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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Sebbene appassionato di statistica, mi son guardato sempre bene dal districarmi o esprimere giudizi sui presunti dati di vendita delle varie testate. Credo che non essendoci un riscontro certo per noi lettori, si finisce inevitabilmente in un ginepraio di valutazioni inattendibili, previsioni non suffragate da dati certi, considerazioni personali o catastrofiche o ottimistiche che rischiano di rimanere fine a se stesse. In fondo penso che studiare quei dati non mi compete e poco mi interessa (ogni editore ha la sua schiera di esperti in marketing che sapranno analizzare e far bene il loro lavoro); come lettore la mia unica speranza è che le serie che amo continuino a uscire e affollare gli scaffali dell'edicola. P.s. Una certezza personale comunque c'è: il sottoscritto mensilmente continuerà a far parte di quel numero a tre zeri di lettori, che acquista sia le copie di Tex Willer che quelle di Tex serie regolare.
  2. Condor senza meta

    [716/719] Netdahe!

    Il ritorno della bella Ramona, sebbene probabile, non è affatto scontato. Come mi rispose Mauro in proposito di Liz, occorre trovare la giusta idea, il guizzo che impedisca di proporre una minestrina riscaldata o un soggettino insulso e non all'altezza. Come per Liz, personaggio ben riuscito peraltro, ma che finora non ha rivisto ritorno sulla saga (e non è detto che ci sia!), anche la "Signora del Rancho Verde" potrebbe essere destinata all'oblio. In fondo, sebbene potenzialmente ambigua e più interessante sotto questo punto di vista, costituisce una figura troppo ingombrante per le caratteristiche di Castillo, e non è detto che un'eventuale scelta di mostrare l'evoluzione del loro rapporto non rischi di degenerare in una situazione narrativa stile soap opera. Ovviamente possiamo ipotizzare e dire ciò che vogliamo, ma come è giusto che sia, l'ultima parola spetta a Borden.
  3. Dopo un’iniziale sequenza di buone storie, culminata con “Le catene della colpa” forse il suo miglior lavoro sulla saga, Ruju incappa, a mio avviso, in una prima prova opaca. Lo sceneggiatore ci aveva fin lì abituato a spunti di soggetto innovativi e originali, per la storia in questione invece vira verso un’idea classica con indiani ribelli e speculatori disposti ad aizzarli per i loro scopi. A dir il vero, l’autore arricchisce con un tocco di inconsueto la sua tela, con un incipit particolare che però a mio avviso non convince appieno. Pure la presunta nomea di immortalità che gravita attorno alla figura di Wasape nel proseguo della sceneggiatura e che funge da colonna portante al racconto, mi lascia alquanto freddo. Ma procediamo per gradi: sul tortuoso piano della fallita impiccagione del Comanche se ne è già parlato molto; non avendo le dovute conoscenze non mi sbilancio ma trovo un po’ al limite la scena della corda corta e relativa imbottitura per impedire lo strangolamento del condannato. Come se non bastasse, anch’io nutro forti perplessità sul fatto che coloro che trasportano il corpo esanime di Wasape non si accorgano minimamente che respiri e sia in vita. Sospensione d’incredulità fino a un certo punto, qui si rasenta la forzatura narrativa bella e buona per alimentare il piano degli scalcinati villain (ma su questo ci tornerò più avanti). Il Comanche che si convince della sua presunta immortalità può starci in fondo, visto che la superstizione fra i nativi non è mai mancata, ma non capisco a tal punto la scena del suo testarsi ferendosi col coltello: evidentemente è il primo a dubitare e quindi qualche domandina sulla sua fuga potrebbe porsela. Sorvolando su questo punto, è proprio Wasape a non ottenere quello spessore che presumibilmente Ruju voleva dargli. In fin dei conti è un antagonista che lascia poco il segno e che finisce col perdere pure la fiducia del suo sparuto drappello di teste calde. Non è codardo ma in fondo pure poco saggio e la sua natura esagitata lo porterà a una fine non memorabile a mio avviso. Davvero indigesta la scena in cui passa indenne nella main street sotto una grandinata di piombo, situazione abbondantemente irrazionale e non c’è sospensione d’incredulità che tenga in questo caso . Come non mi è andata nemmeno giù la trovata finale di far sparire il corpo tra gli zoccoli dei bisonti per continuare ad alimentare la leggenda della sua immortalità: ulteriore snodo poco credibile e mi chiedo cosa si fosse fumato Carson sul finale, quando sembra temere per le sorti del pard, non tanto per il valore dell’avversario, quanto per quello che parrebbe rappresentare . La congiura ai danni dei nativi non è una novità sulla saga, ma stavolta i burattinai sembrano poco approfonditi, col politicante capo che praticamente vediamo quasi solo nel rapidissimo epilogo e i due sgherri armati di sharp e macchina fotografica che si devono accollare da soli tutta la mole del lavoro. Soffermarsi un po’ anche su questo aspetto non avrebbe guastato, così il piano sembra più un pretesto che una causa generante degli eventi. Dimenticavo la scorciatoia narrativa delle tracce dimenticate che praticamente annullano ogni sforzo di far passare per una scorreria indiana il massacro dei militari corrotti. In pratica un Ruju poco ispirato e distratto stavolta, che incappa in vari errori e non ci regala una trama scorrevole come le altre occasioni. Di contro Seijas si riconferma ottima garanzia di resa, con una prova su buoni livelli e molto funzionale. Tavole pulite e dalla ottima leggibilità, buono dinamismo e resa dei volti. Da notare una rara vignetta dalle tinte splatter a pagina 112 del primo albo e lo strano errore redazionale nell’ultima di pagina 29 dello stesso, dove s’intravede l’originale nuvoletta non riempita dal testo in basso a sinistra, che dopo la scelta del letterista di porre il dialogo in alto, bastava riempire di nero per mimetizzarla nel contesto del disegno. Per non sembrare troppo rompiscatole e in cerca del pelo nell’uovo , cito pure lo splendido vignettone quadruplo di pagina 113 del secondo albo, che ci mostra quanto il disegnatore argentino ci sappia fare con prospettive e scorci di paesaggi cittadini. Il mio voto finale è 5
  4. Condor senza meta

