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TWF - Tex Willer Forum

Condor senza meta

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  1. Ho un ricordo che mi lega a questo episodio: saltai l’acquisto dell’albo n. 446 e dovetti attendere circa dieci anni per recuperarlo con la collana “Tuttotex” (siano lodate le ristampe!). Da ragazzino, l’incipit pubblicato in “appendice” al finale del ritorno della Tigre Nera mi rapì e il non poter conoscere l’evolversi dell’episodio, mi fece crucciare non poco. Trovai interessante l’idea di Boselli di presentare ai lettori i personaggi, saltando da un vagone all’altro con una sceneggiatura originale ed efficace. Mi piaceva immaginare come poteva svilupparsi l’episodio e come avrebbero agito i personaggi nel numero successivo, d’altronde l’autore si era già abbondantemente fatto apprezzare in quel periodo. Purtroppo, come già accennato, l’attesa per poter colmare la lacuna nella mia collezione, si fece attendere molto e mi capitò così un’esperienza singolare: l’episodio era il medesimo ovviamente, ma il sottoscritto lo lesse in due fasi diverse della sua esistenza! Una cosa è leggere un albo da teenager, un’altra a trent'anni suonati. Con gli anni mutano le capacità critiche, varia la sensibilità e l’esperienza ampia il punto di vista, tuttavia la storia, sebbene non trascendentale, non mi deluse e le aspettative di un decennio furono ampiamente premiate. Boselli riuscì a confezionare un episodio breve ma efficace e ogni tavola trasuda un’atmosfera particolare che colpisce l’attenzione. I villains sono poca cosa a dire il vero, ma il reale ostacolo che il nostro amato ranger deve affrontare, sono la furia della natura e il susseguirsi di sinistri avvenimenti (come la valanga dopo il deragliamento del treno) che lo mettono a dura prova. Altro aspetto che complica notevolmente le cose, l’infortunio al braccio che Tex subisce, che ovviamente gli crea non poche difficoltà nell’affrontare le sfide con i banditi nelle varie sequenze di sceneggiatura e ce lo mostra in uno stato più umano del solito. Non mancano le classiche personalizzazioni boselliane dei comprimari: mister Castlman e Shad sono due bei personaggi. Il primo avrebbe meritato più spazio rispetto a quello che l’esiguo numero di pagine a disposizione permise, anzi mi chiedo come mai l’autore non abbia ancora pensato a un suo ritorno. La scena dell’incontro con i guerrieri indiani guidati dal fratello della sua ex sposa, ha un non so di onirico e misterioso: il lettore ha il dubbio che gli indigeni siano fantasmi apparsi dalla coscienza dell’ingegnere pentito delle sue scelte passate, incontrati per imboccare un bivio esistenziale importante, ma questa plausibile interpretazione però, viene alquanto smontata dalla frase di Tex che asserisce di averli visti allontanare. Mi allineo al coro dei forumisti che trovano un po’ forzata la scena del crepaccio; ovviamente con un braccio rotto è impossibile che il nostro ranger abbia potuto superare in tal modo una simile situazione, al patto di non essere un uomo bionico, tuttavia una simile “leggerezza” non incide oltremodo nel giudizio finale. Il cammeo di Carson, che attende preoccupato il pard alla stazione, non mi dispiace e contribuisce a mostrare il grande affiatamento e rispetto fra i due, ideato originariamente da Bonelli, messo bene in evidenza da Nizzi nei suoi anni migliori e proseguito con maestria dall’attuale curatore della serie. Marcello ci mostra per l’ennesima volta la sua perfetta sintonia con lo sceneggiatore, sfornando tavole espressive e valevoli. Un binomio di assoluta qualità che arricchirà il centenario e che, ammetto, mi manca molto. Il mio voto finale è 7
  2. Il sistema migliore per poter giudicare il ritorno di celebri antagonisti, è quello di evitare assolutamente il confronto con l'episodio originale; considerarli nel possibile storie a parte senza richiamare la prova precedente. Nel caso specifico della Tigre Nera, un simile stratagemma è d'obbligo, visto che ogni qualsiasi parallelo con il capolavoro che vide il debutto della saga del malvagio Principe malese, risulta improponibile. Premesso ciò, chiarisco subito che non trovo affatto malaccio la sceneggiatura imbastita da Nizzi per il ritorno del suo ben riuscito villain, però ovviamente la prova ambientata a Leadville è di tutt'altra caratura. L'autore decide di collocare a New Orleans il secondo capitolo dello scontro, sfruttando l'immancabile alleanza con i seguaci del voodoo, già cari a Mefisto e Yama. Certamente non si riesce a creare la stessa tensione narrativa del precedente episodio, visto che il modus operandi della setta è praticamente lo stesso e il lettore lo conosce già. Anche gli alleati bianchi quali Levasseur e Scudder non tengono il passo dei vari Morrell e soci ma tutto sommato la sceneggiatura fila e non annoia. Interessanti le figure di Omoro e Juffure, anche se in fondo non vengono sfruttate a pieno, mentre la vera novità che avvalora la prova, è la presenza di Loana, un'affascinante donna di colore (che ricorda vagamente Loa), follemente innamorata del Principe e presumibilmente ricambiata, visto che per la prima volta ci viene mostrato il feroce villain con alcune caratteristiche "quasi" umane; a tal proposito ne è la prova la scena in cui esce disarmato dal rifugio rimproverando Tex di comportarsi in maniera non onorevole, visto che ricatta Omoro facendosi scudo con la donna e in effetti a pensarci bene quell'atteggiamento del ranger l'ho sempre reputato alquanto stonato e fuori dalle righe. Altra scelta narrativa che avrei evitato, la grottesca lotta con gli zombie che sembra richiamare un film horror di terza categoria o il famoso videoclip di Micheal Jackson . Il finale in effetti è il punto debole della storia, reso ancor più inadeguato forse dal veto redazionale all'idea originale che vedeva immolarsi al sacrificio Loana per impedire che una pallottola sparata da Tex colpisse il suo amato. Ci sta che Sergio Bonelli non se la sentì di avallare una scena in cui Tex, sebben involontariamente uccidesse una donna, ma la variante escogitata dallo sceneggiatore è un po' leggerina e ripetitiva. I disegni stavolta furono affidati a Civitelli, ma il grande artista aretino riuscì brillantemente nell'impresa di non far rimpiangere Villa (in pochi sarebbero riusciti in questo compito da far tremare i polsi!), fornendo un'interpretazione del villain molto fedele all'originale e arricchendo le scene clou nelle palude con il suo ricco campionario di puntinati ed effetti a chiaro scuro, che sono sempre una delizia per gli occhi. Per chiudere, faccio notare che dopo la parentesi di "Wild West Show" dove l'attento Boselli aveva modernizzato la figura di Nat Mc Kenneth attribuendogli il più azzeccato ruolo di capo di Polizia di una grande città fluviale, a pochi numeri di distanza, Nizzi riproporrà il vecchio ruolo di sceriffo creato da Gian Luigi Bonelli, e così sarà nei suoi futuri episodi ambientati a New Orleans. Un'occasione sprecata a mio avviso per correggere un'ingenuità bonelliana e garantire un minimo di continuity. Il mio voto finale è 7
  3. Prova incolore di Nizzi, che incappa in quello che definirei un vero e proprio passaggio a vuoto. Mi capita di rado di bocciare una storia del mio ranger preferito, tuttavia con quella in questione, non riesco proprio a fare diversamente. L'autore crea un noioso riempitivo che procede stancamente per inerzia su due albi, senza mai spiccare il volo o stupire il lettore. Il soggetto è il classico canovaccio western di comancheros e indiani, ma ciò che più influisce al modesto esito della prova, è una sceneggiatura piatta, prevedibile, priva di colpi di scena e una sequenza di snodi narrativi visti e rivisti. Lo spunto delle carabine di dotazione ai Confederati, che misteriosamente spuntano fra i carri dei comancheros, inizialmente attira la curiosità, ma viene svelato ben presto con un lungo e inopportuno flashback. I nostri passano da un agguato all'altro, seguendo un iter narrativo ben marcato e poco coinvolgente. Anche i villain della storia deludono oltremodo: Kinkaid non appare un cuor di leone e in fondo non sembra mettere molto in difficoltà gli avversari. Anche l'incongruenza finale che lo porta a sparare su Tex e Carson, sebbene poche pagine prima in posizione migliore rinunci riconoscendo di non essere un buon tiratore, fa storcere il muso. Vera Lopez è una maliarda che non lascia il segno, forse anche per la non eccezionale resa grafica di De La Fuente e Syd Ketchum, il più caparbio del gruppo, si rende pericoloso solo grazie a una "piccionata nolittiana" di Tex, che lo lascia libero di agire dopo il loro primo scontro. L'epilogo abusato dell'arrivo della cavalleria che toglie le castagne dal fuoco ai due ranger in difficoltà, è la chiusura del cerchio di un episodio da deporre nella libreria e lasciarlo marcire nell'oblio. Il debutto di De La Fuente sulla regolare è accettabile ma altalenante. Buone le ambientazioni polverose e assolate, un po' meno le caratterizzazioni dei due pard, con un Carson alquanto invecchiato e con la lunga zazzera e un Tex inconsueto e smilzo. Numerose le correzioni redazionali apportate da Monti sui volti del protagonista; a tratti si fatica a distinguere in quale vignetta ci sia il suo tocco e in quale no. Nizzi presumibilmente decise di scegliere un ambientazione simile per il disegnatore iberico, sperando di ripetere l'exploit di pochi anni prima sul brillante texone "Fiamme sull'Arizona" ma essendo il paragone impietoso, mi astengo di aggiungere altro al mio commento. Il mio voto finale è 4
