Che bella discussione!
L'intervento di Diablero, in particolare, ha messo tantissima carne al fuoco; ma io vorrei limitarmi all'aspetto linguistico, prendendo spunto da quanto scritto da Virgin.
Sino a qualche anno addietro sarei stato integralmente d'accordo con lui, tanto più che l'inno che nella mia città si dedica alla Madonna, sua patrona, inizia, riecheggiando il Cantico dei cantici (Ct, 1, 5: Nigra sum sed formosa), con il verso "Negra ma bella". Come può essere offensivo l'aggettivo "negro" se lo si riferisce anche alla Madonna?
Poi, però, ho avuto la ventura di leggere qualche testo di grammatica e di linguistica; e il mio punto di vista è piuttosto mutato.
Alla radice del mutamento ci sono due domande: chi stabilisce le regole della lingua? e chi le fa rispettare?
E' evidente, infatti, che non c'è un legislatore della lingua italiana, né un Tribunale della lingua italiana.
Nonostante ciò ci sono delle regole, che vengono fatte rispettare, e non solo dai maestri e dai professori di grammatica, ché quando siamo alle poste non c'è uno di loro che ci riprenda se sbagliamo una forma verbale, eppure in linea di massimo cerchiamo di non sbagliare nelle coniugazioni.
Ebbene, la risposta è straordinariamente semplice. Il legislatore e il giudice della lingua coincidono: è la comunità dei parlanti che pone le regole; è la comunità dei parlanti che sanziona con lo stigma dell'ignoranza chi le viola. Provate a dire, mentre chiacchierate con uno sconosciuto, "Io ho andato alla Poste"; su di voi sentirete uno sguardo di disappunto.
E se la comunità dei parlanti a un certo punto decide che davanti alla Z ci vuole l'articolo "lo", non importa che Leopardi abbia scritto "il zappatore": oggi scrivere così sarebbe un errore.
Lo stesso è accaduto con l'aggettivo "negro". Ha da sempre avuto una connotazione neutra; ma a un certo punto la comunità dei parlanti ha iniziato, non importa ora per quale ragione, ad avvertire in questa parola una connotazione di disprezzo. E possiamo resistere quanto vogliamo, ma questa è la regola che ormai si sta consolidando nella lingua; e se non la rispettiamo veniamo sanzionati dal disappunto del nostro interlocutore.
Lo stesso vale per l'uso del femminile per le cariche pubbliche (Sindaca, Ministra).
Sono il primo a dire che occorre distinguere genere (delle parole) e sesso (della persona); che le cariche pubbliche sono neutre, per cui occorre utilizzare il genere maschile, che è l'erede del genere neutro latino; che possiamo avere un uomo che fa la guardia giurata, dunque possiamo anche avere una donna che fa il sindaco o il giudice.
Ma se l'uso di espressioni come "la Prefetta", "la Ministra", "la Giudice" prenderanno definitivamente piede, dovremo farcene una ragione.
Tornando al nostro Tex, la mia opinione coincide con quella di Diablero: è un sacrilegio ritoccare le vecchie storie per escludere espressioni che oggi vengono ritenute razziste; ma nello sceneggiare le nuove avventure del nostro ranger preferito, avventure destinate a un pubblico del XXI secolo, occorre tener conto della sensibilità linguistica dell'attuale comunità dei parlanti.