    [643/644] L'indomabile

    L’inizio del 2014 fu all’insegna di Boselli. Dopo la lunghissima maratona del Supremo e il controverso ritorno di Kid Rodelo, il curatore riapparve sui crediti con questa storia, che a differenza di quelle che l’hanno preceduta, si attesta su un livello più marcatamente classico e con un soggetto puramente western. Dalla prolifica penna di Borden esce l’ennesimo grande coprotagonista che, fin dalle prime pagine, entra in sintonia del lettore e si guadagna, tavola dopo tavola, le luci della ribalta. Nantan è un personaggio di spessore: fiero, coraggioso, col cuore al posto giusto e sebbene ingiustamente accusato, mantiene l’adeguata dose di lucidità, per portare avanti la sua vendetta contro gli infidi intrallazzatori che lo considerano una pedina da eliminare per portare avanti il loro sporco scopo. Il primo albo è molto ben scritto e tutta la sequenza della fuga dei due poliziotti apache, destinati all’ingiusto confino in Florida si fa molto apprezzare. Nantan è quel personaggio che cattura subito la simpatia del lettore e in tal senso, emblematica è la scena del secondo albo, in cui l’incontro con Adam mette a confronto due grandi uomini dal cuore d’oro che solidarizzano uniti dal comune denominatore rappresentato dalle angherie del razzismo. Pure molto ben riuscita la figura della fiera e coraggiosa Nitika che riesce a conquistare il cuore dell’indomito apache e ottiene in cambio il suo amore. La prova non è tuttavia esente da pecche, che non ne inficiano l’esito complessivo ma che vanno comunque evidenziate. Il secondo albo a mio avviso non tiene il passo del primo e i villain coinvolti non fanno mai quel salto di qualità presente nella maggioranza delle sceneggiature boselliane. I più puritani possono muovere l’accusa (legittima in questo caso), che Nantan rubi troppo la scena ai pards; aspetto che, a mio avviso, se non troppo ricorrente, può starci. Se inoltre serve all’autore per comporre ottime storie, non è di certo un difetto. Se non avessi scritto questa recensione in concomitanza con l’entusiasmante storia dei Netdahe in edicola in questi giorni, avrei potuto inserire negli aspetti meno positivi pure il modo in cui il viscido colonnello Atwood se la cava di lusso, mantenendo il comando di Fort Rucker, suscitando giustamente lo sdegno di Nantan nelle ultime tavole. Adesso, col senno di poi, possiamo sostenere che il finale aperto di allora servì all’autore come assist per il brillante sequel che vede il ritorno del poliziotto apache, di Webster, Castillo etc., reso ancora più originale dal doppio binario narrativo, che da un lato ci ha mostrato la sacrosanta punizione per l’ufficiale corrotto, e, dall’altro, ci fa incontrare i feroci e irriducibili Netdahe, solo nominati nella presente prova. Quelle scelte di continuità narrativa in una saga, di cui Borden è maestro e che il sottoscritto apprezza parecchio. La storia verrà purtroppo ricordata anche come l’ultima prova grafica dell’indimenticato Josè Ortiz. Quanta tristezza incutono le sue tavole d’addio; un mesto rassegnarsi alla insindacabile legge naturale che vede sconfiggere anche i più grandi autori e li porta, purtroppo (tranne rarissime eccezioni), a degenerare in uno stile approssimativo, quasi naif e puerile. Non mi par giusto al cospetto di un grande artista, che ho a lungo ammirato e preso come riferimento, soffermarmi sulle troppe pecche grafiche che emergono tra le tavole della sua ultima fatica e che un po’, lo ammetto, compromettono la sceneggiatura. Di tanto in tanto qualche bel primo piano o paesaggio spicca tra le vignette, fiere reminiscenze di un glorioso passato artistico, ma per il resto, la fatica e la malattia inducono il maestro iberico a una prova totalmente sotto gli standard, con evidenti scompensi di tratto, troppo marcati o lievi, comunque caotici ai fini prospettici e della profondità delle inquadrature, che alla lunga rendono ostica la lettura e la visione delle sequenza dinamica della scena narrativa. Un esempio a caso, lo sgraziato primo piano di Nantan nella vignetta 1 di pagina 58 del secondo albo. Ma come non basta una spina a compromettere la bellezza di una profumata rosa, al pari, non credo che le prove modeste partorite sul viale del tramonto intacchino la carriera di un gigante del fumetto internazionale, che è riuscito con estro e umiltà, pure a conquistare la stima e l’affetto degli esigenti lettori texiani, divenendone una delle colonne portanti per oltre un ventennio. Il mio voto finale è 7
  5. Rimango dell'idea che la scelta narrativa della votazione finale sia stata infelice a prescindere. In caso di mancata redenzione (situazione più plausibile con l'iniziale caratterizzazione del personaggio e anche per me più adatta a Rodelo) l'errore marchiano è dei due Kit, con Tex che, sebbene contrario, si fa mettere in minoranza dal voto di Mike che potrebbe benissimo divenire complice del futuro cognato, mettendo così a repentaglio la vita di innocenti. Anche con il ravvedimento del Kid, cosa che col senno di poi accade, sono Tex e Tiger ad andare incontro a un errore di valutazione. Niente di assurdo in fondo, ci sta che si sbagli alle volte, ma non capisco la necessità di escogitare un finale così atipico e spinoso. La scorciatoia narrativa della sparizione di Rodelo avrebbe tolto d'impaccio l'autore, ma ripeto, ogni valutazione è soggettiva.
  6. Concordo pard sul fatto che far redimere Kid Rodelo sia stata una scelta alquanto discutibile, resa ancor più opaca dalla sua caratterizzazione ben marcata del primo episodio. Non a caso sostengo che, a mio avviso, un personaggio simile non meritava un ritorno o quantomeno se proprio si voleva riproporlo, lo avrei visto solo come un nemico in cerca di vendetta che sbatte contro una cassa da morto. Forse la penso così a causa della poca empatia col personaggio, lo ammetto. Del seguito "Winnipeg" ovviamente parlerò nell'apposita sessione appena la rileggerò, ma le basi di quella storia da te giudicata "sbagliata" sono gettate in questi due albi, soprattutto nel finale che lascia già supporre la conversione del bandito infermo. D'altronde se così non fosse, Tex e i pards lasciandolo libero avrebbero preso una topica pazzesca e Borden non lo vedo nei nolittiani panni a far così fallire i nostri eroi. Tuttavia ci muoviamo nel terreno minato delle valutazioni soggettive ed è ovvio che quel che non convince me, può estasiare un qualsiasi altro lettore.
  7. In due anni di permanenza in questo splendido forum, ho cercato sempre di mantenere il più possibile l’imparzialità di giudizio sulle storie che mi son dilettato a commentare. Ben conscio che l’opinabilità di opinioni è alla base delle piattaforme tematiche, la mia intenzione era (e lo è tuttora) quella di non farsi influenzare dai commenti altrui o dai legami di stima che, vuoi o con vuoi, tendi a sviluppare con alcuni autori. Questo mio metro di giudizio mi ha portato spesso a esprimere libere critiche a quelle storie che, sebbene composte da autori che adoro, vedi le ultime di G.L. Bonelli o di Nizzi, non hanno incontrato il mio gradimento. Non ho altresì mai nascosto di apprezzare molto Boselli, reputandolo il migliore sceneggiatore attuale di fumetti in Italia e tutti noi lettori di Tex dobbiamo riconoscere che il suo ruolo di curatore ha salvato l’amata saga, proiettandola nel futuro con un’opera di ammodernamento necessaria per tenere il passo dei tempi. Vi chiederete cosa ci azzecca questa lunga premessa con la storia in questione; mi sento di tranquillizzarvi: non sono ancora ammattito del tutto (o almeno spero!) , né tanto meno intendo arruffianarmi con Borden (tutt’altro temo considerato ciò che segue ). Le suddette considerazioni fungono da preludio a quella che di fatto rappresenta una delle mie rare recensioni negative a un episodio scritto da Mauro. Forse rischio la “crocifissione in sala mensa” di fantozziana memoria , ma non posso nascondere che “Giovani assassini” è una prova che non mi è mai piaciuta e ogni rilettura mi lascia la sensazione di un passo falso. Sia chiaro che il ritmo narrativo e la sceneggiatura sono apprezzabili, d’altronde sull’abilità di Borden ci si può puntare gli orologi, tuttavia alcuni aspetti che caratterizzano la storia non mi convincono e incidono sul mio giudizio finale. In primis, ma ammetto che questo è un pensiero soggettivo, Kid Rodelo da odioso young killer non ha mai attirato molto la mia simpatia e personalmente lo avrei lasciato marcire a Yuma piuttosto che dedicargli ben due successive storie, con annesso sviluppo caratteriale. Ammetto che la trovata della parentela fra lui e Durango è un colpo a effetto non da poco, anzi mi chiedo (anche se par ovvio) se l’autore l’abbia pensata solo al cospetto della prova. Purtroppo, almeno a mio avviso, una delle poche note positive è proprio questa, per il resto solo parecchie perplessità che mi inducano a reputare la prova come una degli anelli deboli della luminosa carriera di Boselli sulla saga del ranger. Non so per gli altri utenti, ma il Kid Rodelo che incontro nei due albi mi sembra un “lontanissimo parente” di quello che esordì a fianco del sanguinario Jack Thunder, tanto è vero che non sembra nemmeno lui. Mi accodo a chi reputa fastidiosa la troppa benevolenza con cui vengono accolti i due banditi nella storia; la ricerca di una motivazione che spieghi la loro indole negativa non basta a farmi parteggiare per loro. Vendetta o non vendetta per la fine dei genitori, non posso dimenticare che il Kid appariva all’inizio come un gelido e odioso killer, senza scrupoli né morale e che assisteva con sadica indifferenza agli efferati delitti dei banditi psicopatici della banda Thunder. “Trovo che una pallottola sia più pulita” sosteneva con faccia da schiaffi mentre i molossi di Lizard dilaniavano vittime innocenti . Proprio non mi capacito come quel ragazzo dall’animaccia nera possa poi essere riproposto in una veste alquanto diversa. Il Rodelo di questa storia, sta ben attento a non lasciarsi dietro vittime inutili e nell’epilogo rischia di apparire un vendicatore eroe che mette a rischio la sua vita per una missione. Forse sono prevenuto io, ma davvero sembrano due personaggi diversi. Durango essendo stato meno tratteggiato nella sua prima esperienza sulla saga, stona meno ma il Kid, che sul finire addirittura scherza con Kit nemmeno fossero vecchi e affiatatissimi amici, proprio non mi va giù. Sull’epilogo visto che si è già molto discusso nei precedenti commenti, non mi dilungherò troppo ma trovo che scegliere di far perdere le tracce del giovane bandito, magari facendone ipotizzare una presunta morte, sarebbe stata una scorciatoia saggia per non spaccare in due l’opinione dei lettori. Indubbiamente le ultime tavole spiazzano un po’, anche la palesata votazione che mette in minoranza Tex a causa del voto di Mike, un quasi sconosciuto ovviamente coinvolto emotivamente nella vicenda, fa storcere il muso. Anche qui tacere della votazione democratica, forse sarebbe stato più idoneo e pazienza se per una volta Tex impietosito rinunciava a far giustizia, visto la straordinarietà del caso dovuta alle menomazioni varie subite dalla sua preda. Capisco che la storia sia stata concepita per il proseguo con il ritorno di Thunder, ma a mio avviso con qualche piccolo accorgimento sarebbe stata meno indigesta. Nella media i disegni di Font, forse un po’ in calo rispetto al recente passato, ma il suo stile al limite col caricaturale finisce col celare l’involuzione. Anche l’opera dell’artista spagnolo d’altronde ha sempre spaccato la platea fra fan e detrattori. Il mio voto finale è 4
  8. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 27] I tre fratelli Bill

