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Contenuto popolare

Mostrando i contenuti con la più alta reputazione il 18/03/2024 in tutte le sezioni

  1. Questa storia non è affatto male. Ruju stavolta mi è sembrato decisamente sul pezzo. E’ un racconto che recupera lo schema narrativo dei suoi lavori più riusciti, quel “Tex-noir” con cui aveva esordito sulla serie, inquadrando il personaggio da una propria personale e originale angolazione. Il Tenente Lagarde, il co-protagonista di questa storia, ricorda infatti altri personaggi tormentati e perseguitati dal passato come il ranger Jack Loman, il bandito redento Guillermo Blanco o il meticcio Makua. Altro aspetto positivo, che avevo già sottolineato riguardo al primo albo: il modo corretto con cui Ruju fa muovere la coppia Tex - Carson. Per due albi vivaddio non ho letto il vecchio cammello lamentarsi che ha freddo, che ha fame o che gli fanno male i piedi. Buona la struttura della storia che scorre su diversi binari paralleli che si incrociano sul finale. E’ un metodo narrativo che non fa calare la suspense. Le criticità della storia sono in certe scorciatoie un po’ facili (tipo Carson che si fa scappare Big Frank, cosa che può starci ma che magari bisognava costruire in maniera più credibile) e nel tempismo con cui tutti gli eventi alla fine si incastrano perfettamente tra di loro. Intendiamoci, l’arrivano i nostri è un classico della narrativa avventurosa ma Ruju tende un po’ ad abusare dei salvataggi dell’ultimo secondo, che fanno sicuramente spettacolo, ma anche alzare pericolosamente la soglia della sospensione dell’incredulità. Il bianco e nero potente ed espressivo del Maestro Font è perfetto per una storia del genere, sia nella rappresentazione degli ambienti, che nel caratterizzare i personaggi, anche se nel finale ho notato qualche tavola un po’ “tirata via” (forse anche lui, come Venturi, ha dovuto consegnare in fretta?).
    3 points
  2. Questa è una delle differenze nella "visione del mondo" fra padre e figlio. Oltre alle differenze di stile, ciascun autore ha una sua visione di "come sono le cose" che trasmette nelle sue opere. può essere meno accentuata (o semplicemente più realistica tanto che il lettore non la vede, gli sembra "tutto vero", come negli anni 50 appariva normale magari il personaggio del nero ingenuo e scemotto che oggi spicca come razzista: la visione dell'autore è identica, ora la noti perchè non è più la tua), o può essere spiattellata ed evidente, con effetti fastidiosamente didascalici e paternalisti (tipo le storie attuali dove i cattivi sono sembra bianchi maschi etero e se vedi un personaggio di colore o gay sai che non solo è buono ma è pure perfetto sotto ogni aspetto). È da questo fatto perfettamente evidente che deriva l'idea molto in voga negli anni 70 che "tutto è politica" o "tutte le storie fanno politica", basata sullo scambiare ogni affermazione che riguardo l'umanità e la società con un affermazione politica. Nelle storie di GL Bonelli, l'ho già sottolineato molte volte, la visione dell'umanità è positiva: la gente magari può essere spaventata, o può essere ingannata dal cattivo di turno, ma fondamentalmente tendono se ben informati a fare la cosa giusta. Quante volte abbiamo visto comuni cittadini schierarsi con Tex e aiutarlo, anche quando era un fuorilegge? Quante volte abbiamo visto le vittime rappresentate in maniera addirittura eroica? (pensate ai commercianti di Goldeena in "massacro"). Questa cosa si riflette persino nella rappresentazione dei criminali: nelle storie di GL Bonelli quante volte abbiamo visto gente diventata criminale per debolezza o sfortuna (la famiglia in "il cacciatore di taglie", Juan Ortega in "Inferno a Robber City, etc.) o anche criminali incalliti che, nel momento decisivo, mostrano che non erano poi marci fino in fondo? (anche per questo sostengo che ne "la grande invasione" la rappresentazione dei carcerati è perfettamente GLBonelliana, oltre che Boselliana: l'idea dei personaggi negativi di GL Bonelli come cattivi da operetta è una delle tante puttanate sparse da Nizzi e dai fanzinari lecchini che le copiavano a pappagallo per puro pregiudizio) Per Nolitta NO: la visione dell'umanità di Nolitta è sostanzialmente negativa. Con Nolitta sono invece i personaggi "buoni" che messi alle strette mostrano quanto siano corrompibili, disonesti, avidi (quante volte in Mister No lo abbiamo visto?), la folla dei cittadini se la prende sempre con i "buoni", etc. Da questo punto di vista, e con le ovvie distinzioni fra i vari autori, quello che vedo è che in generale: - GL Bonelli e Borden hanno una visione positiva della natura umana (meno in Borden, ma comunque il saldo è positivo) - Nolitta, Ruju, Nizzi hanno una visione negativa e pessimistica (li ho messi in ordine calante di pessimismo, Nolitta aveva un pessimismo cosmico fuori scala, ma Ruju con le sue folle che se la prendono sempre con la gente sbagliata supera il comunque già pessimista Nizzi: quest'ultimo più che mostrare folle omicide tendeva a rappresentare la gente come avida e pronta a vendersi, e in generale dava motivazioni puramente egoistiche ad ogni cosa, persino il suo Tex doveva darsi motivazioni egoistiche per alzare il culo e andare ad aiutare qualcuno, quante volte dice cose tipo "devo andare a salvare quella gente, mi tocca, devo un favore al Generale Davies"?) - Gli altri: ancora non l'ho capito, non ne ho letto tante storie. Notare che GL Bonelli è il più ottimista e Nolitta è il più pessimista: metterli uno dopo l'altro non può che accentuare questa differenza (se aggiungiamo poi le differenze stilistica e la visione del personaggio, davvero Nolitta era l'ultima persona alla Bonelli che avrebbe dovuto scrivere Tex...)
