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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Dopo aver letto l'eccellente recensione di @Diablero, molto completa e dettagliata, diviene difficile trovare qualcosa da aggiungere, tuttavia, avendo riletto gli albi di recente, provo lo stesso ad articolare un commento. La storia fu composta nel tardo periodo crepuscolare del grande Bonelli e alcuni difetti tipici di quegli anni sono presenti e distinguibili. Comunque a differenza dell'episodio precedente, ricucito alla bene o meglio dalla redazione ma rivelatosi fiacco e alquanto sconclusionato, "Luna Comanche", possiede qualcosa di particolare che in qualche modo ti coinvolge durante la lettura. Vuoi per la presenza del buon comprimario Tiuba, a cui l'autore dona un meritato finale melodrammatico, o forse per la sottile allusione alle credenze indigene che spinge il giovane Navajo all'atto eroico, perpetrato per vendicare il vigliacco omicidio del caro amico-padrone. Se poi ci aggiungiamo il solito Tex bonelliano, e un ottimo Carson che si ritaglia con il suo inseguimento una lunga sfilza di pagine alla ribalta, forse centro il punto che tutto sommato mi ha fatto apprezzare questa storia minore. Certamente non si capisce cosa ci faccia la scena nell'incipit con il mercante messicano, totalmente slegata dal contesto e poco attinente (credo anch'io che fu recuperata da qualche bozza di spunto autonoma, per dilatare il numero esiguo di pagine). Anche l'altro appunto fatto già notare, ovvero lo strano (e volendo incomprensibile!) atteggiamento dei cowboy, che accettano senza battere ciglio la versione della morte del boss e si immolano per il piano del perfido figlio, non fa fare salti di gioia e si mostra come una forzatura narrativa, tuttavia, sebbene non eccelsa e facilmente dimenticabile, la storia trasuda texianità da ogni tavola e in un periodo in cui l'apporto di Nolitta "stravolse" questo aspetto, non è roba da poco. Il drammatico e poetico epilogo al chiar di luna, reso graficamente in maniera straordinaria dal sempre efficace Letteri, vale da solo "il prezzo del biglietto". Se ci furono interventi esterni o se la storia fu ripresa dopo una lunga interruzione, come acutamente fatto notare da Diablero, non lo so, posso solo dire che, a mio avviso, rappresenta una delle ultime sceneggiature valevoli del compianto papà di Tex; un acconto di quel testamento artistico immenso, a cui noi lettori dobbiamo essere sempre grati. I disegni di Letteri mostrano un lieve calo nella seconda parte, (come se l'artista fosse pressato dalle consegne, e visto la mole delle tavole che sfornava all'epoca, non mi stupisce), comunque il livello è ancora appropriato ed elegante. P.s. Visto come è rappresentato il Ranch, mi chiedo a cosa servisse la scala esterna laterale se poi nel poi nel ballatoio di arrivo non vi è alcuna porta d'ingresso ma solo due finestre. Refuso che il disegnatore ripete in più campi lunghi, poca cosa ma forse, per deformazione professionale, mi è subito saltata all'occhio Il mio voto finale è 7
  2. Ognuno è libero di criticare le storie come meglio crede (ci mancherebbe!), ma a par modo, ogni lettore è libero di leggerle e godersele come preferisce, senza per questo dover essere classificato o considerato parte di "non lodevoli" percentuali, che lasciano il tempo che trovano.
  3. Storia che viene ricordata più che altro per il debutto del grande Civitelli sulla saga. Un allora giovane disegnatore di talento, che si affacciò in punta di piedi sulla gloriosa testata e che da quel giorno legherà a doppio filo la sua splendida carriera con il personaggio più amato e longevo del panorama fumettistico italiano. Per il resto, l’episodio rappresenta la quarta prova di Nizzi per il ranger; una sceneggiatura a mio avviso senza eccessive pretese e abbastanza breve, ma che ha comunque il suo perché. L’autore, in piena grazia creativa, riesce a far lievitare un soggetto non originale, con un ritmo piacevole, dialoghi freschi e la giusta miscela fra azione e ironia. Non male le caratterizzazioni dei villain, che muovono la fila del piano criminale; il casuale arrivo di Tex tuttavia, come un tornado, scompiglierà la macchinazione messa in atto da Ferguson e Flanagan ai danni dei gonzi di turno, e i due complici finiranno con mettersi uno contro l’altro. Ci sarebbe da obiettare sulla scarsa consistenza dei due killers, che non si prendono nemmeno la briga di rimuovere le tracce sul luogo dell’omicidio, o sulla soffiata risolutiva di Flora, che, conti alla mano, diviene decisiva per individuare il bandolo della matassa. Ma di contraltare alcune scene, come il passaggio segreto, l’interrogatorio a suon di sganassoni di Tex, o personaggi come lo sceriffo o il maggiordomo, si fanno apprezzare. Spassosa la battuta di Tex che giustifica il bavaglio indossato da Carson, per via dell’umidità notturna, o il colloquio fra i due scatenati rangers e lo sceriffo, che si trova costretto ad avallare controvoglia l’incursione notturna in villa Fergusson. Meno piacevole la mezza umiliazione del vecchio cammello in saloon: può starci beccarsi un pugno dall’avversario, magari preso alla sprovvista, ma non capisco perché Nizzi non permetta all’esperto Kit di rifarsi e rimettere a posto le cose; con l’intervento di Tex sembra proprio che lui abbia bisogno di una balia per difendersi. Episodio minore ma divertente e il lieto fine è scontato, col