Dove sta il bene, dove il male?, ci si chiede spesso nelle storie di Boselli. In questa, all’inizio, non è chiaro neppure dove sta la giustizia, e lo dice esplicitamente anche Tex a Carson (“In questa faccenda la giustizia o l’ingiustizia non sembrano stare da una sola parte” ). Ma non solo: qui non è semplice neanche capire quale sia il mezzo giusto per ottenerla, la giustizia, visto che le vie legali non sono percorribili e il sabotaggio non pare né efficace né privo di rischi per gli innocenti.
Mondego il killer se la cava sostenendo che “non ci sono innocenti”, ma non è del tutto così, il cinismo, in questa vicenda oscura, tutto sommato non la fa da padrone, anzi, sono tanti i personaggi positivi e onesti (per esempio lo sceriffo Dugan), così come le azioni generose e i moti d’affetto, anche dei criminali (compreso Mondego).
Eppure resta irrisolto il tema di fondo della giustizia, quella vera, difficile da realizzare anche perché i principali personaggi in conflitto tra loro sono tutti (tranne il killer Mondego) dalla parte della legge (rangers, sceriffi, agenti della ferrovia, affaristi e ingegneri legalmente autorizzati a fare il loro mestiere) ma tutti - compresi Tex e Carson - con una loro personale concezione della giustizia, diversa da quella degli altri e contraddittoria rispetto alla legge, in nome dei propri interessi o dei propri principi.
E se alla fine i Nostri trionferanno - come sempre - e la ferrovia andrà avanti, resta comunque al lettore l’amaro in bocca per tutti coloro che sono morti inutilmente, prima per la concorrenza spietata delle due compagnie ferroviarie, poi per aver cercato la giustizia e averla ottenuta a caro prezzo.
“I sabotatori” è una delle migliori storie di Boselli, una di quelle scritte meglio, che si apprezzano ancora di più a una seconda lettura, con dialoghi pieni di sfumature e sottintesi, come quelli di Tex con Bethanie o di Bethanie con Bill Norton, oppure quelli col vecchio sceriffo ribelle Henry Price o le varie discussioni tra Tex e Carson, in cui i due amici ragionano tra loro, esprimono i loro punti di vista, non limitandosi ai soliti battibecchi triti e ritriti. E’ una storia, questa, che dà l’impressione al lettore di assistere a un film ben recitato.
Merito anche degli efficaci disegni di Leomacs che - mi sbilancio – considero ai livelli dei grandi (Galep, Ticci, Villa…), o comunque lì vicino, anche se calano un po’ verso la fine. Al contrario della trama, che invece migliora via via: parte bene, si sviluppa ancora meglio e si conclude in crescendo, senza sgonfiarsi per strada come capita purtroppo a tante altre.
Tutto funziona a meraviglia: un intreccio ben orchestrato, tanti personaggi complessi e maturi, un Carson ottimo coprotagonista in stile glbonelliano (gran mangione ma non in modo macchiettistico, irresistibile quando si scontra con gli sgherri della ferrovia che gli hanno fatto cadere la bistecca), e poi un antagonista indimenticabile (Mondego) e un personaggio femminile altrettanto memorabile, Bethanie (“Per una donna giovane, sola in un mondo difficile e pericoloso, è un gran conforto sentire ogni tanto il proprio nome sulle labbra di un uomo”).
C’è spazio anche per la critica sociale all’affarismo senza scrupoli spacciato (ieri come oggi) per lo sviluppo della nazione, ottenuto sulla pelle dei più deboli considerati solo un intralcio per il progresso. Un affarismo che finge di considerare la cosiddetta libera concorrenza una gara corretta e non - come di fatto è - una guerra tra chi vuole vincere con qualsiasi mezzo (alla fine Bethanie morendo dice: “Ho vinto io. Il mio è il primo treno”).
Insomma un’avventura notevole, degna di comparire prima o poi nella neonata collana ”Le grandi Storie Bonelli”. Peccato solo non rivedere più Leomacs su Tex, chissà che fine ha fatto.