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TWF - Tex Willer Forum

Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. O riproporre la vintage, ma sempre utile lista di arretrati. Capisco che ormai internet ha stravolto certe scelte redazionali, ma personalmente a me manca molto consultarla durante la lettura, anche solo per rievocare la sequenza di storie o l'alternanza dei vari autori.
  2. Storia molto confusionaria e cervellotica; dopo il lungo flashback del primo albo (ammetto che durante la lettura mi ero dimenticato pure che lo fosse ) tutto sommato accettabile, le seguenti 110 pagine sono macchinose e all'insegna del caos più totale. Mi rincuora leggendo i commenti che precedono, di non essere stato l'unico a non averci capito molto della trama, e stavolta credo che nemmeno l'autore sia riuscito a indirizzare il tutto come prefissatosi. Sono un estimatore di Manfredi, ma su Tex proprio non riesco a inquadrarlo. La tecnica narrativa non gli manca, le idee nemmeno e con i dialoghi se la cava alla grandissima, con ottima ironia e frasi a effetto, purtroppo spesso eccede e l'esito sfora abbondantemente dai canoni texiani. Come altri utenti, anch'io ho avuto l'impressione che Tex in questa storia sia solo un "ospite fuori posto" e a disagio con la tematica politica che impernia il soggetto. In effetti, in fin dei conti, il suo contributo è davvero minimo e sembra che anche il ranger finisca col capirci poco in mezzo alla caterva di personaggi che l'autore usa per infarcire le pagine. Originale ma un tantino forzata la trovata dell'omicidio studiato per aggirare il codice penale compiuto dai quattro ragazzi, così come risultano poco consistenti i "serpenti" che danno addirittura titolo al primo albo. Il ritmo non manca, la lettura a tratti sembra farsi interessante, ma le troppe sequenze confondi idee del secondo volume, annoiano. Bill finisce con essere poco plausibile come personaggio, per non parlare del tortuoso piano della ferrovia per favorire occultamente la sua elezione. Garrett, l'ufficiale corrotto, lo sceriffo sopra le righe sono personaggi che non bucano la pagina, anche il quartetto di comprimari risultano poco caratterizzati e tutto ciò rende l'episodio un po' velleitario e strampalato, quanto meno sotto la media per apparire sulla regolare di Tex. Simpatica la scena iniziale della patata di Carson (sottile doppio senso per ironizzare sulle doti di "fimminaro" del vecchio cammello? ) e i battibecchi fra i due pards ma per il resto, poco da segnalare. L'episodio avrà confuso pure la redazione visto che incappa in uno strano refuso: nella breve anteprima del successivo albo, nella seconda di copertina del n°671, si fa menzione alla candidatura a sindaco di Bill "faccia d'angelo", ma lo stesso non corre per la poltrona di governatore? A parte le sottigliezze, prova sotto tono di Manfredi che a mio modo di vedere non raggiunge la sufficienza; su Tex bisogna osare ma non strafare se si vuol portare a casa il risultato e purtroppo la tendenza del pur bravo autore è quella di esagerare un po'. Disegni di Seijas meno impeccabili di altre volte, ma comunque idonei alla pubblicazione. Un autore affidabile e dal tratto immediatamente riconoscibile e anch'io penso che sia diventato una colonna portante dell'attuale parco disegnatori della saga. Il mio voto finale è 5
  3. Dopo l'interruzione dovuta alla lettura dell'interessante materiale inedito uscito in edicola nel mese d'ottobre, ho ripreso il "ripasso" degli albi del recente passato. Procedendo in ordine cronologico, mi sono imbattuto in questa tripla composta da Borden, che ha introdotto nella saga di Tex l'ennesimo personaggio realmente esistito nel selvaggio west: ovvero il colonello "Bad hand" MacKenzie. Più volte ho avuto modo di ribadire in passato di non essere un grande appassionato di questa tipologia di episodi, che rischiano il più delle volte uno stravolgimento nella trama e di alcuni canoni texiani per garantire la plausibilità storica. Boselli mi ha fatto spesso ricredere su questo aspetto, soprattutto nell'episodio "La mano del morto" dove con maestria riuscì a cucire una trama, intrigante e complessa, attorno a varie leggende del west. Anche nella storia in questione, sebbene il colonnello "Manocattiva" sia meno noto di Hickock, l'autore sciorina una tripla di spessore, ma che, personalmente, non pareggia il livello della trama pocanzi accennata. Borden dona ulteriore conferma delle sue doti di narratore, con una valevole sceneggiatura, divisa in più tronconi ma comunque non disomogenea. Ciò che però trovo rileggendo i tre albi, un ritmo più compassato del consueto standard boselliano, corredato tuttavia dalla indiscutibile abilità nel dipingere personaggi "buca pagina", soprattutto apprezzabile con MacKenzie, comprimario già interessante di suo con la biografia, ma indubbiamente l'autore riesce a donargli quel tocco in più che lo rende memorabile. Eventi storici e trovate di fantasia si mescolano in un funzionale miscuglio che accattiva il lettore e se a questo, aggiungiamo la perfetta performance dei nostri, è presto detto che l’esito della prova è soddisfacente. Molto ben escogitata l’idea della maledizione dell’uomo della medicina Kiowa, che ben si attaglia alle disavventure reali, in primis la caduta dal carro, che porteranno al declino e l’incipiente follia del valoroso ufficiale. Boselli anche stavolta si dimena con molta maestria, mostrandoci i sensi di colpa di Manocattiva e descrivendo bene le varie fasi del decadimento psichico del colonello. Menzione di merito merita pure Biglia, che debutta sulla regolare con una sceneggiatura complessa adattissima al maestro Ticci, ma realizzata con personalità dal disegnatore ligure che mostra immediatamente la sua sintonia col genere. Artista raffinato dal tratto pulito e sintetico, propenso alle grandi maratone narrative e molto dinamico. Fin dalle prime tavole il suo west si fa apprezzare e non fa rimpiangere minimamente il maestro senese, che sicuramente sarebbe andato a nozze con queste tematiche. Un acquisto perfetto per la saga e non vedo l’ora di riapprezzarlo fra pochi giorni nella lunghissima storia di Ruju ambientata nell’inconsueto scenario del Guatemala. A proposito di Biglia, mi par di ricordare che nei primi anni novanta aveva contribuito curando le matite della splendida “Ballata di Zeke Colter” del maestro Calegari: evidentemente era predestinato a far bene sulla serie ammiraglia della casa editrice. Il mio voto finale è 8
  4. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 27] I tre fratelli Bill

    A mio parere in alcuni commenti precedenti si è un po' troppo abusato del termine capolavoro: probabilmente questo bel maxi non lo è (così come onestamente ammesso pure da Borden stesso) ma rimane comunque una prova discreta e lascia del tutto soddisfatto il lettore appena chiuso il malloppone. Se la collana avesse garantito questa qualità grafica e di sceneggiatura negli anni, di sicuro il sottoscritto non avrebbe interrotto l'acquisto, ma stavolta la scelta di correre in edicola è stata premiata e l'albo ha brillantemente soddisfatto le mie aspettative. Buon ritmo, lodevole lavoro dello sceneggiatore per rendere funzionale il particolare (e complicato) team up e disegni notevoli che confermano la classe di Piccinelli ai pennelli. I capolavori sono altri, ma ciò non toglie che questo maxi merita comunque un grande plauso.