giovane Milton scagionato e pronto all’altare con la bella Flora e i nostri che riescono finalmente a ricongiungersi con Kit e Tiger, dopo il contrattempo del ritardo, evento da cui scaturisce tutta l’avventura. Il Civitelli che si appresta a esordire sulla saga, mostra già le sue innate qualità: se il bilanciamento tra bianchi e neri è ancora da migliorare, così come la caratterizzazione dei due pards troppo ancorati al modello ticciano, per il resto la pulizia del tratto e la leggibilità delle sue vignette è già evidente. Splendidi e dettagliatissimi gli fondi interni delle abitazioni e dei saloon, da vedere l’ufficio di Fergusson o le varie carte da parati. In una vignetta con Flanagan che si riempie un bicchiere di whisky, si vede nettamente il contenuto della bottiglia con un effetto realismo molto apprezzabile, come sono molto belle e personali alcune inquadrature particolari (la prima vignetta alla stazione per esempio). Un buon debutto, anche se ritengo che la vera prova del nove, che gli valse l’arruolamento definitivo, fu la successiva storia messicana. Mi pare di aver notato durante la rilettura una curiosa incongruenza: in una vignetta con inquadratura esterna di villa Fergusson, l’artista toscano rappresenta in primo piano un lampione che sembra contenere all’interno una lampadina elettrica; non credo che in un piccolo paesino del west, un ventennio prima del 1900, potesse essere possibile. Refuso del disegnatore o un granchio preso dal sottoscritto? Il mio voto finale è 7
  4. Ammetto che la scena è al limite, tuttavia sulla saga si è visto questo e altro. Senza andare a spulciare i vecchi albi, ricordo che nelle prime storie Bonelli faceva divellere a mani nude le barre di una cella a Tex; Pat Mac Ryan e Gross Jean a mani nude distruggevano i saloon e anche Boselli permise a Tex con un braccio rotto, di rimanere in bilico su un precipizio. Di forzature e incongruenze la saga ne è piena, ma è ovvio che, trattandosi di un'opera di fantasia, vanno pure accettate con la tanta decantata "sospensione dell'incredulità". Le "licenze poetiche" su Tex ci sono sempre state e non solo adesso. Per il resto, non entro in merito sulle valutazioni soggettive degli utenti, anzi le rispetto a prescindere se mi trovino d'accordo o meno.
  5. Come non poterla definire una storia minore? Nel malinconico tramonto della sua luminosissima carriera, il grande Bonelli palesò evidenti difficoltà ad articolare storie lunghe e complesse: la prova in questione è un lampante esempio. In redazione, presumibilmente pressati da esigenze di programmazione, ebbero l’idea di prendere due brevi sceneggiature indipendenti una dall’altra e di ricucirle in un unico episodio. Si stava raschiando il fondo del barile? Forse, di certo l’esito finale non fu esaltante; non tanto per lo stacco fra le due avventure, situazione molto diffusa agli albori della serie e che in fondo non stona, se usata con le giuste proporzioni, piuttosto per l’esilità delle due parti. Nel primo “mini episodio” Bonelli recupera una situazione già usata nella celebre avventura della “Cella della morte”, ovvero il tentativo di truffare i Navajos con la consegna di una mandria in pessime condizioni. Fare paragoni fra le due storie è ingeneroso, e ovviamente eviterò di farli, ciò che non si può tacere tuttavia è che, se in quel capolavoro la sequenza era funzionale e faceva parte del complesso piano ordito ai danni di Tex e la sua gente, qui risulta un po’ campato in aria e con non poco incongruenze. Assurdo pensare che un ufficiale dell’esercito possa consigliare un simile piano con Tex in circolazione, così come è poco chiaro che "grande guadagno" poteva mettersi in tasca il sergente che avallò la “porcata” prima della presunta consegna. Sequenza alquanto fiacca e con dei villain troppo inconsistenti per destare attenzione. La seconda parte, mostra un rapimento di due benestanti e il tentativo di estorcerne un ricatto, dopo una rapina non fruttuosissima alla diligenza che ospitava i due malcapitati. Anche in questa sessione narrativa, il ritmo è blando e la noia la fa da padrona. Gli antagonisti si riveleranno ancor più sprovveduti dei “colleghi” dell’avventura precedente tanto è vero che, nell’epilogo, lo stesso Carson ammetterà di non aver dovuto sudare più di tanto per mettere a posto la situazione . Magari al giorno d’oggi si sarebbe potuto ricavare due mini storie accettabili per il color autunnale, allora invece l’idea di fusione partorì una storiellina insulsa, incoerente e molto noiosa. Un vero spreco per l’ottima resa artistica di Monti, che macinò tavola su tavola con un tratto sicuro e molto leggibile nella sua indiscussa eleganza. Già altre volte ho evidenziato la grandezza del compianto disegnatore, un vero Jolly, utilissimo alla casa editrice, nonché un artista di grandissimo spessore, forse lievemente sottovalutato dai fans. Il mio voto finale è 4
