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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Condor senza meta

    La vostra sequenza preferita

    Temo che sia più probabile la seconda ipotesi, pard! Una lettura superficiale non permette di comprendere appieno l'immensa arte di narratore di Gianluigi Bonelli.
  2. Condor senza meta

    La vostra sequenza preferita

    Per indole personale, rispetto sempre le opinioni altrui, anche se stavolta (permettimi Grande Tex) dissento totalmente. Il mondo è bello perchè è vario, tuttavia mi chiedo cosa spinga alcuni utenti a sostenere una cosa simile. Che il grande Bonelli avesse uno stile diretto, esplosivo, senza eccessivi fronzoli o tendenze allo stucchevole è risaputo; credo facesse parte di una sua precisa scelta stilistica, visto che il papà di Tex faceva parte di quello stuolo di narratori vecchia scuola, capaci di dar forma all'avventura e far viaggiare sulle ali della fantasia i lettori, ma ciò non significa minimamente che non fosse capace di creare pathos o sequenze epiche quando le sue storie lo richiedevano. Personalmente reputo sia quasi un'eresia sostenere questa tesi; potrei dilettarmi a citare decine e decine di scene indimenticabili da lui composte ma in fondo servirebbe a poco. Preferisco viverle intensamente con emozione durante le mie riletture, d'altronde le anime sono come i fiocchi di neve: nessuna è uguale a un'altra anche tra miliardi di esemplari.
  3. Condor senza meta