  5. Dopo il capitolo col "guerriero immortale", che personalmente mi convinse poco, Ruju tornò in cattedra con una prova classica ma efficace. L'autore si riconferma duttile e adatto alla saga del ranger; accantonati per il momento i soggetti originali che lo contraddistinsero negli esordi, lo sceneggiatore sfodera una buona prova nel più classico canovaccio western con lotte fra fazioni di indiani, ufficiali dell'esercito corrotti che lucrano vendendo armi ai contendenti e il quartetto dei nostri al completo e in ottima forma, sempre pronti a sbrigliare la matassa. Il nodo di forza della storia di Ruju sta nella riuscita caratterizzazione dei personaggi, accompagnata da una perfetta resa dei "quattro clarini principali" che ci evidenzia quanto l'autore sia ben calato nella parte. La figura di Lunga Lancia è molto sfaccettata e si rivela interessante: per una volta il proverbiale onore dei pellerossa viene messo alla prova dall'amore fraterno, infatti il sakem Crow, ben conscio che il fratello Unghia di Lupo (nome alquanto sgraziato bisogna ammetterlo!) sia una canaglia e stia provocando disordini con i suoi eccidi nei confronti deGLI Cheyennes, dapprima è pronto a sfidare Tex pur di difenderlo. Il finale è scontato ma l'atteggiamento di Lunga Lancia è molto originale, soprattutto visto la sua rettitudine e saggezza e su questo l'autore è bravo a renderlo molto umano e plausibile. Molto accattivante pure la figura della moglie indiana, molto bella e di carattere, che scopriamo essere in fondo amata pure da Unghia di Lupo, che invidia anche il matrimonio al fratello maggiore oltre lo scettro del comando. La sottotrama del forte fila via liscia , ma non incanta. Il tenente Morris è un verme di prima categoria, spietato e abile a volgere a suo favore le situazioni che gli si presentano. Non basterà comunque a evitare la corte marziale e una sacrosanta scazzottata punitiva da Tex. Prova ampiamente positiva e di piacevole lettura. Si è a lungo discusso sull'articolo determinativo adottato dall'autore per il termine Cheyenne, provo a esprimere brevemente il mio punto di vista in proposito: anche il sottoscritto a primo impatto è rimasto spiazzato, visto che in tutti i precedenti, soprattutto nel gioiellino "Terra promessa" l'articolo "i" era stato sempre usato, ma se realmente si è negli anni scoperto che un simile articolo è errato e "gli Cheyennes" è la forma corretta, non vedo perchè la redazione non dovesse provvedere alla correzione. In fondo ci si abitua subito al cambio e si è consapevoli di quanto negli anni la produzione abbia fatto passi da gigante nell'attenzione ai dettagli, come è doveroso per una saga di eccezionale successo come quella di Tex. Di certo è altrettanto chiaro quanto un fuoriclasse come Ticci sia la punta di diamante della serie e, nonostante l'età che gli permette di essere un punto di unione dall'era classica a quella moderna, rimane sempre un modello da seguire. Ambientazioni simili, con scenari ad ampio respiro, natura incontaminata, indiani e tanta azione sono il suo pane e la resa straordinaria è assicurata. Ho finito da tempo gli aggettivi per il maestro senese, il suo tratto trasuda la pura essenza del genere western. Un titano dei pennelli. Il mio voto finale è 8
  6. Lo scrivere di getto è un'arma a doppio taglio a mio avviso; se da un lato ti permette di dar sfogo alle molteplici idee che la fantasia partorisce in quel momento, dall'altro, se questa operazione non è seguita da una fase più razionale di riordino e stesura mirata (come accennato da Borden), si rischia di proporre opere non coese o alquanto strampalate. Se Nolitta scrivesse di getto senza rileggersi, ovviamente non lo so, forse il suo totale affidarsi all'ispirazione momentanea gli permetteva di creare sequenze emozionali intense, ma spesso anche lungaggini inopportune e passaggi poco texiani che con maggior "studio" potevano essere revisionati. L'ultimo Nizzi secondo me, scriveva controvoglia e con poche idee e purtroppo l'esito era sotto gli occhi di tutti. In merito al ritorno della Tigre Nera, spero solo che l'episodio sia all'altezza dell'esordio, a prescindere dell'escamotage che studieranno gli autori per riesumarla, mi seccherebbe una prova scialba come "Il castello Nero".
  7. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 27] I tre fratelli Bill

    Avendolo preso solo oggi, non posso ancora esprimermi sull'episodio visto che ancora devo gustarmelo. Posso però dire che, da quando frequento il forum, sto rivivendo una piacevole sensazione che non provavo dai tempi in cui ero ragazzino: uscire ilare dall'edicola dopo l'acquisto dell'albo e non stare nella pelle nell'attesa della lettura. Direi che è un ottimo segno!
  8. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 27] I tre fratelli Bill

    I problemi di spazio incidono senz'altro, ma anche l'esigenza di gestire con maggiore oculatezza il budget a disposizione, che mi ha portato man mano a scegliere altre collane, Tex Willer ad esempio. E' innegabile, che al netto di rare eccezioni, negli anni i maxi abbiano avuto un lieve calo qualitativo e personalmente anche la formula delle due storie da 110 tavole, sempre più usata dalla redazione per esigenze di lavorazione e tempi di realizzazione, mi convince poco. Di fatto se noto un'interessante proposta o autori che mi soddisfano (vedasi il gioiellino "Nueces Valley" o l'attuale "I tre Bill") lo acquisto con piacere, in caso contrario, lo lascio tranquillamente sugli scaffali dell'edicola.
