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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Scrivere oggi questo commento, non ha lo stesso valore di una recensione fatta al tempo dell’uscita della storia: il fatto che allora si sapesse che fosse il commiato di Nizzi dalla serie, che lo aveva visto protagonista per più di trent’anni, creava uno stato emotivo particolare, perché è indubbio che, al netto di un brusco calo qualitativo negli ultimi anni di carriera, il contributo dell’autore di Fiumalbo fu consistente e importante. Una generazione di lettori, fra cui il sottoscritto, si è forgiata con le storie di Nizzi, (senza ovviamente rinnegare l’opera straordinaria di Gian Luigi Bonelli che per ovvie ragioni, rimane e rimarrà sempre impareggiabile) e il sapere che l’autore si apprestava al pensionamento, un po’ di magone lo metteva. A dire il vero, visto l’esito fallimentare di prove come “I fratelli Donegan” o “Oltre il fiume”, partorite in un momento d’involuzione creativa senza precedenti, il pensionamento doveva essere anticipato di qualche anno, ma rifacendosi al detto che è inutile piangere sul latte versato, quello che ormai era stato non si poteva cambiare. Oggi, col senno di poi, possiamo stabilire che quello di allora fu solo un arrivederci, visto il recente e dignitoso ritorno, ma nel 2013 non era ipotizzabile un tale evento e ogni lettore si apprestò a leggere “L’oro dei Monti San Juan” con la convinzione di non dover più vedere il nome di Nizzi stampigliato nei crediti delle storie. Per la prova di “addio”, il buon Claudio optò per un soggetto classico e molto affine ai suoi cavalli di battaglia; niente di trascendentale e molto simile ad altri spunti del passato, ma l’esito fu decisamente accettabile e lontano dai punti bassi toccati nella sua fase critica. È pur vero che il ring dei potenti, in fin dei conti poco mette in difficoltà i nostri e la prova si snoda soprattutto sull’azione dei volontari di Hermann, che su commissione, sequestrano un’intera tribù Utes per favorire gli sporchi affari della gang degli affaristi. La sceneggiatura fila via liscia e non annoia; Tex e Carson se la cavano brillantemente, senza mai apparire realmente in difficoltà, tuttavia la prova è priva di “piccionaggini” e snodi altamente forzati e questo basta, considerando la media nizziana di quel periodo. Anche i dialoghi tornano a essere coloriti e abbastanza efficaci e giunti al termine, sebbene consci di non trovarsi dinanzi un capolavoro, si rimane comunque soddisfatti. Il debutto di Filippucci sulla regolare è positivo, soprattutto considerando la bellezza dei sfondi paesaggistici tratteggiati con sapienza dal disegnatore. Poco convincente a tratti la rappresentazione grafica di Tex (decisamente migliore quella di Carson IMHO), ma nel complesso una buona prova. Filippucci dimostrò la sua duttilità stilistica che gli permise di realizzare un buon western, dopo anni spesi con Martyn Mystere tra le affollate vie della popolosa Manhattan; autore dalla linea chiara e tratto pulito, che comunque appaga la lettura con vignette dinamiche e leggibili, peccato solo per la sua nota lentezza di realizzazione che lo costringe a lunghi intervalli tra un’apparizione e l’altra sugli albi della saga. Il mio voto finale è 7
  2. Per dimostrare di non essere prevenuto con Faraci, visto la media bassa dei voti che di solito attribuisco alle sue prove nelle mie recensioni, chiarisco fin dall’inizio che la storia in questione raggiunge una sufficienza stiracchiata . Ciò non significa affatto che sia soddisfatto, visto che la delusione rimane, poiché reputo che l’autore aveva tutte le carte in regola per far bene su Tex, ma stranamente si è infilato, episodio dopo episodio, in un sordido vicolo cieco. Anche per “L’inseguimento” vale lo stesso appunto mosso ad altre sue sceneggiature, un soggetto troppo basilare e poco esaltante che alla fine porta a un episodio lineare e con pochi colpi di scena. Faraci pecca di poca fantasia a mio avviso e il desiderio di rischiare poco, lo porta a rimanere ancorato a un canovaccio ripetitivo, che alla lunga stanca alla grande. Pochi sussulti, poco intreccio, azione a volontà ma troppo fine a se stessa, sparatorie lunghissime ma poco incisive e la ripetuta assenza dei pards. A dire il vero per stavolta inserisce Tiger e tutto sommato lo caratterizza bene, come non sfigura la figura di Vince Stanton, un antagonista abbastanza tosto, tuttavia dedicare tutto il primo albo al suo inseguimento a distanza, con tanto di salvataggio dagli Apaches, per permettere ai nostri di farsi condurre al covo della banda, è un po’ esile come spunto. “Tre peli ha il porco, il porco ha tre peli” recita un detto delle mie parti per descrivere la ripetitività di azioni o argomenti e si sposa perfettamente con l’opera faraciana su Tex, visto che le sue storie, se vivisezionate con attenzione, mostrano tutte un andazzo simile e questa non fa eccezione. Non del tutto azzeccato l’inserimento dello scalcinato gruppo di cowboys sulle tracce di Stanton: fino a un certo punto si pensa possano essere spinti da motivi più solidi nella loro caccia, ma quando nel secondo albo apprendiamo che cercano solo la taglia e la vendetta per lo sgarro subìto, cascano le braccia, così come delude il capo banda Fraser, che promette mare e monti all’inizio ma si perde nel proseguo della trama e soccombe nella prevedibile (e immancabile) sparatoria finale. Originale l’epilogo con l’insolita cattura di Stanton, che chiude un episodio sufficiente ma non più di questo. I disegni di Mastantuono, rimarcano lo stile consolidato e nella loro spigolosità, rendono abbastanza in tema di dinamicità e resa. Molto ben realizzate alcune espressioni facciali, in special modo nei brutti ceffi, qualche incertezza su Tex, ma al contempo un Tiger accettabile. Tratto nervoso e abbastanza sporco, un po’ fuori dagli schemi per la saga, ma molto migliorato col tempo, difatti reputo che l’autore, sebbene dividendo molto la platea dei lettori, abbia ampiamente meritato la conferma nella squadra titolare della serie ammiraglia. Il mio voto finale è 6
  3. Condor senza meta