  6. SPOILER Purtroppo la frenesia di questi giorni, mi ha impedito di scrivere prima il giudizio finale dell’opera. L’albo conclusivo l’ho gustato in piena notte e, sebbene crollassi dalla stanchezza, ho staccato la luce solo dopo aver ultimato l’ultima pagina. Già questo aspetto depone a favore della prova: la sera prima, durante la rilettura di una delle ultime storie bonelliane “Uno sporco imbroglio”, mi sono assopito con il volume in mano . Facezie a parte, la storia che vede il debutto del nostro caro pard @Barbanera, mi ha soddisfatto. Non possiamo certo dire che sia un capolavoro, ma si fa leggere con interesse e assolve in pieno il suo compito di intrattenere piacevolmente il lettore. Il soggetto, sebbene non del tutto originale, è tutt’altro che banale e ricco di spunti interessanti. Onestamente anch’io, come altri utenti, ho percepito un leggero calo nel secondo albo, più che altro a livello di sceneggiatura, tuttavia Ruju, considerate alcune ultime uscite, si è difeso bene e la sua trama conserva un ritmo accettabile e lineare. Ho trovato molto performanti i due pards, e da carsoniano non posso che apprezzare il suo exploit all’interno del forte: mi piace credere che Antonello abbia voluto omaggiare così, la frangia di fan del “Vecchio Cammello” . L’identità del Siats è prevedibile e spoilerata troppo presto, magari il flashback incriminato del primo albo poteva essere tagliato, ma tutto sommato non mi ha disturbato più di tanto. Ho apprezzato molto la figura arcana del vecchio Soshone cieco e la trovata di soggetto di allacciare, gradualmente le file delle azioni degli antagonisti, ognuno perseguendo un obiettivo diverso ma in fondo accomunato da un medesimo denominatore: la cacciata degli Utes. Il drammatico epilogo, anche se un po’ accelerato e magari non adeguatamente elaborato, ha il potere di colpirti allo stomaco e personalmente non me lo aspettavo, così come mi ha molto colpito pure la cruenta vignetta con il gigantesco Siats che fracassa “in diretta” la colonna vertebrale del malcapitato Colter. Il tentativo di corruzione del bieco mercante nei confronti di Tex era da evitare, davvero poco credibile come cosa, ma per il resto, bisogna ammettere che Colter, in fin dei conti, si rivela il vero burattinaio della situazione. Suo il “merito” di gestire a personale vantaggio l’odio per i nativi maturato da padre e figlio e presumibilmente, senza l’intervento dei nostri due pards, avrebbe avuto successo, mosso dalla bramosia dell’oro, ovvero una delle maggiori motivazioni che spingono gli uomini ad abbandonare la retta via. Una tipica storia da “Tex”, che, seppur senza eccellere, si fa apprezzare e mostra le qualità di soggettista di Antonello, che a mio avviso lo porteranno ad altre future apparizioni. Merita pure un plauso il curatore, che ha il coraggio e la passione dir difendere le buone idee, anche se provenienti da esordienti o non addetti ai lavori: un atteggiamento che denota amore per il personaggio, personalità e nessuna traccia di “snobismo” di sorta. Sotto l’aspetto grafico, se la prova poco ispirata di uno stanco Laurenti ha depotenziato la trama del ritorno di Manuela Montoya, qui Benevento, bissa l’ottima prestazione del debutto e si mostra un artista di tutto rispetto, un ottimo rafforzo per il team texiano. Un autore stiloso, molto abile nella narrazione “grafica”, un tratto personale che valorizza le sequenze di sceneggiature e discreta continuità di resa. Al sottoscritto piace particolarmente e spero di vederlo spesso impegnato sulla regolare. Il mio voto finale è 7
  7. Premesse: 1) Che il sottoscritto non ami Nolitta su Tex ormai lo sanno pure le pietre; 2) la storia in questione è forse una delle migliori dell’autore sulla saga, molto dura e drammatica, ma come consueto, con i canoni texiani ha poco a cui spartire; 2 bis) Sebbene ben scritta e appassionante nel complesso, bisogna ammettere che non solo non è una storia di Tex, ma quasi (con le dovute modifiche) se si estrometteva il protagonista in camicia gialla, l’episodio funzionava lo stesso; 3) dopo i primi punti, rischio di essere tacciato come un integralista texiano, ma a mia discolpa posso aggiungere, che la lettura dei “Dominatori della valle” mi ha comunque piacevolmente intrattenuto, dunque merito una lieve attenuante ; 4) Se da giovane avessi cominciato a leggere Tex durante la gestione Nolitta, onestamente credo che oggi non sarei qui a scrivere sul forum, visto che probabilmente avrei abbandonato presto la serie (su questo punto tornerò in seguito nel commento) Esaurito l’elenco delle premesse, provo ad articolare il commento, fresco della recente rilettura di questa controversa prova nolittiana. Sul fatto che ci troviamo al cospetto di un notevole racconto western, crudo, cupo e altamente drammatico, non ci piove. Al netto di una frequente tendenza alla verbosità dei dialoghi, o al dilatare di sequenze narrative che rischiano di rompere il ritmo della lettura, il buon Sergio mostra un’ennesima volta di essere un buon autore delle nuvole parlanti e palesa uno stile (piaccia o no) molto riconoscibile e personale. La costruzione di alcune scene, vedi il duello nell’incipit o l’intromissione nella lussuosa villa di Watson con il suo carico di “merce avariata”, o la sfida verbale al bordo del biliardo (sequenza originalissima sulla serie) è da antologia. Molto sfumata e interessante pure la caratterizzazione dei suoi personaggi, comprimari e non; in questa storia poi il compianto editore ne inserisce davvero parecchi, con esiti tutto sommato apprezzabili. L’arrogante Watson (che paragonerei a un potente boss mafioso, con tanto di sgherri e sottomessi) pur di ottenere i suoi scopi, non lesina a tiranneggiare e sopprimere gli onesti allevatori e indubbiamente lascia il segno e si fa ricordare, così come brilla la presenza della graziosa figlia, una figura ben riuscita all’autore, che non solo aiuterà Tex in un momento cardine, ma quasi lo ammalia