  4. Senza grossi giri di parole, si può liberamente affermare che ci si trova al cospetto di una delle cime più alte del centinaio, nonché della produzione boselliana e della saga in generale. Un episodio dalla liricità ed epicità uniche, che difficilmente sono state eguagliate nella serie. Un Boselli al massimo dell'ispirazione, confeziona una pietra miliare che ancora oggi, a più di due decenni dalla pubblicazione, tiene inchiodati alle pagine e commuove il lettore. Una sceneggiatura magistrale, coinvolgente, esente da cali di ritmo. Perfetta la caratterizzazione dei personaggi, come nella miglior tradizione boselliana, ma se mi è permesso dirlo, in questa prova l'autore supera se stesso e ci dona un parterre di comprimari ricchissimo e ogni sua creazione letteraria contribuisce ad arricchire la storia, che tiene perfettamente il passo del capolavoro del debutto (anche se personalmente ritengo il "Passato di Carson" lievemente superiore). La banda degli irlandesi ci viene apparentemente mostrata come una pericolosa congrega di fuorilegge, ma si percepisce fin dalle prime battute che, dietro quel gruppo di banditi, si celano uomini dalla grande umanità, eroismo e un forte senso di appartenenza alla patria di origine. In tal proposito, magnifica la scena in cui i figli della verde Irlanda intonano al tavolo di Carrasco l'inno irredentista del proprio paese. Un tocco di classe dello sceneggiatore, una scena dalla forte emozione che ancor oggi dovrebbe farci riflettere, in un epoca in cui si parla di barriere e distinzioni geografiche. A voler trovare il pelo nell'uovo, i nostri (con Pat Mc Ryan arruolato per l’occasione) appaiono un po' defilati rispetto agli straordinari protagonisti della vicenda, ma ciò non disturba, anzi! Tex e Carson se la cavano alla grandissima durante il proseguo della vicenda e inoltre, non sottovaluterei la scelta coraggiosa ma azzeccata dell'autore, di farli schierare con la banda, d'altronde come ribadirà nell'epilogo Montales: "Quando non c'è giustizia, l'uomo onesto e d'onore non può che diventare un bandito, un ribelle!" Chapeau; anche questa frase ha un peso specifico enorme, oggi più di ieri! Splendida la figura di Shane, un eroe patriottico dalla grande abilità e coraggio. Boselli gli dedica un melodrammatico epilogo da Oscar. Molto ben riuscita anche la figura di Kelly, un uomo molto legato ai ricordi della terra natia, ma non scherzano a carattere nemmeno Halloran, Pagan, Watts, Tommy Gunn, Karim. Mica facile riuscire a creare in una sola storia, così tante figure che penetrano nel cuore e nella memoria del lettore. Menzione a parte merita Hutch: notevole l'idea di inserire un amico d'infanzia di Tex. Il rapporto di falso odio-immenso rispetto tra i due si dipana per tutta la narrazione ed è logico che Boselli abbia recuperato un simile personaggio nella regolare e presumibilmente, lo farà muovere anche sulla nuova serie "Tex Willer". Ciò che si può definire un'intuizione felice! Non male pure la caratterizzazione degli antagonisti. Carrasco e l'austriaco Herzfeld sono coerenti nelle loro posizioni e quindi indignano nel giusto, questione diversa per il codardo Danny: il suo tradimento nei confronti dell'amico è una frustata che fa stringere i pugni dallo sdegno. Magnifica l'empatia fra Boselli e Marcello, la loro intesa è un ulteriore valore aggiunto alla storia e il compianto disegnatore sfodera una prova grafica di tutto rispetto, a tal punto che non riuscirei a immaginare disegni diversi per una simile sceneggiatura. Tanto di cappello dinanzi la complicatissima realizzazione del terzo albo, ricco di azione, sparatorie, dinamismo e adrenalina pura, rappresentato alla perfezione dell'artista. P.s.1 Suppongo sia un piccolo refuso: quando Tex mostra ai Rurales il lasciapassare del governatore Montales, nomina lo stato di Sonora ma il fido amico messicano, dovrebbe essere una carica istituzionale del Chihuahua. P.s.2 A inizio episodio Carson asserisce di esser tornato dal Nevada, dopo una visita a Lena e Donna che nel frattempo hanno aperto una locanda: interessante la continuity abbozzata da Boselli, visto che una simile affermazione del vecchio ranger fungerà da preludio all’episodio di Jack Thunder. Il mio voto finale è 10
  5. Il sodalizio tra Boselli e Letteri proseguì con questa pirotecnica storia che vide il ritorno di un nemico "particolare" del calibro del Maestro e la seconda apparizione sulla saga di Buffalo Bill e il suo celebre Wild West Show. Purtroppo è doveroso ammettere che, se da un verso la collaborazione dell'attuale curatore con Marcello portò a una simbiosi ideale per creare episodi indimenticabili in quel periodo, con Letteri, giunto mestamente sul viale del tramonto, gli esiti furono diametralmente opposti. Come già successo con la precedente "Terrore a Silver Bell", il comparto grafico non aiutò a far spiccare la sceneggiatura, anzi a mio avviso, tendette spesso a danneggiarla. Un'ambientazione cittadina simile, affidata a un Civitelli avrebbe lasciato il segno, cosa che purtroppo non riuscì all'ormai stanco e spremuto Letteri, giunto a pochi passi dal varcare il confine dell'idoneità sulla regolare. La trama fila via che è un piacere, ritmo serrato e molte originalità stilistiche di un Boselli alquanto fantasioso e innovativo. A dire il vero la figura del Maestro, scienziato folle prestato al male, non mi fa tanto impazzire ma la spruzzata di originalità sulla saga non guasta. Non mancano alcune forzature quali i prototipi di armi create "dall'Hellingen texiano" e l'improbabile scoperta di miniere di zolfo nascoste sotto New Orleans, note solo al villain della storia. Licenze narrative al limite per la serie ma che in fondo si accettano, visto l'esito molto avvincente dell'episodio. Non brillano eccessivamente i comprimari, nessuno all'altezza del loro capo e decisivi nel fallimento del piano criminale. Ladykiller poi, che vagamente mi ricorda il gigante buono del "Miglio Verde", sarà un prezioso alleato dei nostri nel momento topico dell'azione. Molto adrenalinico il finale, rovinato un po' dall'improbabile scena dell'imboscata al fiume con tanto di lancio di coltelli e "winchester magici" e impermeabili. Tutti fattori che contribuiscono a mio avviso a rivedere un po' al ribasso la valutazione finale della prova boselliana, non di certo aiutata dal fatto di precedere un gioiello narrativo di tutt'altra caratura del medesimo autore. Molto più plausibile rispetto alle storie di G.L.Bonelli, la figura di un Nat Mc Kenneth a capo di un corpo di Polizia in una grande città come New Orleans, anche se la metodologia troppo scientifica e moderna che arriva pure a citare il "Modus operandi" l'avrei evitata. Il Tex Boselliano è duro come il granito, ma molto più taciturno e riflessivo rispetto alla media, aspetto caratteriale che spesso lo porta a farsi rubare la scena, ma di contraltare la figura di Carson risulta molto ben rivalutata. Omettendo l'accennata e improbabile liasion con la giovane Annie, ciò che più apprezzo del vecchio cammello boselliano è la sua intraprendenza decisionale e soprattutto il coraggio con cui si mette in azione, senza tanti brontolii e reticenze divenute seriali nelle ultime prove nizziane. Il mio voto finale è 7
