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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Non credo di fermarmi. La rilettura integrale dei texoni è pianificata, magari più avanti; credo infatti che prima farò qualche capatina nel primo centinaio della regolare, da me finora ignorato nei commenti sul forum. Vedremo, dipenderà pure dal tempo a disposizione e dagli stati d'animo.
  2. “Sembrava fosse un addio, invece era un arrivederci!” No, non è il titolo di un film di prossima programmazione, bensì la frase adatta per commentare l’inatteso, per certi versi, ritorno di Nizzi sulla regolare dopo alcuni anni di assenza. A dire il vero, il redivivo Claudio era già apparso su una buona prova breve sul color, subito seguita da una lineare, ma senza sussulti, nella medesima collana estiva destinata alle storie lunghe. Tuttavia l’attesa per il suo ritorno, per un lettore cresciuto con le sue prove, era alta, sebbene fossi consapevole che sperare che l’autore potesse tornare ai fasti del suo miglior periodo, era come voler raccogliere la luna dal pozzo. Tutto riprese da dove si era interrotto, ovvero con una collaborazione con Filippucci e per l’occasione, lo sceneggiatore di Fiumalbo opta per un soggetto “usato sicuro”, molto trito e ritrito a dire il vero. Dalle anticipazioni si ha l’impressione di una sorta di remake dei “Diavoli rossi” scritta trent’anni prima e in effetti la trama manca di originalità, ma la speranza che Nizzi riesca a partorire con mestiere qualcosa di accettabile, ti avvolge appena ti accingi a leggere le prime vignette. Pronti via, la prima sbandata: il bandito che snocciola a un oste qualsiasi tutte le sue malefatte, con tanto di omicidio di una moglie di sceriffo durante una rapina fallita, ha la stessa credibilità di un ruscello sulla luna. Storci il muso, ma vai avanti, sperando si tratti solo di uno svarione di passaggio. Nemmeno il tempo di rituffarti nella lettura, che subito s’incappa nell’ennesima debolezza dell’ultimo Nizzi, ovvero il Carson pensionato e imbranato, che si lascia sfuggire troppo facilmente Bulder. Qui ammetto di aver un po’ tremato all’idea, che la lunga pausa non fosse servita all’autore a rivedere certe sue lacune narrative che hanno caratterizzato il suo declino. A proposito: Tex che canticchia "Op là" dondolandosi dalla finestra non si può vedere! Manco fosse un anziano che si siede di scatto (e a fatica) sul divano . Chiusa la parantesi ironica, meno male che, con il proseguo dell’albo, il buon Claudio riesce a sistemare un po’ le cose di mestiere e, sebbene già si intuisce dove si va a parare una volta che i personaggi, seguendo binari autonomi, si ritrovano nella stazione di posta di Mezcali, si raggiunge il fatidico “Continua” stampigliato in fondo all’ultima vignetta di pag. 114, con la sensazione di aver letto un albo non trascendentale ma onesto. Purtroppo lo stesso non si può dire del secondo volume, dove la trama si scioglie pian piano come una granita dimenticata fuori dal freezer. Sulla totale mancanza di caratterizzazione degli antagonisti, se ne è già discusso a lungo. La banda dei Yaqui, lascia una miriade di guerrieri nella polvere, senza un reale motivo. Si è accennato alla carne di macello, a me invece danno l’impressione di quei alieni che appaiono nei videogame, che avanzano per inerzia e il giocatore stende uno dopo l’altro senza soluzione di continuità. Capisco che l’autore volesse indirizzare l’attenzione del lettore verso gli assediati, ma è poco logico che, dopo ingenti perdite, gli indiani s’incaponiscano a disseminare cadaveri senza mai farsi sfiorare dall’idea di ritirarsi e cercare prede più abbordabili. Chiedono pure rinforzi, ma per cosa? Per far aumentare le tacche nel fucile a Tex? Solo il consueto (e anche troppo!) arrivo della cavalleria disperde i quattro gatti rimasti. In effetti qualcosa di meglio l’autore poteva escogitare per giustificare l’assedio. Ma anche i personaggi che agiscono attorno a Tex, convincono poco. Sarà che negli anni il palato si è raffinato con le certosine caratterizzazioni boselliane, ma alcuni cambiamenti repentini di atteggiamento dei comprimari, spiazzano non poco. A esclusione di Bulder, che coerentemente rimane una canaglia e nel tentativo di evitare la forca, rischia il tutto per tutto, cadendo nelle grinfie degli Yaqui, gli altri, chi più chi meno, qualche “stranezza” la palesano. Il gambler, dopo aver dato l’impressione del poco di buono che recita la parte, pronto ad allearsi con Bulder per rubare l’oro al vecchio minatore, di colpo si converte e finisce da eroe. Masterson ci viene presentato come un “old timer” pieno di esperienza e infatti si stenta a capire come possa portare il suo tesoro bene in vista nella cintura, attirando l’appetito di Bulder e non solo. Pure la sua fine è ingloriosa: oltre la vigliaccheria del suo tentativo di fuga, si fa fregare come un pivello da Parson. Proprio l’attore saltimbanco stona più di tutti, con il suo finale da criminale e continue incongruenze nel suo agire. Giustificare le sue azioni per il dolore, dovuto alla morte della moglie, può funzionare fino a un certo punto, in effetti sono convinto, allineandomi al parere di altri forumisti, che il tutto è dettato dalla necessità del colpo di scena finale. Come poi possa esser sfuggito agli Yaqui è l’ennesima scorciatoia narrativa dell’autore per preparare l’epilogo. Buoni nel complesso i dialoghi, come discreto è il ritmo narrativo. Trovo poco incisive però le scene delle sparatorie. Zero pathos, nessuna variante, solo una serie continua di bang bang e urla di indiani straziati che ricordano le sparatorie Faraciane. Tirando le somme: sebbene lontani dalle ciofeche del livello di Ukasi e company, il ritorno di Nizzi è appena più che mediocre, tuttavia per questioni nostalgiche e affettive, arbitrariamente aggiungo stavolta mezzo voto in più per raggiungere una stiracchiata sufficienza. Un po’ sotto tono Filippucci. Nonostante il livello della prova sia idoneo, l’ho trovato un po’ meno performante del solito, forse anche per una presumibile fretta che lo ha portato a lasciare troppi sfondi bianchi e alcune vignette meno curate rispetto la sua media. Comunque lievi appunti che poco inficiano l’affidabilità dell’artista, che rimane sempre un disegnatore che riscontra il mio gradimento. I grattacieli di Manhattan gli riuscivano meglio, ma pure nel west si difende bene tutto sommato. Il mio voto finale è 6