con la sua grazia e sensibilità. Detto questo, se dovessi esprimere una votazione come racconto western, sarei tentato a dare un otto pieno, tuttavia c’è il rovescio della medaglia: un aspetto non secondario visto che il suddetto racconto appare su Tex e quindi va valutato pure (e soprattutto!) su questa ottica. Pochi giri di parole: il protagonista ombroso e impulsivo che agisce in camicia gialla non è Tex! Con tutta la buona volontà di liberarmi dai miei presunti preconcetti, ma non riesco proprio a riconoscere il mio eroe preferito nelle storie di Nolitta. E’ vero che con le pistole ci sa fare, ma per il resto non trovo alcun altro punto di unione con l’eroe creato dal padre, poi rivisitato anche da altri autori. Mi riallaccio al punto in cui sostenevo che difficilmente sarei diventato un fan della saga con Nolitta al timone, riprendendo in parte una descrizione usata da Diablero che condivido: il Tex di Sergio Bonelli è uno sbirro logorroico, arso dai dubbi, a tratti ottuso e sbruffone nella sua arroganza, pessimo giudice di uomini visto le volte che si fa fregare come un pollo, poco ironico e quasi antipatico nel suo agire e con i suoi pipponi filosofici da strapazzo. Un personaggio molto diverso dal Tex che conosciamo e con cui spesso faccio tanta fatica a entrare in empatia. Le sue “piccionate” sono tante e gravi per un eroe della sua risma. In questa storia, seppure sia una delle migliori, Tex per almeno tre volte dà le spalle sciaguratamente ai nemici. Nel primo caso è assurdo che non preveda che i vigilantes sfruttino l’occasione di metterlo fuori gioco appena si appresta a girarsi per parlamentare con gli abitanti del ranch assalito. Anzi è una forzatura che i nemici non sfruttino a dovere un simile "regalo", facendolo fuori impallinandolo come un tordo. Anche ammettendo che non sospetti dello sceriffo (e ci può stare!), ma dopo l’agguato subìto al chiar di luna, dove solo l’aiuto di Macon lo tira fuori da una brutta situazione e sapendo ormai chi lo eseguì, mi chiedo come diavolo faccia a dargli le spalle nella scena in cui solo l’avvertimento del piccolo telegrafista, gli evita un buco nella schiena. Altra scena da bollino rosso, come si fa stordire da Watson nella sequenza al Club: dinanzi il vero villain della storia è accettabile una simile leggerezza di Tex? Onestamente se simili passaggi li scrivesse un altro autore oggi (ogni riferimento è puramente casuale ), potrebbe evitare il pegno di penne e catrame in pubblica piazza? Situazioni al limite che scalfiscono il valore di Tex e sembrano scritte apposta per farlo. Anche stavolta, se al posto di Aquila della Notte ci fosse stato un "Tim Stone" qualsiasi, la storia avrebbe comunque appassionato, ma la rappresentazione texiana di Nolitta proprio non si può vedere. Dunque mi avvarrò pure stavolta del sei politico per il voto finale, che in fondo potrebbe essere pure la media più adatta, visto che all’otto del racconto, sommerei il 4 della texianità e la media è fatta. Su Fusco poco da dire, sempre molto affidabile e azzeccato per simili storie; il suo tratto sporco e caldo si sposa perfettamente con la cupezza di simili sceneggiature e rappresenta un valore aggiunto. D’altronde anche il mio mutato giudizio sulle grandi doti del compianto disegnatore ormai è noto pure alle pietre sul forum . Il mio voto finale è 6
  8. “Ladies e gentlmen, ecco a voi Claudio Nizzi!” Verrebbe da esordire così, approcciandosi al commento della storia in questione. Prove simili sono una delizia per i sensi; puro divertimento che accompagna il lettore dalla prima all’ultima tavola e che si rileggono sempre molto volentieri. Diamo a Nizzi ciò che è di Nizzi: è purtroppo vero che il suo verticale calo qualitativo, nella tarda fase di carriera, ha portato noi appassionati a muovere (motivate!) critiche, ma bisogna ammettere che l’autore, che si apprestò a cogliere la sfida offertagli da Sergio Bonelli nei primi anni ottanta, mostrava grande qualità e spessore. “I cospiratori” è il primo capitolo delle sue ambientazioni messicane e come si suol dire, il buongiorno si vede dal mattino. Episodio scoppiettante; un perfetto mix di azione, intrigo, strategia, ironia e tanto divertimento. Si comincia a delineare la tendenza di Nizzi di dividere il quartetto, visto che con un banale pretesto nell’incipit, Kit e Tiger vengono spediti “a farfalle” e l’azione si concentra sull’affiatata coppia Tex-Carson. Un duo al pieno della forma, sia per decisione, intraprendenza e tanta ironia. La trama parte circoscritta, con un misterioso omicidio, una convocazione poco chiara e un gruppo di messicani disposti a tutto pur di impedire i nostri di raggiungere Monterrey, ove è palese che il caro Montales è nei guai. Come un sasso nello stagno che produce dopo il suo tonfo, molteplici cerchi concentrici a raggio crescente, anche la storia tende ad ampliarsi pagina dopo pagina. Seguendo un ritmo serrato, dopo scene gustosissime come la mega rissa nella taverna del porto, il piano dei messicani sul veliero del capitan Maycroff o la strepitosa sequenza della fuga in treno con il travestimento da frati, si entra nel vivo e si comprendono i reali motivi della cospirazione. Senza cali di ritmo, si giunge allo scoppiettante epilogo, arricchito da personaggi ben resi come il freddo tedesco o la cricca di cospiratori, non tacendo del capitano Marquez o il tenente Cordoba, preziosi alleati per Tex, nella difficilissima