    [627/628] Salt River

    La mancanza di tempo mi ha impedito di scrivere la presente recensione subito dopo la rilettura degli albi e questo un po’ inciderà sulla stessa; parecchi dettagli e particolari che si notano durante la lettura, col passare del tempo sfumano e di conseguenza, anche l’esito del commento ne risente. Tuttavia, non volevo esimermi di scrivere le mie considerazioni sull’episodio e provare di esprimere la mia valutazione nel modo più coerente possibile. La prima cosa che mi viene in mente appena conclusa la storia è una citazione di Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce". Infatti il giovane Kit, coinvolto in maniera inaspettata da uno stato di forte attrazione verso l’affascinante Sarah Curtiss, perde lucidità e incappa in un errore dietro l’altro. La storia per forza di cose è incentrata su di lui e toccherà proprio a Piccolo Falco per l’occasione togliere la centralità della scena all’illustre padre. Il Kit Boselliano è il pard meno conforme alla tradizione, e quest’ulteriore prova lo conferma. Al giovane abile e coraggioso (ma meno scavezzacollo) e troppo succube del padre, si aggiunge una discreta dose di ingenuità, dovuta forse pure al sentimento nato nei confronti della subdola Sarah, che lo porta però a cadere in trappole troppo telefonate, evitabilissime con un minimo d’intuizione. Sia ben chiaro, preferisco l’umanità di Piccolo Falco in questa storia, rispetto ad altre sue apparizioni boselliane, ma indubbiamente qualche incongruenza appare. In fondo l’opera di ammodernamento della saga di Borden passa pure da questi aspetti, infatti credo sia voluta una caratterizzazione originale del giovane pard che lo allontani dalla pura copia del padre. Scelta innovativa e tutto sommato comprensibile, sebbene però rimango convinto che tra i pard è quello che a Boselli riesce meno bene scrivere. Tiger e Carson boselliani sono un paio di gradini sopra! Chiusa questa parentesi, l’epilogo è quasi scontato con la giovane Sarah che presa dalla simpatia del giovane Navajo si redime e gli salva la vita e credo sia auspicabile un suo ritorno sulla saga, sebbene valga per lei lo stesso quesito di Alyson Sydor: quale spunto può indurre l’autore a prendersi una simile gatta da pelare? Il coinvolgimento emotivo in una saga come Tex è pericoloso come una carica di dinamite e non è un caso che, quelle poche volte in cui gli autori lo hanno abbozzato, lo stratagemma della morte delle “dolci metà” è andato per la maggiore. La storia mi è comunque piaciuta, grazie a una discreta opera di sceneggiatura e intenso ritmo narrativo, scandito dall’azione dei nostri pards, che come motori a diesel dopo essersi riscaldati, è divenuto impossibile arrestarli. Al buon esito ha contribuito alla grande Andreucci, un artista con i controfiocchi. Il suo debutto su Tex è eccellente e mostra un professionista dal talento innato e dotato di una fortissima personalità stilistica, fattore non di poco conto nella valutazione di un fumettista. Forse il suo Carson è un po’ atipico, ma per il resto trovo davvero superba la sua prova, scandita da un ottimo dinamismo e uno stile espressivo ed elegante. Si nota pure una buona dose di affiatamento con Boselli e ciò non stupisce visto che i due autori già da tempo avevano affinato l’intesa su altre serie. Andreucci regalerà in seguito ancora grandi soddisfazioni ai lettori con il suo pregevole texone e personalmente, non vedo l’ora di leggere la sua interpretazione grafica per il ritorno di Barbanera. Credo che mi toccherà pazientare, ma nell’attesa coglierò l’occasione di apprezzare i suoi vecchi lavori e ribadire la mia forte stima nei suoi confronti. Il mio voto finale è 7
  4. Se Nizzi tagliò la presenza di Tiger per il motivo da te accennato (e relegò in "panchina" pure Kit visto la sua assenza) la svista della mancata correzione della lettera di Jim fu sua. Con un po' più di attenzione, l'incongruenza poteva essere facilmente rimediata. In ogni modo, cose che capitano!
  5. Rileggendo di recente questa storia, mi è saltata all'occhio una strana incongruenza di sceneggiatura in cui incappò Gianluigi Bonelli: nella lettera di convocazione di Jim Brandon, la giubba rossa esorta Tex di trascinarsi con sé l'intera banda, ma di fatto, poche tavole dopo, è lo stesso ranger a imporre a Kit e Tiger di rimanere alla riserva. Essendoci un'espressa richiesta di Jim, si presume che la missione fosse decisamente delicata, ma Tex stavolta se ne infischia del consiglio dell'amico e mi sembra un comportamento più unico che raro nella serie. Ciò che mi stupisce non è tanto l'errore del grande Bonelli, comprensibile in fondo alla sua veneranda età, bensì il fatto che la redazione (e Nizzi nello specifico che fu incaricato di limare e revisionare la sceneggiatura in questione) non si accorse dell'incongruenza. E' acclarato che Letteri ha dovuto ridisegnare molte vignette aggiuntive per l'adeguamento della sceneggiatura e molti altri interventi grafici redazionali sono facilmente visibili, di conseguenza sarebbe bastato pochissimo a cancellare la frase incriminata dalla lettera e risolvere il tutto. Purtroppo il "folletto malefico del refuso", vero terrore di ogni revisore, è sempre in agguato!
  6. E’ nota la regolarità di rendimento di Ruju sulla serie, così come è altrettanto risaputo che finora, al netto di una buona media qualitativa, sia mancata all'autore la zampata che gli permettesse di comporre il suo capolavoro western. L’episodio in questione rimane finora uno dei punti più alti della sua carriera su Tex: una prova notevole e molto valida, ma che comunque, a mio avviso, non può fregiarsi dell’appellativo di “capolavoro”. Lo spunto di soggetto è davvero originale e molto accattivante, d’altronde su questo aspetto Ruju si è sempre mostrato una vera garanzia, come si fa molto apprezzare pure il lavoro svolto sulla psicologia di Padre Clemente, un ex bandito “fulminato sulla via di Damasco” dopo aver rischiato la pelle con uno scontro con Tex. Proprio le azioni di Guillermo Blanco, catalizzeranno le attenzioni del lettore e lungo la trama, quando il passato gli chiederà conto e metterà alla prova la sua conversione, ipotizziamo tavola dopo tavola l’entità della sua vocazione. Da una superficiale analisi, potrebbe pure apparire un po’ forzata la svolta repentina di vita dell’ex bandito, tutto sommato l’autore costruisce sui due albi una solida impalcatura psicologica su cui si basa la caratterizzazione del suo personaggio e tirando le somme, riesce alla grande, creando quello che sulla saga è uno dei suoi personaggi meglio riusciti. Non viene nemmeno meno la centralità dei due pards, comunque importanti nell’economia della trama, un po’ altalenanti i dialoghi e le scelte di alcune scene, una su tutte quella di Carson, che colpito alla mano da una pallottola, perde solo le redini e non riporta altri danni, potendo riprendere subito dopo a sparare, come se nulla fosse. Il ricatto su cui Gallardo basa il suo piano, può pure funzionare narrativamente e ho trovato intensa la scena finale, con Padre Clemente morente, che torna ad abbracciare i due ragazzini e sancisce con il suo sacrificio la sua conversione al bene. Pazienza se l’arco temporale sia un tantino forzato, così come fatto notare da altri prima del mio commento, possiamo considerarla una piccola licenza narrativa. Molto efficaci e vagamente poetici i titoli che danno nome ai due albi e nel complesso la prova di Ruju, riesce perfettamente a coniugare spunti di originalità con scene dal sapore più più classico; a tal proposito emblematico l’uso delle didascalie, scomparse dalle sceneggiature dai tempi del primo Nizzi. L’Ortiz che si apprestò a realizzare graficamente la storia, era ormai un maestro del fumetto in piena parabola discendente e ciò lo si nota perfettamente nelle 220 tavole, con anatomie approssimative, fattezze dei personaggi abbastanza tirate via e sfondi paesaggistici abbozzati, sebbene sempre molto ad effetto, tuttavia il suo proverbiale tratto sporco e dinamico si rivelò ideale per la narrazione e la perfetta caratterizzazione grafica di Guillermo Blanco, riscatta alla grande gli aspetti negativi prima accennati e fa prendere quota alla sceneggiatura. Un colpo di coda non indifferente di un grandissimo artista che, come ammesso in altre occasioni, ho sempre molto stimato per via del suo black style, anche quando la sua involuzione lo ha costretto a toccare tratti alquanto bassi. Il suo contributo sulla saga ha comunque lasciato il segno e l’Ortiz dei tempi migliori mi manca molto su Tex. Il mio voto finale è 8
  7. Condor senza meta