  3. Dopo aver, in rapida sequenza, curato il ritorno di Proteus (noto trasformista nato dall’indimenticabile penna di G.L. Bonelli) e di Bowen, unico personaggio di Faraci reputato degno di meritarsi una seconda storia sulla saga, Ruju si è potuto dedicare al sequel di una sua creatura per l’universo di Aquila della Notte. Makua, il controverso mezzosangue che avevamo lasciato in carcere dopo l’ultimo duello con Tex, viene recuperato dall’autore, per dare un seguito alla sua vicenda personale. L’incipit ci mostra una scena atipica, con il nostro ranger che attende il giovane all’uscita del penitenziario, per saggiarne le idee e offrirgli l’occasione di una nuova vita onesta, lontana dai fallaci inganni di Santos, ex suo mentore. Le prime pagine scorrono con ritmo molto blando e fungono da preludio a ciò che sarà il cuore della narrazione. Tex affida Makua al suo amico Francisco, un anziano indiano che ha creato una comunità mista di nativi, pacifica, creata soprattutto da deietti ed emarginati che convivono serenamente nel variopinto villaggio. Proprio nel villaggio, Makua incontra l’affascinante Estrella e si convince a restare, illudendosi forse di poter realmente farsi una famiglia e archiviare gli errori del passato. Una simile comunità a dir il vero, seppur originale come spunto, lascia qualche dubbio come plausibilità nella vita reale nel selvaggio west, ma in fondo non è proprio questo aspetto a convincermi poco, bensì il fatto che Makua, nel tempo di dire amen, perde completamente la testa per Estrella e si sente già radicato nel gruppo a tal punto di considerarla quasi una famiglia. Una velocità sospetta che suona come una “brusca sterzata” imposta dall’autore per condurre la trama nella direzione da lui voluta. Passi che l’amore sia un forte tiranno e che difficilmente ci si riesce a divincolare dal suo potere, ma il colpo di fulmine istantaneo che coglie Makua non mi convince appieno e la stessa Estrella è poco caratterizzata, nel breve arco narrativo in cui compare. Tralasciando queste mie piccole perplessità, il povero Makua sembra un personaggio da annoverare nella lista dei “vinti” del celebre Verga, infatti per quanto ci metta buona volontà per dare una svolta alla sua vita, il destino si diletta subito a stravolgere i suoi buoni propositi. L’avversità del fato in questione è rappresentata dalla banda di predoni mescaleros, guidati dallo spietato Mateo, che intralcerà la pista del giovane mezzosangue, segnandola irrimediabilmente per sempre. La distruzione del villaggio di Francisco è alquanto scontata, così come è prevedibile a tal punto la reazione di Makua. A dire il vero la scena del cruento massacro, pecca un po’ di pathos a esclusion fatta della bella vignetta quadrupla di pagina 101, con il giovane esterrefatto dinanzi i corpi immobili delle vittime e le costruzioni fumanti, portando in braccio Estrella, ormai ridotta a un esile fardello senza vita. Nel primo albo Mateo ci viene mostrato come un notevole antagonista, spietato e molto seguito dai giovani guerrieri. Ruju sempre attento alle caratterizzazioni, inserisce molte scene per accrescere la figura carica d’odio del fratello di Domingo, alcune fine a sé stesse, come l’assalto al trading post, altre con più carica emotiva, vedi l’eccidio della giovane donna del ranch con successiva fuga nei boschi della figlia. Proprio quest’ultima sequenza è costruita bene e crea suspense, e l’apparizione improvvisa di un granitico Carson, viene accolta con un sospiro di sollievo dal lettore. In effetti la trovata è a effetto ma in fondo non si capisce bene cosa ci facesse il vecchio cammello lì, ma pazienza, anche questa è una lieve forzatura dell’autore per arricchire la sua sceneggiatura. L’episodio, a mio modo di vedere, perde moltissimo nel secondo albo. Già la scena dell’assalto al forte di Mateo, difeso a suon di dinamite da Tex e company non mi appassiona tanto, sia perché i mescaleros sembrano semplice carne da macello, ma anche per come è stata introdotta la sequenza: l’imbeccata dei giovani indiani pentiti che spifferano ai nostri i programmi di Mateo, puzza di trucchetto narrativo. Ma sarà proprio il crollo della caratterizzazione di Mateo a far scendere il livello della prova. L’apache perde tavola dopo tavola spessore e il lettore finisce col trovarsi di fronte un vigliacco da due soldi, che studia un cervellotico piano per distogliere da se l’attenzione delle giacche azzurre, ma soprattutto imbastisce una trappola che fa acqua da tutte le parti per sopprimere Tex. La sua fuga poi dinanzi il nemico durante il duello finale è davvero la ciliegina sulla torta. Con un villain così deludente perde tutta la storia e pure il finale agro di Makua, che sembra lasciare aperta una porta per il suo terzo ritorno, viene accolto freddamente. Storia da “zona Ruju”, ma niente di più. Il ritorno di Bowen, lo preferisco a essere sinceri. Purtroppo Font, anche stavolta, palesa un calo visibile nella sua prova. Aldilà dello stile caricaturale, che è la sua “calligrafia”, ho trovato le tavole meno curate e le sproporzioni ancor più marcate. Ormai il disegnatore iberico può essere considerato una colonna della saga e personalmente ho imparato ad accettare il suo tratto poco texiano, però ci sono storie in cui rende meno e il ritorno di Makua, è una di quelle. Chiudo il commento con alcuni curiosi refusi riscontrati durante la rilettura. Il primo è già stato fatto notare in un precedente commento, con Tex che a pagina 42 del secondo albo incappa in uno strano svarione di calcolo nella suddivisione degli avversari da affrontare. Subito dopo Carson chiede se deve prendere di mira quelli di destra o di sinistra e Tex specifica che si occuperà dei tre di destra, di conseguenza anche di Black Claw (il pard infatti gli consiglia di prestare attenzione visto che il capo sembra un tipetto velenoso). Adesso, visto che nell’ultima vignetta doppia di pagina 43 Black Claw è disegnato a destra di Tex, come mai nella pagina successiva il suo cavallo è colpito da Carson? Non doveva occuparsi degli altri tre? Anche nel riassunto che inaugura l’albo “La furia di Makua” si legge che Mateo trucida sia Francisco che la figlia Estrella, ma non era la nipote? Lo dichiara inequivocabilmente a Tex a pag. 39 dell’albo precedente. Errare humanum est! Il mio voto finale è 6
  4. Sono due storie molto diverse e un metro di paragone non è facile trovarlo. Il sequel con Bowen è un soggetto più classico, quasi scontato, visto che l'espiazione del pistolero, in fondo, non poteva essere diversa. Quella di Borden è molto più ambiziosa e fantasiosa. Ripescare simili personaggi o tematiche bonelliane non è mai facile e soprattutto, non riesce ad accontentare tutti i fans. L'autore riesce a sfornare una storia valida e divertente, ma ammetto, non ai livelli dei suoi cavalli di battaglia. Per risponderti: preferisco comunque il ritorno di Satania, quantomeno più imprevedibile, d'ampio respiro e disegnata meglio. Un errore comunque strano, anche ammettendo che Ortiz non conoscesse le fattezze di Mac Parland, quantomeno toccava a Nizzi citargli le storie precedenti, in cui lui stesso lo aveva inserito. Come è strano il fatto, che anche dopo il "misfatto" in redazione non abbiano deciso di correggere. Ci sta che si sia deciso di non fare ridisegnare tutta la sequenza, ma si poteva benissimo cambiare il nome al personaggio e dire che fosse un agente Pinkerton mandato da Mac Parland .