    3 points
  3. Questa è più una domanda da topic delle anteprime, ma risponderò ugualmente. Lo rivedremo a giugno sul suo primo Texone disegnato da Giuseppe Palumbo. In più ci sono almeno altre tre storie sue in lavorazione, se non sbaglio.
    2 points
  4. Un grazie sentito a @Lucero e @Leo per aver riportato il giudizio e la recensione di @Poe, davvero molto bella=> ¡Messo +1 !
    1 point
  5. Magari mentre leggi la storia, preso dalle vicende, non ci fai caso, ma guardando le tavole così, una ad una... ma che cavolo gli ha fatto la carta bianca a Bocci? Perché davvero, pare non ne sopporti la vista, deve coprire tutto con la china (si vede soprattutto nella prima tavola"... Vabbè, a parte le battute: non è solo Bocci, ormai l'andazzo è questo, questo è "disegnare bene", riempire di segni ogni spazio senza più alcun equilibrio e "coprendo" la scena, perdendo la differenza fra un fumetto e un film (e anche nei film il background lo sfumano...) Non posso nemmeno dare la colpa principale agli autori: sono i lettori, pare, che si lamentano se non gli disegnano ogni dettaglio... (gli stessi lettori che poi si lamentano perchè i fumetti magari diventano pesanti, claustrofobici, difficili da leggere, mentre gli sceneggiatori si lamentano che i disegnatori sono troppo lenti e i disegnatori si lamentano che guadagnano poco perchè fanno poche tavole: Tafazzi è il Dio supremo di questa epoca...)
    1 point
  6. Il mio giudizio su questa storia è che Nizzi aveva sicuramente la grande capacità di imitare (quando voleva) lo stile di altri sceneggiatori, soprattutto quando scriveva Texoni, dove cercava di adattarsi al disegnatore di turno e al tipo di storie che questi era solito affrontare, che fosse Kubert, Bernet, Ortiz o Magnus. In questo caso, dovendo sceneggiare una storia per Ivo Milazzo, decide di rifarsi allo stile di Ken Parker, pur con un ritmo più blando e un montaggio delle scene meno veloce rispetto all’originale; l’attenzione alla psicologia e all’umanità dei personaggi, così come ai rapporti economici e sociali, però, sono quelli tipici delle storie del biondo scout. Già 5 anni prima, con “La ballata di Zeke Colter” Nizzi aveva “berardeggiato”, giocando con i paesaggi delle foreste innevate, coi silenzi dei bivacchi notturni, con i dialoghi del protagonista col suo cavallo, e con comprimari fortemente realistici e poco idealizzati. Qui, nel Texone, fin dalle prime scene ogni vignetta vuole mettere in luce la condizione e il ruolo sociale dei singoli personaggi, sottolineando i prezzi delle merci, i debiti contratti, gli interessi economici di ognuno, la diversità di mentalità affaristica tra Mac Lean padre e il figlio senza scrupoli, e così via. Anche alcuni quadretti familiari e molti dialoghi che vogliono rendere la quotidianità ricalcano lo stile narrativo di Ken Parker (quando, per esempio, il dottore si sofferma sullo sciroppo per la tosse, o la madre del minatore si lamenta col figlio che ci si alza da tavola dopo aver finito di mangiare: tutti dialoghi realistici e quotidiani, insoliti per Tex). Allo stesso modo i due colpi di scena finali, da melodramma familiare (il quasi incesto, e il padre contro il figlio) sono espedienti che Berardi usa spesso nelle sue storie (un esempio tra i tanti "Casa dolce casa"). Però, secondo me, nonostante gli spunti e le influenze altrui, questo Texone, come la “Ballata di Zeke Colter”, non appare un albo derivativo, o un semplice esercizio di stile, ma una storia che Nizzi riesce a far sua, cercando di far immedesimare il lettore nei personaggi (come nel Texone di Parlov, e contrariamente invece a quello di Brindisi, secondo me abbastanza farlocco - a prescindere dal plagio prattiano). E la riprova è che anche Milazzo qui dà il meglio di sé (non l’avrebbe fatto con una sceneggiatura mediocre), realizzando una prova splendida. La prima parte è forse quella che sa un po’ troppo di già visto e prevedibile (Kit Willer accusato ingiustamente da tirar fuori di cella, tra l’altro fin troppo remissivo rispetto al Kit di GLB e di Boselli) ma i bei dialoghi comunque la ravvivano; nella seconda parte le scene d’azione, i divertenti personaggi secondari (come l’infermiera e Benny), il mondo dei minatori, la loro comunità, a cui Tex si rivolge in belle scene di massa, risultano a mio parere riusciti. Nel complesso, storia da 8.
    1 point
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