    [623/624] Braccato!

    Se ogni volta su due piedi non riesco mai a ricordare una storia di Faraci, un motivo c’è e la mia recente rilettura dei vecchi albi me lo ha palesato. Dopo un promettente inizio, l’autore si è proprio smarrito, perdendo di fatto la strada maestra. “Braccato” l’avevo completamente rimossa dalla memoria e di certo non mi stupisco: un episodio alquanto noioso e scialbo che riempie due albi ma che non entra mai nel vivo. Una costante nella narrativa di Faraci su Tex è la presenza di soggetti esili e troppo poco elaborati per la serie ammiraglia. Certo, anche uno spunto meno corposo e poco originale può essere trasformato in una buona prova se corredato da una sceneggiatura all’altezza, ma nel caso specifico questo non avviene minimamente. L’autore cerca da attingere dal suo bagaglio d’esperienza, d’altronde il mestiere non gli manca, ma l’esito ottenuto appare troppo piatto e poco coinvolgente. I ritmi sembrano troppo dilatati, forse per via di un soggetto non idoneo a riempire le 220 tavole canoniche. Ho sempre avuto l’impressione che Tito, abituato su altre serie caratterizzate da un numero di pagine inferiori, su Tex trovasse difficoltà ad articolare trame più ariose. Pure i dialoghi sembrano ridotti all’osso e l’eccessiva azione, invece di aggiungere adrenalina nella lettura, finisce con lo stancare. Ma su questo aspetto tornerò più avanti. La sistematica mancanza dei pard accanto al ranger si rivela un’ennesima aggravante: può starci qualche volta, ma non reputo ideale optare sempre per una simile situazione, si snatura un po’ la saga a mio modo di vedere e anche il protagonista ne risente. I vari e improbabili alleati che trova per strada, non potranno mai eguagliare i pards storici e alla lunga assistere a questa sfilza di carneadi accanto a Tex mi snerva. Che poi se ti chiami Boselli e hai nel tuo dna artistico l’innata capacità di dipingere con perfezione gli aspetti caratteriali delle comparse, è un conto, si da invece il caso che spesso Faraci si mostra deficitario su questo aspetto e la storia che sto recensendo ne è la prova, visto che sia i villain che il sergente e il bonaccione Rufus sono solo abbozzati e non lasciano il segno. Se a tutto questo aggiungiamo la scena nell’epilogo, in cui Tex prima si fa tramortire alle spalle da un avversario non all’altezza e dopo, riesce “miracolosamente” a riprendersi per sventare un secondo assalto, si può facilmente intuire i motivi per cui la storia per me si attesta ben lontana dalla sufficienza. Capitolo flashback: anche qui l’autore ne inserisce uno, ma poco aggiunge alla narrazione e rischia solo di apparire un mero riempitivo di tavole. Unico sussulto della trama, l’esplosione che fa credere al lettore che l’ex sergente e il “diavolaccio” Rufus possano essere stati sacrificati per dare un tocco drammatico alla vicenda, ma non sarà così e ci verrà pure spiegato in un ennesimo ed evitabile flashback come i due personaggi scampano la morte, donandoci un piatto lieto fine. Troppo poco davvero per una storia sulla regolare! Ciò che invece abbondano (fino a strabordare!) le scene dedicate alle sparatorie. Mi son passato il tempo a quantificare le pagine e su 220 totali, almeno una settantina sono state riempite da vignette zeppe di “Bang Bang”; decisamente troppe, a maggior ragione se le sequenze non creano un minimo di suspense e sembrano susseguirsi per inerzia senza coinvolgere il lettore. Degna la prova grafica di Del Vecchio, sempre molto pulito ed elegante. Rispetto alle storie precedenti ho riscontrato una lieve flessione, soprattutto nella caratterizzazione grafica di Tex, tuttavia il suo stile mi piace molto e ripeto, che fra le “giovani leve” è uno dei disegnatori che preferisco. Il mio voto finale è 4
  8. Condor senza meta