    A prescindere dell'interessante omaggio ai Tre Bill, una storia confezionata dal duo Boselli - Piccinelli va comperata a "scatola chiusa": qualità assicurata! Sono anni che ho abbandonato i Maxi (l'ultimo fu Alaska, con la doverosa eccezione di Nueces Valley ovviamente!) ma quest'autunno è già deciso l'ennesimo (e piacevole!) strappo alla "regola".
  9. Condor senza meta

    [637/640] El Supremo

    Un piacevole tuffo nel passato, è questo il primo pensiero che albeggia nella mente appena conclusa la lettura di questa notevole maratona narrativa di Borden. Una storia ariosa, carica di azione, cambi di scenari continui e un marcato retrogusto classico. Già il soggetto con l’ennesimo pallone gonfiato messicano, megalomane e spietato richiama molto spunti cari al vecchio Bonelli; la lunghezza della sceneggiatura, arricchita da una folta schiera di personaggi storici, da Montales a Devlin e la combriccola di San Francisco, rende ancor più ricca la pietanza. L’autore ci accoglie con un prologo pirotecnico che, oltre a farsi apprezzare per ritmo e capacità di scrittura, ci accompagna nel clou del soggetto. Il lettore viene a conoscenza della folle, ma politicamente ben radicata congiura, messa in piedi dal Supremo per creare uno stato indipendente fra Sonora e Baja California sotto il suo dominio. Borden tenendo fede alla sua conclamata abilità di creatore di personaggi, ci spiattella fin dalle prime parti un “cattivo” di spessore che alla lunga si rivelerà la pedina meglio riuscita del gioco, ovvero quel Nick Castle (ben appoggiato dal suo inquietante braccio destro Muggs) duro e spietato quanto basta ma soprattutto opportunista e pronto ad abbandonare la nave appena affonda, se il gioco non dovesse più valere la candela. Come accennato in precedenza, la congiura del Supremo si basa su una fitta rete di pezzi grossi corrotti pure di oltre confine: oltre a dei alti ufficiali dell’esercito americano, le ramificazioni arrivano fino a Washington con un senatore californiano implicato. Le indagini dei nostri, porteranno a risalire la china e pian piano a dare un nome e un volto ai tanti traditori. Molto carica di tensione narrativa la sequenza con il duello all’ultimo sangue fra i pards e i tiratori scelti destinati a disertare per arricchire le file del Supremo. Dopo lo scontro si unirà ai nostri l’abile Donen, il tipico cattivo a metà boselliano che salterà la barricata e si schiererà con gli eroi del bene. Fino all’ultimo, a dire il vero, il lettore dubiterà il doppio gioco del biondo soldato ma così non sarà nell’epilogo. La trama si sposta nel terzo albo nei bassifondi di Frisco e sebbene il ritmo rallenti un po’, abbiamo l’occasione di rivedere in azione i simpaticissimi picchiatori di Lefty, con Bingo sugli scudi e con il ritorno di Angelo il damerino. Sorvolando sulla lieve scorciatoia narrativa che permette a Tex di scoprire l’ubicazione della misteriosa Isola della Nebbia, covo dei cospiratori, e il piano un po’ tortuoso del giovane Kit per liberare la graziosa figlia del senatore, rapita per ricattare l’oppositore politico, l’epilogo è scoppiettante e rovente, con la gatling in piena azione e il quartetto in forma smagliante. Il villain verrà sconfitto su tutta la linea e mostrerà il suo scarso valore, tipico per i palloni gonfiati di quel calibro, tuttavia Castle e socio sfuggiranno dalla rete e Borden se li potrà rigiocare in un’altra splendida maratona narrativa più recente, affiancandoli al vecchio e temibile Maestro. Storia davvero esaltante che diverte oltremodo e ricorda epiche avventure del centinaio d’oro targato G.L. Bonelli. Oltre ai meritati complimenti destinati a Boselli, non si può non riconoscere che il merito dell’ottima riuscita va condiviso con Dotti, all’esordio sulla saga e fin da subito a suo agio come un veterano. Esordire con una sceneggiatura simile non è affatto semplice, ma il disegnatore se la cava alla grande svariando ottimamente da uno scenario all’altro e fornendo una prova estremamente qualitativa che poco risente della notevole lunghezza. Non è una semplice frase di circostanza ammettere che il suo arruolamento è prezioso per la saga, visto che a uno stile dinamico e suggestivo e un’accettabile rappresentazione dei pards, si unisce una velocità di esecuzione che permette allo sceneggiatore di sbizzarrirsi su una mole di tavole maggiore. Credo che questo aspetto vada molto considerato in una pubblicazione seriale: in un’epoca dove i disegnatori veloci stanno divenendo rari come i Panda, poter disporre di un artista che coniuga qualità e quantità come Dotti è una manna dal cielo. Non sarà infatti un caso che in seguito gli verranno affidate dalla redazione le cartoline della Nuova ristampa e le copertine di Tex Willer, notevoli riconoscimenti per un artista che fin dal debutto nell’universo texiano si è subito ritagliato un ruolo da veterano. Personalmente ammiro molto il tratto di Dotti, con le sue sfumature (suppongo a pennello secco) che sporcano piacevolmente le vignette e le donano un tocco di realismo e ottima dinamicità. Nella prova in questione le fattezze di Tex mostrano qualche incertezza ma ben presto il disegnatore mostrerà miglioramenti e attualmente lo si può annoverare tranquillamente fra le giovani colonne portanti della saga. Il mio voto finale è 9
  10. Nulla, ci mancherebbe . La mia era una semplice considerazione personale, mica una legge insindacabile. D'altronde, come specificato nel mio commento, la storia mi ha sempre molto divertito, anche se qualche passaggio lo reputo un tantino artificioso e questo in fondo conta. In merito al punto della sorveglianza, credo abbiate ragione e sia molto plausibile la vostra spiegazione.
  11. Intervallata dalla lettura delle pubblicazioni recenti, prosegue la mia opera di recupero delle storie del recente passato. Approfittando del weekend di Ferragosto, mi sono apprestato a rileggere l’episodio boselliano con il ritorno del giudice Bean. Fra una bibita e un ghiacciolo, mi son immerso piacevolmente nella narrazione e anche stavolta, come all’epoca dell’uscita in edicola, ho concluso gli albi con una sensazione alquanto positiva. Il Borden che si accingeva a chiudere il 2013, mostrava di essere in discreta forma narrativa e il “Segreto del giudice Bean” conferma in pieno questo aspetto. Tuttavia la prova presenta pure alcuni punti meno funzionali, che non influiscono del tutto sull’esito finale ma che relegano la prova nella media. Contrariamente a come faccio di solito, proverò a stilare un elenco netto tra gli aspetti che più mi hanno convinto e quelli meno. Di certo ciò che più salta all’occhio durante la lettura è la straordinaria forma dei nostri due pards: Tex e Carson sono davvero in uno stato smagliante sia nell’azione, che nei dialoghi. L’opera di recupero boselliana di Carson, intrapresa fin dall’esordio dell’autore sulla serie, prosegue anche in questo capitolo, visto che il simpatico pizzetto agisce con ritrovato smalto. Il Tex di Boselli sarà pure meno ironico di quello di Bonelli e Nizzi, ma è sempre un piacere vederlo in opera, grazie alla sua smisurata abilità e decisione risolutiva. Secondo aspetto positivo, già parzialmente accennato di sopra, la qualità dei dialoghi, che in questa prova ho trovato abbastanza funzionali e mai eccessivamente verbosi. Il ritmo narrativo è un marchio di fabbrica di Borden e anche nella storia in questione si fa molto apprezzare, arricchito da pathos e tensione e alcune trovate azzeccate, come la scena sull’epilogo che gioca a disorientare il lettore, che per alcune tavole è portato a credere che Bean possa non avercela fatta, ma ovviamente non sarà così, visto che l’autore, come giusto, non forza la reale storia del personaggio ed escogita questo trucchetto per animare il finale. Pure la caratterizzazione di Bean, appena una macchietta nella precedente apparizione bonelliana, è più elaborata e l’autore riesce a mantenerlo simpatico, plausibile col reale personaggio storico e tutto sommato un comprimario positivo. Non era affatto scontato riuscirci, ma ormai è una voce del curriculum di Borden scritta a caratteri cubitali, quella di saper gestire bene vecchie leggende del west. Fatto così l’elenco, la valutazione si dovrebbe attestare fra il 9 e il 10, ma non sarà così, visto che di contraltare, alcuni aspetti meno