missione di sventare l’attentato dinamitardo. Dopo essersi travestito da frate, il celebre ranger indosserà pure la divisa messicana e risolverà la spinosa questione, pure con un briciolo di fortuna, che ovviamente non guasta mai. Che dire, una prova davvero notevole che inaugurerà un filone molto felice per Nizzi, ovvero le ambientazioni oltre confine tra cospiratori, serpenti in divisa e traditori. Si potrà obiettare (giustamente!) che l’autore di Fiumalbo contaminasse le sue storie con caratteristiche tipiche della commedia, (da notare quanto spassosa sia la scena sul treno con “frate Carson” che risponde a capocchia con un latinorum inopportuno, seguito dall’espressione attonita della malcapitata credente messicana ) ma quando componeva con una simile verve e ispirazione creativa, brillava di luce propria. Tutto grasso che colava per una saga che stava attraversando un pericoloso guado, dopo il disimpegno dovuto alle ragioni anagrafiche del grande Bonelli e le evidenti difficoltà del figlio di proseguire la tradizione. Il recupero di Montales non è di poco conto; è vero che nel presente episodio funge solo da pretesto e rimane ai margini della scena, ma Nizzi avrà il merito di rivalutarlo e utilizzarlo molte volte nella sua gestione, donandogli quel lustro che, anni e anni di assenza, gli avevano tolto. Non trascurabile l’ottimo contributo di Civitelli ai pennelli: un disegnatore ancora in fase di rodaggio e a tratti acerbo, che però lascia già intravedere le sue grandi qualità da fuoriclasse, soprattutto nella resa degli sfondi, realizzati con certosina precisione. Il bilanciamento fra bianchi e neri è ancora da migliorare (cosa che riuscirà brillantemente all’artista con l’inserimento dei suoi celebri puntinati, qui ancora assenti a panaggio di retini incrociati più tradizionali ma sempre molto efficaci), tuttavia l’eleganza di tratto, la buona “recitazione” dei personaggi e la discreta tenuta sulla lunga distanza, decretano l’onorevole riuscita grafica del difficile episodio e suppongo che sancì il vero battesimo del fuoco dell’artista arietino, superato brillantemente per la gioia degli appassionati del buon disegno, che ancora oggi, a distanza di tre decenni, si deliziano gli occhi con la splendida arte di un simile maestro. Il mio voto finale è 9
  9. Ahahaha quel che si suol dire "accettare a scatola chiusa" . Si precisa che "ogni riferimento a fatti e persone" non è puramente casuale"
  10. Intrugli mortali James Guthrie è un fuorilegge mandato in gattabuia da Tex in una passata missione. Evaso dal penitenziario, ove scontava la sua pena, il bandito si stabilisce al sud del confine, mettendo su un losco traffico di whisky e armi con gli Apaches. Avido e spietato, non si crea alcun problema a spacciare il suo pessimo “bruciabudella”, trattato sistematicamente con metanolo in una malmessa distilleria, infischiandosene bellamente se a, causa dello stesso, molti suoi “clienti” muoiono avvelenati. Fra le vittime del velenoso intruglio ci sarà pure il giovane Adahy, figlio di Guyapi fedele luogotenente di Cochise. Attanagliato dal dolore e arso dalla sete di vendetta, l’apache, contravvenendo ai moniti di Cochise stesso, si getta a capofitto sulla pista della rappresaglia, incurante se durante la sua caccia a Guthrie anche incolpevoli coloni cadono sotto la spietata falce della sua ira. Giustamente preoccupato per le eventuali conseguenze dovute alla scriteriata condotta del suo sottoposto, Cochise chiede l’aiuto a Tex, affidandogli il non semplice compito di intercettare il bieco Guthrie e cercare di riportare alla ragione l’addolorato Guyapi. Giunto in Messico, in compagnia dei suoi pards, Aquila della Notte comprende immediatamente di trovarsi al cospetto di una brutta rogna da grattare: la Guardia Rural non offre alcuna collaborazione, anzi si sospetta che protegga il comanchero, visto che con la sua opera dona il pretesto per intervenire militarmente contro gli odiati Apaches; Guthrie sembra essere stato inghiottito dalle polverose lande messicane, mentre al contempo la feroce rappresaglia di Guyapi continua a versare sangue innocente, allarmando peraltro pure l’esercito americano oltre confine. In un clima teso e con in aria il vento di un’imminente guerra indiana, complicata pure da una crisi diplomatica sorta fra esercito americano e messicano, Tex, grazie a un’imbeccata di una spia, intercetta la banda di Guthrie. Nel pirotecnico scontro a fuoco, i nostri riescono ad avere la meglio sui comancheros e imprigionare il capo. Nel tentativo di salvare il salvabile, Tex spera di convincere Guyapi a tornare sui suoi passi, visto che ormai il maggior responsabile della morte del figlio è assicurato alla giustizia. Purtroppo il dolore ha reso “cieco” il luogotenente di Cochise e il ranger si ritrova costretto ad affrontarlo in duello, non riuscendo a suo malgrado, a risparmiarlo. Sebbene la morte di Guyapi porti allo scioglimento della banda dei predoni rossi, la lotta contro il tempo per scongiurare comunque una guerra contro la gente di Cochise è esasperante. Tex e soci con coraggio, dedizione e il contributo di Montales, (avvalendosi pure di amicizie influenti oltre confine per tenere buone la giacche blu) riusciranno a spuntarla evitando un massiccio bagno di sangue e smascherando, grazie alla confessione di Guthrie, anche alcuni rurales corrotti, che ambivano a mettere a fuoco e fiamme per impinguarsi le tasche.