    [621/622] Mezzosangue

    Il Ruju-bis confermò quanto di buono lo sceneggiatore fece al debutto della serie ammiraglia. La figura di Makua cattura l’attenzione del lettore e le sue scelte discutibili, che gettano le radici su un turbolento passato fatto di scherni e discriminazioni, non impediscono di familiarizzare con lui. Il desiderio di eccellere nell’uso della pistola trova la svolta con l’incontro fondamentale con il bieco comanchero Santos. Il messicano sconfitto da Tex, che manda in frantumi un suo carico di morte, si salva solo grazie all’aiuto del giovane mezzosangue e l’amico. In effetti, come già fatto notare da altri forumisti, i due albi sembrano quasi indipendenti: il primo si chiude con la morte di Domingo, indiano ribelle le cui gesta s’incroceranno con quelle di Tex e di Makua. Il giovane mezzosangue, rimasto solo dopo la morte del giovane amico ucciso da Domingo, decide di recarsi in Messico per ricongiungersi con Santos. Ruju pone un salto temporale di qualche anno e affida al secondo albo la sfida finale fra Santos e Tex, che vedrà il nostro eroe trionfare e risparmiare Makua, a cui viene offerta una seconda possibilità dopo gli errori del passato. L’autore si distingue per l’ottima caratterizzazione dei comprimari e questo aspetto è alquanto apprezzabile. Makua risulta un personaggio ben sfaccettato e si meriterà il ritorno sulla saga, Santos induce a credere che sia riconoscente al giovane mezzosangue e lo apprezzi, invece nel momento topico della sfida con i nostri, tradisce il suo allievo e rivela la sua animaccia nera. Buona prova di Ruju che confermò di essere adeguato sulla serie e di possedere il giusto mix tra classicismo e originalità di spunti, doti che gli permetteranno di essere ancora presente nella schiera degli autori texiani. Font per la prima volta prestò la sua opera a uno sceneggiatore diverso rispetto a Boselli, con cui ormai il sodalizio era ben affiatato. Consueta prova efficace e caratterizzata dal suo inconfondibile stile. Alcune anatomie dei nostri sono davvero troppo smilze e poco realistiche nelle proporzioni; i tratti caricaturali nelle espressione facciali non mancano, ma bisogna ammettere che il dinamismo delle sue vignette aiuta a far lievitare la trama e compensa alla grande gli aspetti negativi appena accennati. Il mio voto finale è 8
  9. Plausibile che possano aver riconosciuto Ruiz e decidere di mettergli il sale sulla coda, ma quanto meno in un caso simile, sembrerebbe ovvio sganciare qualche uomo dal plotone per raggiungere i fuggitivi e sincerarsi delle loro condizioni. Così come sceneggiato da Nizzi, la presenza dei Rurales diviene solo il sotterfugio narrativo per liberare i nostri dai bandidos di Ruiz. Sul ricatto di Oliveira, riconosco che è stato un pretesto per creare e sviluppare la storia, ma onestamente, rispetto all'esordio in cui il colonnello si era dimostrato un diabolico cospiratore, il piano che caratterizza il suo ritorno è un tantino debole a mio avviso e lo stesso Olivera perde molto del suo peso specifico. In quanto al possibile ritorno di Zamora, sono d'accordo con te, ci potrebbe pure stare, ma occorre un'idea adeguata, visto che il personaggio non possiede lo stesso spessore del suo ex alleato.
  10. Condor senza meta

    [618/620] Gli Schiavisti

    Il caso ha voluto che io rileggessi questa storia in contemporanea con l’uscita della storia attuale sui Netdahe, così ho avuto l’occasione di rispolverare personaggi come il tenente Castillo e i suoi sottoposti della Guardia Rural. Una coincidenza particolare e piacevole che ha contribuito a farmi maggiormente apprezzare la vecchia prova boselliana degli schiavisti del Messico. Borden si giocò la tripla per l’occasione e l’esito tutto sommato fu valido, soprattutto nei primi due albi a cui segue un terzo un tantino calante. La consueta sceneggiatura ben scritta e il soggetto interessante con l’organizzazione agli ordini dell’infido colonello Ramos, che non esita a comprare schiavi da sfruttare nelle sue miniere, rende piacevole la lettura, avvalorata da una buona prestazione dei pards e degli immancabili personaggi di contorno, fra cui spicca, come sopra citato, la figura del simpatico tenente Castillo. Boselli inoltre si diverte a spiazzare il lettore, inserendo di colpo la presenza di un inaspettato villain, Espectro, che rappresenterà una sottotrama slegata dal contesto ma abbastanza carica di azione. In effetti il villain non risulta molto caratterizzato e sembra richiamare vagamente la figura del “Maestro” visto il suo modus operandi. Anche la sua fine risulta alquanto affrettata, per lasciar spazio poi al vero epilogo dell’episodio. Scelta particolare di Boselli, usata molto anche da Bonelli nelle sue pioneristiche storie, ma che funge da arma a doppio taglio, visto che l’azione del folle Espectro poteva essere benissimo usata per una storia a sé. Buona la tenuta sulla lunga distanza di Seijas, incisivo e puntuale nelle sue vignette. Confrontando gli albi di allora, con l’inedito attuale si apprezza l’inevitabile evoluzione del tratto, ma traspare ancora la buona qualità dell’artista argentino, una delle punte di diamante della “legione straniera” di disegnatori impiegati sulla saga. Il mio voto finale è 7
  11. Prima vera stecca di Faraci, a mio avviso. Può sembrare un giudizio troppo perentorio il mio, tuttavia rileggendo la sua quarta prova sulla saga, non posso esimermi da esprimere un parere non del tutto positivo. Ancora una volta l’autore opta per la scelta di far agire in solitaria Tex, scelta che può essere pure legittima, ma che andrebbe alternata; evidentemente la gestione contemporanea dei pards non era nelle sue corde. Altro aspetto non lusinghiero, l’ennesimo soggetto scarno e poco originale per riempire una doppia. La trama scivola via troppo piatta e prevedibile, con alcuni snodi forzati e la noia regna padrona. La banda Torrence onestamente non parrebbe così ostica da creare tanti grattacapi a Tex, che si prende la briga di scortare uno dei fratelli, acchiappato all’inizio della storia con estrema facilità. Eppure sarà proprio così, visto che il resto del soggetto gira attorno alla scorta del ranger, che giunto a fort Kearny ha l’amara sorpresa di trovarlo sguarnito. Già appare strano che si lascino solo sei uomini in un fortino per una missione, ma che poi questo accada proprio all’arrivo di Tex è una coincidenza sospetta, per usare un eufemismo. Non del tutto funzionale nemmeno la presenza del passaggio segreto, sconosciuto ai militari ma, guarda caso, noto a un bandito. Snodo narrativo che pare studiato ad hoc per alimentare il povero spunto di soggetto ma che, col senno di poi, poco incide, visto l’incapacità dei banditi di sfruttare l’effetto sorpresa e la schiacciante superiorità numerica. Lo scontro decisivo è una sequenza lunghissima di spari e avversari colpiti, che onestamente a me urta un po’, disturba la lettura e non si rivela una sequenza appagante per il lettore, che rischia di perdere il filo ed essere indotto a scorrere in avanti le pagine, visto che nell’economia della trama il susseguirsi di tali vignette è quasi nullo e pare un allungamento di brodo evitabile. Prima prova scialba e poco ispirata di Faraci, preoccupante campanello d’allarme per ciò che accadrà all’autore nel proseguo della sua opera su Tex. Di contraltare, buona la prestazione grafica dei gemelli Cestaro, che esaurita la positiva gavetta sulla serie, sfoderano uno stile possente e incisivo e anche la caratterizzazione di Tex risulta alquanto migliorata, seppur tendente troppo all’imbronciato. In anni in cui l’ingresso di nuove leve nella squadra texiana furono all’ordine del giorno, i due disegnatori campani, giunti già alla quarta storia, sembrarono già affidabili veterani. Il mio voto finale è 5
  12. La storia in questione è l’esempio lampante di come si possa cucinare una squisita pietanza western, utilizzando i soliti ingredienti. Boselli d’altronde si è rivelato un ottimo cuoco in questo senso e non a caso, allora come adesso, è l’autore che meglio riesce a coniugare innovazione e tradizione. La rivalità fra compagnie ferroviarie è un classico nella narrativa western, tuttavia la sceneggiatura di Borden non corre mai il rischio di apparire troppo scontata o prevedibile. La gara a costruire per primi lungo lo stretto passo, tra sabotaggi, pallottole e colpi bassi costituisce un ottimo contorno alla vera pietanza scodellata ai lettori, ovvero la criminosa attività dell’ATS, che agli ordini della bella “dark lady” Bethanie Marsh è disposta a tutto pur di sconfiggere la compagnia concorrente. Eclatante l’eccidio di Gleen Plains che emerge dalle indagini dei nostri e chiarisce da quale parte si annidi il marcio. Non manca il classico personaggio boselliano, ovvero Mondego, un killer prezzolato ma con il senso dell’onore ben radicato. Stavolta però Borden spiazza il lettore, visto che sui titoli di coda invece del consueto ramoscello d’ulivo fra Tex e simile antagonista, pone un duello serrato che porrà la parola fine alla carriera del professionista della colt messicano. Molto ben caratterizzato pure Norton, che col proseguo della trama scopriamo sia il vero committente di Mondego per vendicare i genitori uccisi dagli spietati piani dei Marsh. Bethanie è un villain che lascia il segno: affascinante, fredda come il ghiaccio e decisamente spietata. Un’antagonista valida a cui l’autore dedica una fine a effetto e che mostra pure segni d’umanità nel suo rapporto d’attrazione con il piacente Norton. Non entro affatto in merito a eventuali critiche sulla scena galante fra i due, visto che è sceneggiata con classe da Boselli e non essendo minimamente volgare e fuori le righe, la reputo adattissima pure a una saga troppo “puritana” come quella del ranger. Proprio Tex e Carson sono comunque il valore aggiunto della prova, sempre in prima linea, spumeggianti, decisivi e molto ironici. Piccola divagazione: visto la quantità di bistecche ingurgitate da Carson nella storia, il rischio di un’indigestione fu alto, ma a parte le battute, Borden ci mostra due ranger affiatati, granitici e senza sbavature e questo giova molto alla riuscita dell’episodio. Buoni i disegni del debuttante Leomacs, non trascendentali ma efficaci alla narrazione. Qualche lieve incertezza nelle fattezze di Tex ma pecche veniali che non inficiano un buon debutto. Nel bellissimo prologo, mi par di notare che il ricco messicano e il pistolero nemico di Mondego, che cadono nella trappola di quest’ultimo, sembrano essere un omaggio che il disegnatore fece a Zaniboni, visto che somigliano molto a Slattery e Coburn del texone “Piombo rovente”. Il mio voto finale è 8
  13. Condor senza meta