  5. Boselli si affaccia al nuovo centinaio con una prova alquanto ambiziosa. L’autore si “gioca la tripla” con un ennesimo ritorno eccellente (un quasi ritorno a dire il vero, visto che agirà la figlia, ma l’impatto nostalgico è intatto). Un salto nel lontanissimo passato, che ci riporta ai primi numeri, quando il grande G.L. Bonelli creò la famigerata Cora Gray alias Satania. Già il precedente con Lupe, ha mostrato le difficoltà di riproporre personaggi degli albori, tempi in cui Bonelli era liberissimo di sciogliere le briglie della sua fantasia, infischiandosene di plausibilità storiche e narrative e soprattutto ancora poco legato a paletti del suo personaggio, visto che la caratterizzazione di Tex era ancora un cantiere aperto. Le storie di allora hanno un fascino particolare, a volte possono apparire un po’ datate, ma di certo la fantasia prendeva il sopravvento sulla razionalità e quindi non stupiva la presenza di uno scimmione nel far west. Al giorno d’oggi, dopo sette decenni di pubblicazioni, certe situazioni richiedono una sospensione d’incredulità molto marcata nel lettore e spesso rischiano di dividere la platea dei fans. Con molto coraggio, Boselli accetta l’ennesima sfida e cerca di sfornare una storia che riesca a coniugare passato e presente, riportando sugli scudi il gusto dell’avventura. L’incipit è serrato. L’uccisione misteriosa dell’agente Pinkerton in missione, apre lo scenario alle indagini dei nostri, che tornano a collaborare con il fido Mac Parland (quello vero, non il clone irriconoscibile disegnato da Ortiz in una delle ultime storie di Nizzi ). Il lettore viene catapultato tra i quartieri di una fervente Los Angeles e nel cuore dei quartieri snob, agisce la setta del club dei tredici, guidata dall’inesorabile e arcano capo dalla maschera di cera. Borden confeziona una sceneggiatura molto Bonelliana, fra un agguato e l’altro e le indagini dei nostri, il primo albo si chiude con la scena del rapimento della giovane Joan Fisher, con l’enorme orangotango che fugge sui tetti della città inseguito da Tex, richiamando al celebre King Kong cinematografico. Il ritmo si mantiene alto pure nel secondo albo ma la storia cala un po’, a causa di una maggiore pesantezza di dialoghi e qualche pausa di troppo. A tal avviso l’innesto del bandito in male arnese che indirizza i nostri verso il covo della villain, suona un po’ di scorciatoia ma può essere benissimo accettata. La vicenda torna molto adrenalinica nell’ultimo albo, con un susseguirsi di agguati e colpi di scena senza soluzione di continuità. La voglia di stupire il lettore, a tratti porta l’autore a strafare un po’ e rendere troppo complicati alcuni passaggi, ma indubbiamente la lettura ti prende e la soluzione del giallo dell’identità della figlia di Satania tiene col fiato sospeso. Su questo aspetto Borden si diverte a sviare le previsioni, inserendo presenze femminili, quali la domestica o Lavinia, per confondere le acque e giocarsi il colpo di scena finale con la reale identità della villain. E’ ovvio che, come ogni buon giallo che si rispetti, la seconda lettura perde fascino, una volta che si conosce la soluzione, ma riconosco che durante la “diretta” l’effetto sorpresa è stato intenso. Prova che non può essere considerata un capolavoro, ma si presenta molto divertente e carica d’azione, che rievoca molto Bonelli e cita Salgari, impregnata com’è di fascino orientale. Malesi con cerbottane, belve asiatiche, droghe misteriose, tesori nascosti, desideri di vendetta, cunicoli sperduti, trabocchetti e trappole mortali, sette segrete, piombo a iosa: non manca proprio nulla per una lunga immersione nelle tumultuose acque dell’avventura. Effettivamente è un po’ strano che la giovane Fisher riesca dal nulla a creare un’organizzazione criminale così potente da assoggettare tutti i pezzi grossi della città, così come sembra un po’ eccessivo che il padre ignori ogni cosa. Anche molto forzata la scena in cui Tex, con un arto immobilizzato dal dardo col narcotico, riesca a sostenersi sul bordo della botola-trappola cercando di estrarre la colt. Un errore più che altro grafico, visto che nella vignetta doppia di pag. 27 pare proprio che Tex stia in piedi dentro la botola, ma ciò sconfessa il disegno di due tavole prima. Un po’ di editing in questo caso non sarebbe stato male. I nostri si divincolano molto bene, soprattutto Tex che mostra un acume investigativo molto affinato, Carson un po’ più lamentoso del solito per la media boselliana e anche Mac Parland appare più al centro dell’azione. Un personaggio quest’ultimo creato sì da Bonelli ma che in effetti ha avuto molto visibilità con la gestione di Nizzi e anche Boselli dimostra di non disdegnarne l’uso quando occorre. Lo sceriffo Rowland è ben tratteggiato: non è un’aquila ma in fondo è onesto e cerca di far il possibile per tenere l’ordine della sua città e dopo qualche “screzio” iniziale con i nostri, finisce con stimarli. Buono anche il lavoro sulla personalizzazione di Joan Fisher che tutto sommato si presenta come un’avversaria tosta e decisa e non stupirebbe un suo possibile ritorno sulla saga. Per ciò che riguarda il comparto grafico, eccellente lavoro di Benevento, che esordisce sulla regolare con una prova superba e di personalità. Una sceneggiatura molto complicata da tramutare in vignette, sia per la lunghezza che per le numerose situazioni dinamiche e molteplicità di ambientazioni. L’artista pugliese se la cava alla grandissima, soprattutto nel primo albo in cui la resa è notevole. Lieve e fisiologico calo sul finire ma il livello si mantiene davvero molto alto. Visto l’ampio campionario di belve e scimmie varie, non oso immaginare se una sceneggiatura simile fosse stata presentata al compianto Letteri! A parte l’ironia, anche la rappresentazione della numerosa fauna presente nella storia è ben realizzata graficamente da Benevento. Se “il buon giorno si vede dal mattino” con una coppia di debuttanti di lusso del calibro di Bocci e Benevento, il centinaio 700 si presenta davvero ottimamente e simili autori di talento non possono che non arricchire la saga e far felici le nostre pupille. Il mio voto finale è 7
  6. Sulla poco brillante parentesi di Faraci su Tex, si è parlato a lungo e non è in caso continuare su questo post, tuttavia, come fatto notare sull’apposita sezione, Kenneth Bowen risultò un personaggio abbastanza riuscito e non stupisce affatto se si decise di farlo tornare sulla regolare. Forse l’intervallo fra le due apparizioni è breve, magari proporre un sequel più avanti nel tempo non avrebbe guastato, ma in ogni modo le caratteristiche di Bowen, permisero lo spunto per un seguito, che di fatto integra e completa la prima parte. Stavolta ai testi non troviamo Faraci, ormai fuori dal giro di Tex, bensì Ruju, un autore valido e affidabile pure per simili ritorni. Lo sceneggiatore, reduce da alcune prove un po’ appannate, si calò bene nella parte e sfornò una storia accettabile, in netta controtendenza con l’andazzo delle ultime sceneggiature. L’ambientazione di Frisco offre sempre il solito fascino, anche se stavolta Tom Devlin si riduce a una semplice comparsa, così come Lefty Potrero che, tolta la rissa iniziale, lo perdiamo subito di vista. Tutta la vicenda, come prevedibile, ruota attorno alla figura di Bowen, osservato speciale da Tex e, almeno in apparenza, giunto a una svolta esistenziale conducente a una nuova vita onesta e in compagnia del piccolo Tim e Margie, la bella donna capace a far ribattere il suo cuore straziato dalle ferite del passato. Come ovvio, l’equilibrio non è destinato a durare, visto che ben presto le ombre del passato torneranno a galla e tutto verrà stravolto. Ruju è bravo ad arricchire il quadro psicologico del personaggio faraciano, usando sapientemente flashback e rimandi alla storia precedente. Anche i continui incubi di Tim, dettati dal suo inconscio che preme per urlare la verità sulla morte del padre, sono gestiti abilmente dall’autore, che con Margie, solita sua creatura femminile interessante, completano il quadro. Tex e Carson, almeno inizialmente, sembrano agire da spettatori, ma con l’incedere degli eventi, avranno l'occasione di dire la loro, anche se stavolta i fari sono principalmente rivolti su Bowen. A voler muovere una critica, forse la trama in sé è un tantino esile, visto che gira tutta intorno alla rapina che la banda di Sledge organizza per rapinare l’oro della banca, facendo leva sul ricatto a Bowen, dopo il rapimento di Tim e Margie. Tutto sembrerebbe prevedibile e lineare, fino all’interessante sorpresa