positivi influiscono a sgonfiare un po’ l’esito finale. Concordo con @Leo che il piano di Morientes, atto a liberare Moon ritenuto indispensabile per estorcere al giudice il nascondiglio del denaro, non brilla di plausibilità e, sebbene la sequenza è sceneggiata molto bene, suona un po’ come uno stratagemma per ravvivare l’iter narrativo. Altro aspetto che poco mi convince, il piano per rapire la famosa attrice, da realizzare in quattro gatti per ricattare il buon Bean. In primis, se la Langtry era così famosa, dubito che pochi banditi da due soldi potessero con quella facilità eludere eventuali servizi di guardie del corpo e sorveglianza, ma poi, anche ammettendo la forte ammirazione del giudice verso la sua bella attrice, arrivare a pensare che un fan si faccia addirittura torturare in nome della sua devozione lo trovo un po’ eccessivo e troppo romanzato. Uno snodo spettacolare ma un tantino forzato a mio avviso, soprattutto se utilizzato per un personaggio che con Gian Luigi Bonelli assolveva un operaio che aveva ucciso un cinese, solo per una minaccia dei colleghi prima della sentenza. Davvero indimenticabile la giustificazione dell’assoluzione dovuta al fatto che il codice penale non prevedeva pene per chi accoppa un cinese . Ultimo aspetto opaco, i villain che stavolta non raggiungono il solito spessore con cui il buon Mauro ci ha sempre abituato. Tirando le somme: storia soddisfacente ma non eccelsa, che leggo comunque sempre volentieri anche per i disegni splendidi di Frisenda, al debutto sulla regolare dopo il capolavoro “Patagonia”. Il disegnatore milanese fu davvero un innesto straordinario per la scuderia texiana; un autore stiloso e dal tratto molto personale, dinamico e molto espressivo. Adoro le sue vignette e la straordinaria atmosfera che riesce a creare fra le sue tavole. Uno stile inconfondibile e adattissimo per il western, d’altronde già su Magico Vento aveva mostrato le innate doti. Personalmente scorgo anche alcune influenze di Ivo Milazzo e l’ottima espressività e recitazione dei personaggi, completa il quadro per un artista che stimo davvero molto, anche per via della sua educazione e modestia, unita a una grande disponibilità mostrata sui social, doti quasi rare al giorno d’oggi. Il mio voto finale è 7
  12. Stranamente non mi sono giunte le notifiche della "citazione" e purtroppo solo adesso mi è capitato casualmente di leggere il post di @pecos. Ti ringrazio pard per l'elogio al commento e ammetto di essere spesso un "pochino tirato con i voti" soprattutto con Nolitta. Valutare le storie di Sergio Bonelli su Tex è sempre molto difficile, visto che indubbiamente (salvo rari casi) sono valide narrativamente, ma non rispecchiano mai le caratteristiche del personaggio e in una pubblicazione seriale è una pecca non di poco. Come tu stesso ammetti, soggetti simili proposti da un autore qualsiasi, verrebbero cestinati all'istante, di conseguenza trovandoci in un forum su Tex, nei nostri giudizi anche la "texianità" deve essere considerata nei commenti. Il finale per quanto epico e struggente, risulta totalmente errato, soprattutto nella reazione passiva e rassegnata di Aquila della Notte, che quanto meno dopo il suo errore di valutazione avrebbe dovuto spendersi per cercare di salvare il salvabile. Non è accettabile che si allontani a capo chino lasciando al suo destino un sakem indiano che, su suo suggerimento, gli ha tolto le castagne dal fuoco. Questo non è il nostro Tex e se anche la storia merita e si fa leggere, fa storcere il muso. Come giustamente fatto notare da Diablero, si snatura il personaggio e il lettore si trova spiazzato. Ogni autore ha il suo stile naturalmente, ma, se alle prese con un mostro sacro come Tex, non deve mai varcare certi limiti. Non trovo attinente il paragone mosso in precedenza con il Tex di Boselli: fisiologicamente è diverso da quello di GL Bonelli ma ne ricalca con originalità e un tocco di modernizzazione le caratteristiche principali e questo spiega la crescente stima che l'autore ha suscitato negli anni sui lettori, anche quelli di lungo corso. P.s. Il dubbio che Nolitta abbia ripensato il finale in corso d'opera mi rimane e forse in questo caso avrebbe fatto bene a mantenere l'idea originaria qualunque essa fosse.
  13. Un episodio ben congegnato, con una sceneggiatura scorrevole e dialoghi apprezzabili. Il soggetto, sebbene un po' scarno, ha qualche punta di originalità che non guasta e contribuisce a far lievitare l'esito finale. Degli ultimi tre color lunghi (che sono quelli che ho letto, dopo aver interrotto per qualche anno l'acquisto) è certamente il meglio riuscito e Rauch dimostra tutte le credenziali adatte per confermarsi sulla serie, sebbene siano evidenti i margini di miglioramento. L'albo si legge con piacere e allieta l'oretta dedicata, di certo non può essere considerata una storia fuori della media o straordinaria, ma si rivela adatta alla collana e vale decisamente il "prezzo del biglietto". Non sdolcinata o stucchevole la relazione dei due coprotagonisti, che dà il nome all'albo: i due "piccioncini" sono plausibili ma a tratti, ammetto, che li trovo un tantino freddini e poco coinvolgenti. Forse proprio nelle caratterizzazioni dei personaggi l'autore dovrà lavorare in futuro; sia chiaro non dico che le sue creazioni presentino palesi errori o incongruenze fastidiose, ma ancora manca quel tocco in più, che permetta alle comparse di bucare la pagina e accattivare la simpatia del lettore. In una saga in cui il curatore è un maestro su questo aspetto, Rauch avrà modo di migliorare. Disegni di Scascitelli molto classici e suggestivi, però al contempo poco dinamici e a tratti un po' legnosi e in una saga in cui i lettori sono abituati a tutt'altra dinamicità di tratto, questo aspetto si nota come una mosca in una tazza di latte. Celestini fa del suo meglio per rendere più "effervescente" la consueta colorazione piatta editoriale; ma qualche effetto in più nel panneggio delle camicie o nelle nubi sarebbe pure gradito. Rimango sempre dell'idea che una colorazione artigianale ad acquerello o con ecoline sarebbe tutta un'altra musica, ma suppongo che anche il prezzo di copertina crescerebbe proporzionalmente alla qualità.
  14. Dal lontano 1998 a oggi, mi erano sfuggiti solo due numeri della regolare in edicola e uno dei due era proprio l’albo n. 634. Ho atteso con pazienza che fosse ristampato nella collana Tre Stelle, ma il caso ha voluto che la ristampa volgesse al termine proprio in prossimità di quei numeri, di conseguenza non ho potuto trovare l’albo interessato tra gli scaffali dell’edicolante. La lettura delle prime 110 tavole dell’episodio mi avevano molto intrigato e il desiderio di poter leggere il proseguo, mi attanagliava. Si prospettò dunque un bivio: aspettare un’ulteriore manciata di anni per averlo come Tuttotex o rivolgermi al Servizio degli arretrati di Via Buonarroti? La risposta è superflua visto che adesso mi posso accingere a scrivere la recensione della storia. Esaurita la premessa, che poco ha a vedere con il giudizio ma che mi andava comunque di scrivere, passiamo alle mie considerazioni personali sulla prova di Boselli. Posso dire che l’attesa è stata comunque premiata, visto che l’esito finale si mantiene su buon livello, ma ammetto che il secondo albo è decisamente inferiore al primo. Borden per l’occasione sfoderò un bel soggetto classico, molto bonelliano, ma lo sviluppò di par suo, arricchendolo con il consueto parco personaggi molto ben variegato e riuscito. Ai margini della convenzionale sfida fra i nostri e il prepotente di turno, si muovono personaggi molto interessanti come la caparbia e coraggiosa giornalista Billie Banyon o i simpatici e onesti Driscoll, con la giovane figlia Beth che a mio modo di vedere s’invaghisce di Kit e che in alcuni frangenti pare corrisposta. Sorvolando su questa considerazione da romanzo rosa, la sceneggiatura è scoppiettante e mantiene un alto ritmo narrativo. Boselli dalla cabina di regia, muove molto bene le pedine messe in campo per l’episodio e prepara il secondo albo, con l’arrivo di una squadra di professionisti prezzolati, ingaggiati da Charles Damon per avere ragione di Tex e co. Proprio sul più bello però la trama si affloscia un po’. La vulcanica giornalista viene relegata ai margini e con lei pure i Driscoll. L’autore