  11. Condor senza meta

    [287/289] Grido Di Guerra

    Mi ero ripromesso di non commentare più storie di Nolitta, visto che ogni volta per me, è impervio farlo; se da un lato lo apprezzo come autore, dall’altro riconosco che su Tex ci sta come l’aglio nella carbonara , tuttavia ogni volta ci ricasco: evidentemente sono affetto da un’acuta forma di masochismo . Ho di recente letto la storia in questione e anche stavolta mi ritrovo assalito da contrastanti impressioni. Il compianto Sergio compose un episodio con buone vette di drammaticità e pathos, scegliendo uno spunto di soggetto sempre molto valido sulla saga e rielaborandolo di par suo, ottenendo una trama che cattura l’attenzione, ma la texianità, anche stavolta (soprattutto stavolta mi verrebbe dire!) è ancora lontana, quasi un’irraggiungibile chimera per l’editore-sceneggiatore. Torno a ripetere che se fosse stata scritta con altri protagonisti, anche “Grido di guerra” apparirebbe una buona storia western, ma essendo composta per la saga di Tex, non si può fare a meno di evidenziare le notevoli incongruenze di caratterizzazioni. Se a posto di Tex e Tiger ci fossero stati Zagor e Tonka, la storia avrebbe funzionato ugualmente, anzi, forse sarebbe stata pure più idonea alle caratteristiche dei due eroi di Darkwood. Come non si può tacere di quanto la sceneggiatura risenta di una forte zavorra, ovvero un ritmo narrativo a volte molto lento (quasi esasperante) e alcune sezioni dilatate e verbosissime che rischiano fortemente di annoiare il lettore e fargli perdere il filo. Un altro aspetto dello stile compositivo di Nolitta, ovvero quello di spostare raramente la scena da Tex, contribuisce a uniformare le sceneggiature e ottenere un effetto torpore, al giorno d’oggi un po’ datato. Pronti, via! Pagine e pagine di dialoghi fra il generale e Carson a introdurre l’arrivo di Tex e Appanoosa. Aquila della Notte impiega poche tavole a beccarsi la prima botta in zucca, durante il concitato scontro che segue all’attentato durante la firma del fatidico trattato di pace. Anche ammettendo che era impossibile prevedere lo sparo e nel buio distinguere il misterioso artefice, Tex subito dopo non ci fa una bellissima figura, anzi tocca a Carson (sempre troppo dietro le quinte nelle storie di Sergio) a catturare il prezioso ostaggio, ovvero il figlio del capo Cheyenne ribelle. Altre pagine e pagine di dialoghi e piani per scongiurare subito l’intervento armato e provare di rattoppare lo strappo con Appanoosa, offrendogli la liberazione del caro figlio e cosa riescono a fare Tex e Tiger durante la marcia di avvicinamento al villaggio Cheyenne? Si fanno assassinare sotto gli occhi il prezioso ostaggio dal misterioso killer, così "abile" da lasciare sul corpo della vittima un compromettente indizio della sua colpevolezza. Scena che a mio avviso non pone alcuna attenuante all’errore di Tex, visto che non ha senso far allontanare il ragazzo, con la scusa dei lupi, non solo per l’imprevedibile omicidio: chi assicurava ai nostri che il giovane cheyenne non se la desse a gambe giocandoli bellamente? Seguono altre pagine e pagine di sermoni e minacce dell’addolorato (neanche troppo!) capo indiano e la bella scena del ponte, resa magistralmente da Galep. Con l’interessante colpo di scena dell’incontro con O’Sullivan, Tex ha l’incredibile botta di fortuna con la "C" maiuscola di individuare l’identità del misterioso cospiratore e di fatto la trama si dipana, consegnandoci il prevedibile epilogo con i nostri che scongiurano il bagno di sangue e consegnano ad Appanoosa il corpo del vero colpevole, placando troppo semplicemente il desiderio di rivalsa di quest’ultimo. La scena di Tex che sfida i Cheyenne, portando di peso il corpo dell’ufficiale ucciso è altisonante, come quasi epica appare l’azione di Tiger che si ritaglia un ricco momento di gloria uccidendo il vero villain nell’ombra, sciorinando un lunghissimo commento che sembra essere uguale a un comizio da palco elettorale; non c’è che dire, un finale altisonante che però non può bastare a placare la sensazione di aver letto una buona storia sì, ma che con Tex e la sua saga ha poco a cui spartire. Di fatto, d’ora in poi quando dovrò assegnare un voto numerico alle prove di Nolitta, opterò per un 6 politico. Chiudo il mio commento spendendo qualche meritata parola per la prova grafica fornita dall’indimenticato Galleppini. Il papà di Tex, sebbene ormai in parabola discendente, se la cava alla grandissima, eccellendo soprattutto negli sfondi paesaggistici e i campi lunghi. Splendida, come già accennato, la sequenza del ponte sospeso e il crollo nel vuoto degli indiani (vignette dall’elevatissimo grado di difficoltà esecutiva, rese da gran maestro, come Galep effettivamente è sempre stato), così come sono molto belle parecchie vignette quadruple presenti durante la narrazione. Interessante vedere la barba incolta di Tex durante il suo faticoso pellegrinaggio dopo l’incontro con i Cheyenne, però bisognava fare in modo che anche Tiger presentasse gli stessi segni di incuria, per coerenza. Più incerta la rappresentazione di alcuni primi piani, che cominciano a palesare il calo del grandissimo artista, ma sono ancora poca cosa e non inficiano più di tanto la notevole prova. Un duo quello formato da Nolitta e Galep molto affiatato a quei tempi. Il mio voto finale è 6