  9. Per la prima volta sulla regolare si proposero due storie consecutive scritte da Faraci. Di certo, visto l'andazzo assunto dall'autore in quel periodo, c'era poco da stare allegri ma tutto sommato, col senno di poi, gli esiti furono decenti. Sinceramente nessuna delle due prove fu trascendentale, ma reputo che in entrambi i casi la sufficienza fu raggiunta. La storia in questione presenta quanto meno un soggetto un tantino più articolato rispetto alla media faraciana; molto classico e poco originale ma almeno più strutturato rispetto ad altri proposte esili come grissini. Lo sceneggiatore, ricordando molto Nizzi, cerca di far presa su buoni dialoghi e alcuni siparietti simpatici fra i due pards ma incappa stavolta, rispetto alla precedente, in alcuni errori già commessi in passato. L'uso sistematico del flashback alla lunga stanca, così come la presenza di alcune scene evitabili, come quella dei lupi nella foresta che serve solo a far incontrare ai nostri il boscaiolo che permetterà loro di scoprire la scorciatoia utile a rintracciare il giovane Matt Spencer, rompono un po' il ritmo della lettura. Tuttavia la storia va avanti senza grandi pecche e mostra una discreta leggibilità, a tal punto che avrebbe meritato un voto più alto, se un finale poco convincente, con snodi labili, non incidesse a sminuirla lievemente. Anche il sottoscritto si unisce al coro di coloro che reputano troppo fiacca la resa dell'infido sergente Duncan: fino a quel punto l'ufficiale corrotto ci viene presentato come un duro, vero villain dell'episodio visto che anche il maggiore incapace pende dalle sue labbra. Nell'epilogo, conscio di essere destinato alla forca, sembra strano che accetti così passivamente la resa. Tutta la scena con Tex che risolve la faccenda, facendo leva sulla sua personalità, è un'arma a doppio taglio, difatti ci sta che il ranger abbia un forte ascendente sui soldati ma l'epilogo sembra alquanto semplificato. Poco delineati e molto ingenui pure i due pezzi grossi che, volendo partecipare di persona alla spedizione militare (non si sa bene poi perché!) riescono a mettersi fuori gioco da soli con una banalità di azione disarmante. Un finale che, sebbene diverso dalla solita mega sparatoria finale a cui Faraci ci ha abituati, andava strutturato meglio a mio avviso e incide ad abbassare un po' la valutazione finale. I disegni furono affidati al debuttante Nespolino e l'artista campano se la cavò alla grande, fornendo una prova impeccabile, dalla pulizia di tratto notevole e molto valida anche sotto l'aspetto della caratterizzazione dei personaggi. Un disegnatore che mi convince appieno e che di certo avrebbe potuto affinare anche una maggior personalità grafica, peccato però che da allora è stato destinato ad altre collane e l'episodio in oggetto è finora un "pezzo unico" sulla serie regolare. Spero tuttavia che possa in futuro tornare a prestare i suoi pennelli per l'universo di Aquila della Notte. Il mio voto finale è 6
  10. Delle due, una: o il soggetto di Barbieri non era tutto questo granchè o Faraci non è stato capace a valorizzarlo al meglio con la sua sceneggiatura. C’è un detto che recita che “la verità sta sempre in mezzo” ma stavolta sono propenso a scagionare lo sceneggiatore, visto che rispetto ad altre precedenti occasioni, sembra più performante e attento a non commettere i soliti errori. Pochi allungamento di brodo, nessun flashback fine a se stesso, scene di sparatorie meno chilometriche e più studiate e dialoghi decenti, assicurano una sufficienza abbondante alla storia, purtroppo il secondo albo non tiene il passo del primo e pure la trama, poco elaborata e semplice, non aiuta a fare il salto di qualità auspicato. Almeno però vediamo il quartetto completo, un leitmotiv diverso dal consueto tran tran faraciano e un villain duro al punto giusto. L’assedio nella ghost town, caratterizzato dalla lunga sparatoria annoia meno di altre occasioni e come già accennato, il comanche Nevequaia è un antagonista di tutto rispetto: feroce, temibile, abile con il suo terribile towahawk chiodato. Verrà ucciso da Tex ma indubbiamente si mostra un avversario all’altezza, non scontato nelle prove di Faraci che sotto questo aspetto hanno sempre lasciato un tantino a desiderare. Il soggetto classico ci sta, magari si poteva escogitare qualche guizzo maggiore, soprattutto nel secondo albo, ma alla fine della lettura ci si accontenta. Senza brillare Faraci offrì la seconda opera decente dopo un lungo buco creativo, tuttavia il gap con gli altri autori impegnati sulla saga rimase sempre molto ampio e francamente incolmabile con alcuni, prova che l’autore non è mai riuscito ad avere feeling col personaggio. Se in cabina di regia mancò il guizzo, Dotti, alla seconda prova sulla regolare, sfodera una magistrale interpretazione che confermò in toto le ottime impressioni destate al debutto. L’artista mostra una padronanza di bilanciamento fra i bianchi e neri eccellente, le sue scene notturne sotto la pioggia nella ghost town sono da applausi, le inquadrature un piacere per gli occhi e concordo con chi sostiene che anche le fattezze dei pards sono nettamente migliorate, special modo Tex che assume un aspetto davvero intrigante e funzionale. Disegnatore estremamente veloce e di qualità sopraffina, una vera manna per la redazione e ulteriore eccezione a un proverbio, visto che a volte si può auspicare di avere la botte piena e la moglie ubriaca . Il mio voto finale è 6
  11. Storia breve e alquanto basilare. Un leggero riempitivo senza eccessive ambizioni, dirottato dall'almanacco alla regolare per esigenze editoriali, così come appreso sul Forum. Boselli per l'occasione ripone in soffitta le sue trame articolate e si diletta in una classica storiella, dal soggetto lineare e poco originale. L'esito con cui combina i pochi pezzi del puzzle a disposizione non è di certo memorabile, tanto è vero che dopo pochi giorni dalla lettura ogni scena narrativa cade nel dimenticatoio, ma di certo non è da bocciatura. La trama è trainata dalla presenza di molti personaggi, alcuni tratteggiati caratterialmente come lo sceriffo Dawson o il cacciatore di taglie Burbage, altri nei panni delle semplice comparse. L'episodio scivola via senza eccessivi colpi di scena o pecche e si chiude con un prevedibile lieto fine, d'altronde non vedo come un finale drammatico poteva starci in una simile prova. Una lettura piacevole e con pochi sussulti, utile a distrarre un po' la mente, ma niente più. Con Boselli siamo abituati a ben altro, ma di tanto in tanto ci sta fornire prove minori; paragonandola a "Faccia di cuoio", altra storia autoconclusiva di Borden di quei periodi, risulta superiore e degna della sufficienza. Le similitudini con alcuni soggetti di Faraci sono evidenziabili ma almeno il curatore sfrutta l'abilità alla sceneggiatura per ravvivare lo spunto non eccelso e dona un maggior carisma al fuggiasco Jeff Cartland; interessante pure l'accenno alla continuity boselliana visto che apprendiamo che l'innocente ingiustamente accusato altri non è che un cowboy alle dipendenze di Will Rodgers, già apparso in altre storie, la prima che mi viene in mente "La miniera del fantasma". Un po' stucchevole il colpo di fulmine tra Jeff e Martha, una parentesi rosa evitabile visto le poche pagine a disposizione ma nulla di così irreparabile ai fini del giudizio complessivo. Danubio si ritrovò per caso a debuttare sulla regolare: il suo tratto non è male, buoni bilanciamenti fra bianchi e neri, vignette leggibili e lodevole pulizia di tratto, ma pecca di personalità stilistica e paga un po' pegno nelle anatomie, non sempre impeccabili, specialmente nei campi lunghi. Riscontro pure abbastanza legnosità in alcune scene di azione, ma i primi piani tengono botta e tutto sommato sufficiente pure la resa dei pards. Un autore acerbo, forse non ancora del tutto pronto per la saga. Il mio voto finale è 6