    La vostra sequenza preferita

    Dopo più di trent'anni di passione texiana, è per me un'impresa impervia riuscire a stilare una lista delle sequenze che ho amato e che mi hanno appassionato durante la lettura del mio eroe preferito. Rischierei sempre di dimenticarne qualcuna o citarne altre che in seguito metterei in discussione a mente fredda. Tuttavia, così a bruciapelo, mi viene di citare la prima che è riapparsa riflessa nello stagno della mia memoria, mentre sto digitando questo commento, ovvero quella che immortala un Tex, con il veleno nel cuore, mentre sprona disperato il cavallo, alla notizia della presunta morte del figlio Kit e il caro amico Carson, nel covo dell'acerrimo nemico Mefisto. Bonelli ricama una didascalia che è pura poesia e la sequenza è aulica e di forte carica emotiva. Ovviamente nel proseguo si scoprirà che i due sono ancora vivi, ma soggiogati ipnoticamente dal sedicente dottor Anatas (sempre il perfido Mefisto) per l'ennesimo piano di vendetta, ma a prescindere di tutto, quella scena mi ha sempre molto colpito, resa magistralmente poi da un Galep al top e insuperabile interprete in situazioni simili.
  4. Gli incipit nelle opere letterarie e nei fumetti, sono molto importanti e di certo non si può dire che quello composto per la storia in questione non sia efficacissimo: la tensione narrativa si taglia col coltello e verrà arricchita con la lettura del diario di bordo, un palese omaggio a Stoker molto gradito (soprattutto al sottoscritto che adora il genere gotico e “Dracula” nello specifico). Ma oltre all’introduzione è tutto l’episodio che si fa apprezzare, con un villain altamente pericoloso e sinistramente geniale nella sua follia e la sempre cara ambientazione cittadina in Frisco. Storia che riveste pure un’importanza simbolica, visto che parzialmente rappresenta l’esordio di Borden sulla saga; rileggendola oggi, si evidenzia bene il suo stile compositivo nella prima sezione. La genesi dell’episodio mi par di capire che fu molto complessa e con più “cuochi ai fornelli”, ma contrariamente al proverbio che mette in dubbio l’esito finale quando troppi professionisti della cucina preparano la zuppa, la prova col maestro riesce a ritagliarsi un importante fetta di notorietà sulla serie. Buon ritmo, scene al cardiopalmo, discreta azione e tensione narrativa. Anche Bonelli, già abbondantemente affaticato, se la cava egregiamente ma penso che, se la stessa sceneggiatura fosse stata ultimata durante il suo culmine creativo, il soggetto poteva dare vita a un capolavoro. Purtroppo così non fu e molto probabilmente alcuni veti e sforbiciate alle idee di Mauro e Giorgio Bonelli, depotenziarono un po’ la prova. Peccato per il poco utilizzo di Pat, ridotto inspiegabilmente a un breve cameo, in compenso fa sempre molto piacere rivedere gli scavezzacollo della palestra Ercules in azione e i nostri pards tra le mura di San Francisco si esaltano sempre alla grande. Che dire poi dell’originale e esilarante scena della sauna, con il brontolone Carson richiamato per l’accensione del sigaro? Un po’ meno azzeccata, a mio avviso, la scena dell’agguato delle belve ne giardino del museo; la trovo fuori contesto e non estremamente coinvolgente: chissà quanto sacramentò Letteri a doverla disegnare, reduce dal "famigerato" gatto della nizziana “Locanda dei fantasmi”. Riepilogando: eccellente storia, sebbene non catalogabile nella lista dei capolavori. Ovvia conseguenza con un villain simile, il suo recupero sulla saga, anche se il secondo capitolo non tiene il passo con le altre due apparizioni. Belve a parte, Letteri se la cavava ancora alla grande nei primi anni 80 e l’ambientazione della città californiana, tra cinesi e brutti ceffi, lo valorizza ancor più. Il mio voto finale è 8
  5. Però è altrettanto vero, che, soprattutto durante le estenuanti cavalcate o inseguimenti, sarebbe più logico un look trasandato e barba incolta. Spesso i nostri non hanno tempo di pranzare o dormire ma di sbarbarsi evidentemente sì
  6. Ho avuto modo varie volte di lodare sul forum il periodo d’oro di Nizzi sulla saga e, allo stesso modo, non mi creo alcun problema a dire che la storia in questione è uno dei pochi anelli deboli della catena. Un episodio alquanto strano, poco coeso e che, a tratti, suscita non pochi dubbi sulla plausibilità del soggetto. La prima cosa che risalta durante la lettura, l’eccessiva tendenza alla citazione di Bonelli e il suo glorioso passato. Un po’ tirata per i capelli l’idea di ripescare dal remoto passato la celebre “Mano Rossa”, ancor più visto che la banda/setta che agisce tra le pagine, con la vecchia formazione non c’entra una cippa . Infatti non basta il labile pretesto della presenza del figlio di Welles, la storia poteva fare a meno di questa ingombrante citazione: se si vuole tirare in ballo “le origini del mito” bisogna quanto meno avere un’idea forte e quella che anima la prova di Nizzi non lo è affatto. Che dei vecchi rapinatori decidano di godersi il bottino, mascherandosi dietro una decente rispettabilità, è logico e non raro sulla saga, ma mi chiedo quali motivi spingano questi ricconi a riunirsi in quella sgangherata setta, con tanto di cunicoli segreti, cappucci da Beati Paoli e punizioni corporali. Fanatismo religioso? No! Cospirazione politica? Nemmeno! Rituali sataniche? Neanche per idea. Oltretutto non sembra nemmeno che la banda organizzi altri colpi, quindi che senso ha questa macabra carnevalata? Solo l’ennesima citazione a vecchie storie di Bonelli, evidentemente, ma una citazione del tutto fuori contesto. Poi la scena della fustigazione dell’adepto è stonata ed evitabile, visto che l’atmosfera della storia non arriva a giustificare scene simili. Altro aspetto non a fuoco nel soggetto: se il giovane agente pinkerton in incognito, ha ormai scoperto che il suo “capo” al giornale è pure il capoccia dell’organizzazione criminale su cui sta indagando, come mai è così ingenuo da non guardarsi le spalle e farsi infilzare come un tordo? Un investigatore così abile non dovrebbe minimamente abbassare la guardia o quantomeno girare armato sul “campo di battaglia”. Perdonatemi se anche stavolta rischio di essere poco conciso e di partorire l’ennesimo polpettone , ma non posso tacere anche della fastidiosa sensazione provata durante la lettura, ovvero quello di assistere all’azione decisiva della dea bendata, che guida costantemente i due pards: grotte provvidenziali con più uscite, i gemelli persi dall’albergatore che praticamente lo inchiodano senza