  6. Sulla opinabilità dei giudizi mi sono espresso tempo or sono su un altro commento e non mi va di ripetermi; "ogni testa fa il suo tribunale" si dice dalle mie parti e concordo perfettamente con questo saggio modo di dire. Per l'episodio in questione, leggendo i commenti di chi mi ha preceduto, si passa dal capolavoro al noioso polpettone. A mio avviso il giudizio dovrebbe attestarsi pressappoco al centro delle due definizioni, visto che non reputo affatto un capolavoro la storia di Nolitta ma definirla un polpettone, sembra quanto meno ingeneroso per il compianto autore. Chi ha avuto modo di leggere i miei precedenti commenti, saprà già che il sottoscritto non ami in maniera particolare il contributo di Bonelli jr sulla saga del ranger e quest'ulteriore maratona narrativa, diluita abbondantemente su quattro albi circa, non aiuta a mutare il mio punto di vista. Ma procediamo passo passo. In primis bisogna ricordare con tristezza che l'episodio dei wolfers rappresenta un doppio commiato: sarà l'ultima fatica (non conclusa e portata a termine dal vecchio allievo Ticci) dell'immenso Giolitti; un fuoriclasse approdato troppo tardi nella squadra texiana. Che peccato! Purtroppo sarà pure l'ultima sceneggiatura intera di Nolitta, visto che la seguente "Golden Pass" vedrà con la sua firma solo il preludio del primo albo. Il soggetto come di consueto non è male, però a mio modesto parere viene dilungato all'esasperazione per raggiungere il ragguardevole numero di pagine finale. Troppe scene evitabili, lungaggini inopportune, dialoghi troppo verbosi e a tratti noiosi disturbano non poco lo sviluppo della trama. Strana la scelta di tagliar fuori immediatamente Tiger e il giovane Kit dalla scena, da orticaria il continuo richiamo all'alcool del vecchio Carson, che sembra per l'occasione essere fuggito da una clinica di recupero di alcolisti anonimi. Alcuni passaggi risultano forzati, vedi il costume indiano di Tex indossato all'inizio che, nell'intenzione dell'autore, dovrebbe servire a non farlo riconoscere dal perfido Jason, ma solo un miope poteva far peggio del villain. Pure la scelta di Tex di far assaltare il forte dai Sioux di Ska - Wom Dee, con il senno di poi risulta deleteria per i poveri indigeni. Dopo aver praticamente tolto le castagne dal fuoco ai due pards che si limitano a gingillarsi col cannoncino sugli spalti, pagheranno cara la brillante azione, con ingenti perdite umane e infine il foglio di ben servito dalle autorità canadesi, che li rispediscono indietro come un indesiderato pacco postale e i nostri zitti ad accettare questa colossale ingiustizia. Ci sta che anche Tex debba fare i conti con la storia propriamente detta e purtroppo gli indiani sono gli sconfitti, ma una reazione così passiva e silenziosa a un'assurdo trattamento, causato da un enorme errore di valutazione di Aquila della Notte, mi stona non poco. Tex nella sua concezione non si è mai tirato indietro a mostrare le unghie contro gli eserciti e spendere se stesso pur di limitare i danni del Popolo Rosso. Un simile finale crepuscolare, sebbene molto a effetto, sembra più parkeriano che texiano. Nota positiva, l'insolita ma valevole caratterizzazione che Nolitta fornisce a Jim Brandon, paradossalmente il buon Sergio nelle sue storie fa fare il salto di qualità alla Giubba Rossa e solo Boselli nel capolavoro "Nei Territori del Nord-Ovest" riesce forse a far meglio. L'idea di un ligio militare che non lesina a sviare di tanto in tanto i regolamenti pur di ottenere la vera giustizia, lo rende molto interessante. Pure Jason si rivela un personaggio molto interessante e un valido antagonista con un metro di pelo sul cuore. Capitolo grafico: Giolitti fino all'ultima sua tavola mantiene un livello ottimo, magari opinabile per ciò che riguarda i primi piani di Tex, ma splendido per dinamicità e sfondi. Il passaggio di consegna con Ticci, ovviamente si nota ma non lo reputo una tale tragedia. Poi con il senese così ispirato, si accetta tutto. Ho curiosamente notato che alcune tavole di Ticci sono state inserite nella parte ancora illustrata dal disegnatore romano; non credo siano state ridisegnate per carenza di esito, suppongo invece che Nolitta abbia aggiunto delle correzioni in corsa alla sua sceneggiatura, dopo il passaggio di consegna per fini narrativi. Sembrerebbe che la fibbia navajo serva solo a far riconoscere Brandon ai nostri durante la spedizione mascherata al deposito dei mercanti; chissà forse inizialmente l'autore aveva altre idee in proposito. Pure la sequenza in cui i nostri apprendono dai due indiani salvati l'arrivo di Ska-Wom Dee in Canada, sembra essere stata aggiunta in secondo momento. Prova ne è il siparietto troppo allungato di Carson alle prese con il liquoraccio distillato dai wolfers. Che Nolitta abbia rivoluzionato la trama in corsa con l'innesto dei Sioux? Magari qualcuno dei forumisti, meglio informato, può togliermi questa curiosità. Il mio voto finale è 5
  7. Ho preso una cantonata e chiedo scusa. L'idea del soggetto l'ho scritta di getto e non mi son preso la briga di ricontrollare la storia. Non la leggevo da tempo e la scena della caduta dell'Artiglio nero nel foro della sala tortura, mi è completamente caduta di mente. Ahi ahi ahi perdo troppi colpi mi sa, ultimamente sfodero un errore dietro l'altro.
  8. La perfida Ah-Toy, dopo anni di oblio rinchiusa in un penitenziario sulla Costa dei Barbari, riesce, grazie al suo ancora notevole peso specifico nel mondo criminale, a riallacciare le sue trame ed evadere, avvalendosi di un nugolo di guardie penitenziarie corrotte. Pur di non lasciar tracce compromettenti alle spalle, decide di far eliminare tutti coloro che favoriscono la sua fuga e aggiungere come colpo di teatro, il sacrificio in stile “Ley de fuga” del suo ex braccio destro Lao-Tan, vecchio alleato ormai divenuto scomodo. Tornata in libertà, la pericolosa maliarda recupera il suo ruolo di leader nella thong di San Francisco e, oltre a rimettere in piedi le sue fruttuose attività criminali, smania dalla voglia di vendicarsi di Tex e Tom Devlin. Ha così inizio il suo piano di rivalsa, atto a eliminare il capo della polizia e attirare i pards a Frisco per completare appieno la vendetta. La trappola scatta quando l’Alameda viene dato alle fiamme da misteriosi banditi. Mike Tracy viene dato per disperso nel rogo e Tom Devlin, avviate le indagini, cade nel trabocchetto che porta al suo rapimento. Giunti a San Francisco Tex e i tre pards, ignorando l’identità del pericoloso nemico da fronteggiare, apprendono tristemente le cattive nuove e si attivano subito per individuare il bandolo dell’intricata matassa. Sam Brennan, l’unico che potrebbe aiutarli, grazie a una soffiata dagli ambienti della malavita, rimane vittima di un agguato della thong e versa in coma lottando fra la vita alla morte. Brancolando nel buio Tex e soci inizialmente sono in balia delle macchinazioni della perfida Ah-Toy, che portano all’ulteriore passo dello studiato piano che prevede la cattura di Tiger e il giovane Kit. Ottenendo il prezioso aiuto di Lefty Potrero e i suoi atleti, Tex e Carson non demordono e dopo varie peripezie scoprono con sollievo che Mike è ancora in vita ma è costretto a nascondersi per sfuggire alle ritorsioni della banda cinese e Tom Devlin è incatenato in un sotterraneo nel quartiere cinese. Partendo al contrattacco, i nostri trovano un prezioso e inatteso alleato sul loro cammino: il vecchio nemico Lao Tan, che miracolosamente salvatosi dall’agguato durante l’evasione, pur di vendicarsi dell’infido tradimento della sua ex socia, decide di saltare la barricata e schierarsi con i pards. Dopo pirotecnici scontri nei cunicoli del quartiere cinese, Tex e alleati, riescono a liberare Devlin, Tiger e Kit e a sconfiggere la perfida nemica, che nel tentativo di darsi alla fuga, vedendosi inevitabilmente battuta per la seconda volta, precipita tra i miasmi della fogna pullulante di famelici topi. L’episodio si chiude con la buona notizia dell’uscita dal coma del simpatico Sam Brennan e con i nostri intenti a festeggiare la buona riuscita dell’impresa.
  9. Giusto ggaaco, anche il sottoscritto ha preso un abbaglio . Ammetto che la storia della Mesa Verde l'avevo rimossa dalla memoria. Chiudo il breve OT, complimentandomi con Barbanera per le sue doti di fantasioso soggettista. Non è una soddisfazione da poco!
  10. Giusto pard per ciò che riguarda la statura, ma Mac Parland apparve la prima volta nella storia dell'Asso di Picche (Albi 37-38) e fu una creatura di G.L. Bonelli e non di Nizzi. E' pur vero che sarà proprio Nizzi a utilizzarlo più volte nelle sue storie e valorizzarlo meglio, ma anche in questo caso fu un abile recupero di un personaggio già esistente sulla saga.