finale: il lettore era portato a credere che la bella e perfida Lulah stesse servendosi di Ernie Gartside, per favorire Sledge e vendicarsi di Bowen, ma realmente è il direttore della banca a servirsi del bandito. L’epilogo è serrato e vedrà i nostri risolvere la faccenda. Non manca la cinica scena dei due amanti che nella difficoltà, si tradiscono e si fanno fuori tra loro, come non manca il sottile melodramma per la morte di Bowen, che sacrifica la sua vita per Tim e Margie, riscattando di fatto il rimorso di coscienza per l’uccisione del padre del ragazzo. C’è stata troppo fretta per seppellire Bowen? Davvero non poteva essere riutilizzato in una terza storia, magari incentrando la trama sul recupero del rapporto col giovane Tim, che appresa la verità, sembra rinnegare di colpo la fiducia nei suoi confronti? Forse! Tuttavia l’autore, a torto o a ragione, opta per far calare il sipario sul personaggio e riduce all’ultima tavola il perdono Tim. Storia tutto sommato piacevole che presenta comunque qualche forzatura narrativa, visto che è quantomeno sospetto che, dopo tanti mesi, il piano dei banditi prenda forma solo con la presenza dei nostri In città; anche le indagini un po’ all’oscuro condotte dai nostri all’inizio, senza eccessivi riferimenti, sembrano siano solo suggerite dal sesto senso e non da sospetti oggettivi, comunque è anche vero, che per sbrogliare le matasse narrative a volte è necessario qualche piccolo “trucco”, l’importante è sempre farlo in maniera non eccessivamente disturbante e senza violare eccessivamente la plausibilità. Torna Acciarino ai pennelli per garantire la continuità grafica con il capitolo precedente. Il disegnatore, alla terza e forse ultima prova sulla regolare, si mantiene su idonei livelli di resa, ma ammetto che, rispetto ai suoi precedenti, ho trovato il tratto meno curato e in alcune vignette si ha l’impressione di una certa fretta realizzativa. Niente di così “grave” da decretare un’ipotetica bocciatura, ma di certo una involuzione, dovuta forse a un calo di motivazione causato dalla sua decisione di non cimentarsi più in futuro con il personaggio. Spero comunque che si presentino altre occasioni per vederlo all’opera sulla saga di Aquila della Notte. Il mio voto finale è 7
  7. A dire il vero, leggendo i commenti di febbraio 2019 su questo post, già si accennava a una probabile decisione di Manfredi di lasciare Tex; lo stesso Monni (che è sempre molto informato) nel topic "Sei divise nella polvere" mi aveva risposto che la saltuaria presenza dello sceneggiatore sulla saga, in futuro non lo sarebbe più stata. E' Vero che Carlo non aveva specificato se il significato della sua frase fosse dovuto all'eventuale abbandono (poteva pure essere interpretata al contrario), ma rivedendo i suoi commenti di due anni fa su questo post, la prima interpretazione mi era parsa probabile. L'intervista in effetti non l'avevo affatto presa in considerazione, perchè è sottinteso che la pausa temporanea è dovuta solo al fatto che la produzione editoriale al momento è satura. Una serie di elementi che mi hanno portato a equivocare, ma sono ben lieto di essermi sbagliato e che avremo ancora modo di leggerlo su Tex.
  8. Nessun problema Mauro, niente lacrime! Anzi se mi confermi che la voce che circolava fosse infondata (la lessi da qualche parte sul forum in passato) posso solo essere contento, perchè Manfredi è un autore che stimo.
  9. Da Condor Senza Meta a Vecchio reprobo è un attimo!
  10. Appena tagliato il prestigioso e ragguardevole traguardo dei 700 albi della regolare, archiviati i festeggiamenti di rito, si è ripartito a spron battuto verso nuovi mete, ulteriori record e fantasiose avventure. Il nuovo centinaio si apre sotto il segno di Villa, che sfodera due copertine davvero straordinarie, che uniscono tradizione, colorazioni retrò e il consueto taglio spettacolare e moderno. L’immenso Claudio inizia così il suo quarto ciclo centenario di cover, avvicinandosi sempre più (ovviamente solo per ciò che riguarda le copertine della serie gigante) al compianto Galleppini. La mia stima per Villa è arcinota e anche se raramente lo cito nei miei commenti, sappiate che è solo per non ripetere righe e righe delle medesime lodi, stavolta tuttavia un piccolo accenno mi pareva doveroso. Ma torniamo alla storia in questione, l’esordio dell’ottavo centinaio è stato affidato a Manfredi e solo da poco ho scoperto che rappresenta una delle sue ultime prove sulla saga del ranger. Ammetto che spesso ho manifestato alcune perplessità sull’opera dell’eclettico artista su Tex, accresciute dalla mia grande stima nei suoi confronti, tuttavia il sapere che presto ci sarà il suo congedo, mi rattrista un po’ e anch’io spero che l’allontanamento sia solo temporaneo. Chiusa la parantesi delle mie riflessioni personali, anzi mi scuso per l’ennesima divagazione, riprovo adesso ad affrontare il nocciolo della discussione in merito all’episodio. Manfredi abbandona le tematiche prettamente western per affidarsi a un soggetto molto più dark e claustrofobico. Scorrendo il primo albo, la prima cosa che salta all’occhio è che l’autore sembra molto più a suo agio con simili spunti e la trama si dipana molto bene fra misteriosi personaggi e scene quasi horror. L’arcana Eztli, fin dalla prima comparsa, cattura l’attenzione e i suoi misteriosi poteri, capaci di comandare flotte di viscidi vampiri, la rendono, almeno all’apparenza, un villain di assoluto rispetto. La presenza del Morisco, le indagini dei nostri che li porteranno a incontrare un comprimario particolare come Il Negromante, le serrate sparatorie e le avvincenti scene che ritraggono i ripetuti attacchi dei vampiri, ci accompagnano fino al secondo albo, dove seguendo due piste parallele, sia Tex che i Rurales si accingono ad attaccare la temibile roccaforte della bruja e i suoi seguaci, per liberare gli archeologi rapiti e destinati al sacrificio umano. Manfredi non disdegna neanche stavolta a inserire una motivazione politica dietro l’azione dei fanatici, spinti dall’odio verso gli stranieri che calcano il suolo messicano per rubare reperti archeologi e nell’epilogo il lettore scoprirà che pure Ballard in fondo qualche scheletro nell’armadio sotto questo punto di vista lo possiede. L’azione non manca, ma il ritmo narrativo spesso subisce forti rallentamenti, scandito da dialoghi corposi e meno riusciti rispetto ad altre prove manfrediane. L’attacco finale oltre a consegnarci una resa troppo veloce per Eztli, nasconde pure il colpo di scena del suo dissolvimento, che prova al lettore ciò che tra le pagine si poteva intuire, cioè che la strega incartapecorita non sia del tutto umana. Il mio giudizio sulla prova è positivo, ma reputo che Manfredi, seppur con molta tecnica, non riesce a garantire quel pathos e tensione narrativa che Bonelli sfoderava in simili soggetti, tuttavia anch’io penso che la Regina dei vampiri sia una delle migliori storie dello sceneggiatore su Tex. Di certo va detto e sottolineato che grandi meriti vanno riconosciuti a Bocci, al suo esordio sulla regolare. Avete presente il proverbiale colpo di fulmine? Bene, proprio questa è stata la sensazione da me provata appena visto le splendide vignette. Il suo tratto molto dark e ricco di chiaroscuri fantastici mi ha letteralmente stregato. Le scene con i vampiri sono rese alla perfezione, gli sfondi notturni sono straordinari, la retinatura ben bilanciata dona slancio alle vignette. Avevo avuto poco modo di ammirare Bocci prima di Tex, ma dopo averlo visto in azione me ne pento. Un autore davvero talentuoso, che in queste tematiche fa fare un salto triplo di qualità alle sceneggiature. Forse la rappresentazione dei pards va un tantino migliorata, ma stiamo un po’ a far le pulci al cane: dinanzi a cotanto splendore grafico, muovere un simile appunto, è un po’ come lamentarsi di un piccolo foruncolino sul viso di Lucia Javorcekova. Chi diamine vogliate che noti quel foruncolo? Il mio voto finale è 7
  11. Condor senza meta

    Interviste Agli Autori

    Peccato che l'ipotetico romanzo di Borden sia destinato a sbiadire nel cassetto. Già dalle poche anticipazioni sfuggitegli, la mia curiosità è schizzata alle stelle. Zafon, l'ambientazione in una città misteriosa tipo Praga, il genere gotico: tutti aspetti che mi inducono a pensare che, rielaborati da un narratore talentuoso del suo calibro, possano garantire un'opera di notevole spessore. Spero ci ripensi e si decida a concluderlo, di certo la mia copia è assicurata. P.s. Intervista davvero interessante, è stato un piacere sentirla.