un briciolo d’indagine (a tal proposito, che necessità c’era di un agguato così atipico, se non citare nuovamente Bonelli alle prese con l’agguato vudù al Sarasota di Tampa?), l’agendina segreta che appare all’improvviso e spiattella tutti i colpevoli, mancava solo un origlione ed eravamo al completo . In quanto all’agenda, quanta leggerezza della setta a trascurare il simpatico Smoky dopo l’uccisione del giovane Mac Lean; una congrega così terribile che frusta un adepto per un agguato fallito, non credo si creasse scrupoli per eliminare un possibile testimone oculare. Altro snodo poco convincente per una sceneggiatura davvero mediocre, se non peggio. Che dire poi dell'assurda menzione al mandato di perquisizione dei nostri durante l'irruzione nella sede del villain; uno dei dialoghi meno texiani di Nizzi che fa torcere le budella. Nemmeno il peggior Nolitta ha osato tanto! In quanto ai disegni, non vorrei sbagliarmi, ma mi pare che l’episodio sancisce il debutto di Blasco sulla serie. Avendolo letto fin da giovane, il suo tratto latino, molto atipico per la saga, non mi disturba più di tanto, ma immagino che i lettori tradizionalisti di allora si trovarono molto disorientati. Parecchie le correzioni redazionali sul viso di Tex, non soddisfacente la resa di Carson, molto approssimative le anatomie e le armi e poco dinamismo nei corpi che appaiono troppo ingessati, tuttavia lo stile personale ha un quid che ti convince a soprassedere sui presunti difetti appena elencati, sebbene non mi sia mai strappato i capelli dalla contentezza al cospetto delle sue vignette. Altri disegnatori dallo stile latino e al limite, in primis Font, seguiranno Blasco, che ebbe l’onore di aprire la schiera della “legione straniera” sulla celebre creazione editoriale del grande Bonelli. P.s. Ho letto da qualche parte che Nizzi non amasse tanto il disegnatore iberico, è solo un caso o c’entra qualcosa con l’arruffata prova che gli ha affidato? Il mio voto finale è 4
  7. Dipende dal riscontro di eventuali vendite Satan, suppongo che un editore basi le proprie considerazioni su questo fondamentale aspetto. Se in via Buonarroti dovessero notare che il formato a striscia vende più del color brevi autunnale, non vedo perchè non dovrebbe abolire il primo e dirottare le eventuali pubblicazioni sul secondo, senza inflazionare la produzione. O tagliare in un ipotetico futuro la bimestralità del maxi se nel frattempo si escogitasse un'uscita alternativa con maggiore appeal del primo. In fondo comandano i bilanci e non è raro che alcune testate vengano tagliate se vanno sotto il livello di guardia e si cerchi di captare le nuovi correnti di mercato per attenuare l'emorragia di lettori. La Bonelli "purtroppo" (per noi lettori s'intende!) non è un ente filantropico.
  8. Presentazione vista ieri su Youtube. E' sempre un piacere sentire le tue esposizioni Mauro: esaustive, coinvolgenti, piene di ritmo. Avresti un futuro come presentatore in tv
  9. Dopo una breve pausa, ho ripreso la rilettura dei vecchi albi. Oggi ho optato per questa storia nizziana d’inizio quarto centinaio, ovvero un periodo artistico molto fertile per l’autore di Fiumalbo. Un episodio valido e molto interessante, il primo con un soggetto che diverrà caro allo sceneggiatore e lo porterà a ottime opere sul proseguo, ovvero il contrasto insanabile fra la civiltà dei bianchi e i nativi. Ovviamente non è tanto l’originalità del tema a farsi ricordare, visto che si rifà vagamente a dei capolavori bonelliani come “Sangue Navajo” o “Vendetta indiana”, con gli indiani (gli Cheyennes in questo caso) vittima di soprusi e ingiustizie e con Tex che spende il suo acume strategico per difenderli da ufficiali razzisti e ottusi, ma l’opera di sceneggiatura e il ritmo che si fanno molto apprezzare. Ulteriore fattore degno di nota, l’apparizione del generale Davis, personaggio destinato a lasciare il segno in successive opere simili. Personalmente, seppur apprezzando la prova, reputo che sia inferiore al ciclo dei Sioux; evidentemente Nizzi doveva ancora prendere le misure. Nuvola Bianca è di tutt’altro spessore rispetto a Lupo Grigio, ma in compenso Tex mette in pratica un buon piano per gabbare il colonello Middleton, recuperando pure un suo vecchio e celebre travestimento, ovvero quello dell’Uomo della Morte. I riferimenti alle opere bonelliane sono un marchio della produzione nizziana di quegli anni, non è un caso che oltre al già citato macabro costume, non mancherà durante la storia il ricordo di Apache Kid e il suo triste destino. Interessante la scena in cui il vecchio Carson trattiene la furiosa reazione di Tex dopo un colloquio con l’odioso colonello, impedendogli di agire d’impulso colpendolo, così come è originale la struttura di alcune tavole sul finire, con le mappe e la descrizione a sussidio del lettore, dei movimenti del gruppo dei personaggi. Così come fa sempre effetto vedere i vecchi segnali di fumo, ultimamente diventati molto rari sulla saga. L’epilogo vede il prevedibile successo dei nostri e l’ennesima ospitata nella riserva navajo della gente di Lupo Grigio; desumo che la riserva fosse molto spaziosa o affollatissima visto la quantità di “amici” che Aquila della Notte negli anni ha portato a casa sua . La scena finale della tentata vendetta a Flagstaff di Middleton ci sta però non capisco come mai a Tex sanguini la spalla sinistra, quando nell’ultima vignetta di tavola 96 dell’albo “Aquila della Notte” è evidente che il piombo esploso dalla colt dell’ex ufficiale rancoroso, colpisca il nostro ranger nei pressi della scapola destra . Minuzie a parte, buona storia che anticipa un altro grande episodio in trasferta messicana. Su Fusco ho ormai detto quasi tutto in questi anni di recensioni sul forum. Il suo stile personale e possente, scandisce bene le sequenze narrative e presumo che la sua opera grafica accattivava tutta la stima dello sceneggiatore, che sapeva benissimo di poter contare su un collaboratore preciso e affidabile. Non a caso Nizzi non volle cederlo facilmente a Boselli o altri quando fu affiancato in "cabina di regia" anni dopo. P.s. Curiosamente in uno scherzoso scambio di battute fra Davis e Tex, il generale afferma che il desiderio di infilarsi le pantofole e coltivare in pace un pezzo d’orto è alto, e contrariamente a ciò che gli assicura verbalmente Tex, al giorno d’oggi, conoscendo la ritrosia di Borden a usarlo, suppongo che il desiderio di Davis rischia di essersi avverato . Il mio voto finale è 8
  10. Condor senza meta