  12. Condor senza meta

    [658/660] Winnipeg

    Eccomi giunto a commentare la controversa storia che chiude la trilogia di Kid Rodelo e vede il ritorno di Jack Thunder. Stavolta mi tocca scindere nettamente le sensazioni provate alla prima lettura e il giudizio maturato di recente. In quella estate di cinque anni fa, quando apparve in edicola l’albo “Winnipeg” non ero ancora iscritto al forum, di conseguenza non conoscevo alcuna anteprima, né tantomeno ero in possesso di anticipazioni che potessero farmi sospettare il ritorno del folle bandito cieco sulla saga. Ricordo che accolsi con moderato entusiasmo la presenza di Rodelo e per tutta la durata del primo albo mi scervellai a ipotizzare chi si potesse celare dietro i numerosi omicidi politici in terra canadese. Sebbene l’autore avesse seminato indizi aperti a varie interpretazioni, con l’intento evidente di far sospettare del giovane mutilato, ero più che convinto, come di fatto avvenne, che sotto sotto ci preparava a qualche colpo di scena. La sequenza narrativa dei lampioni spenti prima dell’agguato, mi indirizzò verso Thunder, sebbene stonasse che un simile individuo partecipasse a una cosi complicata congiura. La farò corta, la storia tutto sommato mi convinse anche se il ravvedimento di Rodelo, allora come oggi mi diede un po’ di fastidio. Come con il ritorno di Raza, Borden cercò di far di tutto per mettere dubbi al lettore ma alla fine i suoi due personaggi divennero alleati dei nostri. Come già sostenuto nel commento della storia che precede “Winnipeg”, la metamorfosi caratteriale di Rodelo non mi va proprio giù, la trovo troppo forzata vedendo come ci fu presentato all’esordio e purtroppo viene completata in questa storia. Ammetto che sperai a lungo che realmente il giovane bandito fosse tornato sulla sua vecchia e più congeniale strada del male, alleandosi al vecchio maestro cieco e destinato a essere sconfitto definitivamente dai nostri, ma purtroppo non fu così, anzi l’autore gli donò pure un melodrammatico finale che supera in intensità emotiva quello di Bronco Lane, altro personaggio figlio di quella vecchia storia di Heaven. Ovviamente le scelte degli autori non sempre seguono quelli che sono i nostri gusti e spesso vanno in direzione opposta dai nostri desideri, fa parte del gioco, ma indubbiamente rimane il dubbio se il vero Rodelo sia quell’infernale canaglia del primo episodio o il grigio e convertito bandito dei due seguiti. La recente rilettura non ha solo riaperto questo enigma, ha anche evidenziato una strana tortuosità di sceneggiatura, insolita nelle prove di Boselli. Il primo albo riletto a mistero svelato, si mostra troppo verboso, con dialoghi al limite della pesantezza, poca azione e ritmo alterno, il tutto incentrato sulle valutazioni dei pards in merito al presunto ravvedimento del Kid. La storia prende vitalità nella seconda parte, con il consueto finale scoppiettante e alcune trovate (come quella delle allucinazioni) piacevoli, ma le perplessità sul soggetto non si attenuano. Sul finale mi sono già espresso, Rodelo ne esce quasi da eroe e Thunder stavolta perde quell’alone mistico di bandito maledetto e cade ordinariamente in duello. Anche il terribile bandito sembra un lontano parente della belva sanguinaria e psicopatica che agiva accanto alla sua infernale banda nell’assalto a Heaven. Come per Rodelo, Borden adopera una poco convincente metamorfosi del personaggio, che di colpo diviene un autentico creatore di intrighi e congiure. Dopo l’ennesima sconfitta subita da Tex, lo si sarebbe aspettato ancor più sanguinario e folle, mentre qui sembra gareggiare con la Tigre Nera in quanto ad astuzia per piani e sotterfugi. Poco male, direte, tuttavia personalmente a me questa evoluzione non convince e snatura il personaggio. Borden sembra così aver preso definitivamente le distanze con la storia del ritorno di Lena e Donna. Tutti questi aspetti che ho cercato di riassumere al meglio, mi inducono oggi a rivedere al ribasso una storia, che sebbene non malvagia nel suo aspetto prettamente tecnico, mostra punti controversi sul soggetto di base che spaccano la platea: parecchi utenti la adorano, ma altri (fra cui si annovera il sottoscritto) mal accettano alcune scelte narrative e il ravvedimento di un villain che forse non meritava gli venissero dedicate ben tre apparizioni. L’epilogo inoltre palesa l’errore di giudizio di Tex e Tiger che avevano votato contro nella prova precedente e consolida l’anomala amicizia di Kit col giovane rivale. Non so voi, ma le scene fra i due che sembrano amici di vecchia data a me fanno venire l’orticaria. Torno a ripetere che forse l’antipatia per il Kid mi porta ad assumere una posizione molto contraria nei suoi confronti, ma mi allineo alla linea di pensiero espressa da @pecos, in quanto ritengo che sarebbe stato meglio evitare il ravvedimento del bandito mutilato. Cambiando argomento, faccio notare quella che a mio avviso è un’inesattezza nella mano di poker nell’incipit. Mike vince il piatto mostrando gaio una scala reale di picche che va dal quattro fino all’otto, che rende vano il poker di donne dell’avversario, accompagnato per l’occasione da un quattro rosso. Non vorrei sbagliare, ma vige una regola al poker che stabilisce il numero di carte del mazzo, che varia a secondo il numero dei giocatori. Nel tavolo del saloon i pokeristi sono quattro, quindi le carte dovrebbero partire dal sette e non dal due. Con tutte le carte si gioca al Texas Holding ma in tal caso le regole sono un tantino diverse e non si gareggia con le cinque carte. Tuttavia non vorrei anche stavolta incappare in un errore commesso in passato e fattomi spesso notare, ovvero ragionare con la mentalità di oggi, magari nel far west giocavano con l’intero mazzo e la regola da me citata è stata inserita solo dopo. Se è così, considerate nulle le ultime righe del commento . Un po’ sottotono la prova di Font, che forse sentì il peso della numerosa mole di tavole e un'a sceneggiatura non tanto congeniale per le sue caratteristiche. Tuttavia l’artista spagnolo, seppur non brillando, riuscì comunque a garantire un esito accettabile ed è presumibile che se ci dovesse essere un ritorno di Dallas e Mike sulla saga, il seguito verrà nuovamente affidato ai suoi pennelli. Il mio voto finale è 5
  13. Di fatto non lo ha mai reputato del tutto adatto nemmeno la direzione editoriale, visto che è stato, fin dai primi anni 2000, "parcheggiato" sulla collana dei Maxi.