    [Texone N. 36] La vendetta delle ombre

    Seppur in ritardo, son riuscito a gustarmi l’atteso texone di Borden e Carnevale. Di solito evito di commentare una storia dopo averla letta una sola volta, ma stavolta farò un’eccezione, anche se mi soffermerò più sulle sensazioni suscitatemi dalla lettura che sulla trama vera e propria. La prima impressione è nettamente positiva e d’altronde mi sarei stupito del contrario, visto che, essendo amante del genere, attendevo con ansia la storia in questione. Il lavoro di Boselli sulla sceneggiatura è certosino; costruisce tavola dopo tavola una sorta di oscura inquietudine che avvolge il lettore e lo catapulta su arcane latitudini. E’ proprio questa opprimente sensazione di ansia, che colpisce durante la lettura e ti fa esulare dal mondo esterno. La trama scivola via bene, e se, come fatto notare, qualche snodo narrativo può apparir e un po’ al limite, personalmente, immerso com’ero nel claustrofobico scenario creato ad hoc dall’autore (coadiuvato da un Carnevale superbo e adattissimo a dare volto alle ombre partorite dalla fervida fantasia di Mauro), non ho dato minimamente peso alla cosa. Forse ho riscontrato una lieve accelerazione nel finale, ma nel complesso sono molto soddisfatto. Il mistero che gravita attorno ai componenti del sanguinoso Carnivan è intrigante. Personaggi come la strega ragno o l’indiana affascinante dai poteri ipnotici, rientrano perfettamente nei canoni della narrazione gotica: chi sono, da dove vengono, da dove scaturiscono i loro poteri? Anche quel tocco di geniale lucidità che imperversa nella presumibile follia di Shado, o il dono della premeditazione di madame Zara, arricchisce la pietanza e attrae l’attenzione. La presenza dei freak e il carrozzone ambulante, mi ha poi rievocato il ricordo dell’ Uomo che ride di Hugo, sebbene Ursus è un personaggio ovviamente agli antipodi con Shado. Almeno di Tex non possiamo lamentarci in questo strano 2020: due texoni memorabili, destinati a rimanere a lungo nei cuori dei fans, però ammetto che, al netto di disegni superlativi di Villa, come storia preferisco “La vendetta delle Ombre”.
  14. Capita di rado nei miei commenti di anteporre il giudizio sul comparto grafico rispetto alle considerazioni sulla trama e la sceneggiatura; stavolta però mi sembra doveroso omaggiare come merita Piccinelli, poiché reputo straordinaria la sua prova. Già all’esordio il giovane artista aveva strappato i miei sperticati elogi, ma l’ottimo livello raggiunto nella storia in questione, lo ha immediatamente catapultato nel cerchio dei miei autori preferiti. Tratto pulito e curato nei minimi dettagli, ottima resa di visi ed espressioni facciali, sfondi da urlo e buona dinamicità narrativa. L’influenza “villiana” è tangibile ed essendo per me da sempre il buon Claudio il modello artistico per antonomasia, coerentemente, anche Piccinelli non può che rientrare nella lista della mia preferenza. Anche Borden contribuì a sfruttare appieno le qualità del disegnatore, affidandogli una sceneggiatura ideale per dar libero sfogo alla sua fantasia. Anche il soggetto è particolare e si fa apprezzare, con l’apparente doppia trama che si annoda sul finale. Il rapimento dei quattro piedidolci, destinati a divenire preziosi ostaggi per il capo Nez Percè nell’eventuale trattativa da intavolare con le giacche azzurre, forse è un po’ atipico per la mentalità dei nativi, comunque aldilà di questa piccola “licenza” di soggetto, risulta piacevole il rapporto di stima e rispetto che si instaura tra rapitori e rapiti, evidenziato soprattutto dalla bella amicizia nata tra lord Brunel (bel personaggio) e il marcantonio Tall Bull, un po’ ingenuo ma dal cuore d’oro. Si potrebbe tacciare l’autore di troppo buonismo, ancor più palesato dal finale “vissero tutti felici e contenti”, ma di tanto in tanto episodi simili sono ben accetti, almeno dal mio personale punto di vista. Di certo stavolta non si può contestare a Boselli di aver tolto centralità al quartetto dei nostri, sempre nel vivo dell’azione e in ottima forma. Azione e ironia non mancano e anche l’acume strategico di Tex è intatto, come sempre d’altronde nelle prove boselliane. Una pecca che ho riscontrato rileggendo l’episodio, il ritmo un po’ blando della prima parte, appesantita da dialoghi un po’ verbosi. Anche i villain non brillano oltremodo e, sebbene in superiorità numerica, non danno mai l’impressione d’impensierire oltre modo i nostri. L’epilogo con il temerario piano ideato da Yount, atto a sfruttare “l’alleanza” con la natura selvaggia della splendida location, mi è piaciuto e poco mi importa se può sembrare una scelta azzardata. Storia che si attesta nella buona media qualitativa di Boselli, lungi però da essere annoverata fra le sue migliori. Quantomeno con lo sceneggiatore meneghino al timone della saga, apparve subito chiaro che la continuità di resa fosse assicurata, ieri come oggi. Il mio voto finale è 7
  15. Condor senza meta