    [Texone N. 23] Patagonia

    Dante per passare "oltre il fiume" si è servito di Caronte; noi umili lettori, dello sgangherato Ukasi . Scusate l'umorismo da quattro soldi, anche perchè siamo palesemente OT.
  11. Condor senza meta

    [Texone N. 23] Patagonia

    Beh hai ragione Valerio, non volevo essere ingeneroso con Nizzi (credo che si conosca la mia posizione in merito) ma appena ho letto sesto centinaio mi è venuta subito in mente "Oltre il fiume" e di conseguenza il paragone "infelice".
  12. Condor senza meta

    [Texone N. 23] Patagonia

    Come passare dai Genesis a una banda di strimpellatori che si esibisce alla sagra rionale della porchetta . Buona fortuna Diablo
  13. Ribeccata oggi, durante una rilettura, la sempre valida "Corna di Belzebù"
  14. 2017-Mefisto.jpg

    Un mio vecchio disegno per omaggiare il nostro eroe nel giorno del suo settantaduesimo compleanno. (Che il maestro Villa perdoni :D)

  15. Perdonatemi se inauguro il mio commento con una similitudine ciclistica, ma mi è proprio venuta in mente durante la rilettura di questa vecchia storia: ci sono campioni pluridecorati che negli ultimi anni della carriera continuano ad avere una testa da fuoriclasse, ovvero riescono ancora a leggere la corsa, intuire quando bisogna attaccare o dare la stoccata decisiva agli avversari, ma purtroppo non hanno più la gamba per mettere a punto le giuste intuizioni, in par modo il Bonelli che affrontava stancamente le ultime storie del terzo centinaio, sebbene conservasse ancora alcuni guizzi e spunti per creare qualcosa di buono, si ritrovava, al contempo, privo di quella freschezza creativa per trasformare in opere notevoli quelle buone idee. Nel caso specifico, la scelta di schierare Geronimo accanto al nostro eroe in una avventura che si prospettava epica, poteva dare il là a una possibile gemma narrativa, purtroppo però una non adeguata opera di sceneggiatura, portò a sciupare il buon spunto e, alla resa dei conti, l’episodio si presenta, sì leggibile, ma piuttosto sciatto. Già discutibile l’idea di scindere in due distinti parti la prova, così diverse da sembrare derivanti da due sceneggiature differenti (scelta volontaria o pensata dalla redazione per raggiungere un ragguardevole numero di pagine?). Non sarà l’unica volta in quei periodi che i lettori si trovarono dinanzi a queste “multistorie”, ma è dura accettare che un personaggio come Geronimo venga usato così poco e perso fra le pagine, per dare vita a una seconda parte decisamente meno interessante della prima. Almeno nella prima frazione l’idea della deportazione e il piano ideato da Tex per assaltare il treno e liberare i prigionieri, funziona e dà vita a sequenze serrate e cariche d’azione. Vero che i soldati non brillano di acume e intuito, ma si può bypassare su questo aspetto e ci si gode una lettura che sembra profumare di glorioso passato. Di colpo però l’autore, vira verso una scelta narrativa a mio avviso biasimabile, visto che separa i nostri dal grande condottiero Apache e li fa imbracare in una impresa, sì lodevole, ma alquanto slegata dal contesto. Spariscono le Giacche Blu e le motivazioni per opporsi all’assurda regola razzista istituita dal governo e il sipario si apre su un gruppo di squaw e anziani da salvare dalle mire da orde di spietati bandoleros. Discreta la figura del fiero e saggio Juarez, così come è piacevole (anche se un po’ al limite della plausibilità in un simile contesto) la trovata della grande zattera per affrontare le rapide del fiume e sfuggire al controllo dei banditi messicani. Bandoleros che non sembrano avversari degni dei nostri, vedasi come alcuni vengono facilmente eliminati dagli uomini di Juarez armati di soli archi e frecce, ma è la troppo celerità con cui si chiude la faccenda che mi convince poco. Bonelli sembra aver fretta di chiudere la storia e sequenze come il transito al villaggio o l’arrivo al convento non generano il minimo briciolo di pathos. La meta del convento sembra più un pretesto narrativo per concludere la sottotrama che un probabile piano efficace, tuttavia ormai la frittata era fatta e quella che poteva essere una prova maiuscola, si rivelò un’incompiuta facilmente dimenticabile. Senza nulla d’eccepire al buon livello grafico di Ticci, sempre impeccabile e performante. I suoi pennelli riescono a creare con ottima resa sia le dinamiche scene dell’assalto al “Carro di fuoco” fermo sulle rotaie, sia gli incantevoli scenari naturali con le rapide del turbolento fiume in bella vista. Il maestro giunto all’apice della sua creatività grafica, subito dopo aver concluso questo impegno, presterà la sua arte a una sceneggiatura di tutt’altro livello sul finire del centinaio, ma quella è un’altra storia. P.s. Particolare il refuso in cui incappò Bonelli con la doppia presentazione di Ulzana ai nostri; purtroppo uno dei vari “segnali” di un calo di tensione, lento ma costante; d’altronde anche i fuoriclasse sono destinati a invecchiare e appendere la bici al chiodo, nel tramonto dell’esistenza. Il mio voto finale è 6
  16. Quando si tratta di statistiche e medie matematiche, divento come il vecchio Carson dinanzi una succulenta bistecca sepolta da una montagna di patatine , quindi colgo l'occasione per aggiornare i miei giudizi sulle storie del periodo di riferimento. - L'oro dei Pawnee (Boselli-Civitelli) 7 - La regina dei vampiri (Manfredi - Bocci) 7 - La seconda vita di Bowen (Ruju-Acciarino) 7 - La maschera di cera (Boselli-Benevento) 7 - La tribù dei dannati (Ruju-Font) 6 - L'assedio di Mezcali (Nizzi-Filippucci) 6 - I forzati di Dryfork (Rauch-Prisco) 7 - La Rupe del diavolo (Nizzi-Mastantuono) 6 - Netdahe (Boselli-Seijas) 8 - Sulla cattiva strada (Ruju-Font) 6 - Guatemala (Ruju-Biglia) 7 - Il monaco guerriero (Zamberletti-Candida) 5 - Il pistolero vudu (Ruju-Ramella) 5 - Una colt per Manuela Montoya (Boselli/Monni-Laurenti) 5 - Agente indiano (Boselli-Dotti) 8 - Il mostro del Gran Lago Salato (Ruju/Rizzo-Benevento) 7 Media aritmetica = 6,5 Riepilogo Secondo il mio metro di valutazione, il calo in questo terzo di centinaio c'è ma non è "da livello di guardia". Di certo le tre storie in sequenza sotto la sufficienza (Il monaco guerriero, Il pistolero vudu e Una colt per Manuela Montoya) abbassano un po' la media, ma per il resto, sebbene senza eccessivi picchi, non reputo ancora così drammatica la situazione. Per ciò che riguarda gli sceneggiatori: si mantiene su buoni livelli Boselli (media 7 su 5 prove); Ruju evidenzia una lieve flessione accentuata da alcune prove solo sufficienti e dalla non riuscita "Il pistolero vudu" (media 6,33 su 8 storie); Nizzi senza infamia e senza lode ma è già tanto che non incappi in svarioni come quello del color breve dello scorso autunno (media 6 su 2); per Manfredi e Rauch accettabili le uniche storie pubblicate ma certamente un giudizio più valido andrebbe articolato su più storie (entrambi 7); stesso discorso su Zamberletti che al debutto piazza una storia da cinque scarso, ma ho l'impressione che non saranno tante le occasioni di vederlo sulla regolare. Rinnovo infine i miei complimenti a Carlo e Antonello, perchè è indubbio che il vedersi approvare un soggetto per la celebre serie ammiraglia della Bonelli è un'emozione che non capita tutti i giorni. Bravissimi, la passione a volte paga! Per ciò che riguarda i disegnatori, Benevento - Biglia - Civitelli - Dotti - Bocci - Mastantuono si attestano su livelli medio alti. Un po' più in basso Acciarino - Font - Ramella - Seijas e Filippucci ma comunque ok. Da rivedere a mio avviso Prisco e Candida, mentre per Laurenti, a malincuore (poichè l'ho sempre stimato e lo stimo tutt'ora) devo ammettere che il suo debutto non raggiunge affatto la sufficienza.