  14. Condor senza meta

    Ancora Su Tex & Zagor

    Ahahaha Stefano non disseppelliamo l'ascia di guerra, pour favour. A parte le battute, credo che, a prescindere dei giudizi altrui, ciò che più conta durante la lettura di un fumetto è l'emozione che ogni singolo appassionato prova. Poi, ciò che può appassionare tizio, annoia caio e viceversa. Il sottoscritto non contesta la qualità dell'opera nolittiana (storie belle ne ha scritte ma anche qualche ciofeca ammettiamolo!), bensì la sua scarsa attitudine a rispettarne i standard e caratteristiche. In un personaggio seriale gli stilemi caratteriali sono importanti e snaturandoli si rischia di spiazzare i lettori. Poi se ad alcuni fans il Tex di Nolitta piace, nessun problema, ognuno come giusto ha le sue idee. Per rimare in topic, sono solo un saltuario lettore di Zagor e sebbene tutto sommato non lo abbia mai disprezzato, preferisco di gran lunga l'universo di Aquila della Notte. Il team up tra i due eroi mi incuriosisce e al contempo mi lascia perplesso, ma son certo che un autore professionale e serio come Boselli, riuscirà a produrre una storia degna, scongiurando pacchianate e rispettando il blasone delle due longeve saghe. Se poi, come si vocifera, i disegni saranno affidati a Piccinelli, rivedere all'opera il duo mi toglie ogni dubbio e mi farà mettere mano al portafoglio.
  15. Condor senza meta

    [656/657] Nodo Scorsoio

    Di certo stavolta Faraci è riuscito a escogitare una trama più complessa rispetto al suo consolidato standard sparagnino. Soggetto non originalissimo, si intende, ma più intrecciato e con un parco personaggi un po’ più ampio. Di fatto il primo albo risulta piacevole alla lettura e a tratti dà l’impressione che l’autore abbia ingranato la marcia giusta, dopo svariati e deludenti passaggi a vuoto. Se Boselli non avesse detto che la storia in questione, per via del ritardo di realizzazione di Rossi, faceva parte dei soggetti precedenti alla sua fase di redattore, avrei ipotizzato che lo stesso fosse uno di quelli che era stato girato all’autore (altra ammissione di Borden mi pare) per aiutarlo nella sua difficoltà creativa sulla saga. Tuttavia il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e di conseguenza dopo una promettente partenza il buon Tito s’incarta un po’, con un secondo albo sciatto e poco incisivo. Nonostante siano meno presenti gli errori ricorrenti in cui l’autore era solito incappare, la storia finisce con il non decollare, penalizzata da dialoghi verbosi e carichi di spiegazioni e una soluzione del giallo scontatissima. Ammetto che l’idea del misterioso killer, sebbene molto utilizzata nella serie, aggiungeva un po’ di pepe alla vicenda. Fin dalle prime battute, il sottoscritto aveva pensato che potesse trattarsi di Fred Hensen, d’altronde sembrava messo nella trama proprio apposta, ma ho sperato fino all’ultimo di sbagliarmi, visto quanto fosse scontato. Purtroppo così non è stato e si è pure aggiunto un movente di gelosia a tratti banale che mi ha alquanto deluso. Perdono spessore durante il proseguo della trama pure Raymond, il suo “sbigafaccende” Travor (che nella migliore tradizione faraciana, ci viene introdotto come un duro e poi nel clou si scioglie come il burro in padella), l’innamoratino Timoty Russell e lo sceriffo. Meglio riuscita la figura di Alicia, resa davvero carina da Rossi, anche se il rapporto con l’amato non viene sviluppato al meglio e a tratti appare un tantino stucchevole. Caso raro, l’assenza della mega sparatoria finale, che viene sostituita da un rapidissimo conflitto a fuoco, forse nel contesto un po’ esilino ma in fondo è tutto il secondo albo a perdere quota e ridimensiona molto la promettente premessa. Rossano Rossi fa un egregio lavoro, fornendo un’incisiva prova grafica. L’influenza civitelliana rimane un marchio di fabbrica, anche se lievemente attenuata rispetto alle precedenti uscite, comunque la dovizia di particolari e la pulizia di tratto si fanno apprezzare oltremodo. Rimango sempre dell’idea che gli autori maggiormente originali e con stili personali rientrano più nelle mie corde, ma Rossano Rossi comunque riscuote il mio gradimento e peccato per la sua lentezza che lo costringe a lunghe assenze sulla regolare. Il mio voto finale è 6
  16. Condor senza meta

    Ancora Su Tex & Zagor

    Il protagonista isterico e frignone al compianto Sergio piaceva così tanto da rendere troppo spesso tale anche Tex nelle sue storie. Capisco che Zagor, essendo una sua creatura poteva agire e comportarsi come meglio credeva, ma onestamente il ranger impulsivo, che urla: "Oh no!" come un bambino o che soffre di crisi di nervi, proprio non mi andava giù. Tacendo delle svariate piccionate e miriade di botte in testa, ma quella è un'altra storia . Ci è voluto tutto l'amore paterno, suppongo, per convincere il grande Gian Luigi Bonelli ad accettare che il figlio trattasse così il suo eroe di carta.
