"Oklahoma", letta a distanza di tanti anni dalla sua uscita, mantiene immutata la sua carica di fascino e di bellezza a tutto tondo. Berardi tratteggia una storia che definirei epica, a partire dal fatto storico narrato, ovvero la famosa Oklahoma Land Rush, e dallo sviluppo dell'intera vicenda. E lo fa talmente bene che ti fa incollare gli occhi alle pagine per tutta l'interezza del maxi albo. I personaggi (tra comprimari e villains) sono inevitabilmente tanti e riempiono la storia senza però rubare la scena a Tex, sempre in primo piano e protagonista assoluto. E' un Tex deciso, risoluto, senza il minimo tentennamento sul da farsi, pronto a battagliare per difendere i più deboli e contrastare le angherie e i soprusi dei "presunti" forti.
Forse sin troppo "carico", tanto da scatenare pure un'inutile rissa all'interno di Fort Bent.
E' anche un Tex senza fronzoli, senza inutili patetismi, come quando si confronta con la vedova Paxton:
"Il carro fermo ha costretto quegli avvoltoi ad avvicinarsi frontalmente. Altrimenti vi avrebbero teso un agguato in qualche gola e non sarebbe rimasto nessuno a raccontarlo" [dice Tex]
"Ma perchè? Che cosa volevano da noi?"
"Denaro, oro, suppellettili preziose. Qualunque cosa abbia un valore"
"Ma noi non abbiamo niente, solo un pò di viveri..."
"Da queste parti sono un motivo sufficiente per uccidere"
"Oh Dio, perché? perché?"
Alcune scene sono altamente evocative (tipo la sepoltura del colono Paxton) con una raffigurazione grafica abbastanza insolita, altre crude e che mi hanno messo un pò a disagio, tipo la bimba svedese trucidata barbaramente (si vedono solo le gambine, particolare che rende il tutto ancora più raccapricciante) e i tanti coloni che non sopravvivono alla folle corsa verso l'Oklahoma, novella terra promessa.
Insomma Berardi non ci risparmia nulla, come deve giustamente essere, ma, per fortuna, non tralascia i soliti siparietti gustosi tra Tex e Carson (splendida quella del coniglio) e neppure scene comiche all'interno di un contesto drammatico, come il vecchio Dick che si dimentica di caricare il fucile (puntandoselo poi in faccia per controllare perché non avesse sparato).
Il dubbio che mi resta di questo "Oklahoma" è il perchè sia stato ritenuto da Sergio Bonelli come un qualcosa di "estraneo" al normale canone del Tex che eravamo abituati a conoscere.
Nel volume "Come Tex non c'è nessuno" imputa come motivazioni "la presenza di un nutrito gruppo di comprimari tutti fortemente caratterizzati e il personalissimo stile narrativo di Berardi" ma, nello stesso tempo, asserisce che "il Tex di Giancarlo è estremamente fedele al classico modello bonelliano".
Boh, ci capisco meno di prima.
Ma, in fondo, chi se ne importa.
Berardi e Letteri (ancora in buona forma) ci hanno regalato un albo straordinario che ha inaugurato come meglio non si potrebbe la collana dei Maxi (e ne resterà, per quello che mi riguarda, il migliore per distacco) nonché una delle storie più belle dell'intera saga texiana.