    [567/568] Dieci Anni Dopo

    Grazie Valerio e scusami per averti indotto in errore. In effetti sul mio post ho erroneamente definito mormoni i fratelli Grendon . Se ci fosse una graduatoria di refusi, il mio nome sarebbe in cima alla lista, mi sa. Ha fatto benissimo Carlo a far notare l'errore, perchè la differenza fra Mormoni e Quaccheri è sostanziale.
  16. In effetti hai ragione Carlo, il termine "parentesi", da me usato, non è del tutto adatto . Correggo, con "saltuaria presenza".
  17. La seconda prova di Manfredi sulla regolare, mantenne un buon livello qualitativo e per molti versi fu migliore e più amalgamata della precedente. L’autore stavolta optò per un classico soggetto western e riuscì a svilupparlo senza incappare nei cali del suo esordio. La figura del tenente Bigelow indubbiamente lascia il segno e, sebbene diserti e all’apparenza agisca da malfattore, attira la simpatia del lettore. Di contraltare il maggiore Newman, con quell’aria grama e viso da becchino, dà l’impressione di nascondere scheletri nell’armadio ed evidentemente non è simpatico nemmeno a Tex, che rifiuta eccezionalmente di bere in sua compagnia, adducendo alla futile scusa della calura (a me piace vederla così, ma forse l’autore ha semplicemente voluto stupire con una trovata originale). Su Newman non avremo più notizie, visto che Manfredi se lo perde per strada, spostando totalmente il baricentro della sua trama. Difatti con l’ingresso in scena della banda di desperados agli ordini del folle vanesio Pardo, le attenzioni dei nostri verranno più che altro attirate dalla caccia ai sanguinosi bandoleros e diviene prevedibile che Bigelow diverrà una sorta di alleato. Nel secondo albo il ritmo narrativo s’impenna e assistiamo a un susseguirsi di batti e ribatti nel villaggio di Los Buitres, con svariati voltafaccia e colpi di scena e gli avvoltoi a far da spettatori interessati alle varie contese. L’epilogo è amaro per Bigelow, che nell’intento di vendicarsi di Pardo, arriva persino a tramortire a tradimento Tex, ma non riuscirà comunque nel suo intento. Toccherà proprio all’inossidabile ranger scrivere la parola fine, spedendo all’inferno il sanguinario messicano. Buona prova di Manfredi, che viene definita da alcuni come la sua migliore sulla saga; forse è vero, tuttavia ritengo che, considerato il suo valore, l’autore possa fare molto meglio ma stranamente su Tex non riesce a esprimersi a pieno regime. Due gli aspetti che non mi hanno fatto impazzire durante l’episodio: il continuo mostrare della stella, come se un eroe del calibro di “Aquila della Notte” abbia bisogno di un simile distintivo per incutere rispetto ai banditi e alcune battute troppo da “Zelig” coniate da Carson nei vari siparietti. A dire il vero pure il primo colpo escogitato da Bigelow appare un po’ troppo semplificato: trattandosi di un “tesoretto” di cinquecentomila dollari, troppo facilmente la scorta affidataria passa il prezioso testimone ai disertori, senza nemmeno prendersi la briga di controllare. Piccole note negative che non bastano a rovinare la media della storia. Di certo Manfredi non ebbe da lamentarsi dei disegnatori con cui iniziò la sua parentesi sulla saga del ranger più amato; disporre di Civitelli e Ticci in prima battuta è il massimo per ogni sceneggiatore. Il maestro senese è da sempre sinonimo di qualità grafica garantita e non necessita ulteriori commenti, d’altronde è da tempo che ho esaurito gli aggettivi per descriverlo. Mi limiterò solo a citare due vignette verticali, che riassumono la classe innata di un “regista” perfetto, dal tratto dinamico e altamente espressivo: la vignetta doppia di pagina 58 e quella a pagina 98 (entrambi del secondo albo) sono da ammirare e studiare a lungo. La pura essenza del mestiere del fumettista. Il mio voto finale è 7
  18. Condor senza meta

    Il Tex di Boselli è veramente Tex?

    Whisky per tutti allora, ma di quello buono tenuto dall'oste sotto il banco e non il solito bruciabudella da due soldi. Pazienza, se poi si finirà tutti ebbri a tirar sedie e cazzotti, in caso facciamo intervenire lo sceriffo a sedare la rissa.
  19. Condor senza meta

    Il Tex di Boselli è veramente Tex?

    Visto l'orario, oltre al boccale colmo di birra, una bella bistecca alta due dita e sommersa da una montagna di patatine, me la "spazzolerei" volentieri. Ovviamente, non volendo approfittare troppo della generosità di Tim, il conto delle bistecche si paga alla romana.
  20. Condor senza meta