decide di dare centralità alla squadra di professionisti capitanata da Nick Favor e alla sfida finale contro i rangers. Lo scontro è discreto ma tuttavia i villain deludono un po’ e anche la scelta narrativa del duello finale fra Tex e Favor stavolta mi convince meno rispetto ad altri epiloghi. Nulla di così grave ai fini narrativi, s’intende, visto che anche cosi la storia si fa apprezzare, comunque la sensazione che, visto le premesse, l'episodio poteva essere un gioiellino di tutt’altro spessore, rimane. Come di consueto Boselli ci fa conoscere personaggi con cui entriamo subito in sintonia e dispiace doverli salutare alla fine della lettura, infatti è auspicabile che la bella e impavida Billie possa tornare in nuovo episodio in futuro, magari accompagnata pure dai Driscoll. La presenza della stampa e le sue ripercussioni sulle trame di Tex ha origini antiche, visto che G.L. Bonelli di sovente ne faceva uso e nella celebre “Sangue Navajo” inserì con successo il brillante Floyd. Con Nizzi, a parte Sam Brennan e rari casi, gli “imbrattacarte” hanno sempre un ruolo negativo, soprattutto quando soffiano sul fuoco dell’opinione pubblica contro gli indiani. Medda nella sua brevissima parentesi, si avvalse del giovane giornalista Addison che addirittura nel primo episodio fa un reporter sul campo per strappare un’improbabile intervista alla famiglia di banditi, comunque, a mio parere, Boselli si avvicinò più ai livelli di Bonelli, dimostrando grande classe, poiché è innegabile che il “Tombstone Epitaph” e la sua voce libera, funge da fulcro funzionale alla storia e lascia il segno. Acciarino debutta in punta di piedi con una prova senza picchi né pecche. Il tratto pulito ed efficiente si fa apprezzare, ma manca quel guizzo o quella cifra stilistica che faccia risaltare il suo stile rendendolo immediatamente riconoscibile rispetto ad altri suoi giovani colleghi. Non del tutto riuscita a mio avviso la caratterizzazione di Tex che spesso si fa fatica a distinguere dal figlio Kit, ma nel complesso la prova è nettamente adeguata al contesto. Forse l’innesto massiccio e ravvicinato di nuovi disegnatori per la regolare spiazzò un po’ noi lettori ed è ovvio che molte novità necessitano il tempo per essere metabolizzate. Il mio voto finale è 8
  15. Scrivere oggi questo commento, non ha lo stesso valore di una recensione fatta al tempo dell’uscita della storia: il fatto che allora si sapesse che fosse il commiato di Nizzi dalla serie, che lo aveva visto protagonista per più di trent’anni, creava uno stato emotivo particolare, perché è indubbio che, al netto di un brusco calo qualitativo negli ultimi anni di carriera, il contributo dell’autore di Fiumalbo fu consistente e importante. Una generazione di lettori, fra cui il sottoscritto, si è forgiata con le storie di Nizzi, (senza ovviamente rinnegare l’opera straordinaria di Gian Luigi Bonelli che per ovvie ragioni, rimane e rimarrà sempre impareggiabile) e il sapere che l’autore si apprestava al pensionamento, un po’ di magone lo metteva. A dire il vero, visto l’esito fallimentare di prove come “I fratelli Donegan” o “Oltre il fiume”, partorite in un momento d’involuzione creativa senza precedenti, il pensionamento doveva essere anticipato di qualche anno, ma rifacendosi al detto che è inutile piangere sul latte versato, quello che ormai era stato non si poteva cambiare. Oggi, col senno di poi, possiamo stabilire che quello di allora fu solo un arrivederci, visto il recente e dignitoso ritorno, ma nel 2013 non era ipotizzabile un tale evento e ogni lettore si apprestò a leggere “L’oro dei Monti San Juan” con la convinzione di non dover più vedere il nome di Nizzi stampigliato nei crediti delle storie. Per la prova di “addio”, il buon Claudio optò per un soggetto classico e molto affine ai suoi cavalli di battaglia; niente di trascendentale e molto simile ad altri spunti del passato, ma l’esito fu decisamente accettabile e lontano dai punti bassi toccati nella sua fase critica. È pur vero che il ring dei potenti, in fin dei conti poco mette in difficoltà i nostri e la prova si snoda soprattutto sull’azione dei volontari di Hermann, che su commissione, sequestrano un’intera tribù Utes per favorire gli sporchi affari della gang degli affaristi. La sceneggiatura fila via liscia e non annoia; Tex e Carson se la cavano brillantemente, senza mai apparire realmente in difficoltà, tuttavia la prova è priva di “piccionaggini” e snodi altamente forzati e questo basta, considerando la media nizziana di quel periodo. Anche i dialoghi tornano a essere coloriti e abbastanza efficaci e giunti al termine, sebbene consci di non trovarsi dinanzi un capolavoro, si rimane comunque soddisfatti. Il debutto di Filippucci sulla regolare è positivo, soprattutto considerando la bellezza dei sfondi paesaggistici tratteggiati con sapienza dal disegnatore. Poco convincente a tratti la rappresentazione grafica di Tex (decisamente migliore quella di Carson IMHO), ma nel complesso una buona prova. Filippucci dimostrò la sua duttilità stilistica che gli permise di realizzare un buon western, dopo anni spesi con Martyn Mystere tra le affollate vie della popolosa Manhattan; autore dalla linea chiara e tratto pulito, che comunque appaga la lettura con vignette dinamiche e leggibili, peccato solo per la sua nota lentezza di realizzazione che lo costringe a lunghi intervalli tra un’apparizione e l’altra sugli albi della saga. Il mio voto finale è 7
  16. Per dimostrare di non essere prevenuto con Faraci, visto la media bassa dei voti che di solito attribuisco alle sue prove nelle mie recensioni, chiarisco fin dall’inizio che la storia in questione raggiunge una sufficienza stiracchiata . Ciò non significa affatto che sia soddisfatto, visto che la delusione rimane, poiché reputo che l’autore aveva tutte le carte in regola per far bene su Tex, ma stranamente si è infilato, episodio dopo episodio, in un sordido vicolo cieco. Anche per “L’inseguimento” vale lo stesso appunto mosso ad altre sue sceneggiature, un soggetto troppo basilare e poco esaltante che alla fine porta a un episodio lineare e con pochi colpi di scena. Faraci pecca di poca fantasia a mio avviso e il desiderio di rischiare poco, lo porta a rimanere ancorato a un canovaccio ripetitivo, che alla lunga stanca alla grande. Pochi sussulti, poco intreccio, azione a volontà ma troppo fine a se stessa, sparatorie lunghissime ma poco incisive e la ripetuta assenza dei pards. A dire il vero per stavolta inserisce Tiger e tutto sommato lo caratterizza bene, come non sfigura la figura di Vince Stanton, un antagonista abbastanza tosto, tuttavia dedicare tutto il primo albo al suo inseguimento a distanza, con tanto di salvataggio dagli Apaches, per permettere ai nostri di farsi condurre al covo della banda, è un po’ esile come spunto. “Tre peli ha il porco, il porco ha tre peli” recita un detto delle mie parti per descrivere la ripetitività di azioni o argomenti e si sposa perfettamente con l’opera faraciana su Tex, visto che le sue storie, se vivisezionate con attenzione, mostrano tutte un andazzo simile e questa non fa eccezione. Non del tutto azzeccato l’inserimento dello scalcinato gruppo di cowboys sulle tracce di Stanton: fino a un certo punto si pensa possano essere spinti da motivi più solidi nella loro caccia, ma quando nel secondo albo apprendiamo che cercano solo la taglia e la vendetta per lo sgarro subìto, cascano le braccia, così come delude il capo banda Fraser, che promette mare e monti all’inizio ma si perde nel proseguo della trama e soccombe nella prevedibile (e immancabile) sparatoria finale. Originale l’epilogo con l’insolita cattura di Stanton, che chiude un episodio sufficiente ma non più di questo. I disegni di Mastantuono, rimarcano lo stile consolidato e nella loro spigolosità, rendono abbastanza in tema di dinamicità e resa. Molto ben realizzate alcune espressioni facciali, in special modo nei brutti ceffi, qualche incertezza su Tex, ma al contempo un Tiger accettabile. Tratto nervoso e abbastanza sporco, un po’ fuori dagli schemi per la saga, ma molto migliorato col tempo, difatti reputo che l’autore, sebbene dividendo molto la platea dei lettori, abbia ampiamente meritato la conferma nella squadra titolare della serie ammiraglia. Il mio voto finale è 6
  17. Condor senza meta