  12. Mancandomi il numero 318, (anche se ho già preventivato d’inserirlo nella lista degli albi arretrati da ritirare appena riaprono i magazzini della Bonelli) son rimasto in dubbio fino all’ultimo se commentare o meno questa storia. Affidandomi all’attendibile giudizio del caro pard @Leo, desumo che l’albo mancante poco aggiunge al valore della storia, se non fungere come apripista, dunque può bastare la lettura del “Ragazzo selvaggio” per farsi un’idea complessiva della prova e abbozzare una recensione. Lo spunto di Nizzi non spicca per originalità, visto che risente di un mix di influenze che vanno dalla storia bonelliana “Sulle tracce di Tom Foster” (che verrà pure citata tra le pagina), il romanzo “Il libro della giungla” di Kipling e svariate pellicole cinematografiche con temi simili, tuttavia l’esito finale è apprezzabile, sia per merito di una sceneggiatura molto curata e soprattutto per alcune scene a effetto che lasciano la traccia nell’animo del lettore. Provo a elencarne alcune che mi hanno particolarmente colpito: - Carson che nel fitto buio del sottobosco scorge la mezza dozzina di occhi lucenti dei lupi posti in agguato, una sequenza che (non so perché) mi ha rievocato una situazione dell’albo “Le notti di luna piena” di Dylan Dog; - il presunto potere del ragazzo selvaggio di farsi obbedire dai lupi, mettendoli sulle tracce dei nemici, particolarità già vista nella saga con l’affascinante Mitla, tuttavia nel proseguo Nizzi trascura questo aspetto lasciandolo cadere nel vuoto; - la scena struggente della morte del lupo fra le braccia del commosso ragazzo; - il risveglio dei nostri attorniati dai lupi, nella vignetta quadrupla superbamente illustrata da un Ticci in stato di grazia; - la violenta uccisione di Willie, azzannato al collo dal ragazzo selvaggio; - nell’epilogo, la vignetta in cui John, subendo il richiamo del sangue, lecca come un cucciolo ubbidiente la mano del padre, dinanzi agli attoniti pards; - l’ultimo saluto al popolo del bosco di John, dopo aver scelto di tornare col genitore. Le suddette scene mostrano la particolarità della prova di Nizzi e sebbene il finale sembri quello di una fiaba, si conclude la lettura molto soddisfatti. L' autore si mostra pure abile nel tratteggiare i suoi personaggi, vedi i villain, soggiogati dall’avidità e disposti a tutto pur di non perdere l’eredità; molto convincente pure la figura di Randall, uomo giusto ma affranto dalla solitudine, che lo induce a seguire fino all’ultimo il sogno di poter rivedere il suo figlio perduto. Poi Tex, umanamente coinvolto nella vicenda essendo anch’esso padre, ma al contempo attento a non far illudere oltremodo Randall, visto la difficoltà della loro missione. Unica nota stonata, a mio avviso, la coincidenza di Ruby che apprende la notizia dell’avvenuto testamento di Randall durante la sua origliata: a proposito, ciò che non doveva mai mancare ai personaggi nizziani era l’udito visto le numerosissime situazioni in cui dovevano farne buon uso . Pure un po’ stucchevole il consiglio di Ruby al nipote in merito ai rimorsi di coscienza, visto che, in primis Willie ha un animo cupo quasi quanto lui, e poi per il fatto che partecipare o meno all’agguato, poco cambia visto quanto il giovane ormai c’è dentro fino al collo. Non la reputo un capolavoro, tuttavia la prova è di spessore ed evidenzia quanto Nizzi fosse ispirato nei primi anni del suo contributo alla saga. Menzione a parte merita l’immenso Ticci: superlativa la sua prestazione grafica che arricchisce l’episodio. Paesaggi da urlo, sfondi naturalistici eccelsi, grande capacità di donare pathos a ogni sequenza. Nessuno meglio del grandissimo maestro senese è capace di dipingere con così tanta poesia la natura brulla e selvaggia, dalle foreste del nord, agli assolati deserti del sud ovest. Semplicemente grandioso. A proposito di poesia: ma quanto è bella la copertina di Galep dell’albo numero 319? Il mio voto finale è 8
  13. Condor senza meta

    [729 BIS] Agente indiano

    Ulteriore conferma (se ce ne fosse ancora bisogno!) del grande talento e professionalità della coppia Boselli - Dotti.