    La successione di G.L. Bonelli

    Leggendo i vari commenti di questo interessante post, sto provando una profonda sensazione: pare di vivere una di quelle classiche storie in cui tutti noi, attorno al fuoco di bivacco, apprendiamo dalla commossa voce di Mauro i ricordi del suo leggendario "maestro d'armi" e nostro indiscusso idolo. In ogni frase traspare la dolce malinconia per i bei tempi vissuti e il fortissimo rispetto umano, che va ben oltre la scontata stima professionale.
  21. Ho sempre reputato “Sulla pista di Fort Apache” una delle migliori storie di Boselli sulla saga, di conseguenza, appena saputo del ritorno di personaggi come Laredo e Parkman, fui molto trepidante e contento. Conservavo un ricordo positivo dell’episodio, sebbene non lo leggessi da tempo. Di recente, durante la mia rilettura cronologica degli albi del passato, son tornato a imbattermi in “Caccia infernale” e devo dire che le impressioni di allora, sono state in gran parte riconfermate. Ciò che mi ha un po’ stupito a esser sincero, l’enorme mole di messaggi nel topic apposito sul forum, con opinioni a tratti opposte fra i forumisti. Di certo, sebbene non reputi la presente prova all’altezza della precedente, non credo sia da buttare come sostenuto da alcuni, piuttosto se dovessi valutarla su due piedi, mi verrebbe da dire che si attesta abbondantemente sopra la sufficienza. Ma proseguiamo per gradi; Boselli per il sequel di Fort Apache decide di creare una trama ambiziosa da spalmare sui canonici tre albi. Il soggetto è alquanto variegato e se da un lato ci mostra un aspetto non del tutto innovativo, ovvero un profeta cha soggioga guerrieri rossi per spingerli alla rivolta, dall’altro si caratterizza con la scelta valevole di aggiungere l’eterogenea “posse” agli ordini dell’ex colonnello Cunningham sulle tracce dei seguaci di Revekti, dando vita di fatto a due azioni parallele, che donano alla trama un tocco in più. L’autore, seguendo il consueto stile, arricchisce le tavole con una folta di schiera di comprimari, che, se da un verso, come fatto notare, rischiano di defilare la figura di Tex, dall’altro rendono molto più ariosa la narrazione. Mi asterrò stavolta di citare i numerosi componenti della banda del colonnello e non mi soffermerò neanche sui motivi personali che spingono il feroce ex ufficiale sulle tracce del profeta, ma sposterò le mie attenzioni sui due personaggi tanto attesi: Laredo e Parkman. Borden chiarisce fin dalle prime tavole che il vero coprotagonista sarà proprio l’ex tenente, difatti Laredo agirà più da contorno ai nostri, deludendo un po’ a dire in vero, visto che il suo contributo sarà alquanto ridotto, mentre è molto ben delineata la connotazione di Parkman in questa avventura. Una scelta ben precisa che spiazza un po’il lettore, ma che analizzata attentamente, non è errata: su Laredo in fondo non c’era tanto da aggiungere dopo l’ottima prova di esordio e il rischio di riproporre una poca appetitosa minestrina riscaldata, era alto. Parkman invece veniva ricordato solo come l’odioso ufficiale ottuso e arrogante e sulle macerie del suo precedente fallimento è stato più interessante cercare di ricostruire una caratterizzazione caratteriale più accurata e profonda. Boselli, a mio modo di vedere, riesce nel suo intento, senza cadere nella trappola del buonismo. E’ vero che l’ex tenente in qualche modo si riscatta alla fine, ma rimane comunque un uomo abile ma molto complessato, controverso e fallibile. Pesa ancora in lui l’onta della precedente sconfitta, l’orgoglio lo spinge a reagire, ma non tutte le sue scelte si riveleranno azzeccate, tra le quali quella di accettare la missione del feroce Cunningham che lo porterà a contribuire a un’assurda aggressione ai danni di una piccola tribù inerme di Pima. Anche molto efficaci i flashback che rievocano la fine del suo fidanzamento con Liz, che ci mostrano un uomo ancora innamorato, che ha compreso i suoi errori e si è reso conto solo dopo averla persa, di quanto teneva a lei. In merito a Miss Starrett avrei gradito un maggior coinvolgimento anche di Laredo, che dopo averla sposata, in questa storia sembra quasi ignorarla del tutto. Capisco che non bisogna eccedere con la melassa nella saga di Tex, ma sembra passare il messaggio che l’ex rivale sia più innamorato dello scout e personalmente a me questo aspetto stona. In passato avevo espresso la speranza di un possibile ritorno anche di Liz sulla serie, ma Mauro mi ha chiaramente fatto capire che una tale ipotesi al momento è esclusa, ma coltivo ancora qualche esile speranza di ripensamento. Chiusa la parentesi sentimentale, torniamo al giudizio della storia: l’azione e la tensione narrativa non mancano e la lettura nel complesso è piacevole ma ammetto che, a differenza della “Mano del morto”, ho l’impressione che la gestione della sceneggiatura sulla lunga distanza delle 330 tavole, sia meno riuscita. Il ritmo cala un po’ nell’avvicinamento al covo del profeta per divenire troppo accelerato nell’epilogo e a tratti i dialoghi appaiono un po’ troppo verbosi. Anche la figura di Revekti rimane pressochè un personaggio di contorno, ma in fondo è una scelta dell’autore e può starci. Sull’evanescenza di Laredo mi sono in parte espresso, per ciò che riguarda Tex l’ho trovato meno brillante di altre occasioni, ma pur sempre idoneo, mentre Tiger si ritaglia fra le tavole un ruolo lodevole e ammetto che con Borden non è un caso che il pard indiano venga ampiamente rivalutato. Dovrei ancora menzionare la funzionale trovata della droga che genera dipendenza nell’esercito del profeta o il fascino paesaggistico della Sierra Madera, ma credo già di essere fuori tempo massimo e, non volendo rendere il mio commento troppo chilometrico e noioso, forse è meglio passare al comparto grafico dell’episodio. Il debutto di Ginosatis è da applausi; il disegnatore greco unisce dovizia di particolari a tratti sporchi, tipicamente western all’Ortiz. Buona la caratterizzazione dei nostri e dei comprimari e molto ben realizzati pure gli sfondi, con efficaci effetti puntinati che richiamano vagamente il maestro Civitelli. Dinamismo e bilanciamento dei neri non mancano nelle sue tavole e per essere un debuttante, se la cavò alla grande anche nella tenuta sulla lunga distanza. Autore che mi rapì immediatamente con il suo stile personale e dettagliato, peccato solo che non saranno tante le sue apparizioni seguenti sulla saga. Il mio voto finale è 7
  22. “Ancora tu, ma non dovevamo vederci più” cantava Battisti in una sua nota canzone e qui casca a fagiolo, visto che il ritorno ai testi di Nizzi, dopo il disastro di “Oltre il fiume”, non era affatto scontato e credo abbia fatto sbuffare molti lettori, considerato ormai il livello modesto delle sue prove. Non vorrei sbagliare, ma mi par di ricordare che “Attacco alla diligenza” fu l’ultima prova sulla regolare dell’autore di Fiumalbo prima del lungo stop, esauritosi da pochi mesi con l’inatteso ritorno in squadra. Valutando l’esito della prova, non mi stupisco neanche, visto che, sebbene non disastrosa come la precedente, è comunque, a mio modo di vedere, molto modesta. Cercherò di essere breve, per non tediare più di tanto i forumisti che avranno voglia di leggere il mio commento, tuttavia alcune impressioni suscitate dalla recente rilettura, non riesco a tacerle. Il soggetto non so come giudicarlo, di certo non originalissimo (mi sarei stupito del contrario in un simile contesto), tuttavia non del tutto malvagio e credo che se sviluppato adeguatamente poteva garantire una degna figura, purtroppo per il Nizzi di quegli anni era più facile cavare whisky dai sassi piuttosto che comporre sceneggiature avvincenti. Il coinvolgimento di Davis, la sua sparizione durante l’assalto alla diligenza, il mistero della missione sembravano presagire una piacevole avventura, purtroppo la scarsa ispirazione dell’autore era in agguato. Si assiste a una rapida sequenza di scelte narrative discutibili e ormai ricorrenti nelle storie di Nizzi: il provvidenziale incontro col cercatore d’oro che spiffera tutto ai due pards, mettendoli di fatto sulla giusta pista investigativa, la presenza del crotalo che aiuta Tex in un agguato, il trucco delle rondelle (già usato nel celebre texone di Ortiz), la presenza dell’ufficiale corrotto che già il lettore attento smaschera sul finire del primo albo. Un ulteriore buco di sceneggiatura che mi ha fatto arricciare il naso è l’inspiegabile atteggiamento dei cospiratori: il piano è quello di eliminare Davis e ci sta che si insceni tutta la messinscena della falsa rapina, ma al momento in cui il suo corpo non figura tra i caduti, perché non cercarlo? Visto la facilità con cui il generale viene soccorso dai Comanche, pare incongruente che un simile schieramento di forze nemiche, con tanto di generali messicani e spie, trascuri una così importante azione, rendendo di fatto vano tutto il piano. Pure tirata per i capelli la sequenza narrativa che vede i nostri sfuggire dalle grinfie dei nemici messicani a bordo della provvidenziale presenza della canoa (guarda caso!), per non parlare dell’incontro col generale avvenuto poco dopo, sempre per puro caso, al villaggio dei Comanches. Nessuna indagine, basta solo la confessione del sergente pelato per smascherare il colonnello Fairmont e quella che doveva essere una gatta da pelare si trasforma in fondo in ordinaria amministrazione. Molto poco reso pure il coinvolgimento emotivo di Tex, che agendo per gran parte della storia convinto della morte dello stimato amico, lo si aspettava più amareggiato e deciso, mentre qui pare proprio accettare il tutto troppo passivamente. L’epilogo con la fuga di Dug Tracy che se la fila alla chetichella mentre i nostri vanno a cena a festeggiare con Davis, è un mattone sullo stomaco. Ma dico, quando mai Tex mostra così tanta leggerezza con i nemici? Il gaglioffo la farebbe tranquillamente franca se non fosse per il diverbio con gli ex alleati messicani, e i nostri lo sapranno solo dopo mesi per lettera. Siamo su scherzi a parte? 😅 Passi (e non troppo) che non si possa far molto contro l’ufficiale messicano golpista (una lettera a Montales no?), ma trovo assurdo che i nostri se ne freghino altamente di assicurare alla giustizia Tracy, che in fondo rappresenta una pedina importante della congiura. Lo sapevo, non son riuscito a essere conciso come mi proponevo, scusatemi. 😀 Ovviamente, riassumendo, è chiaro che la storia per me non raggiunge affatto la sufficienza. Rossano Rossi si riconfermò disegnatore preparato e affidabile; l’influenza civitelliana era ancora marcata nel suo tratto, ma rispetto al debutto, ho scorto una leggera evoluzione e maggiore personalizzazione stilistica. Di certo l’autore mostrò ampiamente di avere le credenziali adatte per illustrare il nostro amato ranger. Il mio voto finale è 4
  23. Condor senza meta