  12. Proprio quello Mac Parland. L'albo settembre 2008, che celebrava i 60 anni di Tex, fu per la prima volta pubblicato a colori e affidato alla coppia Nizzi - Civitelli. Dieci anni prima, come giustamente fatto notare da te, l'albo celebrativo, sebbene autoconclusivo, era nel canonico bianco e nero e realizzato da Ticci. Allora però Sergio Bonelli unì alla pubblicazione l'inserto "Le frontiere di carta", se non erro. I ritorni di solito li accolgo volentieri anch'io, tuttavia non ti nascondo che la rapida sequenza a cui abbiamo assistito (alla tua lista mancano pure Yama e Lupe dell'anno prima) mi fa pensare a un escamotage per fronteggiare un calo d'idee. Personalmente, come già scritto in un altro post, la rappresentazione del Tex giovane di Del Vecchio è quella che più preferisco e se anche un mostro sacro come Civitelli l'ha battezzata come riferimento, mi fa piacere. Credo che in tal senso Nueces Valley sia una pietra miliare e onestamente il compito di rappresentare un Tex adolescente (addirittura bambino in alcune scene) non deve essere stato affatto semplice per il disegnatore.
  13. Una serie particolare di coincidenze, ha fatto sì che il numero 700 capitasse a ridosso dei festeggiamenti del settantennale e soprattutto che durante l’albo, si potesse celebrare anche la tavola numero centomila della saga. Un numero davvero impressionante, che rappresenta in pieno l’incredibile successo di un personaggio intramontabile che continua a cavalcare sulle piste della fantasia dopo tantissimi decenni! La storia celebrativa fu ovviamente affidata all’estro creativo di Borden, mentre ai pennelli, Civitelli fece staffetta con il maestro Ticci: mentre dieci anni prima al senese toccò il 600 e all’aretino l’albo del cinquantennale, stavolta si invertirono i ruoli e a Civitelli toccò apparire nell’esigua lista di disegnatori apparsi negli albi centenari speciali a colori. Boselli sfruttò l’occasione per tornare a proporre uno spunto di soggetto inerente al passato del nostro amato ranger. Seguendo uno schema narrativo speculare a quello usato nell’Ultima vendetta, a un lungo flashback, che ci porta all’epoca del primo incontro fra Tex e Tesah, segue una breve vicenda svolta nel presente. Di certo la seconda parte paga le poche pagine a disposizione per permettere all’autore chissà quale intreccio, ma anche nella sua semplicità, non annoia e si fa leggere col piacere. Che Jimmy facesse il doppio gioco, mi fu subito chiaro, ma in fondo non era tanto semplice celare il mistero in così poco spazio, tuttavia lo sceneggiatore gli fa fare una fine brutale, quasi inattesa direi, e ciò bilancia la prevedibilità prima citata. Molto malinconico e particolare puro lo squarcio del passato, dove accanto al giovane Tex, torniamo ad ammirare al suo fianco, il tris di amici di gioventù Hutch, Vergil e Danmed Dick, in una vecchia vicenda molto serrata accanto a Orso Grigio e una giovanissima Tesah. Un’ulteriore tessera del complesso puzzle del passato del ranger che Boselli pone, riempiendo quei vuoti narrativi mai esplorati da Bonelli, che accanto alla nuova serie Tex Willer, aprono altri orizzonti e spunti nell’immenso universo senza fine del nostro eroe. Personalmente preferisco la presente storia rispetto all’albo del settantennale, ma ammetto che il numero 600 fu comunque superiore. I disegni di Civitelli non necessitano commenti, visto che la qualità grafica è sempre altissima. Tuttavia continuo a pensare che l’apprezzato autore aretino venga penalizzato dalla colorazione. Nulla togliendo alla discreta opera di Celestini alla tavoletta grafica, ma il multicolor penalizza il maestro dei chiaroscuri, costretto spesso a lasciar vuoti gli sfondi o abbozzare solo i consueti capolavori puntinati. La vignetta con le silhouette dei quattro che si stagliano nei vermigli raggi del tramonto è stupenda, come è da togliere il fiato la quadrupla con lo scorcio della Monumental Valley, comunque ammirare Civitelli in bianco e nero è una goduria che nessuna colorazione potrà mai eguagliare. Il mio voto finale è 7
  14. Grazie mille MacParland. Sai forse il voto in meno è dovuto al villain che, come scritto nel commento, non gode del mio assoluto gradimento e anche a qualche scena spettacolare, ma un tantino al limite (ad esempio nel teatro); però sul fatto che sia una gran storia e mi diverte leggerla, non ho alcun dubbio. In fondo ciò che realmente conta è il giudizio scritto, le sensazioni positive o negative che una storia suscita durante la lettura. il voto numerico finale è un extra, che spesso viene dettato dal momento e che difficilmente puoi comparare con i giudizi passati, semplicemente per il fatto che, dopo centinaia di recensioni, non li ricordi uno per uno. Scrivendo dal pc, appare in sommità dello spazio adibito ai commenti, una barra comandi (tipo Word per intenderci) che permette di farlo. Basta selezionare la parola da evidenziare, andare nell'apposita sezione e scegliere il colore prescelto.