  11. Condor senza meta

    [430/431] Gli Uccisori

    Usando il gergo ciclistico, sono storie come questa che mostrano di quanto Nizzi fosse al "gancio" dopo più di un decennio di scatti e volate vincenti. Uno spunto originale, due villain odiosi e cinici convinti di poter fare i padreterni grazie alle tasche piene di grano, una caccia diabolica e un Tex deciso a difendere gli amici vittime di un cosi cinico disegno, rappresentano un buon punto di partenza per far bene e infiammare il pubblico assiepato ai bordi della strada, ma giunto sul momento clou, l'autore accusa la stanchezza, si pianta sui petali e si fa respingere dalla montagna. Chiusa la similitudine ciclistica (forse cara al mio conterraneo Nibali, meno ai pards del forum), torno a esprimere le mie considerazioni sull'episodio. In controtendenza rispetto alla sue provi recenti, in cui soggetti poco originali venivano quantomeno valorizzati da accettabili sceneggiature, il buon Claudio spreca l'idea di base con una costruzione scenica non all'altezza, affrettata e segnata da snodi narrativi non sempre validi. Ho accennato alla buona caratterizzazione (iniziale) dei due ricconi Inglesi, ma in contraltare appaiono proprio dei pivellini con la segatura nel cervello Bill Baxter e soci. Cadere in una simile trappola è un'offesa all'ingegno umano e Tex si trova costretto a difenderli come dei bimbi indifesi presi d'assalto da un gruppo di coetanei bulli. Altro snodo narrativo stonato, già fatto abbondantemente notare dai forumisti prima di me, l'assurda sparatoria in cui i due folli banchieri, non fanno nemmeno il solletico ai nostri, dopo che all'inizio vengono mostrati ai lettori come due tiratori micidiali capaci di stendere un nemico a mezzo chilometro di distanza. Ora, capisco che l'autore volesse accrescere il valore degli antagonisti per renderli degni dello scontro con Tex, ma una volta presa questa scelta narrativa non puoi uscirtene con una scena finale così incongruente. Anche la loro eliminazione è troppo rapida e senza appeal, un epilogo così fa rimpiangere che la storia non sia stata chiusa dopo l'arresto dei villain. A proposito, a mio avviso è assurda la scelta di fuggire alla chetichella, evitare ritorsioni contro i nemici addormentati e all'alba suonargli la sveglia dalla rupe. Passi lo spirito sportivo, ma dopo il rincrescimento per il trattamento ricevuto da Tex, un minimo di cattiveria in più da parte di due vermi simili era più plausibile. Forzata pure la figura dell'Apache, che sacrifica (non si sa bene il perchè) la sua vita per due razzisti che, a conti fatti, non credo che avessero riflettuto due volte a prenderlo di mira per divertimento, una volta finita la caccia. Solo la stanchezza può giustificare tutte queste "stecche" che pesano oltremodo sull'esito finale. Un vero peccato, visto che c'erano tutte le premesse per fare bene. Monti da buon "gregario di lusso", si fa in quattro con disegni possenti e dinamici, per tirare il boccheggiante "capitano" Nizzi su per le rampe della salita per limitarne il gap, ma a tratti appare sprecato il suo lavoro per un riempitivo simile. Il mio voto finale è 5
  12. Grazie Ymalpas, le tue chicche texiane, corredate da interessantissimi retroscena e curiosità, sono preziosissime per noi appassionati. E' sempre un grande piacere confrontarsi con utenti così preparati in materia; è un modo ottimo per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza texiana.
  13. La quiete dopo la tempesta. Ovviamente per “tempesta”, alludo alla conclamata crisi creativa che afflisse Nizzi nei primissimi anni novanta, parzialmente messa alle spalle nell'epoca in cui uscì l'albo in questione. Purtroppo l'esplosiva verve degli anni migliori rimase solo uno sbiadito ricordo, tuttavia l'autore, con mestiere, riuscì a gestire inizialmente in qualche modo la sua flessione. Ne usciranno episodi simili a "Lupi del Colorado", lineari e senza eccessivi sussulti, ma comunque leggibili. Ciò che si nota palesemente rileggendo storie simili, le difficoltà dello sceneggiatore nel creare soggetti originali e avvincenti: pur di portare a casa il risultato, si attinge abbondantemente a spunti e situazioni già usate dai predecessori, nel caso specifico le similitudini con "Gilas" sono al limite del plagio. Nizzi mescola con sapienza le tessere del suo puzzle, ma l'impressione del già visto salta subito all'occhio e non bastano dei dialoghi ancora buoni e una sceneggiatura passabile, per far elevare un episodio alquanto scontato. Mi duole dirlo, essendo un fan dichiarato di Nizzi, ma la sua parabola discendente era già iniziata, resa ancor più netta e visibile dalla concomitante (e travolgente!) ascesa boselliana, forte di una freschezza e originalità agli antipodi. L’episodio non è da bocciatura a mio avviso, ma non appassiona più di tanto: procede per inerzia e non stuzzica la fantasia del lettore, visto che le situazioni si mostrano prevedibili. Kit si ritrova di nuovo al centro dell’azione, ma stavolta non brilla come nella precedente occasione. Pure l’amicizia col giovane Kimball, rischia di essere un po’ ingigantita, stucchevole e poco plausibile. Il bandito alla fine fa la figura dell’ingenuo con le fette di salame sugli occhi e pure il piano di riabilitazione offertogli da Kit, fa acqua da tutte le parti. Non convince nemmeno il resto della banda: Kevin Kimball viene dipinto come un dritto pericoloso, ma lascia poco il segno e si fa giocare come un piccione. Anche la sua leadership è meno salda e meritata di quello che si vuol far credere, visto che paradossalmente si mostra molto più sveglio e deciso il suo sottoposto Gus Morton. Solo un’apparizione per Carson e Tiger, ma in compenso Tex si districa bene e risulta risolutivo, rubando la scena a un Kit Willer propositivo, ma un po’ appannato. Scontata e prevedibile la scena in cui il giovane rampollo infiltrato viene riconosciuto da uno dei banditi. Mi pare poco plausibile che nessun scampaforche in un villaggio di latitanti non abbia mai visto o avuto a che fare con il quartetto dei ranger, ormai all’epoca della narrazione, celebre più dei Beatles. Quanto meno Kit avrebbe dovuto camuffarsi, che so, con una fitta barba, i capelli rasati, un abito diverso. Niente: come un Superman o Batman qualsiasi, il nostro non rinuncia alla sua divisa e pretende che nessuno lo riconosca! Personalmente questi spunti potevano andar bene agli arbori, ma poste adesso, suonano come leggerezze o passaggi narrativi poco funzionanti. Fusco se la cava sempre egregiamente col suo possente stile. Nessuno riesce meglio a dipingere banditi con brutte grinfie e alquanto pittoreschi. A tal proposito mi pare di aver letto, che originariamente la storia dovesse portare la firma di Nadir Quinto per un Texone, ma l’esito del disegnatore giunto al tramonto della sua esistenza, non fu ritenuto pubblicabile dalla redazione, che affidò al veterano Fusco il compito di ridisegnare in toto tutta la storia. Il mio voto finale è 5
  14. Condor senza meta

    [425/428] Yucatan

    Non ci è dato sapere quale aspettative avesse Nizzi con l'episodio in questione: dato il notevole numero di pagine, la presenza del Morisco e l'ambientazione atipica verrebbe da credere che l'autore avesse in mente di gettare sul banco un poker per stupire i lettori, tuttavia, secondo il mio modesto giudizio, alla fine il suo si rivelerà un bluff e non porterà che una misera "doppia coppia"! La storia è leggibile e, soprattutto nelle prime parti, molto coinvolgente, purtroppo però si sgonfierà notevolmente nel proseguo. Verosimilmente c'era da auspicarsi un'avventura carica di colpi di scena e adrenalina nell'esotico scenario dello Yukatan, ma purtroppo una palese stanchezza, depotenzia la sceneggiatura e rende l'esito finale poco originale e alquanto noioso. Se l'intenzione era quella di lasciare il segno, l'obiettivo fu bucato su tutta la linea. Il soggetto pare rimarcare l'idea di G.L. Bonelli nel ritorno di Yama sulla saga, con degli usurpatori bianchi che sfruttano le credenze dei Maya per i loro loschi obiettivi, comunque se già allora convinse poco il temibile stregone, figurarsi quanto possa impressionare uno scienziato folle, manovrato dai suoi perfidi assistenti. Tutto appare troppo facile in fin dei conti: l'arrivo nello Yukatan senza patemi seguendo la compromettente traccia lasciata da uno sciagurato capitano Raga, pure il rinvenimento del covo dei banditi risulta semplificato dal colpo di fortuna del Maya attardato. Se non fosse per Tex, che si complica la vita in due atti di grande generosità, prima nel canale dell'alligatore e poi nel cenote lottando con la terribile anaconda (anche il serpentone richiama a una vecchissima avventura scritta da Bonelli Senior) sembrerebbe una semplice gita nel Messico tropicale. Pure sottotono il Morisco, che si riscatterà alla fine con un'improbabile ipnosi collettiva. Trovata a effetto ma un tantino forzata. Non pervenuto Carson e ingiudicabile Montales, che andava sfruttato meglio; il suo breve cameo nella storia a questo punto risulta inutile ed evitabilissimo. Tirando le somme, Nizzi partorisce il proverbiale topolino da una montagna; ottiene una salda sufficienza ma non esalta affatto, tanto è vero che l'episodio cade facilmente nel dimenticatoio e incide meno di un riempitivo. Buona la prova di Marcello, che si districa abilmente nello scenario esotico che fa da sfondo alla storia. Seconda e ultima sua collaborazione con Nizzi, dopo "Yukatan" infatti il disegnatore verrà affidato esclusivamente alle cure di Boselli e il duo sparerà cartucce d'oro di ben altra caratura, che colpiranno nel segno l'immaginario dei lettori texiani. Il mio voto finale è 6