    [627/628] Salt River

    La mancanza di tempo mi ha impedito di scrivere la presente recensione subito dopo la rilettura degli albi e questo un po’ inciderà sulla stessa; parecchi dettagli e particolari che si notano durante la lettura, col passare del tempo sfumano e di conseguenza, anche l’esito del commento ne risente. Tuttavia, non volevo esimermi di scrivere le mie considerazioni sull’episodio e provare di esprimere la mia valutazione nel modo più coerente possibile. La prima cosa che mi viene in mente appena conclusa la storia è una citazione di Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce". Infatti il giovane Kit, coinvolto in maniera inaspettata da uno stato di forte attrazione verso l’affascinante Sarah Curtiss, perde lucidità e incappa in un errore dietro l’altro. La storia per forza di cose è incentrata su di lui e toccherà proprio a Piccolo Falco per l’occasione togliere la centralità della scena all’illustre padre. Il Kit Boselliano è il pard meno conforme alla tradizione, e quest’ulteriore prova lo conferma. Al giovane abile e coraggioso (ma meno scavezzacollo) e troppo succube del padre, si aggiunge una discreta dose di ingenuità, dovuta forse pure al sentimento nato nei confronti della subdola Sarah, che lo porta però a cadere in trappole troppo telefonate, evitabilissime con un minimo d’intuizione. Sia ben chiaro, preferisco l’umanità di Piccolo Falco in questa storia, rispetto ad altre sue apparizioni boselliane, ma indubbiamente qualche incongruenza appare. In fondo l’opera di ammodernamento della saga di Borden passa pure da questi aspetti, infatti credo sia voluta una caratterizzazione originale del giovane pard che lo allontani dalla pura copia del padre. Scelta innovativa e tutto sommato comprensibile, sebbene però rimango convinto che tra i pard è quello che a Boselli riesce meno bene scrivere. Tiger e Carson boselliani sono un paio di gradini sopra! Chiusa questa parentesi, l’epilogo è quasi scontato con la giovane Sarah che presa dalla simpatia del giovane Navajo si redime e gli salva la vita e credo sia auspicabile un suo ritorno sulla saga, sebbene valga per lei lo stesso quesito di Alyson Sydor: quale spunto può indurre l’autore a prendersi una simile gatta da pelare? Il coinvolgimento emotivo in una saga come Tex è pericoloso come una carica di dinamite e non è un caso che, quelle poche volte in cui gli autori lo hanno abbozzato, lo stratagemma della morte delle “dolci metà” è andato per la maggiore. La storia mi è comunque piaciuta, grazie a una discreta opera di sceneggiatura e intenso ritmo narrativo, scandito dall’azione dei nostri pards, che come motori a diesel dopo essersi riscaldati, è divenuto impossibile arrestarli. Al buon esito ha contribuito alla grande Andreucci, un artista con i controfiocchi. Il suo debutto su Tex è eccellente e mostra un professionista dal talento innato e dotato di una fortissima personalità stilistica, fattore non di poco conto nella valutazione di un fumettista. Forse il suo Carson è un po’ atipico, ma per il resto trovo davvero superba la sua prova, scandita da un ottimo dinamismo e uno stile espressivo ed elegante. Si nota pure una buona dose di affiatamento con Boselli e ciò non stupisce visto che i due autori già da tempo avevano affinato l’intesa su altre serie. Andreucci regalerà in seguito ancora grandi soddisfazioni ai lettori con il suo pregevole texone e personalmente, non vedo l’ora di leggere la sua interpretazione grafica per il ritorno di Barbanera. Credo che mi toccherà pazientare, ma nell’attesa coglierò l’occasione di apprezzare i suoi vecchi lavori e ribadire la mia forte stima nei suoi confronti. Il mio voto finale è 7
  18. Se Nizzi tagliò la presenza di Tiger per il motivo da te accennato (e relegò in "panchina" pure Kit visto la sua assenza) la svista della mancata correzione della lettera di Jim fu sua. Con un po' più di attenzione, l'incongruenza poteva essere facilmente rimediata. In ogni modo, cose che capitano!
  19. Rileggendo di recente questa storia, mi è saltata all'occhio una strana incongruenza di sceneggiatura in cui incappò Gianluigi Bonelli: nella lettera di convocazione di Jim Brandon, la giubba rossa esorta Tex di trascinarsi con sé l'intera banda, ma di fatto, poche tavole dopo, è lo stesso ranger a imporre a Kit e Tiger di rimanere alla riserva. Essendoci un'espressa richiesta di Jim, si presume che la missione fosse decisamente delicata, ma Tex stavolta se ne infischia del consiglio dell'amico e mi sembra un comportamento più unico che raro nella serie. Ciò che mi stupisce non è tanto l'errore del grande Bonelli, comprensibile in fondo alla sua veneranda età, bensì il fatto che la redazione (e Nizzi nello specifico che fu incaricato di limare e revisionare la sceneggiatura in questione) non si accorse dell'incongruenza. E' acclarato che Letteri ha dovuto ridisegnare molte vignette aggiuntive per l'adeguamento della sceneggiatura e molti altri interventi grafici redazionali sono facilmente visibili, di conseguenza sarebbe bastato pochissimo a cancellare la frase incriminata dalla lettera e risolvere il tutto. Purtroppo il "folletto malefico del refuso", vero terrore di ogni revisore, è sempre in agguato!
  20. E’ nota la regolarità di rendimento di Ruju sulla serie, così come è altrettanto risaputo che finora, al netto di una buona media qualitativa, sia mancata all'autore la zampata che gli permettesse di comporre il suo capolavoro western. L’episodio in questione rimane finora uno dei punti più alti della sua carriera su Tex: una prova notevole e molto valida, ma che comunque, a mio avviso, non può fregiarsi dell’appellativo di “capolavoro”. Lo spunto di soggetto è davvero originale e molto accattivante, d’altronde su questo aspetto Ruju si è sempre mostrato una vera garanzia, come si fa molto apprezzare pure il lavoro svolto sulla psicologia di Padre Clemente, un ex bandito “fulminato sulla via di Damasco” dopo aver rischiato la pelle con uno scontro con Tex. Proprio le azioni di Guillermo Blanco, catalizzeranno le attenzioni del lettore e lungo la trama, quando il passato gli chiederà conto e metterà alla prova la sua conversione, ipotizziamo tavola dopo tavola l’entità della sua vocazione. Da una superficiale analisi, potrebbe pure apparire un po’ forzata la svolta repentina di vita dell’ex bandito, tutto sommato l’autore costruisce sui due albi una solida impalcatura psicologica su cui si basa la caratterizzazione del suo personaggio e tirando le somme, riesce alla grande, creando quello che sulla saga è uno dei suoi personaggi meglio riusciti. Non viene nemmeno meno la centralità dei due pards, comunque importanti nell’economia della trama, un po’ altalenanti i dialoghi e le scelte di alcune scene, una su tutte quella di Carson, che colpito alla mano da una pallottola, perde solo le redini e non riporta altri danni, potendo riprendere subito dopo a sparare, come se nulla fosse. Il ricatto su cui Gallardo basa il suo piano, può pure funzionare narrativamente e ho trovato intensa la scena finale, con Padre Clemente morente, che torna ad abbracciare i due ragazzini e sancisce con il suo sacrificio la sua conversione al bene. Pazienza se l’arco temporale sia un tantino forzato, così come fatto notare da altri prima del mio commento, possiamo considerarla una piccola licenza narrativa. Molto efficaci e vagamente poetici i titoli che danno nome ai due albi e nel complesso la prova di Ruju, riesce perfettamente a coniugare spunti di originalità con scene dal sapore più più classico; a tal proposito emblematico l’uso delle didascalie, scomparse dalle sceneggiature dai tempi del primo Nizzi. L’Ortiz che si apprestò a realizzare graficamente la storia, era ormai un maestro del fumetto in piena parabola discendente e ciò lo si nota perfettamente nelle 220 tavole, con anatomie approssimative, fattezze dei personaggi abbastanza tirate via e sfondi paesaggistici abbozzati, sebbene sempre molto ad effetto, tuttavia il suo proverbiale tratto sporco e dinamico si rivelò ideale per la narrazione e la perfetta caratterizzazione grafica di Guillermo Blanco, riscatta alla grande gli aspetti negativi prima accennati e fa prendere quota alla sceneggiatura. Un colpo di coda non indifferente di un grandissimo artista che, come ammesso in altre occasioni, ho sempre molto stimato per via del suo black style, anche quando la sua involuzione lo ha costretto a toccare tratti alquanto bassi. Il suo contributo sulla saga ha comunque lasciato il segno e l’Ortiz dei tempi migliori mi manca molto su Tex. Il mio voto finale è 8
  21. Condor senza meta

