Finita la lettura di questo capolavoro, mi sono fermato un attimo a riflettere. Tra i capolavori riconosciuti di Borden, si citano sempre Il Passato di Carson, Cercatori di Piste, Gli Invincibili, Sulla Pista di Fort Apache e i Sette Assassini. Queste ultime due sono rispettivamente la settima e la ottava storia pubblicata sulla serie: su otto avventure, quindi, cinque sono considerati capolavori (con I Cercatori di Piste un pelino inferiore alle altre). Quando diciamo che Borden ha esordito in maniera esaltante con Il Passato di Carson, siamo forse ingenerosi, perché allargando lo sguardo a tutto il suo periodo di esordio si trovano molte opere eccellenti, si riscontra una concentrazione di grandi storie veramente anomala. Poi in seguito scriverà altri grandi storie (e oggi continua a scriverne, anche su TexWiller) ma l'addensamento di questo primo periodo resterà probabilmente insuperato. Quella del primo Boselli è stata davvero un'ulteriore età dell'oro texiana, e Sulla pista di Fort Apache è perfettamente nel solco di questa nuova era.
La bellezza di questa storia sta, al solito, nella perfetta caratterizzazione dei personaggi di contorno, e concordo con @Poe che Boselli qui non ne trascura nessuno, neanche le comparse. Oltre ai magnifici Laredo e Liz, il cui rapporto è sicuramente un punto di forza della vicenda, ci sono il Sergente Quincannon, Antonia, lo stesso Mister Curtis: tutti personaggi secondari ma curati nel dettaglio, nei loro stati d'animo, nei loro modi di pensare. C'è Lobo, il cui dialogo con Laredo poco prima di morire è molto bello, c'è Chunz con la sua ambizione e la sua ferocia, e poi ovviamente c'è Parkman, la cui redenzione inizia già nel terzo albo di questa storia, di fronte al fallimento della sua opera e con la sua capacità di prendersene tutta la colpa, tutta la responsabilità.
La coralità di questa storia non sta tanto nell'avere tanti personaggi, quanto nella gestione degli stessi, nell'accuratezza con cui Boselli li tratteggia: ogni loro singola parola ha un sapore, nulla è lasciato al caso, ognuno gioca la propria parte con tale naturalezza da dare la sensazione al lettore di trovarsi davvero di fronte a quelle persone e in quelle drammatiche circostanze. Il lettore si immerge, con questa storia, in un poderoso kolossal western, che riesce nel "miracolo" di trattare un tema abusato su Tex qual è quello delle guerre indiane con una freschezza e un'ariosità, con una "completezza" direi - nelle strategie di guerra, nell'esposizione della mentalità degli apache, nella componente d'avventura, appunto nella cura dei personaggi - che poche volte si è vista nella saga, regalando pagine destinate a restare tra le più significative della Storia del nostro personaggio.
Bella anche la parte di Tex "cupido" che, con quel "deciditi, Laredo, il battello non può aspettare in eterno" incoraggia il rude scout a vincere la sua battaglia più difficile, vale a dire il suo dichiararsi alla bella Liz.
Una menzione speciale va fatta per i disegni, perché qui la parte grafica è stata fondamentale nell'opera di trasporto del lettore tra le lande desolate e gli altipiani dell'Arizona. Un Ortiz semplicemente mostruoso, l'opera migliore del disegnatore spagnolo, se si eccettua quell'altro grande capolavoro che fu La Grande Rapina.