  15. I festeggiamenti per il settantennale, nonché il fine centinaio, si chiusero con il botto. Boselli (ben coadiuvato dal prolifico e instancabile Dotti ai pennelli) divertì i lettori, divertendosi a sua volta, con una maratona narrativa di altri tempi, magari meno epica di altre sue gemme su Tex, ma comunque di assoluto spessore e destinata a essere ricordata nel tempo. La possibilità di poter usufruire di maggior spazio, contando sulla preziosa collaborazione di un disegnatore celere e affidabile, permise a Borden di mettere in moto la sua rodata “giostra dei sogni” e far accomodare fra i variopinti posti, tutti i fans desiderosi d’inebriarsi lungo le avvincenti rotte dell’avventura e della fantasia. Già l’inusuale prologo sulla suggestiva Isola della Nebbia, teatro dell’avvincente sfida col Supremo, anticipa che ci troviamo al cospetto di una storia particolare e altisonante. L’autore ripesca per l’occasione, due pedine dalla vecchia scacchiera: Castle e Muggs. Chiuso il lungo prologo, il cambio di scenario si fa repentino e Boselli chiede da subito al lettore di allacciare le cinture di sicurezza, e farsi guidare tra i meandri della scoppiettante trama. Premetto che il Maestro è un personaggio che non mi ha mai fatto tanto impazzire: questa specie di Hellingen in salsa texiana porta oltre la soglia il livello di sospensione d’incredulità del lettore e il rischio con vari ritorni, di rimanere ingabbiati in insidie narrative è alto, tuttavia Borden, sicuro dei propri mezzi, conduce abilmente le danze e sfodera in pista un mix esplosivo di azione, ironia, intrighi e trovate a effetto che tengono incollate alle tavole. Altra trovata originale è la scelta di New York come teatro dell’ultima battaglia fra Liddel e gli acerrimi nemici. Boselli volutamente dilata i tempi dei primi due albi, permettendoci di immergerci nella pittoresca atmosfera della Grande Mela del XIX secolo, dilettandosi in una scrupolosa ricostruzione storica della metropoli e deliziandoci con alcune chicche tecnologiche, assenti nel west, come il telefono, il fonografo o l’ascensore di palazzo. Gli albi abbondano di scenari altamente suggestivi, resi superbamente da un Dotti in stato di grazia, quale il ponte di Brooklin in costruzione, gli scorci di Manhattan o la sopraelevata della stazione. Sin da subito si nota un’inconsueta verve ironica dello sceneggiatore, che lo porta a sciorinare gustose scenette divertenti con Carson sugli scudi, molto utili a rompere i ritmi; un’ironia ben dosata che ci terrà compagnia per quasi tutta la durata dell’episodio. A tal proposito bisogna bacchettare Tex che non accetta di gustare le ottime arance della mia amata Sicilia, non sa cosa si è perso! A parte le battute, la trama straborda, come è ovvio su questa lunga distanza, di comprimari ben inseriti nel contesto e preziosi per il dipanarsi della vicenda. Le varie gangs sottomesse dal Maestro, mostrano uno spiccato interessante della città e pazienza se, come già correttamente fatto notare, si arrendano troppo facilmente al potere del folle scienziato. La narrazione ben presto assume il ritmo di un treno lanciato in discesa senza freni e l’adrenalina sgorga a fiumi; non mancano alcune scorciatoie narrative, utili all’autore per condurre i fatti lungo i solchi da lui immaginati, ma in mezzo a cotanta roba, si celano perfettamente e si notano appena. D’altronde, come chi si accinge a fare un giro sulla casa stregata al luna park e sa perfettamente appena pagato il biglietto che è tutta finzione e nessun mostro reale lo assalirà sul tunnel, tuttavia appena uscito si ritiene soddisfatto e divertito e non chiede di meglio, in par modo il lettore sa bene di non trovarsi al cospetto di una storia western tradizionale ed è conscio che alcune forzature sono imprescindibili con un simile villain, tuttavia la goduria che si prova durante la lettura, induce a non soppesare affatto questi aspetti. Mi ha fatto un particolare effetto rileggere l’avventura che parla di epidemie e bacilli assassini in questo triste periodo, impossibile da prevedere due anni fa, ma l’epilogo positivo mi spinge a credere che anche l’umanità riuscirà a sconfiggere il temibile nemico, così come riesce a fare brillantemente Tex nell’epilogo a Central Park. Certo, nella finzione agli esperti bastano pochi giorni per trovare l’antidoto contro il liquido del Maestro e i nostri possono tranquillamente farne affidamento per sventare l’attentato ordito dal villain, nella realtà purtroppo non è così facile e scontato, tuttavia mai socchiudere gli occhi dinanzi l’abbagliante luce della speranza. Chiusa la dolente parentesi, torno volentieri al commento e ammetto che sarà quasi impossibile poter condensare in poche righe tutte le situazioni degne di note della vicenda, che mi hanno in qualche modo colpito. Certamente merita menzione Pat, che può sfoderare la sua arte della boxe e guadagnarsi le luci della ribalta, stendendo con un perfetto gancio Castle, pregiudicandone la fuga nel finale ma soprattutto umiliando l’odioso Muggs con una serie di “carezze” degne di Mike Tyson al meglio della forma. Un po’ ai margini Buffalo Bill e Annie, ma può starci, visto che l’autore a mio avviso li ha tirati in ballo solo per dare un senso di continuità con la vicenda di New Orleans. Molto interessante invece la figura di Byrne, un capo della polizia locale ben caratterizzato e plausibile come personaggio. Trovo molto ben curato il dualismo con i rangers, un confronto leale e costruttivo che si concluderà comunque con un’ovvia attestazione di stima reciproca, e una doverosa baldoria finale per celebrare il trionfo contro le forze del male. Chissà se in futuro Boselli vorrà ripescarlo per qualche altra avventura fiume ambientata nella East Cost? Anche il sottoscritto ritiene che le scene al teatro e nell’ incontro di boxe, sebbene avvincenti, siano al limite della forzatura narrativa, ma a bordo della “giostra dei sogni” si accetta tutto volentieri e simili trovate fanno parte del prezzo del biglietto; bisogna infatti ammettere che Borden, chiuse di par suo il settantennale, riabilitando un anno di pubblicazioni, che onestamente fino a quel momento aveva deluso un po’. Avrei voluto chiudere qui la mia recensione, ma tornandomi in mente scene avvincenti come la sfida di Tex col Duster, sul tetto del treno in corsa sulla sopraelevata, o la sfida nel deposito delle cere, come esimermi dal citarle? Per non tacere dell’esilarante gag di Carson che “travolge” la donna formosa in vasca da bagno, con successivo reclamo di matrimonio riparatore. Alla faccia di chi pensa che Boselli non sia capace di scrivere con ironia! Come non notare, inoltre, l’accenno del ranger a un precedente incontro con Lincoln, che effettivamente Borden ci farà leggere, dopo qualche mese, sulla serie Tex Willer o i numerosi richiami, per la continuity narrativa, del clan degli irlandesi, di cui è infarcita la storia? Un riepilogo è necessario, dopo il mio poco sintetico commento: l’opera di Borden non arriva a fregiarsi dell’appellativo di capolavoro, ma è l’ennesima prova del talento creativo dell’attuale curatore, che arricchisce la saga di un altro tassello importante e memorabile. Su Dotti ho già accennato alla sua grande ispirazione, che ha contribuito massicciamente all’ottima riuscita dell’episodio. Una mano sicura e dallo stile altamente personale, che tiene ottimamente la lunga distanza e avvalora la ricchissima sceneggiatura, con tavole dinamiche, opportunamente bilanciate e scorci cittadini da paura. Una perfetta “tesi di laurea” che lo consacra in toto un perfetto dottore in grafica texiana e il suo innesto nel parco disegnatori è davvero prezioso. Alcune fattezze di Tex presentano qualche debolezza e forse la malformazione del maestro è eccessivamente accentuata, quasi caricaturale, ma considerata l’enorme mole di lavoro svolta e l’alto livello qualitativo mantenuto sui quattro albi, tanto di cappello. Il mio voto finale è 8
  16. Condor senza meta

    Top 5 Claudio Nizzi

    Essendo tu minorenne, per non aver problemi con lo sceriffo, caso mai ordiniamo una bella gazzosa! Se l'ha ordinata Pat Mac Ryan, non vedo perchè non possiamo farlo noi. Tu in cambio, spendi una buona parola con Leo, che se no mi porta il broncio per tutta la cena .
  17. Condor senza meta

    Top 5 Claudio Nizzi

    Spero solo caro Leo che tu non mi proponga una sfida a duello lungo la main street . A mia discolpa posso solo dire, che nella lista son finite quelle storie lette in "diretta" da ragazzo e che subito mi son venute in mente. Dai per farmi perdonare, offro a te e Mac Parland una cena a base di bistecche e patatine.