  17. Mica semplice giudicare l’opera di Manfredi sulla regolare e questa storia nello specifico. Anche oggi, dopo l’ennesima rilettura, mi sono ritrovato a richiudere gli albi con una ridda di sensazioni contrastanti che affollavano la mia mente, come uno sciame di api impazzite su un campo fiorito primaverile. L’originalità al grande Gianfranco non manca, ma spesso si ha l’impressione che esageri un po’, esempio lampante il prologo anomalo con tanto di “comizio” di Tex, che si esprime da politico consumato. Anche il soggetto del petrolio, sebbene trattato qualche volta sulla saga (nell’albo Yuma, in Oklahoma di Berardi ai margini) non è affatto né banale né ripetitivo. L’autore si districa molto bene con i due pards, soprattutto con Tex che conserva una caratterizzazione consona al suo stilema, ma anche qui si finisce col forzare un po’ la mano quando nel secondo albo lo ritroviamo nel bel mezzo di un processo, nei panni di “pubblico ministero”. La storia si fa comunque leggere e trova il punto di forza su dialoghi funzionali e secchi, anche i personaggi di contorno non sfigurano, vedi lo sceriffo mutilato, il giudice Felsen o l’ammaliante e tentatrice Rachel. Ho trovato meno azzeccati gli antagonisti: Jonas Braddock, il “cervello” della famiglia, si stenta a classificarlo; pare un duro e spietato, ma a tratti sembra volersi catturare le simpatie dei rangers, cerca di difendere il fratello matto per poi scaricarlo senza ripensamenti. Pure la scena della sua follia nell’epilogo, sebbene molto eclatante ai fini narrativi, appare un po’ forzata. Bob Braddock è poco più che una macchietta, visto che ci viene presentato più matto di un cavallo e terribilmente banale con le sue battute degne di un Groucho ubriaco . Si stenta a credere che un simile idiota possa condurre dei banditi alla distruzione dei paesi vicini, ancor più assurda la sua confessione dei fatti di San Josè dinanzi al giudice sui titoli di coda: decisamente un personaggio un po’ troppo sopra le righe per sembrare credibile. La giovane prostituta Rachel si ritaglia una buona fetta di “notorietà” sui due albi e si permetterà pure inizialmente il lusso di prendere per il naso Tex e company durante il processo, deponendo a favore di Bob e facendolo di fatto assolvere. Il nostro imperturbabile ranger a tratti sembra essere attratto dalle grazie dell’affascinante meretrice e nella scena del salvataggio sulla diligenza, suppongo sia messo più a dura prova rispetto alla sfida coi Braddock, quando si ritrova la donna che abbozza a scoprirsi il seno sostenendo di essere adesso debitrice nei suoi confronti . Manfredi si diverte pure a premere sull’acceleratore pure in un “caliente” doppio senso che sfugge al giudice Felsen durante l’udienza: “Ehm… direi di saltare i preliminari… cioè… voglio dire il giuramento…” con tanti puntini di sospensione a evidenziare l’imbarazzo e un’espressione inequivocabile ben tratteggiata da Leomacs . Chiusa la breve parentesi “hot” concludo il mio commento constatando il ruolo un tantino marginale di Carson e la strana atmosfera in bilico fra parodia e drammaticità che si respira durante i due albi, forse anche questo aspetto contribuisce ad accrescere il senso di confusione di giudizio. Non una storia memorabile, ma nemmeno una ciofeca, più che altro un episodio atipico ma con il suo perché. Leomacs si conferma disegnatore abile e portato per il west, tuttavia anche il sottoscritto lo ha trovato un po’ in calo rispetto al suo debutto. Bene la classicità dei tratteggi e alcune inquadrature insolite soprattutto nel primo albo, discreta la dinamicità delle vignette, ma un tantino da migliorare la caratterizzazione dei due pards, che mostrano primi piani alquanto altalenanti e spesso dissimili fra una vignetta e l’altra, ma nel complesso una prova abbondantemente sulla soglia della sufficienza artistica. Il mio voto finale è 7
  18. Ahahaha in caso lo proponi a Burattini per uno speciale di Cico.
  19. E pensare che originariamente avevo intenzione di fermarmi al numero 10 . Dopo aver letto l'interessante storia di Mefisto e questa autentica perla narrativa con i Seminole, come poter abbandonare la nuova saga? Complimenti a Borden e a tutti gli autori, la serie Tex Willer è strepitosa e cresce albo dopo albo.
  20. Lascio qualche titolo: - Rotta verso l'inferno - Il macabro ghigno della morte - Il Mounted disperso - Il fabbricante d'illusioni - Horror City - Il severo monito di Manito - Riverberi di sangue - Tequila sunrise - La mesa della disperazione - Tra i meandri della memoria - Polvere da sparo - Rapsodia di morte.