  17. Vedo che è quasi unanime l'impressione che un lieve calo di rendimento nel periodo di riferimento ci sia stato. Stabilire da cosa dipenda con certezza non è affatto semplice, né scontato. L'iperproduzione citata da Diablero ha di certo il suo peso specifico, ancor più se associata all'aspetto fatto notare da Letizia. Altri fattori coincidenti stanno a mio avviso influendo sull'attuale andamento incerto della saga, ovvero la presenza della giovane serie Tex Willer che, avendo meno paletti e presentandosi con maggior freschezza e possibilità d'innovazione, forse finisce involontariamente col catalizzare i migliori spunti di Boselli, o il periodo di appannamento creativo di Ruju (che confido sia solo temporaneo visto che l'autore ha qualità e può dare decisamente di più). Tuttavia, andando contro al pessimismo cupo espresso da altri utenti, io voglio credere che si possa imboccare una via d'uscita da questo periodo di presunta crisi e che in futuro, la saga possa risalire la china. Già in passato la serie ha vissuto periodi cupi, eppure si è sempre risollevata. Magari occorrerà fare qualche scelta importante (anche ridurre le uscite come auspicato da Diablero o quantomeno bilanciarle al meglio) o avere il coraggio di apportare calibrati ammodernamenti che possano dare nuovi spunti agli autori, ovviamente senza stravolgere del tutto la serie, ma Tex Willer è l'esempio di come si possa ottenere ottimi risultati con un po' di originalità e coraggio, di conseguenza perchè non estendere questa formula pian piano alla regolare? Diamine, in più di settant'anni migliaia e migliaia di avversari non son riusciti a seppellire il nostro eroe preferito, perchè dovremmo farlo adesso noi lettori?
  18. Può capitare caro pard , per quanto si possa avere una certa affinità di giudizi, è praticamente impossibile essere sempre sulla stessa frequenza d'onda. Sai, riallacciandomi al mio commento, ripeto che anch'io non riesco a essere del tutto soddisfatto della storia. Mi viene difficile spiegarlo: sebbene non la reputi da bocciatura totale, non riesco a considerarla nemmeno del tutto riuscita. Ho cercato di spiegare i motivi che mi inducono a una fredda accoglienza dopo la lettura, ma ammetto che stavolta le mie idee di giudizio sono poco chiare. Ho dato 6, ma poteva benissimo essere pure un 5, ma in casi d'indecisione come questa, il numerino finale può essere figlio del momento e lasciare il tempo che trova. Sul fatto che la storia ambientata a "Last Hope" sia decisamente di un altro spessore, condivido in toto. Purtroppo il Bonelli degli anni 80 ormai era solo l'ombra del grandissimo autore del passato. Sui disegni, è vero, magari la coppia Nicolò - Monti non era del tutto adatta alle tematiche, ma tutto sommato la qualità finale non fu così disastrosa, a mio modo di vedere. Un disegnatore come Bocci tuttavia è perfetto per il sequel.
  19. Si son spesi fiumi d’inchiostro in passato (dovrei meglio dire “si son consumati i tasti delle tastiere” ma i detti vintage hanno sempre il loro fascino!) in merito ai canoni del genere western e sulle presunte o meno capacità di alcuni autori di comporre storie che li rispettassero, ma in fondo nella longeva saga texiana, spesso lo stesso “papà artistico” se ne è liberamente infischiato di classificazioni e stilemi. L’episodio che mi appresto a commentare, dopo averlo recentemente riletto, ne è un fulgido esempio, visto che la trama fa palesemente l’occhiolino alla fantascienza piuttosto che al consueto western di riferimento e di certo non è un unicum della saga, visto che di alieni, popoli improbabili, dinosauri e stregoni ne abbiamo incontrati a bizzeffe nelle creazioni del grande Bonelli. “Il mondo perduto” rappresenterà l’ultima escursione “nel fantastico” del compianto autore e di fatto non porta nemmeno il suo soggetto, considerato che gli fu suggerito dal figlio Giorgio. Trovo estrema difficoltà a commentarla per via di un contrastante stato d’animo provato dopo ogni lettura: personalmente, sebbene preferisca le storie classiche, non mi disturbano mai eventuali escursioni su orizzonti diversi, ma alle prese con questa prova non riesco mai a trovarmi del tutto soddisfatto. Riconosco che rispetto alla media del periodo, il grande Bonelli se la cavò egregiamente e la storia si fa leggere, ma la sensazione di trovarsi al cospetto di un esperimento non riuscito è comunque forte. Dopo un lungo incipit, dai ritmi alquanto blandi, l’episodio prende quota e almeno nella prima parte, tiene sulle corde il lettore, grazie a una accettabile sceneggiatura. La sorprendente scoperta del popolo misterioso sui Monti Ranier è un colpo di scena d’impatto, così come spiazza la scena con la misteriosa navicella incastonata tra i ghiacci. Qui però ho pensato che la sequenza fosse più adatta per Zagor e pure la figura dello scienziato sfigurato, mi ha ricordato troppo Hellingen. Il finale è un condensato di scorciatoie narrative e scelte sbrigative: troppo facilmente i pards si fanno intrappolare e con altrettanto semplicità riescono a liberarsi. Pure la trovata del terremoto suona troppo come “un già visto” poiché è immediata la correlazione col finale della meglio riuscita storia del Signore dell’abisso. Lo scienziato, oltre a rievocare l’acerrimo nemico dello Spirito della Scure, sembra una sbiadita citazione di Vindex e similare pure l’idea del figlio che, alleandosi ai nostri, va alla sua ricerca sul monte Ranier. Il popolo proveniente dallo spazio sembra riprendere la celebre figura dell’alieno apparsa nei primi 50 numeri, ma mentre lì lo strano individuo dalla pelle a scaglie, usava armi futuristiche e sapeva bene cosa fare per riprendere il volo, qua stona un po’ che gli incappucciati, giunti sul suolo americano con una navicella che sembra uscita da un romanzo di Asimov, di colpo si fanno comandare da un folle scienziato e tremino dinanzi le colt degli avversari. Di contraltare molto belle le scene che vedono il sacrificio del capitano Olden o della coraggiosa Dorkan. Storia che mi lascia sempre una strana sensazione appena finita la lettura: non la reputo affatto insufficiente