    [623/624] Braccato!

    Se ogni volta su due piedi non riesco mai a ricordare una storia di Faraci, un motivo c’è e la mia recente rilettura dei vecchi albi me lo ha palesato. Dopo un promettente inizio, l’autore si è proprio smarrito, perdendo di fatto la strada maestra. “Braccato” l’avevo completamente rimossa dalla memoria e di certo non mi stupisco: un episodio alquanto noioso e scialbo che riempie due albi ma che non entra mai nel vivo. Una costante nella narrativa di Faraci su Tex è la presenza di soggetti esili e troppo poco elaborati per la serie ammiraglia. Certo, anche uno spunto meno corposo e poco originale può essere trasformato in una buona prova se corredato da una sceneggiatura all’altezza, ma nel caso specifico questo non avviene minimamente. L’autore cerca da attingere dal suo bagaglio d’esperienza, d’altronde il mestiere non gli manca, ma l’esito ottenuto appare troppo piatto e poco coinvolgente. I ritmi sembrano troppo dilatati, forse per via di un soggetto non idoneo a riempire le 220 tavole canoniche. Ho sempre avuto l’impressione che Tito, abituato su altre serie caratterizzate da un numero di pagine inferiori, su Tex trovasse difficoltà ad articolare trame più ariose. Pure i dialoghi sembrano ridotti all’osso e l’eccessiva azione, invece di aggiungere adrenalina nella lettura, finisce con lo stancare. Ma su questo aspetto tornerò più avanti. La sistematica mancanza dei pard accanto al ranger si rivela un’ennesima aggravante: può starci qualche volta, ma non reputo ideale optare sempre per una simile situazione, si snatura un po’ la saga a mio modo di vedere e anche il protagonista ne risente. I vari e improbabili alleati che trova per strada, non potranno mai eguagliare i pards storici e alla lunga assistere a questa sfilza di carneadi accanto a Tex mi snerva. Che poi se ti chiami Boselli e hai nel tuo dna artistico l’innata capacità di dipingere con perfezione gli aspetti caratteriali delle comparse, è un conto, si da invece il caso che spesso Faraci si mostra deficitario su questo aspetto e la storia che sto recensendo ne è la prova, visto che sia i villain che il sergente e il bonaccione Rufus sono solo abbozzati e non lasciano il segno. Se a tutto questo aggiungiamo la scena nell’epilogo, in cui Tex prima si fa tramortire alle spalle da un avversario non all’altezza e dopo, riesce “miracolosamente” a riprendersi per sventare un secondo assalto, si può facilmente intuire i motivi per cui la storia per me si attesta ben lontana dalla sufficienza. Capitolo flashback: anche qui l’autore ne inserisce uno, ma poco aggiunge alla narrazione e rischia solo di apparire un mero riempitivo di tavole. Unico sussulto della trama, l’esplosione che fa credere al lettore che l’ex sergente e il “diavolaccio” Rufus possano essere stati sacrificati per dare un tocco drammatico alla vicenda, ma non sarà così e ci verrà pure spiegato in un ennesimo ed evitabile flashback come i due personaggi scampano la morte, donandoci un piatto lieto fine. Troppo poco davvero per una storia sulla regolare! Ciò che invece abbondano (fino a strabordare!) le scene dedicate alle sparatorie. Mi son passato il tempo a quantificare le pagine e su 220 totali, almeno una settantina sono state riempite da vignette zeppe di “Bang Bang”; decisamente troppe, a maggior ragione se le sequenze non creano un minimo di suspense e sembrano susseguirsi per inerzia senza coinvolgere il lettore. Degna la prova grafica di Del Vecchio, sempre molto pulito ed elegante. Rispetto alle storie precedenti ho riscontrato una lieve flessione, soprattutto nella caratterizzazione grafica di Tex, tuttavia il suo stile mi piace molto e ripeto, che fra le “giovani leve” è uno dei disegnatori che preferisco. Il mio voto finale è 4
  22. Condor senza meta