  21. E poi capita durante la rilettura dei vecchi albi, di incontrare storie come questa. Ti appresti alla lettura con pochi ricordi e desumi che nell’anno di uscita non ti abbia colpito tanto. Intraprendi il primo albo e pagina dopo pagina pensi: “Caspita ma come diavolo ho fatto a dimenticare questa bomba?”. Man mano che vai avanti, ti ritrovi totalmente rapito e con il vantaggio, non di poco, di avere a disposizione tutti gli albi senza dover attendere mesi prima di finirla di leggerla tutta. Alla conclusione deponi l’albo soddisfatto e ti convinci che, o la memoria comincia a far cilecca o la prima volta l’attenzione non era stata idonea. Mi scuso per la tortuosa premessa, ma mi è venuta di scriverla di getto, spinto dalle positive sensazioni suscitatemi dalla recente rilettura di questo gioiellino western. Il primo albo è sceneggiato magistralmente da un Borden in stato di grazia e davvero ti ritrovi a divorare le pagine, con la voracità di uno che si spazzola i popcorn preso da un ottimo film nella sala cinematografica . Il soggetto è solido, in puro stile western classico e si poggia su uno straordinario lavoro sulla psicologia dei personaggi. Boselli ci dona un parco di attori che non ha nulla da invidiare a un romanzo colto e conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sotto la sua gestione la collana assuma i contorni del fumetto d’autore. Prima di soffermarmi un po’ sui protagonisti della vicenda, lasciatemi spendere una parola per il ritmo perfetto della sceneggiatura: una trama al cardiopalma, tesissima, ricca di colpi di scena e con pochissimi tempi morti, anche questo aspetto accattiva la lettura e ti tiene incollato alle pagine. Per una volta non si avverte minimamente l’assenza dei pards, anzi come già fatto notare prima da altri utenti, difficilmente avrebbero trovato il giusto spazio nella perfetta tela intessuta dall’autore. Il nostro eroe si disimpegna alla grande e trova un avversario temibile e all’altezza e ciò non può che far lievitare il valore dell’episodio. Charvez è davvero un antagonista ben scritto, feroce e pericoloso e molto inquietante nel suo stare in bilico fra magia e razionalità. Solo nell’epilogo qualche piccola ombra di codardia fa capolino, ma rispetto ad altri personaggi simili come Narveaz o il guerrierro immortale di Ruju, che incutono timore al prossimo soggiogandolo pure con la superstizione, lo colloco decisamente varie spanne sopra. Il destino vorrà che non sarà la mano di Tex a decretarne la fine, bensì il fucile della coraggiosa e fiera Ada Stark, una donna affascinante e forte che otterrà così la sacrosanta vendetta contro la belva comanche che sedici anni prima le portò via il padre e ignobile violenza carnale. Molto ben riuscita pure la figura del gentiluomo giusto e rispettoso che risponde al nome di Rick Simmons: il suo sincero amore per Ada e il figlio non suo, gli fa onore e non gli mancherà il coraggio per strapparlo dalle mani sporche di sangue del vero padre. Non mi sarà possibile dilungarmi su ogni personaggio che appare nella storia, per non correre il rischio di propinarvi un commento chilometrico, tuttavia ogni pedina che Borden inserisce nella scacchiera è ben descritta e definita. Dal rurales Alcalà, passando per Silent Foot , dal codardo Matt al fedele Jerry, ogni personaggio ha la sua giusta collocazione. Il suggestivo duello finale riabilita pure Daniel, fino a quel momento un po’ ambiguo nelle sue scelte, sebbene veniamo a sapere che il suo stato era alterato dalle droghe propinategli da Charvez, che lo inducono persino a uccidere a sangue freddo un indiano disarmato. Trovo molto particolare pure la figura di Carl, l’originario fidanzato di Ada: indubbiamente non brilla quando non se la sente di riaccogliere tra le sue braccia l’amata dopo la violenza di Charvez, ma negli anni scopriamo comunque che la ama ancora fino al punto di non sposarsi e soffrire per lei. Di certo non un personaggio positivo ma dipinto con talento da Boselli in poche pagine. Se non è estro narrativo questo, mi mangio un cactus come direbbe il vecchio Carson! Mastantuono tiene perfettamente il passo dello sceneggiatore fornendo la prova ideale per una simile trama. Sempre molto secco, sintetico e tagliente; capace con pochi tratti a creare una malinconica atmosfera, bravissimo nella caratterizzazione grafica di Charvez e dei protagonisti. Uno stile che può pure non piacere, essendo sempre molto insolito per la media della saga, ma che in simili ambientazioni trova la giusta connotazione. Personalmente apprezzo più un tratto personale e riconoscibile, sebbene più grezzo, come quello di Mastantuono, piuttosto che una cifra stilistica più pulita ma carente di personalità come quella espressa da autori come Bruzzo nelle sue prime opere sulla saga. Chiudo facendo notare dapprima una sgraziata (e innaturale!) posa di Tex disegnata nella prima vignetta doppia di pagina 21 dell’albo “Feticci di morte” a cui tuttavia fanno il contrappasso le splendide ed enigmatiche espressioni facciali di Charvez durante tutta la prova. Per par condicio evidenzio pure una piccola imprecisione di Borden (o almeno a me dà questa impressione) nel primo colloquio tra il ranger e Silent Foot: il bizzarro indiano dapprima chiama per nome Tex per poi nel proseguo del dialogo nominarlo con il più logico appellativo di Aquila della Notte. A mio avviso suona strano che i nativi lo chiamino con il suo nome di battesimo da bianco, magari è una mia fissa ma la penso così. A fatica accetto che sporadicamente lo faccia Tiger, visto il loro rapporto strettissimo, ma che lo faccia uno come Silent Foot mi sembra forzato. A proposito dimenticavo: ma quanto è bella la scena dell’incubo nell’incubo che vive Rick nel villaggio abbandonato? Che classe sopraffina nel descrivere le paure oniriche del vecchio soprastante e che trovata a effetto quella di spiazzare il lettore col proseguo del sogno; un elogio pure a Mastantuono che contribuisce alla grande nella riuscita di questo passaggio narrativo molto originale e azzeccato. Il mio voto finale è 9
  22. Sebbene non la leggessi dalla data di pubblicazione, della storia in questione conservavo un buon ricordo e ciò già si prestava come un buon viatico per la rilettura. In effetti, le buone impressioni di allora sono state riconfermate in pieno. Dopo le due prove opache di Faraci e Ruju, il livello narrativo subisce un netto rialzo con Boselli tornato in cattedra. A prescindere del buon valore dei collaboratori, c’è poco da fare: Borden è l’unico che dimostra la capacità di cambiare passo e le sue composizioni si ergono inevitabilmente rispetto alle altre contemporanee! Il soggetto a tinte fosche, mi ha appassionato fin da subito, d’altronde non è un mistero che simili tematiche hanno sempre intrigato il sottoscritto. L’autore sfodera una prova superba, piena di tensione e adrenalina, costruendo con cura un mistero inquietante che attira l’attenzione dei pards e del lettore. La presenza di Eusebio e El Morisco arricchisce la zuppa che diviene davvero irresistibile appena si svolge il pirotecnico finale fra gli antri della tenuta dei Diago, una nobile famiglia maledetta che paga un diabolico patto degli avi con “la stirpe dell’abisso”. Come nella migliore tradizione dei racconti di Lovecraft ci imbattiamo in strane creature, nate dall’unione tra umani e antiche divinità precolombiane dalla sembianza dei serpenti. Vediamo agire il diabolico Sandoral e i suoi restanti alleati, mentre la dolce Leonora, il fratello Victor e il padre pagano sulla loro pelle l’antica maledizione. L’epilogo è pirotecnico e coinvolgente, e chiude degnamente un soggetto molto Bonelliano. Storie simili, al limite della realtà, è sempre un piacere vederle di tanto in tanto sulla saga e se, come la presente o “Il vecchio di mezzanotte”, sono scritte così bene, rappresentano un fiore all’occhiello. Eccellente la performance dei nostri, con Kit e Tiger ben in evidenza, un po’ ai margini il Morisco, ma poco importa. Sempre sopraffina l’opera di caratterizzazione dei personaggi, ma con Boselli è quasi superfluo specificarlo. Forse sul finale qualche tavola in più non avrebbe guastato, ma la dinamite seppellisce tutto e in fondo muovere un simile appunto è un po’ come fare le pulci al cane . Straordinario Piccinelli, che si esibisce in una prova superlativa. Il suo valore era già noto, ma in questi due albi mostra appieno di essere un giovane fuoriclasse. Il suo stile, sebbene molto influenzato dal maestro Villa, assume dei contorni di personalità molto graditi ed è una goduria per gli occhi, con vignette dinamiche seppur ricche di dettagli, primi piani eccezionali e un’innata capacità di dipingere donne affascinanti. Molto ben reso il ricco campionario di serpenti vari e scene molto d’impatto come quella sul treno o nei sotterranei di villa Diago, acquistano ulteriore fascino grazie al suo talento. Fra le giovani leve di disegnatori arruolati, di certo è un top player. Il mio voto finale è 8