  18. Condor senza meta

    Top 5 Claudio Nizzi

    In effetti una lista di 5 storie è troppo risicata per un autore come Nizzi, che, volente o nolente, ha comunque contribuito attivamente al proseguo della prestigiosa saga, nel difficilissimo periodo della defezione del grande G.L.Bonelli. Mi perdoni il buon @Juan Ortega ma "baro" un po' distinguendo serie regolare e albi speciali. (E anche così son sicuro che troppe storie meritevoli rimangono fuori!) Serie regolare 1- La congiura 2 - La tigre nera 3 - Furia Rossa 4 - La leggenda della vecchia missione 5 - L'uomo con la frusta Albi speciali 1- Fiamme sull'Arizona 2 - La grande rapina 3 - L'ultima frontiera 4 - L'ultimo ribelle 5 - La ballata di Zeke Colter P.s Lo so sono andato un tantino Off topic e nonostante tutto sono rimaste fuori storie come Sioux, Nelle paludi della Lousiana, L'uomo senza passato, Fuga da Anderville, Le rapide del Red River, tra quelle che mi vengono in mente fra due piedi. Troppo ardua la selezione per uno che ci è cresciuto con le storie di Nizzi.
  19. Dovrei cambiare il mio nickname in Condor con refuso! Ormai è prassi che il sottoscritto incappi frequentemente in qualche svarione. Grazie Mac Parland!
  20. Fa un particolare effetto commentare, a mente fredda e un paio d'anni di distanza, la storia celebrativa per i settant’anni di Tex. Ricordo che all’epoca dell’uscita, sul forum si scatenò una bagarre selvaggia, paragonabile a una travolgente rissa da saloon e anche il sottoscritto, ancora un novellino del sito allora, rimediò qualche occhio pesto e alcune bottigliate in testa . Un “battesimo del fuoco” che ammetto mi spiazzò un po’, ma mi aiutò a capire come interagire e soprattutto non mi dissuase nel continuare a esprimere le mie opinioni. Adesso, a circa due anni di distanza, son tornato a rileggere l’episodio e mi appresto a lasciare le mie impressioni. Dopo otto mesi d’assenza sulla regolare, Borden esordì nell’anno del settantennale, firmando l’ormai tradizionale prova autoconclusiva di settembre per celebrare l’ennesimo decennio di vita editoriale del nostro inossidabile ranger. A differenza di dieci anni prima, quando l’incombenza spettò a Nizzi coadiuvato dal bravissimo Civitelli, per l’albo settembrino del 2018 Boselli soppiantò lo sceneggiatore di Fiumalbo ormai fuori dal giro in quel periodo e la parte grafica tornò di diritto a Ticci, il disegnatore con più anzianità di servizio, nonché fondamentale punto di riferimento per la saga. Borden dopo la buona prova dei “Demoni del nord” optò di festeggiare la speciale ricorrenza, scandagliando nel passato del ranger, ovvero ripescando la vendetta contro il corrotto sceriffo Mallory, sfuggito alla repulisti del White Horse nella celebre storia bonelliana. Ammetto che un po’ m’indispettì all’epoca l’eccessivo ricorrere a soggetti del giovane Tex: nulla togliendo alle gemme come "Nueces Valley" o "Il Selvaggio fuorilegge", ricordo che espressi il timore che il frequente rimando alle storie del passato, avrebbe rischiato di disorientare il lettore. Oggi col senno di poi, potremo pur credere che la redazione stesse tastando il terreno per il varo dell’apposita collana Tex Willer, e non nascondo che l’idea di destinare una serie parallela apposita, sia stata una scelta giusta e vincente. Tornando alla storia in questione, l’autore tornò a proporre una struttura narrativa ben rodata, con un lungo flashback ambientato nell’era in cui il nostro eccelleva nel rodeo, introducendo un comprimario luci e ombre come Moss Keegan, per poi chiudere nel presente la vicenda, con il ritorno dello stesso e Tex che gli viene in aiuto per sconfiggere il prepotente di turno che attenta alle sue proprietà. Avendo poche pagine a disposizione, la cornice del presente si rivela un po’ affrettata e poco coinvolgente, decisamente più riuscito a mio avviso il flashback, che s’incentra sull’apparente dualismo tra Tex e Keegan e ci introduce con un buon ritmo narrativo, alla scena in cui il giovane Willer riesce, con l’inatteso aiuto di Moss ad eliminare Mallory e sfuggire alla sua trappola. Sebbene non considerando trascendentale la storia, anche oggi reputo esagerate alcune critiche che furono mosse allora. Il trovarsi dinanzi un Tex guascone e scanzonato non mi disturba affatto, come non trovo nemmeno tanto scandaloso che in alcune battute lo stesso parli a Dinamite, d’altronde spesso lo stesso Bonelli, agli arbori, scriveva simili scenette. Ho trovato pure simpatica la scena della sfida a suon di alcol tra Tex e Moss, che mi ricorda il “patruni e sutta” (gioco così chiamato dalle mie parti che alla fine porta tutti a lasciare il tavolo brilli), con il futuro ranger che mostra una buona tenuta alcolica, o quantomeno un forte contegno visto che, appena uscito, ammette di aver bisogno a sua volta di un litro di caffè per aiutare lo stomaco . Nel vecchio west dovevano avere il fegato foderato d’amianto, se bastava solo un po’ di brodaglia per smaltire simili sbornie, al giorno d’oggi credo che nemmeno una flebo di Biochedasi fa un simile effetto . Battute a parte, storia sufficiente che, ben lungi da toccare cime qualitative elevate, assolve in qualche modo il suo compito. Sempre molto suggestivi ed efficaci i disegni del decano Ticci; in maniera del tutto fisiologica vista l’età, il maestro mostra un impercettibile calo, ma nel complesso la prova è superba, consacrata dalla consueta abilità nel dipingere paesaggi mozzafiato e dinamicità espressiva all’ennesima potenza. Molto belle le due vignette doppie di pagina 29, o le tavole 33 e 45, molto dinamiche e originale nella costruzione delle gabbie. Unico neo, una rappresentazione del giovane Tex non tanto dissimile dal canonico eroe quarantenne, ma per il resto tutto molto ben realizzato. Verrebbe da dire che Ticci è come il buon vino: più invecchia e più si apprezza al palato. La colorazione di Celestini è discreta, meno piatta di altre occasioni, ma su questo aspetto rimango sempre della mia idea espressa nel commento relativo all’albo 600, che eviterò di ripetere anche su questo topic. Il mio voto finale è 6
  21. Infatti non critico minimamente il fatto che a te non piaccia, ci mancherebbe. Ognuno ha i suoi gusti e ogni giudizio va rispettato, ancor più se non condiviso. Trovo solo un po' fuori luogo sostenere che un autore sia scarso solo perchè non piace personalmente. Dire "a me non piace", "non è tra le mie corde" "gli preferisco tizio e Caio" è soggettivo e legittimo, ma sentenziare che un autore del calibro di Pratt sia scarso, solo perchè a te non convince, capisci che può suonare alquanto ingrato per la memoria dell'artista e poco rispettoso per tutti quegli utenti che lo apprezzano. Diablero poi ha scritto una cosa che condivido, magari fra vent'anni rileggendo il tuo commento anche tu potresti prenderne le distanze, perchè crescendo capita di mutare opinioni. Sai quante volte è capitato pure al sottoscritto! Ti confido che alla tua età detestavo Fusco e ogni volta che vedevo un albo da lui disegnato, storcevo il muso. Oggi, il suo tratto forte e caldo mi manca tantissimo. Pensa te!
  22. Capolavori come "La Ballata del male salato" e "Tutto ricominciò con un'estate indiana" avranno sempre un posto privilegiato tra i meandri del mio cuore. Definire Pratt uno sceneggiatore scarso è un po' "ardito", usando un eufemismo. Mi accodo a Diablero, Grande Tex va assolto solo per la carta d'identità.