    [603] Faccia Di Cuoio

    Storia decisamente sottotono di Borden, ancor più evidenziata dal fatto che seguì episodi di tutt’altro spessore composti dallo stesso autore. Forse il fatto che fosse originariamente destinata a un almanacco ha influito o forse no, tuttavia non si può esimersi dal notare un calo di concentrazione durante lo svolgimento delle 110 tavole. Al netto di un buon prologo, che però diverrà troppo spoilerante in merito alla reale identità di “Faccia di cuoio”, il resto della trama avanzerà a rilento, con poco ritmo e, fattore molto strano trattandosi di Boselli, con qualche snodo narrativo un po’ confuso e forzato. Forse l’autore ha messo troppo carne sul fuoco, non riuscendo a cuocerla come si deve nell’esiguo spazio a disposizione, difatti si ha l’impressione che a tratti la narrazione non sia fluida come di consueto e ciò incide nella lettura. Non brillano stavolta le caratterizzazioni dei personaggi e trovo un po’ strano che Jackson aspetti dieci anni per tornare a fare visita ai suoi vecchi “amici” che lo lasciarono all’epoca solo alle prese del grizzly, scappando con le pepite. Veniamo a sapere che Faccia di Cuoio, non vuole vendicarsi di Scovill, anzi ha da tempo intrapreso una fitta corrispondenza epistolare, dunque non si capisce come mai durante il delirio lo stesso Scovill tema l’erculeo entrato, nella sua stanza. Lo stesso Ryan, divenuto ormai un boss potente di Sacramento, sembra strano che non sia a conoscenza del fatto che l’ex collega se la sia cavata e che sia divenuto nel frattempo, non si sa il perché, addirittura il capo degli indiani Modoc. Anche la sottotrama del tentativo di vendetta del cowboy Randy ai danni dell’odioso soprastante non viene approfondita abbastanza e non aggiunge molto alla storia, se non la buona scena dello stampede durante il suo fallito piano. Ricapitolando, un piccolo passo falso di Boselli, fisiologico dopo tante storie di qualità. I disegni di Torricelli rispolverano lo stile classicheggiante di Galep, molto caro agli affezionati lettori: alcuni primi piani di Tex sembrano davvero essere stati disegnati dal compianto artista sardo per quanto sono somiglianti, però proprio l’assidua imitazione del papà di Tex finisce col penalizzare il debuttante, visto che la sua prova pecca così di personalità stilistica. In alcune fattezze di Carson mi è parso di rivedere Muzzi e anche qualcosa di Gamba sembra apparire tra le vignette, un bel mix di classicità ben realizzato ma forse con una minore imitazione di tratto e maggior coraggio grafico, l’esito sarebbe stato migliore. Il mio voto finale è 5
  24. Condor senza meta

    [Texone N. 36] La vendetta delle ombre

    Spesso nelle mie zone è capitato che il lunedì i distributori non consegnino e oggi l'edicolante ha confermato questa ipotesi. A Catania forse è diverso. In ogni modo, per evitare la vana spola tra casa-edicola, credo che aspetterò direttamente martedì e taglio la testa al toro 😃. Mi consolerò nel weekend leggendo "Tex Willer" e proseguendo la mia rilettura dei vecchi albi.
  25. Condor senza meta

    [Texone N. 36] La vendetta delle ombre

    Nel mio caso @valerio, nessun problema 🙂. Anche se transitato in questo topic, non leggerò i commenti precedenti finché non avrò avuto modo di avere l'albo a mia volta. Una semplice strategia che attuo da tempo sul forum e che finora ha dato i suoi frutti. 🙂
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