  23. Se dovesse essere scelto pards, voglio riconosciuti i diritti di immagine.
  24. "Le imprescindibili trame del destino" Trovo suoni bene come titolo per un albo di Tex; è vero che esiste già un romanzo con quel titolo, ma l'autore non avrebbe nulla da ridire in proposito e se proprio volesse piantare grane, lo richiamerei all'ordine redarguendolo dinanzi lo specchio.
  25. Ogni volta che devo scrivere una recensione negativa lo faccio sempre a malincuore. Con Faraci poi ancor di più, visto che la percentuale dei miei giudizi negativi supera di gran lunga i voti positivi. Come più volte ripetuto in passato, nelle mie valutazioni cerco di essere sempre il più obiettivo possibile, e purtroppo al netto di un paio di buone prove all’esordio, Tito si è ben presto impantanato in un ristagno creativo che lo ha portato a partorire episodi alquanto deludenti e con poco mordente. Anche “Il ricatto di Slade” rientra in questa lista e personalmente non vedo come poter assegnare una sufficienza. Dopo tanto l’autore rispolvera Carson e lo affianca a Tex. Il tentativo di imbastire buoni dialoghi e ricreare vagamente l’ironia nizziana nei battibecchi tra i due pards è lodevole, ma a tratti appare alquanto artefatto e almeno a mio avviso, non raggiunge quella spontaneità creativa che caratterizzava le divertenti scenette del primo Nizzi. Lo sceneggiatore sembra proseguire col pilota automatico, scrivendo un passabile primo albo per poi smarrirsi totalmente nelle seconde 110 tavole. Ancora una volta a latitare è una bozza di trama degna di questo nome. Attorno al ritrovamento di documenti compromettenti per il solito politicante di turno, Faraci costruisce una storia di due albi e sebbene l’azione pura non manchi, si rischia di sbadigliare fra interminabili inseguimenti, scene allunga brodo e valanghe di pallottole. Troppo poco a mio avviso: ci sta una volta un soggetto così, ma propinarlo in continuazione urta il lettore e denota una totale mancanza di idee. Capisco che l’azione nel genere western è fondamentale, ma nel secondo decennio del ventunesimo secolo uno straccio di trama bisogna donarla al lettore, se no rimane fine a se stessa. Rispetto ad altre volte l’autore ci fornisce una migliore caratterizzazione dei suoi personaggi, special modo con Slade e mister Maxwell, ma sfrutta poco le possibilità, avvitandosi nel consueto tran tran di fughe, inseguimenti, catture, ennesima fuga, gigantesca sparatoria e punizione finale. Il secondo albo è davvero poca roba, si legge rapidamente con una sequenza lunghissima di Bang e avversari che cadono come mosche. Davvero inaccettabile lo snodo narrativo dei due pards che dinanzi a un nugolo di avversari, non trovano di meglio che gettarsi allo scoperto con un’assurda sortita, neanche fossero due supereroi a prova di pallottola. Ancor più assurdo che a quella breve distanza nessuno dei banditi riesca a colpirli nemmeno di striscio, credo che neppure io che non ho mai sparato in vita mia avrei fatto peggio . Che senso ha predisporre una sparatoria di decine di pagine se il succo della scena è questa inadatta scorciatoia narrativa? Che poi passi una volta, ma perseverare è diabolico rifacendosi al noto detto. Altra scena che mi convince poco, quella con Tex inzuppato come un pulcino che, dopo la caduta in acqua, emerge sparando all’impazzata come se nulla fosse. Non me ne intendo di balistica, magari mi sbaglio, ma siamo sicuri che una colt bagnata garantisca una simile resa? E se anche fosse, come mai quella di Slade si inceppa per un po’ di umidità nella cripta e quella del nostro con le polveri bagnate no? Proprio l’episodio non mi ha mai preso, due albi senza un briciolo di nerbo che ti fanno solo sperare che i mesi passino in fretta per poter rileggere Boselli sulla regolare. Capitolo disegni: Bruzzo è un disegnatore che conosce il mestiere e se la cava egregiamente, ma non capisco come mai, sebbene già giunto alla seconda prova sulla regolare, palesa una così totale mancanza di personalità nella rappresentazione dei pard. Sotto questo aspetto quasi lo ho trovato peggiorato rispetto al suo debutto. Troppe volte il suo Tex sembra essere estrapolato dalle prime storie di Ticci e messo lì apposta nelle sue vignette. Come fatto notare in un precedente commento, è davvero al limite del plagio il primo piano con Tex urlante con colt in pugno, usato pure nel 1994 dalla redazione per la prefazione del texone del maestro senese. Ricordo che allora, appena ragazzino, rimasi folgorato da quel primo piano e di aver speso ore e ore nel tentativo di ricopiarlo con matite e pennini. Ammetto che il mio esito finale non raggiunse quello di Bruzzo , ma da un disegnatore professionista una scelta simile tra le sue tavole non te l’aspetti. Anche Carson molte volte sembra essere ripreso da “Terra promessa” per poi con il proseguo delle tavole tramutarsi in un vago clone villiano. Come mai Bruzzo soffre di così tanta insicurezza stilistica che gli impedisce di tratteggiare con stile personale i pards? Timore reverenziale per il personaggio? Il peso di misurarsi con un mostro sacro come Tex? Non so rispondere e dire che tecnicamente è preparato, ma personalmente prediligo disegnatori dalla cifra stilistica definita e originale. Il mio voto finale è 4
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