ma non riesco nemmeno a lodarla del tutto. Di certo non approvo affatto l’assurda rappresentazione grafica di Gross Jean, che è del tutto errata a mio modo di vedere e non solo per via dei mustacchi; anche il fisico, i lineamenti e l’abbigliamento “elegante” ben lontano dalla consueta tenuta di trapper sono del tutto fuorvianti e non è accettabile che un comprimario storico dei nostri venga stravolto così. Capitò più di recente anche con un irriconoscibile Mac Parland disegnato da Ortiz, ma qui è peggio, visto che il gigante francese ha un peso specifico maggiore sulla saga. Che Nicolò avesse preso un abbaglio è evidente, ma non capisco come mai la redazione non pretese una correzione. Pure il fatto che GrosJean avesse fatto fortuna e messo su una fiorente attività non è tanto consono con il personaggio, eppure qui la presunta incongruenza è dello sceneggiatore. Purtroppo la storia rappresenterà l’ultima fatica dell’apprezzato disegnatore fiorentino, che non riuscirà a portarla a termine e toccherà al jolly Monti farlo. Davvero strabiliante la capacità di quest’ultimo di imitare lo stile del collega: a uno sguardo distratto è quasi impossibile distinguere il passaggio di consegne, visto la cura con cui l’artista realizza le restanti tavole. Proprio una non comune capacità camaleontica di stile che lascia a bocca aperta. Ammetto che sebbene ne fossi a conoscenza, molto spesso ho fatto fatica a distinguere la mano di Monti nelle vignette e credo che non sia una cosa da poco. Il mio voto finale è 6
  20. Altro finale memorabile: dopo il racconto struggente di Tex attorno al fuoco del bivacco (e nell'animo del lettore), aleggia un pesante silenzio intriso di malinconia e rassegnata mestizia, ben resa dalla sequenza di sceneggiatura e dai consueti disegni efficacissimi del maestoso Ticci. Purtroppo il lungo declino d'ispirazione di Nizzi ha parecchio "sporcato" il suo eccellente contributo alla saga e il rischio, che il suo nome venga più associato alla fase sciatta e mediocre post 500 rispetto al brillante esordio degli anni 80, è sempre alto tra i lettori.
  21. @MacParland, @valerio, @Juan Ortega grazie di cuore! Beh così però mi fai arrossire caro pard. Hai citato un'altra scena notevole della prova. Superficialmente si potrebbe pensare che il suicidio di Walcott sia una mossa codarda per non affrontare la malattia, ma non credo proprio che sia così: non avrebbe di certo aspettato Tex per porre fine alla sua scellerata esistenza. A mio modo di vedere Walcott, dopo aver costruito il suo castello criminale sull'inganno e il sangue dei nipoti, ha vissuto il suo "trionfo" attanagliato dal rimorso e il tenere la foto dei defunti nipoti sulla scrivania ha rappresentato per lui una sorta di ordalia per ricordargli i suoi scheletri del passato. Mi verrebbe da pensare che abbia pure accolto la malattia come una sorte di liberazione interiore per permettergli di espiare i propri peccati e trovare il coraggio di confessare a Tex quello che, per spirito di conservazione, non avrebbe mai fatto in condizioni normali. Comunque qualunque sia la chiave di lettura, è indubbio che la sua caratterizzazione è notevole; pure l'opera di Ticci, che lo ritrae magistralmente col viso sofferente ed emaciato, rende perfettamente il dramma dell'epilogo. Lieto di sentirtelo dire caro pard, per stavolta son riuscito a farti seppellire l'ascia di guerra. Concordo, infatti ho anch'io specificato che lo spessore e l'epicità della storia la rende comunque un capolavoro. D'altronde anche il grande Bonelli a volte ha optato per epiloghi amari per Tex, mi vene in mente come esempio l'episodio con Apache Kid. Vero, davvero una sequenza splendida. L'unico fascio di luce dopo tante ombre, ovvero la preziosa amicizia fra i due pards, più inscalfibile di un diamante. Scena resa ancor più poetica dal magico tocco di Ticci.
  22. Ci sono momenti nella vita professionale in cui si presentano le occasioni per mettere a frutto tutta la passione e le fatiche, per fare il salto di qualità: anche per Nizzi fu così e il periodo coincise col finire del terzo centenario. Sebbene le sue prime prove sulla saga non furono affatto male, tanto da convincere Sergio Bonelli a ingaggiarlo in pianta stabile, è indubbio che “Fuga da Anderville” rappresentò per l’autore la chiave di svolta, che inaugurò ufficialmente il suo periodo d’oro, che aiuterà a rilanciare la saga, dopo la crisi dovuta al fisiologico declino del grandissimo Gian Luigi Bonelli. In questi tre anni di mia permanenza nel forum, ho avuto il piacere di recensire più di duecento storie del nostro inossidabile ranger e ho cercato di essere sempre il più obiettivo possibile. Di fatto, nei giudizi e nell’assegnazione dei voti (per quanto un freddo numero matematico possa servire nella valutazione di un’opera artistica) ho evitato di abusare con termini del tipo “capolavoro” o “pietra miliare”, riservandoli solo qualora lo ritenessi realmente necessario. Al cospetto di questa prova di Nizzi, che definire ispirata risulta quasi riduttivo, tuttavia, sono “costretto” a catalogare la stessa nella stretta cerchia di episodi che meritano “la corona d’alloro”. Mi si potrebbe chiedere come mai allora io abbia aspettato così tanto a commentarla e soprattutto perché nell’apposito topic, non la inserii fra le dieci migliori composizioni nizziane, alienandomi allora le simpatie del caro pard @Leo che mi minacciò di togliermi il saluto , eppure anche per queste legittime domande c’è una risposta: di solito commento solo le storie che possiedo per intero, senza albi mancanti, e voglia il caso che fino a poco tempo fa nella mia collezione mancasse proprio l’albo 297, ovvero quello in cui si iniziava questo gioiello della saga. Per coerenza, sebbene avessi avuto comunque modo di constatare la grandezza della storia, mi astenni dal recensirla fino a quando, di recente, fra lo scaffale di un mercatino, sono riuscito a procurarmi il fatidico albo mancante, colmando così quel gravoso buco della mia raccolta. Mi scuso per la chilometrica premessa; mi impongo spesso di essere il più conciso possibile ed evitare digressioni nei miei commenti, ma puntualmente, quando mi ritrovo dinanzi storie a cui tengo, ricasco nella trappola e divento più prolisso di Nolitta alle prese con gli Uomini Giaguaro , ma adesso non volendo indugiare oltre, provo a dire la mia in merito a questa celebre prova che traghettò il famoso ranger alle soglie del numero 300. Nizzi per l’occasione scelse uno spunto alquanto ambizioso, ambientandolo durante la guerra di secessione, argomento sempre molto caro agli appassionati texiani e di storia americana in genere. Con una struttura narrativa interessante, costruì un lunghissimo flashback, in cui praticamente si svolge tutta la vicenda, per poi chiudere l’episodio nel presente, in cui il lettore assiste a un vero colpo di scena, molto a effetto. Eviterò ovviamente di riassumere la