Questa è una gran bella storia western di Nolitta, con un Tex in solitaria che si trova ad agire in incognito per sgominare ben due bande (di ladri d'argento e di spacciatori di whisky), in un'atmosfera crepuscolare da film western anni '70, con personaggi ambigui e ben caratterizzati, indiani abbruttiti dall'alcool, prostitute sfiorite, famiglie disfunzionali, delinquenti di mezza tacca, alcuni per necessità, altri per inclinazione o stupidità, un po' tutti "perdenti" in cerca di fortuna o di riscatto, oppure rassegnati al loro destino. (A me ha ricordato un po' come atmosfera e come varia umanità il film "I compari").
Un buon esempio di come si possa scrivere un Tex diverso dal solito ma rispettoso dell’originale, un giustiziere duro, di poche parole, più ombroso del solito, a tratti amareggiato per la miseria umana e sociale che lo circonda, ma comunque sempre deciso, determinato, "arrabbiato", astuto e comprensivo, simile a quello già visto ne “Il cowboy senza nome”, ancora di Nolitta, disegnato – non casualmente – da Nicolò. Anche lì c'era un bel personaggio di prostituta triste, come in questa storia Kate, la sfortunata e nostalgica ragazza bersagliata dal destino avverso ma ancora capace di tenerezza e coraggio. Così come l'indiano Wiyaka che nel finale riesce a trovare la forza e la dignità smarrite per ribellarsi a coloro che stanno distruggendo il suo popolo.
C'è da dire che in quegli anni non era solo Nolitta a fare, ogni tanto, un Tex più amaro del solito, immerso in situazioni altamente drammatiche e pessimistiche, perché anche GLB scriveva in quel periodo storie come "Linciaggio", ben poco allegra, oppure la cupissima il "Marchio di Satana".
Questo di Nolitta vuol essere un western d'autore, con un'anima, con situazioni e personaggi non banali, che ricordano le migliori pellicole del genere.
Molto diverso, per esempio, dalle successive storie di Faraci, che al confronto sembrano più che altro telefilm senza tanto spessore.