  23. Condor senza meta

    Aurelio Galleppini

    E' ovvio che ogni valutazione è soggettiva, di conseguenza mi limiterò solo a esprimere il mio punto di vista. Galep, da autodidatta, forse non possedeva una tecnica eccessiva ma onestamente il calore e la dinamicità che sprigionava il suo tratto, sono indimenticabili. Non curava gli sfondi? Il fumetto non è illustrazione, ciò che più conta è saper narrare graficamente una storia e dare grande dinamicità alle vignette e onestamente Galep era un maestro in questo. Che dire poi dei suoi cavalli! Ho sempre trovato straordinaria la maestria con cui riusciva a disegnarli, in pose dinamiche da urlo ed elegantemente tratteggiati. Per non tacere delle sue splendide storie marinare: Lotta sul mare è un capolavoro, con i suoi velieri splendidi e sfondi oceanici da ammirare e studiare. I visi anatomicamente non erano perfetti? Ma l'espressività era straordinaria e funzionale alla trama, mica poco nella letteratura disegnata. La tecnica nell'arte non è tutto, conta pure l'anima e quella a Galep non è mai mancata. Naturalmente i tempi passano, cambiano le mode e le strumentazioni, ma il confronto fra autori di epoche diverse non serve, nessuno si sogna di paragonare Di Stefano a Messi, né tantomeno sosterrò che Gilmour sia il chitarrista più tecnico del rock, ma la magia dei suoi assoli è impareggiabile, alla buona faccia della folta schiera di virtuosi moderni.
  24. Nella fiera dei grandi ritorni, si optò pure di ripescare il vecchio “nemico dai cento volti”. Proteus fin dai tempi di G.L. Bonelli, si è sempre mostrato un villain non del tutto riuscito. Un nemico che richiede una fortissima sospensione dell’incredulità per essere accettato. Da ragazzo, essendo lettore di Diabolik, lo leggevo con più piacere, ma nell’anno del settantesimo anniversario della longeva saga, mi ritrovo ad avallare la tesi di tutti coloro che lo reputano un personaggio alquanto datato. La prova fu affidata a Ruju, che nell’anno celebrativo si ritrovò a segnare un piccolo primato personale, visto che apparve sulla regolare per ben quattro storie consecutive, per un totale di sette mesi ininterrotti in edicola. Purtroppo la quantità non fu pari alla qualità, visto che il 2018 segnò un visibile calo di resa dell’abile sceneggiatore sardo. Anche la storia con Mister P denota un’involuzione, sicuramente evidenziata dalle tematiche controverse che hanno sempre gravitato attorno a Proteus. Già l’incipit con la rocambolesca fuga da Yuma, preannuncia al lettore che bisogna abituarsi a forti dosi di accettazione narrativa. Comprendo che il fumetto sia un’opera di fantasia, ma abusare di certe situazioni al limite del credibile, soprattutto in una serie come Tex, andrebbe centellinato. A mio avviso saltare par pari tutta la premessa, ci avrebbe risparmiato molte forzature, già analizzate nei commenti precedenti; bastava solo dire che Perry Drayton era fuggito dal penitenziario per inseguire la sua vendetta e la vicenda poteva lo stesso partire. Il primo albo non demerita ma stenta a decollare, pure a causa di alcuni dialoghi non eccessivamente brillanti e troppi rimandi al passato. Ruju decide di scandagliare meglio il passato del bandito trasformista e ci può stare, ma rischia di andare lungo e rubare spazio alla trama che inevitabilmente nel proseguo ne risente e deve subire inopportune accelerate. Il finale vuole essere ad effetto e in qualche modo ci riesce, però aldilà del fascino narrativo di una scena con due Kit che si fronteggiano, mi chiedo come sia possibile che Proteus riesca a prendere perfettamente le sembianze di qualsiasi uomo (o donna visto l’improbabile infermiera del treno) senza destare il minimo sospetto. Ripeto il concetto che espressi nel commento della precedente storia di Bonelli, la cosa sarebbe plausibile se il travestimento gli servisse a presentarsi come personaggio anonimo, ma diviene duro da digerire quando lo vediamo assumere i panni di Tex, Kit, lo sceriffo, il giudice senza che nessuno noti le differenze. Altezze, toni di voce, lineamenti del volto: con Diabolik le Giussani mettevano la tecnologia come scusa per superare simili “superpoteri” ma solo un po’ di cipria e parrucca nell’800 dubito potesse permettergli di farla franca dinanzi un occhio attento. Dove poi trovasse gli abiti uguali alle sue vittime anche questo rappresenta un mistero insondabile . Ovviamente tutti questi aspetti non vengono imputati a Ruju, visto che il personaggio non è suo, ma l’autore sembra esagerare con la serie di trasformazioni, che, se da un lato animano la lettura, dall’altro spingono la sospensione d’incredulità oltre certi limiti non del tutto accettabili nel secondo decennio degli anni 2000. A tratti il repentino cambio di personaggi di Mister P mi ricorda uno speciale di Martin Mystere scritto da Castelli, ambientato a Praga, dove il golem riusciva a impersonare chiunque adocchiasse e riprodurre ogni oggetto in possesso delle persone designate. Nei soggetti esilaranti dei special estivi del BVZM, simili situazioni si approvano senza riserva, su Tex un po’ meno. Sorvolo la disturbante chiaroveggenza di Tex in merito al matrimonio, fatta acutamente fatta notare da Leo, e pure sulla debole confessione del sindaco che nota che il neo genero dopo l’incontro con il finto sacerdote, gli è parso più alto (ma dai!) per tornare a dedicare la mia attenzione nella tanta discussa scena finale: Tex torna veggente e spara senza pensare due volte fidandosi dell’espressione degli occhi di Proteus, e quella gli basta per distinguerlo dal figlio (dire che, per quanto ben travestito, un padre riconosce comunque un figlio, no?). Pure il tentativo di lasciare aperta una porta per un eventuale ritorno, già usata da Ruju con il suo dimenticabile guerriero immortale, poteva essere evitato, considerato che il personaggio ormai è abbondantemente “bollito” e un quinto ritorno sarebbe del tutto superfluo e inopportuno. Sostituire Letteri non era prova scontata, ma l’esordio di Ramella non lo fece rimpiangere. Stili molto diversi ovviamente, ma l’ex autore di Magico Vento se la cava alla grande e mostra la sua affinità con il selvaggio west, sfoderando tavole dinamiche e “sporche” quanto basta per la tematica. Dopo la sua positiva permanenza sulla saga di Manfredi, Ramella sembra trovare su Tex la sua giusta e naturale collocazione e il suo contributo positivo, mi induce a migliorare lievemente la valutazione generale della storia. Il mio voto finale è 5
  25. @Doudou la copertina era solo un pretesto per autoconvincermi ad acquistare questa tipologia di albo che onestamente non mi fa impazzire e che prendo raramente, purtroppo il caso ha voluto che incappassi in un volume "non memorabile", ma ci può stare, mica è un dramma; il tono del mio messaggio era alquanto ironico. D'altronde, son sicuro, che in futuro farò altri strappi alla regola col format per svariati altri "pretesti" . Ovvio che dopo tre decenni, per ragioni di spazio e altre, non mi è possibile acquistare ogni uscita e faccio selezione, ma non credo basti questa scelta per essere etichettato un texiano non convinto o contrario agli extra (a tal proposito il tuo presupposto che io li abbia mollati tutti, è errato e un tantino pretenzioso non conoscendomi, ma poco importa in fondo ). Chiudiamo l'OT. Hasta la vista amigo.
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