trama (non avrebbe senso per chi la conosce già e sarebbe ingiusto invece nei confronti di coloro che non l’hanno mai letta e rischierebbero di vedersela spoilerata) ma non posso astenermi dal lodare la straordinaria caratterizzazione dei personaggi che l’autore dipinge pagina dopo pagina e notare con quanta abilità lo stesso, riesce a cesellare un perfetto miscuglio di azione, giallo, drammaticità ed epicità di molte scene. Come rimanere insensibili dinanzi all’eroico sacrificio di Tom per permettere a Tex e John Walcott di fuggire dall’inferno in terra rappresentato dal campo di concentramento di Anderville? Come non sentire un brivido nella schiena durante l’orrenda operazione di sepoltura nella palude dei corpi dei nordisti morti di inedia e privazione dentro le mura del campo? È vero che stiamo leggendo solo una trama di fantasia, ma come non fermarsi a riflettere sugli orrori della guerra e alle storture dell’umanità, imbruttita dall’odio dei conflitti, che purtroppo non sono solo fantasia e la storia ciclicamente ci presenta, mostrando di quanto l’uomo non riesca a imparare dai sanguinosi errori del passato? Un altro aspetto che si percepisce durante la lettura e proprio l’atmosfera cupa e struggente che trasuda sequenza dopo sequenza, vignetta dopo vignetta, in cui sapientemente l’autore muove le sue pedine e marchia a fuoco gli eventi che lasciano il segno nell’immaginario del lettore. A voler essere puritani (o texiani integralisti se preferite) non si può negare che l’episodio è alquanto atipico e forse il più nolittiano scritto da Nizzi, visto l’amaro finale, con Tex incapace di cambiare il corso degli eventi e sconfitto in fondo su tutta la linea, tuttavia la sceneggiatura è così aulica e tocca alti picchi di epicità e pathos, che non si può non amarla. Con una sorta di rassegnazione di fondo, Nizzi ci dona quasi un quadro verghiano dei suoi personaggi: una folta lista di "vinti", che per quanto si battano per i propri scopi e ideali, si ritrovano alla fine battuti dalla vita e dal destino. È un vinto il potente Howard Walcott, che, dopo aver escogitato un diabolico intrigo per impossessarsi dell’oro e favorire la sua carriera politica, si ritrova, a un passo dal traguardo, sconfitto dalla malattia e distrutto dal rimorso; è un vinto il fiero e leale John Walcott che paga la sua lealtà con l’infamia di un’ingiusta accusa, che macchia il suo nome e il suo onore dopo la morte. Non differente l’esito del cugino Leslie che, seppure spinto dall’integrità morale che ha sempre pilotato le scelte della sua vita, si becca una pallottola a bruciapelo dalla persona che ovviamente non si aspetta. Per una volta è sconfitto pure Tex che si ritrova una pedina nelle mani dell’infido Howard e non può far null’altro che indignarsi e amareggiarsi dell’assurdo esito di questa tristissima vicenda. Ma la lista potrebbe continuare a lungo, poiché anche Tom può essere inserito nella lista dei vinti, visto che sacrifica la sua vita da eroe ma tutti noi purtroppo sappiamo che, non bastò abolire la schiavitù per sconfiggere il razzismo. Che dire, una storia che impreziosisce la saga e che di fatto, in quegli anni, promosse sul campo Nizzi, come degno erede del grande Bonelli. Non meno prezioso il contributo grafico del maestro Ticci, giunto all’apice della sua maturità artistica e di resa. Alla consueta dinamicità e straordinarietà degli sfondi, l’artista senese si supera con una perfetta recitazione dei suoi personaggi, che in trame simili è fondamentale. Il suo tratto inconfondibile e corposo, scandisce come un metronomo ogni sequenza narrativa e valorizza i vari passaggi narrativi. I pennini di Ticci riescono a esprimere tutta la disperazione che serpeggia ad Anderville, e contribuiscono a donare pathos alla già ottima sceneggiatura fornitagli da Nizzi. Un perfetto binomio che si ripeterà in altre riuscite storie degli anni seguenti e contribuirà all’età dell’oro dello sceneggiatore di Fiumalbo nel decennio ottanta. Il mio voto finale è 10
  23. Storia breve, alquanto basilare ma in compenso molto bonelliana. Nizzi sfrutta le poche pagine a disposizione, imbastendo una buona sceneggiatura, arricchita da buoni comprimari, vedi il simpatico beccamorto Art o l'affascinante e coraggiosa Katy, resa divinamente dai pennelli di un ispirato Monti, ma sul compianto disegnatore tornerò dopo. Di contro, i quattro avvoltoi non lasciano tanto il segno e vengono eliminati gradualmente dal nostro eroe, per la prima volta in solitaria nelle storie dell'autore di Fiumalbo, ma nel complesso l'episodio è piacevole e intrattiene, seppur senza eccessivi picchi. Molto caratteristica la scena iniziale col funerale senza "spettatori", espediente usato pure in uno dei celebri sceneggiati di Montalbano in tv. Altra sequenza d'impatto e abbastanza "cruda" l'uso della carcassa sanguinante del povero cagnolino per ingannare gli aggressori nella stalla; al giorno d'oggi farebbe storcere il muso alla frangia di animalisti, ma all'epoca in cui Nizzi la compose, evidentemente, poteva esimersi di curare un simile aspetto. Il ritmo è serrato, d'altronde in ottanta pagine scarse non si può tergiversare troppo, anche se il finale a base di dinamite, appare un tantino affrettato, visto che al nostro bastano solo tre candelotti per far tabula rasa di un "mezzo esercito" come definito da uno dei villain, prima dell'assalto finale. Carina e originale la prova con le candele, altro aspetto l'originalità di alcune scelte, che manifesta la buona ispirazione del Nizzi dei primi anni ottanta. Storie simili, molto texiane suppongo furono una boccata d'ossigeno per i lettori di allora, che con la breve gestione Nolitta si erano ritrovati ad assistere a una metamorfosi forzata del loro eroe preferito. Personalmente ritengo che, senza l'arrivo in soccorso di Nizzi, che seppe coniugare fedeltà alla stile bonelliano e buona fantasia agli inizi, la serie avrebbe avuto grandissimi problemi a superare indenne gli anni 80. Per ciò che riguarda il comparto grafico, non si può far altro che lodare l'ottimo lavoro svolto da Monti. Stile elegante, dinamico, ottima espressività dei personaggi, sfondi "puliti" e molto curati prospetticamente, funzionale bilanciamento tra bianchi e neri e eccellente rappresentazione della grazia femminile della dolce Katy, che sebbene abbigliata come un "maschiaccio" riesce a essere davvero molto sexy. Promozione in campo, da ghostdrawer nelle correzioni redazionali a titolare di storie proprie, nettamente meritata e da allora (a prescindere di intervalli più o meno lunghi dovuti alla sua nota lentezza realizzativa) il suo nominativo rimase inamovibile nella lista principale dei disegnatori della saga. Monti è un altro disegnatore che ha caratterizzato la mia giovinezza e mi manca tanto, così come Galep, Fusco e Ortiz. Il mio voto finale è 7
  24. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 29] Mississippi Ring