  15. Dopo alcune prove opache, Nizzi pesca il Jolly dal mazzo e sfodera un episodio degno del suo miglior periodo. Si potrà pure far notare che il soggetto gli fu suggerito da Villa, ma ciò non toglie che l’autore modenese cesella una sceneggiatura molto avvincente e l’esito finale è un piccolo gioiello. Il fatto che sia il giovane Kit al centro della scena, rappresenta già una piacevole novità, poi l’intreccio che porterà alla sua amnesia e all’innamoramento con la splendida Fiore di Luna, renderà originale e interessante la storia. Peccato solo per un finale un po’ troppo affrettato, che non sviluppa a pieno il recupero della memoria di Piccolo Falco e non valorizza l’atipico duello fra padre e figlio, tuttavia la commovente morte della giovane squaw e la sequenza strappalacrime nei titoli di coda, è di gran classe. A tratti sembra di rivedere alcuni snodi narrativi simili ad altre celebri storie come “Furia Rossa”, “Sioux”, il “Ponte tragico”, “Il giuramento” e si assiste a scene molto ben scritte come il duello con Joe Galvez e la gara di abilità Utes (che mi ricorda vagamente la nolittiana sfida con Cruzado). Molto ben strutturate le caratterizzazioni di Naso Piatto, Fiore di Luna e Falco Nero. Un po’ meno convincente Simon Gentry ma tuttavia nell’economia della storia, funziona molto. Non manca qualche origliata di troppo, ma nel complesso non inficia eccessivamente il proseguo della narrazione. Molto ben sceneggiate le scene dell’innamoramento tra Kit e Fiore di Luna, che ci mostrano un Nizzi che sembra essere tornato nel suo periodi di massimo splendore. Il comparto grafico dell'immenso Villa è strepitoso! Una prova magistrale; un capolavoro grafico contraddistinto da sfondi paesaggistici da urlo e dinamismo straordinario. Splendide le sequenze della scazzottata iniziale nel saloon, il duello fra Tex e Galvez e l’agguato di Flagstaff. Inquadrature perfette, panneggi strepitosi, ottimi anatomie e studio della luce e delle ombre impeccabile. Ma ciò che davvero lascia a bocca aperta è la superlativa espressività dei personaggi. Villa riesce a far recitare in modo unico le sue creature, a tal proposito basta vedere le straordinarie espressioni di Tex appena riceve la notizia che il corpo del figlio non è ancora stato trovato, il viso intriso di dolce compassione di Carson dopo un colloquio con il fraterno amico in merito al presentimento che il giovane Kit sia ancora in vita o il dolore stampato tra i lineamenti di Tiger, durante la sua tortura. Molto toccante pure la resa visiva della scena finale con la tristezza impressa nel volto di “Piccolo Falco”, ma potrei continuare a oltranza, visto che il titanico disegnatore sforna a ogni vignetta delle autentiche gemme grafiche. Non vedo l’ora di poter apprezzare il suo texone, e spero che la casa editrice si decida al più presto a sgravarlo di impegni extra, per dargli il tempo di tornare sulla serie regolare con più frequenza: fuoriclasse simili vanno sempre schierati ed è quasi un sacrilegio dover aspettare decine di anni fra una apparizione e un’altra. Sarebbe stato logico in passato far giocare Maradona solo in nazionale o Van Basten solo nelle partite di coppa? Il mio voto finale è 9
  16. Seguendo la regola del noto modo di dire “non c’è due senza tre”, la terza prova di Boselli avrebbe dovuto mantenere gli stessi livelli (elevatissimi) delle due storie che la precedettero, ma non fu esattamente così. Sia ben chiaro, l’episodio non è affatto male, anzi ricordo che da ragazzino mi appassionò parecchio, tuttavia è innegabile che non regge il confronto con i precedenti. Per l’occasione l’autore rispolvera un’idea affine alla vena soprannaturale Bonelliana e la sviluppa con molta abilità, rendendo la sceneggiatura molto avvincente e carica di suspense. Bisogna dare merito a Boselli per come riesce a gestire l’evolvere della narrazione, tenendo il lettore sulla corda fino alle ultime tavole, grazie a molti colpi a effetto e dialoghi brillanti, però non si può far a meno di notare alcuni aspetti un po’ troppo sui generis che caratterizzano il bizzarro soggetto. Lo sceneggiatore sforna un pepato sufflè in salsa fanta-horror, mischiando vari ingredienti non del tutto originali sulla saga. L’idea di un contagio misterioso derivante dalla caduta di un meteorite, richiama al rosso fiore della morte di Bonelliana memoria; i batteri “killer” fanno indubbiamente pensare alla prima storia del “Maestro”, così come pure il rinsecchimento delle vittime fa rievocare i “vampiri vegetali” della storia col Morisco. Boselli di suo, ci aggiunge una contaminazione vampiresca molto fantasiosa e avvincente, ma il mix finale tirando le somme appare un po’ forzato e a tratti confusionario. Anche le trovate dell’invulnerabilità alle pallottole dei corpi contagiati, gli occhi fosforescenti, il “tallone d’Achille" dei mostri consistente nel colpire la testa (mi si perdoni il gioco anatomico di parole), o la lingua aliena pronunciata dallo stregone Papago, seppur molto suggestive, aumentano l’idea di una pietanza resa acre dall’aggiunta di molte spezie. Non aiutano ad amalgamare il tutto nemmeno i disegni di un decadente Letteri. Il declino di tratto dello stanco disegnatore è palese, tuttavia bisogna pure dir che un simile soggetto andava affidato a un artista più “splatter” e dark (come un recente Bocci per fare l’idea), capace di rendere più coinvolgenti e “paurose” le scene cardine del thriller. Le deformazioni del ventre dei contagiati con tanto di aghi erettili, a mio avviso necessitavano una cura più attenta e mostrarsi più ripugnanti rispetto all’esito molto sempliciotto ottenuto dal disegnatore romano; anche le espressioni degli “zombie alieni dagli occhi rifrangenti” incutono poco timore e purtroppo le costruzioni del trading post all’inizio, e del paese in seguito, appaiono molto elementari e quasi naif per la serie regolare. Purtroppo anche i grandi artisti non scappano alla legge naturale dell’invecchiamento. Il mio voto finale è 7
  17. Episodio alquanto lineare e breve, quello che nel gergo può venire definito un classico riempitivo. La prova si attesta nella media di Nizzi in quel periodo: molto distante dagli anni migliori dello sceneggiatore, ma ancora leggibile e accettabile, sebbene con alcune riserve. E’ evidente di come l’autore cerchi di sopperire con mestiere alla crisi d’ispirazione latente, cavandosela abbastanza bene con una sceneggiatura valida, avvalorata dagli ottimi disegni di Monti, giunto all’apice della sua maturità artistica. Tuttavia alcuni snodi narrativi opinabili rendono un po’ scontata la vicenda e, dopo un’interessante incipit, la trama si appiattisce un po’. La presenza dell’apache Hondo, sul sentiero della vendetta a causa dell’assassinio della sorella, rischia di tramutarlo in una sorta di deus ex machina che sminuisce l’opera dei nostri. Proprio dal fiero apache Tex apprende la vera identità dell’assassino e nell’epilogo, il losco Maker cadrà sempre per opera del guerriero sfuggito dalla riserva. A nulla servono le raccomandazioni di Tex, l’inferocito apache agirà di testa sua, completando l’opera incompleta dei due pards, accettando solo alla fine di farsi condurre nuovamente nella riserva, per evitare le ripercussioni delle Giacche Blu. Non male la caratterizzazione del Bounty Killer Maker, un verme tutto d’un pezzo, come non dispiacciono le presenze del giovane Talberg, la bella Bessie e la vedova Desmond. La parantesi rosa tra i due piccioncini, non disturba, anzi poteva essere messa in più risalto per aumentare l’intensità del finale. Ciò che delude un “Carsoniano” della mia risma è l’evanescenza del nostro Capelli d’Argento tra le pagine. Proprio la gestione dei due pards rappresenta, a mio modo di vedere, il termometro dell’ispirazione nizziana: durante il suo centenario d’oro, i due amici erano in perfetta sintonia, imprescindibili un dall’altro e molto simpatici durante i numerosi e spassosissimi siparietti ironici. Il Carson che vediamo agire in questo episodio, si fa pescare addormentato da Hondo durante il suo turno di guardia, si lamenta come una vecchia suocera inacidita e pende dalle labbra di Tex, facendosi spiegare tutto, neanche fosse incapace di fare due più due . Davvero una brutta involuzione di un così prezioso alleato, che sembra uno svogliato esodato costretto ad attendere altri anni per andare in pensione . Sui disegni di Monti, ribadisco ciò che già avevo su accennato: davvero rappresentativi, dinamici e molto bilanciati tra chiari e scuri. Ottime inquadrature cinematografiche e superbe rappresentazione degli apache; a voler trovare il proverbiale pelo nell’uovo, solo troppo ripetitive alcune fattezze dei personaggi, ma già in altri commenti avevo espresso questo mio giudizio, che poco incide sulla notevole qualità grafica del compianto disegnatore. Proprio l’ineccepibile prova grafica comporta l’innalzamento di almeno un punto nella mia valutazione complessiva. Il mio voto finale è 7