    [621/622] Mezzosangue

    Il Ruju-bis confermò quanto di buono lo sceneggiatore fece al debutto della serie ammiraglia. La figura di Makua cattura l’attenzione del lettore e le sue scelte discutibili, che gettano le radici su un turbolento passato fatto di scherni e discriminazioni, non impediscono di familiarizzare con lui. Il desiderio di eccellere nell’uso della pistola trova la svolta con l’incontro fondamentale con il bieco comanchero Santos. Il messicano sconfitto da Tex, che manda in frantumi un suo carico di morte, si salva solo grazie all’aiuto del giovane mezzosangue e l’amico. In effetti, come già fatto notare da altri forumisti, i due albi sembrano quasi indipendenti: il primo si chiude con la morte di Domingo, indiano ribelle le cui gesta s’incroceranno con quelle di Tex e di Makua. Il giovane mezzosangue, rimasto solo dopo la morte del giovane amico ucciso da Domingo, decide di recarsi in Messico per ricongiungersi con Santos. Ruju pone un salto temporale di qualche anno e affida al secondo albo la sfida finale fra Santos e Tex, che vedrà il nostro eroe trionfare e risparmiare Makua, a cui viene offerta una seconda possibilità dopo gli errori del passato. L’autore si distingue per l’ottima caratterizzazione dei comprimari e questo aspetto è alquanto apprezzabile. Makua risulta un personaggio ben sfaccettato e si meriterà il ritorno sulla saga, Santos induce a credere che sia riconoscente al giovane mezzosangue e lo apprezzi, invece nel momento topico della sfida con i nostri, tradisce il suo allievo e rivela la sua animaccia nera. Buona prova di Ruju che confermò di essere adeguato sulla serie e di possedere il giusto mix tra classicismo e originalità di spunti, doti che gli permetteranno di essere ancora presente nella schiera degli autori texiani. Font per la prima volta prestò la sua opera a uno sceneggiatore diverso rispetto a Boselli, con cui ormai il sodalizio era ben affiatato. Consueta prova efficace e caratterizzata dal suo inconfondibile stile. Alcune anatomie dei nostri sono davvero troppo smilze e poco realistiche nelle proporzioni; i tratti caricaturali nelle espressione facciali non mancano, ma bisogna ammettere che il dinamismo delle sue vignette aiuta a far lievitare la trama e compensa alla grande gli aspetti negativi appena accennati. Il mio voto finale è 8
  23. Plausibile che possano aver riconosciuto Ruiz e decidere di mettergli il sale sulla coda, ma quanto meno in un caso simile, sembrerebbe ovvio sganciare qualche uomo dal plotone per raggiungere i fuggitivi e sincerarsi delle loro condizioni. Così come sceneggiato da Nizzi, la presenza dei Rurales diviene solo il sotterfugio narrativo per liberare i nostri dai bandidos di Ruiz. Sul ricatto di Oliveira, riconosco che è stato un pretesto per creare e sviluppare la storia, ma onestamente, rispetto all'esordio in cui il colonnello si era dimostrato un diabolico cospiratore, il piano che caratterizza il suo ritorno è un tantino debole a mio avviso e lo stesso Olivera perde molto del suo peso specifico. In quanto al possibile ritorno di Zamora, sono d'accordo con te, ci potrebbe pure stare, ma occorre un'idea adeguata, visto che il personaggio non possiede lo stesso spessore del suo ex alleato.
  24. Condor senza meta

    [618/620] Gli Schiavisti

    Il caso ha voluto che io rileggessi questa storia in contemporanea con l’uscita della storia attuale sui Netdahe, così ho avuto l’occasione di rispolverare personaggi come il tenente Castillo e i suoi sottoposti della Guardia Rural. Una coincidenza particolare e piacevole che ha contribuito a farmi maggiormente apprezzare la vecchia prova boselliana degli schiavisti del Messico. Borden si giocò la tripla per l’occasione e l’esito tutto sommato fu valido, soprattutto nei primi due albi a cui segue un terzo un tantino calante. La consueta sceneggiatura ben scritta e il soggetto interessante con l’organizzazione agli ordini dell’infido colonello Ramos, che non esita a comprare schiavi da sfruttare nelle sue miniere, rende piacevole la lettura, avvalorata da una buona prestazione dei pards e degli immancabili personaggi di contorno, fra cui spicca, come sopra citato, la figura del simpatico tenente Castillo. Boselli inoltre si diverte a spiazzare il lettore, inserendo di colpo la presenza di un inaspettato villain, Espectro, che rappresenterà una sottotrama slegata dal contesto ma abbastanza carica di azione. In effetti il villain non risulta molto caratterizzato e sembra richiamare vagamente la figura del “Maestro” visto il suo modus operandi. Anche la sua fine risulta alquanto affrettata, per lasciar spazio poi al vero epilogo dell’episodio. Scelta particolare di Boselli, usata molto anche da Bonelli nelle sue pioneristiche storie, ma che funge da arma a doppio taglio, visto che l’azione del folle Espectro poteva essere benissimo usata per una storia a sé. Buona la tenuta sulla lunga distanza di Seijas, incisivo e puntuale nelle sue vignette. Confrontando gli albi di allora, con l’inedito attuale si apprezza l’inevitabile evoluzione del tratto, ma traspare ancora la buona qualità dell’artista argentino, una delle punte di diamante della “legione straniera” di disegnatori impiegati sulla saga. Il mio voto finale è 7
  25. Prima vera stecca di Faraci, a mio avviso. Può sembrare un giudizio troppo perentorio il mio, tuttavia rileggendo la sua quarta prova sulla saga, non posso esimermi da esprimere un parere non del tutto positivo. Ancora una volta l’autore opta per la scelta di far agire in solitaria Tex, scelta che può essere pure legittima, ma che andrebbe alternata; evidentemente la gestione contemporanea dei pards non era nelle sue corde. Altro aspetto non lusinghiero, l’ennesimo soggetto scarno e poco originale per riempire una doppia. La trama scivola via troppo piatta e prevedibile, con alcuni snodi forzati e la noia regna padrona. La banda Torrence onestamente non parrebbe così ostica da creare tanti grattacapi a Tex, che si prende la briga di scortare uno dei fratelli, acchiappato all’inizio della storia con estrema facilità. Eppure sarà proprio così, visto che il resto del soggetto gira attorno alla scorta del ranger, che giunto a fort Kearny ha l’amara sorpresa di trovarlo sguarnito. Già appare strano che si lascino solo sei uomini in un fortino per una missione, ma che poi questo accada proprio all’arrivo di Tex è una coincidenza sospetta, per usare un eufemismo. Non del tutto funzionale nemmeno la presenza del passaggio segreto, sconosciuto ai militari ma, guarda caso, noto a un bandito. Snodo narrativo che pare studiato ad hoc per alimentare il povero spunto di soggetto ma che, col senno di poi, poco incide, visto l’incapacità dei banditi di sfruttare l’effetto sorpresa e la schiacciante superiorità numerica. Lo scontro decisivo è una sequenza lunghissima di spari e avversari colpiti, che onestamente a me urta un po’, disturba la lettura e non si rivela una sequenza appagante per il lettore, che rischia di perdere il filo ed essere indotto a scorrere in avanti le pagine, visto che nell’economia della trama il susseguirsi di tali vignette è quasi nullo e pare un allungamento di brodo evitabile. Prima prova scialba e poco ispirata di Faraci, preoccupante campanello d’allarme per ciò che accadrà all’autore nel proseguo della sua opera su Tex. Di contraltare, buona la prestazione grafica dei gemelli Cestaro, che esaurita la positiva gavetta sulla serie, sfoderano uno stile possente e incisivo e anche la caratterizzazione di Tex risulta alquanto migliorata, seppur tendente troppo all’imbronciato. In anni in cui l’ingresso di nuove leve nella squadra texiana furono all’ordine del giorno, i due disegnatori campani, giunti già alla quarta storia, sembrarono già affidabili veterani. Il mio voto finale è 5
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