    In fondo credo che tu abbia ragione @Letizia , anche se a me, a primo impatto, stride più la posizione del braccio sinistro. Tuttavia ripeto che, al netto di qualche lieve imprecisione anatomica (fisiologica visto la mole di copertine a cui è sottoposto) Villa rimane uno dei più grandi fumettisti del panorama internazionale.
  25. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 29] Mississippi Ring

    Credo che l'eventuale imprecisione sia presente nella gamba sinistra, che al netto della prospettiva, sembra un pelino più corta. Per ciò che riguarda la destra, (tenendo fede a un'equazione letta su un manuale che le gambe in genere debbano essere quattro volte circa la misura della testa) a me pare tutto sommato proporzionata. Suppongo che spesso inganni la vista pure la posizione del cinturone. Personalmente mi convince poco il braccio sinistro forse troppo lunghetto ma da profano potrei sbagliarmi, tutto sommato comunque, nel complesso la copertina è molto bella e d'impatto e questo conta. In merito a sproporzioni ho visto di peggio onestamente, ma nella narrativa a fumetti, oltre la tecnica fine a se stessa, sono fondamentali pure le sensazioni che il disegno riesce a trasmettere e "l'anima" che l'artista riesce a donare alle sue creazioni e Villa, a mio avviso, è un maestro in tutto questo.
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