  18. E’ risaputo che bissare un capolavoro rappresenti un’impresa impervia, resa ancor più difficoltosa se l’opera superlativa coincide col debutto, tuttavia il buon Boselli non si perse d’animo e si accinse a sfornare un altro episodio cardine della sua produzione texiana. “Cercatori di piste” sebbene meno eclatante del debutto, si mostra oggi, a quasi un quarto di secolo di distanza, come una storia notevole e degna del confronto col capolavoro che la precede. Il binomio Boselli-Marcello si consolida con questo ulteriore gioiello e getterà le basi per ulteriori successi futuri. Inizierà infatti da quei numeri la staffetta Nizzi-Boselli che caratterizzerà gran parte del centinaio. Se da una parte lo sceneggiatore modenese lotterà purtroppo con il suo calo creativo che lo porterà a esiti altalenanti, dall’altro, l’attuale curatore della serie, piazzerà dei colpi vincenti che ancor oggi vengono riconosciuti come gioielli della saga. L’episodio in questione entra di diritto a far parte di questa lista e sarà presto in buona compagnia. E pensare che, come lessi in un’intervista di Nizzi, all’inizio Boselli era entrato nello staff per dar lavoro ai disegnatori più veloci come Letteri e Marcello; sia lodata la velocità del disegnatore ligure, mi viene da dire, infatti grazie a essa, nacque quel sodalizio che ha rilanciato la serie nei tardi anni novanta. Tornando all’episodio, il soggetto originale, ci mostra una banda di disertori, costretti ad abbandonare l’esercito per le angherie del comandante del forte. Legge e giustizia non collimeranno e Tex, non impiegherà nemmeno un istante per schierarsi dalla parte giusta. Infatti procedendo con la narrazione si scopre subito il valore e l’onore degli uomini dell’ex sergente Torrence, a cui fa da contraltare la sadica spietatezza della posse (composta più che altro da banditi e cacciatori di taglie prezzolati) capitanata dall’infido e controverso mezzosangue Mickey Finn. L’azione non manca, i dialoghi sono freschi e vincenti e pure la caratterizzazione di Tex, affiancato da uno straordinario Tiger stavolta, brilla e dona risalto a tutto l’apparato narrativo. Ma il grande merito di Boselli è nuovamente quello di creare una schiera di antagonisti e comprimari straordinari, ognuno ben delineato e funzionale. Il sergente Torrence in meno di un albo riesce a catturare il cuore di ogni lettore grazie alla sua fierezza, senso di giustizia e un coraggio indomito ricco di umanità. Molto toccanti le scene in cui emerge il grande amore per l’affascinante moglie indiana Luna e il rispetto biunivoco con i suoi uomini. Un personaggio che ho sempre apprezzato e dispiace un po’ che sia uscito di scena alla sua prima apparizione, anche se occorre dire che il triste epilogo è commovente ed epico. Molto ben riuscita pure la figura di Novak, un immigrato Boemo molto onesto e coraggioso, che si ritaglierà una seconda apparizione sulla serie. Ma Boselli riesce a dipingere con maestria pure i villain dell’episodio. L’ufficiale Craig incarna il perfetto mediocre che vive sotto l’ombra ingombrante del padre eroe e rendendosi conto di non possedere nemmeno un minimo di carisma del suo sottoposto Torrence, sfoga la sua invidia con violenta disciplina e tirannia. Mickey Finn è un mezzosangue che odia i Comanche, ma al contempo non trova posto e finisce col detestare pure i bianchi. Un anima controversa e inquieta che non ama nemmeno se stesso e nella violenza cerca il rifugio della sua frustata esistenza. A differenza di altri personaggi grigi, non si riesce minimamente a provare pena per un simile uomo, roso dall’odio verso il mondo intero e mai pentitosi del male fatto. In cima alla folta schiera di interpreti, sta il nostro Tex: deciso, risolutivo, ottimo giudice di uomini e al suo fianco un Tiger tirato a lucido e preziosa spalla, nettamente rivalutato rispetto il non adeguato utilizzo nizziano. Non mancano alcuni tocchi di classe stilistica, come la scena quasi cinematografica in cui Novak appena salvato dal supplizio di O’Brein, scorge la figura di Tex stagliata contro il sole cocente o la ribellione della guida indiana che in un sussulto d'onore, non tollera la tortura di Luna. Sul triste epilogo mi sono già espresso: molto funzionale e altisonante ma un vero peccato, visto che di un personaggio del carisma di Torrence si sente la mancanza. Marcello si mostra particolarmente adatto per un western così classico, il suo tratto nervoso ma espressivo si fa molto apprezzare e la sua grande abilità di dare un’anima espressiva ai suoi personaggi, valorizza ulteriormente le ottime creature boselliane. Il mio voto finale è 9
  19. A differenza della consuetudine, stavolta partirò dal comparto grafico per esprimere le mie considerazioni in merito alla storia in questione; d'altronde come fare altrimenti in questo caso specifico! Un aggettivo per riassumere il grande Civitelli in questa prova: stratosferico! Con impareggiabile classe, il disegnatore aretino ci dona una perla grafica di rara bellezza, arricchita da una certosina opera di documentazione che gli permette di mostrarci la città di Boston come in cartolina. Ma ciò che più incanta, i giochi di chiaroscuro perfetti che rendono perfettamente l'idea dei vicoli innevati, e tutto quel campionario di effetti che fanno immergere il lettore nelle vignette e quasi gli fanno battere i denti dal freddo, per quanto alcuni scorci assumono un realismo impressionante. Che Civitelli sia amante della fotografia non è un mistero, ma di quanto sia abile a riprodurre i giochi di luce e inquadrature a effetti è ancor più palese; nessuno come lui riesce a imprimere nelle sue tavole quei magici tratteggi che lo rendono perfetto nelle scene cittadine e notturne. "Delitto nel porto" a mio avviso rappresenta uno dei suoi più grandi capolavori e soprattutto la prova da cui spiccherà il volo, raggiungendo una maturità di tratto tale, da renderlo un punto fermo e inamovibile della schiera degli illustratori texiani. Chiusa l'anteprima dedicata ai disegni, passiamo alla storia: di certo non da buttare ma non rende giustizia al grandissimo lavoro grafico. Ho avuto anch'io l'impressione che la tanta carne al fuoco dell'interessante soggetto, sia stata un po' sprecata da Nizzi con una sceneggiatura non all'altezza e figlia della sua crisi creativa. Lodevoli i personaggi di Alabama, Requin e Jules Calvi, ma a fin dei conti, i nostri si ritrovano scodellati sul piatto tutti i retroscena e tolta qualche sparatoria e scazzottata, alla fine non brillano eccessivamente. Che Colbert fosse un giuda, Tex avrebbe dovuto capirlo in tempo debito e non mi è affatto piaciuta l'ingenuità con cui si fa giocare pure da Requien nel finale. Ma il non plus ultra è senz'altro la pessima scena di Carson che si fa atterrare dall'agente Pinkerton neanche fosse un vecchio pensionato appena uscito da una casa di riposo. Passi che Tex debba dimostrare una prestanza fisica un tantino migliore, anche per via di una decina di anni in meno sul groppone, ma il vecchio cammello non può essere ridotto a un tale ruolo di macchietta comica. Ho sempre adorato la gestione dell'amicizia dei due pard di Nizzi nei suoi anni d'oro sulla saga, purtroppo col tempo i siparietti comici, degenerando, hanno confinato Carson in un ruolo di spalla ridicola paragonabile a Cico nella serie dell'uomo della scure, cosa inaccettabile visto la caratterizzazione ben specifica fatta da G.L.Bonelli agli esordi. "Carramba y carrambita" mi verrebbe da imprecare citando il simpatico pancione nolittiano, fa ancor più storcere il muso vedere il vecchio ranger fare figure cosi barbine a soli pochi numeri dalla splendida performance descritta da Boselli nel suo capolavoro di esordio. Non pervenuto il villain principale, una vera e propria comparsa e tutto sommato non brilla nemmeno Colbert come antagonista. Discreta la scena, resa molto bene da Civitelli, della fuga lungo i cunicoli della fogna, che lontanamente mi ricorda l'espediente di fuga di Jean Valdjean con Marius ferito sulle spalle in uno dei momenti catartici dei "Miserabili", Il voto finale anche stavolta deriverà dalla media aritmetica del 6 alla sceneggiatura e 10 ai disegni. Il mio voto finale è 8
  20. A quasi un anno di assenza, il nome di Nizzi tornò a fare capolino tra i crediti di una storia di Tex. Dopo un inizio di centenario contraddistinto da svariate innovazioni stilistiche e di contenuti, lo sceneggiatore riappare sulla serie con un episodio alquanto tradizionale e convenzionale. Il soggetto, sebbene non del tutto originale, viene ottimamente sviluppato nel primo albo, con una sceneggiatura degna e dei siparietti molto esilaranti, tipo la spassosissima scazzottata sulla nave. Col proseguo, si palesano le difficoltà di un autore in crisi. La storia rimane accettabile, ma perde mordente e diviene molto prevedibile. Ho sempre trovato interessante la scena del faro, ma l'epilogo con il risveglio del vulcano, a dire il vero mi fa storcere un po' il muso. Che i villain fossero alquanto scalcinati è conclamato, ma che usino la dinamite dentro la bocca di un cratere è da idioti all'ennesima potenza. Anche la gestione dei quattro pard non è ottimale: visto la quasi inconsistenza di Tiger e le poche tracce lasciate da Kit, tanto valeva "lasciarli in tribuna" usando una similitudine calcistica. A dire il vero, Nizzi partecipa a modo suo alle fiera delle trovate innovative, abbozzando una love story fra Piccolo Falco e Linda Colter, che definire fiaccamente platonica è altamente riduttivo. Non sarebbe stato male osare un po' di più, ma evidentemente l'autore non se la sentì di forzare la mano. La presenza di Gross Jean aggiunge valore all'episodio, anche se come spesso accadde nelle sceneggiature del buon Claudio, per troppo tempo rimane fuori gioco, imprigionato dal cattivo di turno. Tirando le somme, episodio accettabile e leggibile, ma senza grandi picchi e molto scontato in alcuni snodi narrativi, prova tangibile di una crisi creativa e d'identità di un autore, stanco dopo aver brillantemente tirato da solo il carretto per circa un decennio. Purtroppo, mi duole dirlo, escluse alcune piacevoli eccezioni, il livello qualitativo di Nizzi non riuscirà più a pareggiare il suo apice dell'età d'oro del centenario 300. A chi se non a Fusco poteva essere affidata una storia ambientata nelle innevate foreste dello Yukon? Il grande disegnatore, sfodera un'ennesima prova di spessore, mostrandosi campione indiscusso nelle ambientazioni nordiche. Molto efficace la sequenza grafica del faro, come trovo stupende le sue foreste imbiancate e scene dinamiche di agguati fra slitte e piste innevate. Il mio voto finale è 7
  21. Condor senza meta

    [410/411] Orrore!

