tex. Spero di ricordare male o quanto meno che l'autore torni sui suoi passi, visto che le qualità non gli mancano. Il mio voto finale è 7
  25. Il ritorno di Yama sulla saga mi sorprese; dopo l’ultima arruffata storia di Bonelli nei primi anni 80, il figlio dell’arcinemico di Tex era rimasto in “naftalina” per più di trent’anni, snobbato pure da Nizzi nell’atteso (e da dimenticare!) ripescaggio di Mefisto. Ammetto di essermi approcciato un po’ freddino alla lettura dell’episodio, forse anche per via della brutta delusione provata con la su citata storia con Mefisto, ma mi bastò poco per capire di trovarmi al cospetto di tutt’altra musica. Sebbene non ai livelli di Bonelli senior, che in simili ambientazioni rimane impareggiabile, Borden mostrò di essere più ferrato di Nizzi con le tematiche paranormali-esoteriche e tutto sommato se la cavò alla grande con un'ottima prova. Esito non affatto scontato con un simile ritorno. Cercherò nel possibile di essere il più conciso possibile, ma ammetto che durante la rilettura, la mente è stata bombardata da una miriade di spunti di discussione che mi sarebbe piaciuto immettere nel mio commento; ovviamente non mi sarà possibile citarli tutti, sia per motivi di spazio, sia di memoria, visto che nel momento in cui mi accingo a scrivere la presente recensione, parecchi di quei spunti vengono risucchiati nel vortice del dimenticatoio. La prossima volta o mi armo di sfera magica come Yama o di taccuino per segnare le idee . A parte le battute, l’incipit spumeggiante ti immerge subito nella giusta atmosfera per una simile lettura. Le scene iniziali del tornado scatenato dalle forze del male sono molto efficaci e rese magnificamente da un Civitelli in stato di grazia, ma sul grandissimo disegnatore aretino tornerò come si deve in seguito. La trama s’incammina ben presto sui giusti binari, alternando ritmo e giusti colpi di scena che catapultano il quartetto dei nostri in piena guerra aperta con il redivivo nemico e i suoi pittoreschi alleati. Tralasciando le descrizioni delle varie tappe che caratterizzano la sceneggiatura, che nulla aggiungono a chi ha letto la trama, mi preme soffermarsi sulla figura di Yama che esce dalla penna di Borden. L’autore a mio avviso riesce nel non facile compito di riabilitare un personaggio, spentosi gradualmente nella gestione declinante del vecchio Bonelli. Il figlio di Mefisto, per la prima volta libero dal giogo dell’ingombrante genitore, mostra una intraprendenza e una pericolosità quasi mai sfoggiate nelle precedenti apparizioni. Architetta un piano complesso e si avvale di alleati pericolosi che metteranno molto in difficoltà i pards. Il limite di Yama era proprio la sua eccessiva subordinazione agli ordini del padre, qui in più di un’occasione arriva pure a criticare alcune scelte del mefistofelico stregone e nel finale addirittura lo accusa di essere invidioso del suo grande potere. Ovviamente Boselli non poteva snaturare del tutto le caratteristiche di Blackie Dickart, infatti alla resa dei conti la sua viltà e debolezza finiranno per fare capolino e nella certezza della sconfitta, toccherà proprio a Mefisto mettere una pezza e preparare il terreno per la prossima e epica puntata. A proposito di Mefisto, a Borden bastano poche pagine per riportarlo agli albori, nulla a che vedere con la brutta caricatura di se stesso uscita a Nizzi nella sua inadeguata storia. Ho molto apprezzato la sequenza del ritorno nel regno di inferi, anche questa resa splendida dai pennini di Civitelli e che omaggia il capolavoro firmato negli anni 70 dal duo Bonelli-Galep. Anche molto interessante l’idea di permettere a Yama di poter colpire materialmente a distanza, aspetto che colma una delle più grandi lacune del potere dei due stregoni. Boselli tralascia pure gli amuleti per non ripetere sempre la stessa minestrina e con la sua trovata rende davvero temibile lo stregone. Anche troppo volendo, infatti, forse conscio di essersi fatto prendere la mano, per renderlo battibile limita una facoltà magica avuta in passato, ovvero quella di poter seguire a distanza i nemici. Nella storia in corso, solo il medaglione con la divinità indù gli permette a mo’ di walkie talkie di controllare le mosse degli avversari e scatenargli contro la magia, in passato ricordo che fin dallo Yukatan gli era concesso apparire nella riserva Navajo per lanciare la sua sfida. Dopo un promettente inizio, Yama però cadrà nuovamente nei suoi errori e in fin dei conti sciuperà l’ottima occasione e la potente alleanza con il regno oscuro. Merito pure della consueta e ottima performance di Tex e soci che, dopo qualche intoppo e difficoltà (vedi il rito vudù) tornano a spazzare i nemici con la potenza di un fiume in piena. Avvincente e serrato il finale, con sullo sfondo un degno scenario che ricorda vagamente il percorso infernale della prima Tigre Nera e non certo il non idoneo sotterraneo di saloon optato da Nizzi per Mefisto. Funzionale l’idea dei demoni della follia che aggiungono ulteriore tensione e adrenalina nell’epilogo, unico neo forse l’eccessiva semplicità con cui i nostri escono dal tempio, grazie alla conversione di Hayden e un paio di candelotti di dinamite ben spesi. Sulla finale apparizione di Mefisto mi sono già espresso, anzi mi va di sottolineare la bravura di Boselli che chiude la sfida ponendo il preludio alla prossima battaglia: sarà realmente l’ultima come si vocifera? Davvero Mefisto potrà essere sconfitto del tutto, lui che ha varcato indenne il regno della morte per ritornare sulla terra? Io onestamente credo di no. Magari gli autori lo accantoneranno per anni come è capitato in passato, ma finchè esisterà Tex, l’ombra del maligno stregone non verrà mai scacciata. Dopo aver giustamente elogiato la prova di Boselli, permettetemi di spendere due parole per descrivere l’eccezionale lavoro grafico svolto da Civitelli. A primo acchito uno potrebbe pensare che il suo tratto pulito non sia adatto a una tematica così dark; in parte forse è vero ma l’immenso artista aretino sfodera una prova splendida, utilizzando al meglio il suo bagaglio di retinature manuali che si rivela azzeccatissimo per le scene di magia e apparizione mostruose. Forse in ritardo con le consegne fra il secondo e il terzo albo le vignette si spogliano un po’ dei chiaroscuri e sembra di assistere a una prova del primo Civitelli. Esempio emblematico di quello appena detto la prima vignetta a pagina 112 dell’albo i “Quattro cavalieri” dove una mezzaluna si staglia su un insolito cielo nero pieno, ma ben presto l’ormai imprescindibile marchio di fabbrica di Fabio ritorna con tutto il suo fulgore e il terzo albo è reso graficamente in maniera magistrale. P.s. Sono solo io che scorgo nel primo piano di Tex nella terza vignetta di pagina 59 del terzo volume delle fattezze simili a Diabolik? Il mio voto finale è 9
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