    Seconda e ultima prova di Michele Medda sulla regolare. Come avvenuto all’esordio, l’autore sardo spiegò le vele della sua fantasia alle correnti dell’innovazione, che spiravano allora sulla serie del famoso ranger, tirando fuori un thriller avvincente con uno spunto di soggetto, quello del killer seriale, piuttosto inedito per la saga. L’episodio si mostra ben scritto e congegnato; con molta abilità lo sceneggiatore guida il lettore fra le pagine, sviandolo con maestria e inducendolo a sospettare man mano dei vari personaggi che affollano la trama. A turno i sospetti cadono sul violento proprietario del saloon, sul becchino, sul commesso dell’emporio, passando pure dal vice sceriffo Nebraska e addirittura su Herbert Addison, tornato sulla serie dopo pochi numeri, ma su questo ravvicinato ritorno mi soffermerò più avanti. Merito di Medda è proprio quello di riuscire a celare fino all’ultimo l’identità del folle killer e spiazzare tutti col colpo di scena finale: sfido chiunque a sostenere di aver intuito il colpevole prima dell’epilogo! Non male il ruolo di Tex che, nei panni di sceriffo a "tempo determinato", conduce, con buona dose di acume investigativo, le indagini relative ai misteriosi omicidi e fronteggia facilmente l’assalto di Holden, prepotente di turno a dire il vero poco caratterizzato. Proprio il boss locale è il protagonista della sottotrama che funge più che altro di riempitivo alla vicenda e per sparigliare le carte, visto che proprio per colpa dei suoi sgangherati sgherri, il lettore finisce col stimare e parteggiare per la figura dell’emancipata e coraggiosa Sally, subendo un contraccolpo notevole alla resa dei conti. Dato il discreto esito anche di questa prova, stupisce che a Medda non venne più data occasione di continuare il suo lavoro sulla saga, forse il suo stile innovativo e i suoi spunti di soggetto arditi, non tranquillizzarono Bonelli, sempre attento a tutelare la tradizione del personaggio nelle vesti di editore, un po’ meno in quelle di sceneggiatore. Elencati i fattori positivi della storia, mi soffermerò su quegli aspetti che mi hanno convinto un po’ meno. In primis l’idea di recuperare il giornalista Addison, evidentemente creatura cara all’autore, e trasformarlo di colpo da piedidolci imbranato a spalla perfetta per Tex. Questa scelta mi ricorda vagamente ciò che fecero le sorelle Giussani con Gustavo Garian all’esordio di Diabolik, dove il giovane rampollo da vittima al primo episodio, diviene di colpo investigatore privato e braccio destro di Ginko per svariati numeri. Una simile leggerezza narrativa, se nel caso del personaggio dell’Astorina può essere perdonata trattandosi di un’ingenuità figlia delle origini della testata, stona un po’ in una serie rodata e pluridecennale come quella di Tex. Simpatiche le varie macchiette disseminate nella narrazione (vedi per esempio il barbiere mio conterraneo ) e la figura di Nebraska come vice di Tex, ma il sottoscritto comunque sente la mancanza di Carson in storie come questa, inutile girarci intorno. Anche la ripetitività di alcuni dialoghi salta subito all’occhio: una bella frase antirazzista sul colore del sangue pronunciata da Nebraska, viene sciupata dall’autore quando la fa ripetere pure alla giovane prostituta. Qui un piccolo editing sarebbe stato utile . Pure l’analogia con Jack lo squartatore, nata forse da un veto della redazione al soggetto originale, finisce con l’apparire un po’ forzata. A mio avviso la trama avrebbe funzionato anche senza questa premessa, che suona solo come un espediente per ricacciare dentro la figura del giornalista detective Addison. Letteri mostra un lieve calo qualitativo e paga forse una sceneggiatura poco adatta alle sue caratteristiche stilistiche. Concordo perfettamente con chi prima di me sostiene che una storia simile, affidata a un disegnatore più “dark” avrebbe reso molto di più in termini di pathos e impressioni visive, purtroppo non avremo mai la controprova. Oltre questa considerazione, non si può non notare che alcune tavole cominciano ad apparire approssimative e alcuni errori anatomici più ricorrenti; nel complesso la prova grafica rimane ancora sufficiente ma il tratto del grandissimo disegnatore romano, sarà destinato a regredire inesorabilmente nelle prove successive. Il mio voto finale è 7
  22. Perfettamente d'accordo con entrambi i commenti. Ho sempre ritenuto "Il Passato di Carson" un'autentica pietra miliare della serie. Anche Berardi debuttò col botto con "Oklahoma", altro classico che occupa un posto privilegiato nella scala delle mie preferenze, e personalmente rimane il rimpianto di non averlo più potuto apprezzare sulle pagine del nostro amato ranger. In quanto a Medda, come già scritto nel commento di "Bande rivali", ritengo che avrebbe potuto benissimo far parte della squadra degli autori, ma l'esordio, sebbene di buona fattura, a mio avviso non può competere con i due gioielli prima citati.
  23. Correva l’anno 1969 e una giovane band rock, i King Crimson, pubblicava all’esordio un capolavoro destinato a divenire la pietra miliare di un genere; settembre 1994, esordisce su Tex scrivendo un capolavoro, uno sceneggiatore destinato a tracciare nuovi sentieri narrativi, fondamentali per l’imprescindibile modernizzazione della saga. Una similitudine poco attinente? Forse; tuttavia il nocciolo della questione sta nel fatto, che esordire con un capolavoro è da predestinati! Evitando di soffermarmi sulla precisazione che Boselli avesse già collaborato con Bonelli alla stesura di un precedente episodio un decennio prima, si può tranquillamente affermare che il “Passato di Carson” rappresenti uno dei picchi insuperati dell’attuale curatore e a mio avviso rientra nel dorato olimpo delle storie più belle di sempre. Boselli con un colpo di genio, studia una trama splendida che tiene il lettore incollato alle pagine dalla prima all’ultima vignetta. Ottima l’idea di sviluppare sulla prima parte un flashback del passato del vecchio cammello per poi destinare nella seconda, lo scontro finale dei nostri contro la famigerata banda degli Innocenti. Molto originali risultano alcune scene, quale il progettato agguato del gemello Dobbs nel salone del barbiere o tutto il campionario di messaggi in codice, tra bandane rosse, strette di polsi e caratteristiche frasi di riconoscimento. Ma ciò che più colpisce l’attenzione di ogni lettore, è la straordinaria caratterizzazione dei personaggi e una sceneggiatura molto fresca e serrata, che garantisce molto pathos e tensione. I numerosi villain sul sentiero della vendetta, appaiono molto ben assortiti e tratteggiati magistralmente. Grimes, Boone, Waco Dolan, Larry il contabile, Jonny Lame lo zoppo e così via dicendo, rappresentano una ricca lista di personaggi che arricchiscono la trama e ci mostrano l’ottima fantasia dello sceneggiatore. Una nota a parte merita Ray Clemmons, un furfante “grigio” che realmente mostra sprazzi di sincera amicizia verso l’antico nemico/fratello e che riscatterà la sua figura con un atto eroico nel finale. Già dalla prima prova Boselli mostra la sua grande abilità nel creare personalità complesse e ricche di sfumature caratteriali, degne di un manuale di psicologia. Che dire poi dei nostri eroi? Duri, autentici, coraggiosi e molto decisi! Ammetto che essendo da sempre un fan di Carson, rischio di essere troppo di parte, visto che nessuno come Boselli in questo episodio, riesce a far brillare di luce propria il ranger dai capelli d’argento. Per una volta l’ottimo Tex si ritrova a essere una spalla preziosa per il suo vecchio amico, per l’occasione deciso, indipendente e risoluto come non mai. Molto coraggiosa ma azzeccata la scelta di far apparire nella saga personaggi come Lena e Donna; una vecchia fiamma del “vecchio reprobo” la prima, la presunta figlia la seconda (potrei pure togliere l’aggettivo mi sa!). In soli tre albi l’autore infarcisce di tante innovazioni la serie, ma lo fa con classe e bravura, tanto è vero che il suo debutto non suscitò la rivolta inferocita dei fans tradizionalisti in massa, anzi ancora oggi viene ricordato come un insuperato capolavoro. Che dire poi per l’ottima suspense che aleggia nell’ultimo albo, con uno scontro finale a cardiopalma e molto commovente. Una storia che rileggo regolarmente ogni anno da più di vent’anni e ogni volta è un tuffo al cuore. Una prova perfetta, senza pecche, che ha segnato indelebilmente la saga del nostro amato ranger. Parte di merito dell’eccezionale successo dell’episodio va pure agli ottimi disegni di Marcello, un disegnatore molto utile e prezioso, che instaurò un’intesa perfetta con Boselli. Un binomio di artisti collaudato e di valore, che creò una sequenza di episodi di altissimo livello; storie indimenticabili che fecero innamorare me e molti altri lettori e che ancora oggi vengono ricordate con emozione. Il mio voto finale è 10
  24. A pochi mesi dal debutto sulla regolare, Canzio replicò, riprendendo un soggetto di Nizzi abbandonato durante lo stallo creativo. Il riempitivo che ne venne fuori, rispetto all'accettabile prova di esordio, dal mio punto di vista, deluse non poco. L'episodio per ampi tratti pare un raccontino da libro Cuore, con l'orfanello perseguitato, il saltimbanco dal cuore d'oro, il nonno scassinatore ma religioso, la "fatina buona" che diventa un marshall dopo la morte dell'amato marito, uomini crudeli e spietati che schiaffeggiano il bimbo e lo chiudono al buio con i topi. Oltre il soggetto un po' atipico e poco texiano (non a caso si afferma che Nizzi per l'occasione avesse riciclato un suo spunto per Larry Yuma), ciò che influisce non poco sulla mia valutazione non positiva, è la lentezza della sceneggiatura che, aggravata da dialoghi a tratti verbosi, rende noiosa la lettura. Poco azzeccate poi alcune scelte narrative, una su tutte la figura di rimbambito che fa Carson quando viene disarmato come l'ultimo dei citrulli (Canzio riesce nelle sue due uniche storie a renderlo "macchietta" peggio di come lo mostrava Nolitta e ce ne vuole, davvero!) o la scena poco plausibile del duello fra Tex e Snake Joe: come faccia un uomo armato di pistola a farsi fregare in quel modo da un avversario con un'ascia, è un mistero. Altro che villain crudele, un avversario simile merita la palma di idiota del secolo . Anche l'enigma del messaggio cifrato appare forzato. Il vecchio scassinatore fa tanto per rendere difficile il ritrovamento del bottino e lo nasconde a due passi da casa? La scimmietta intelligente dell'incipit avrebbe trovato immediatamente il denaro! Poi che dire dell'incredibile lezione biblica di un Tex che sembra indossare per l'occasione, i panni del più saccente Martin Mystere? Nota alquanto stonata; ci sta che il nostro mostri un'intelligenza fuori dal comune, ma dalle nozioni che ci snocciola, pare che sia un seminarista nato! Ho pure trovato molto crudo il modo con cui i nostri si sbarazzano degli sgherri di Henteline nei pressi della missione: passi che si liquidi a distanza la sentinella con un coltello lanciato, presumibilmente a tradimento, per non allarmare i nemici asserragliati nella cripta, ma non capisco come Tex possa sparare per uccidere Indio, che gli dà le spalle mentre tenta di salire la scala a pioli! Può darsi che esagero nel dare peso a questa situazione, ma onestamente mi pare non rientri nella mentalità di Tex. Una delle poche note positive, la caratterizzazione del vecchio saltimbanco che mi ricorda vagamente Hursus dell'Uomo che ride di Hugo, e la presunta complicità fra Tex e la bella marshall che porta un po' d'innovazione nella saga. Per ovvie ragioni, l'autore non approfondisce la cosa, ma il seme fu comunque piantato e mostrò come il vento del cambiamento cominciasse a spirare su alcuni aspetti ferrei della saga. Un po' stucchevole, invece, il tentativo in poche pagine di riabilitare la figura di Henteline: scelta ripetitiva e meno probabile in questo contesto. (A dire il vero mi aveva convinto già poco con Calavera nel precedente episodio, figurarsi qui!) Letteri se la cava egregiamente, ma un po' di stanchezza si comincia a percepire nello svolgere della trama. Il livello è ancora più che accettabile ma ben presto, l'involuzione di tratto dell'infaticabile disegnatore romano, si farà palese. Il mio voto finale è 5
  25. Condor senza meta

    [403/404] Bande Rivali

    Con Nizzi fermo ai box, l'inizio del centenario 400-500 offrì l'occasione di sperimentare nuove firme sulla serie ammiraglia. Subito dopo il debutto di Canzio, toccò a Michele Medda cimentarsi con la saga del celebre ranger. Per un personaggio in cui la tradizione è la spina dorsale, due new-entry consecutive, rappresentarono quasi un record. L'autore sardo sfornò all'esordio una storia notevole, mostrando una buona dose di coraggio. Forse proprio l'aver osato troppo in alcune scene, lo penalizzò oltremodo nei giudizi dei lettori e ciò non gli giovò per la riconferma. Personalmente ho sempre apprezzato l'episodio, sia per lo spunto originale, ma soprattutto per l'ottima sceneggiatura quasi cinematografica e per la buona resa dei tanti personaggi che agiscono tra le scoppiettanti pagine. Una lettura interessante, molto scorrevole; un buon intrigo, ben condito da intrallazzi politici e colpi di scena. Anche i due pards (tralasciando alcune situazioni alquanto forzate), risultano ben attivi e riconoscibili. Sotto questo aspetto, reputo molto più attinente la caratterizzazione di Medda rispetto a quella consueta di Nolitta, purtroppo l'autore pagò lo scotto per l'aver perso di vista le linee guida della serie e alcune scelte troppo "all'avanguardia" fecero storcere il muso allo zoccolo duro dei lettori, molto restio a metabolizzare in così poco tempo tutte queste novità. Fosse accaduto oggi, forse un debutto simile avrebbe suscitato meno scalpore, ma allora i tempi erano ancora troppo immaturi per poter proporre situazioni un po' al limite come la vista di un bordello, o un west alquanto crepuscolare e disincantato, che poco si confaceva alla consuetudine. Tuttavia molto ben congegnata risulta la rivalità fra i Pinkerton e Tex, così come appaiono ben caratterizzati i componenti della banda Chase e molti vari comprimari, passando dal vecchio Addison, allo sceriffo, da Sam Pickett a Orso che Corre, da Layla al giovane scribacchino Herbert. Un campionario di personaggi molto ricco e variegato. Unico grosso scivolone di Medda, il colpo basso di Tex nel duello con O' Bannon: passi che il nostro possa incontrare un avversario alla sua altezza, ma ricorrere a un simile stratagemma per ribaltare la situazione, non è da lui. Pure alquanto forzata la collocazione geografica, che stride un po' con il tema del livore fra sudisti e nordisti. Questi due aspetti, uniti alla scena poco felice che vede Tex quasi soccombere sotto il piccone della incartapecorita ma' Chase, influiscono ad abbassare la valutazione di un episodio tutto sommato ben strutturato. Col senno di poi Medda avrebbe potuto far parte della squadra di autori di Aquila della Notte ma rappresentò l'uomo "tutto sommato" giusto al momento sbagliato. Capitolo disegni: Blasco si esibì nella sua ultima prova sulla serie. Sebbene siano ben visibili molte correzioni redazionali, bisogna ammettere che il suo congedo fu di pregevole fattura: forse favorito dalla tematica e l'ambientazione che si sposò perfettamente col suo tratto o per merito di una sintonia con Medda migliore rispetto a quella fin allora mostrata con Nizzi, fatto sta che sfornò una prova notevole, a mio avviso una delle sue migliori su Tex. Il mio voto finale è 7
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