  14. Stavolta vorrei iniziare il mio commento facendo notare quanto sia bella ed evocativa la copertina dell’albo n. 286, che oltre ad avvalersi di un’ottima performance di Galep ai pennelli, fa presa pure su un titolo “I delitti del lago ghiacciato”, che già da solo stuzzica la curiosità del lettore. L’episodio invece vede ai testi Nizzi, alla terza prova sulla saga. Lo sceneggiatore, seppur ancora in punta di piedi, mostra già quelle qualità che lo porteranno a diventare l’autore cardine del decennio successivo, sostituendo di fatto il grande Bonelli, ormai affaticato dal peso degli anni. Nizzi, seguendo una sua naturale indole compositiva, crea un intricato giallo, imperniato da molte situazioni tipiche del western classico e, facendo leva su un buon ritmo di sceneggiatura, cesella una storia molto valida e interessante. La parte iniziale a mio avviso è molto ben strutturata e coinvolgente; il racconto del doc che mette al corrente l’orrido esito della spedizione condotta da Larsen dona un brivido nella schiena. La presenza del villain misterioso e i numerosi tentativi di eliminare i nostri, aggiungono pepe alla pietanza. Man mano che la trama si dipana, nuove scoperte attenderanno il quartetto e i lettori. La reale fine della carovana sui Teton assume un aspetto meno noir e il punto focale del soggetto, come ovvio, si concentra sul recupero della cassa della refurtiva e sulla scoperta dell’uomo nell’ombra. Nizzi a dire il vero ricama ulteriori situazioni incrociate per mantenere alto l’interesse della prova, quali a esempio l’assalto dei Shoshones ai danni di Griffin e le trame di Butler, ma personalmente dà l’impressione di infilarsi in un imbuto, visto che ormai un lettore esperto ha avuto modo di individuare “l’insospettabile” giuda. I dialoghi e i ritmi narrativi sono molto più vicini a quelli bonelliani rispetto alle allora recenti prove di Nolitta, tuttavia alcune situazioni sembrano rimandare proprio alle prove del compianto editore. Rileggendo l’episodio mi è parso di scorgere un Tex molto nolittiano in alcune scelte e circostanze; magari mi sbaglio ma forse Nizzi, non ancora del tutto saldo al timone, oltre a rifarsi ai classici di Gian Luigi, agli inizi ha pagato pure una leggera influenza del suo “datore di lavoro”. L’abilità del ranger mostrata nei tre albi è fuori discussione, tuttavia, aldilà dei meriti di Macredy, troppo facilmente si fa raggirare e usare da quest’ultimo. Su imbeccata del villain, sospetta dello sceriffo ma non si fa alcuna domanda in merito al presunto investigatore della Pinkerton. Capisco che il tizio in bombetta appare simpatico e cordiale, ma in fondo è pur sempre un perfetto sconosciuto, che ha inizialmente mentito pure sulla sua professione, non dico leggere nel pensiero ma almeno non prendere tutto per oro colato. A proposito di oro, senza il casuale salvataggio di Griffin, il villain l’oro se lo sarebbe trovato bello e impacchettato, alla faccia dei nostri, ingannati e sbeffeggiati. Pure atipico che il ranger ormai certo del tradimento di Macredy si presenti a mani nude, quasi dovesse fare una visita di cortesia. Altro che dare la possibilità di giocarsela con una darringer, a mio avviso doveva fargli misurare col muso l’intero pavimento della stanza a furia di sganassoni. Altra leggerezza nolittiana come da le spalle a Wanekay rischiando di farsi impallinare come un tordo, tutte situazioni che al sottoscritto richiamano più Sergio che il padre a dire il vero. Tuttavia la storia è comunque piacevole, sebbene Nizzi riuscirà a fare meglio in seguito. Da matita rossa invece la copertina spoilerante dell’albo “L’uomo dell’ombra” in cui Galep tratteggia l’ombra di un eloquente avversario in bombetta; mica erano tanti i personaggi nella storia che indossavano un simile copricapo, quindi forse era meglio evitare questo dettaglio. Buono il comparto grafico a cura dell’infaticabile Letteri; tratto solido, pulito e scattante. Ottima resa dei primi piani e delle mimiche facciali, buoni sfondi e apprezzabile sintesi di tratto che coniuga velocità e qualità. Il mio voto finale è 7
  15. Condor senza meta

    [Color Tex N. 19] Il killer fantasma

    Magari può rinunciare a qualcos'altro e se li beve comunque gli otto caffè durante la lettura, così lo aiutano ad arrivare fino in fondo, visto i suoi problemi con Cossu. Anche se spero che a Mister P non facciano lo stesso effetto di Lino Banfi, nell'esilarante scena di un suo noto film; in tal caso temo che, in preda all'esagitazione per la caffeina, sia già tanto che non ci insulti, altro che commentare la storia.
  16. Come per la precedente storia, attendo il secondo albo per esprimere un giudizio complessivo, ma posso già ammettere che, mentre per l'episodio della Montoya le impressioni suscitate erano state un tantino contrastanti, stavolta la lettura mi ha lasciato alquanto soddisfatto. La trama è coinvolgente e scorre via bene, grazie anche a una buona sceneggiatura di Ruju (era un po' che non si vedeva su questo livello e mi fa piacere) e agli disegni splendidi di Benevento, ennesimo jolly pescato da Borden e soci ad arricchire il parco disegnatori della saga. Doveroso rinnovare i complimenti a @Barbanera, il suo soggetto è molto valido e interessante, così come è felice l'idea di inserire alcune sotto trame come quella di Colter, che danno vivacità all'azione e inevitabilmente finiranno per fondersi con lo sviluppo principale, rendendo più sapida la pietanza finale. Al netto di qualche piccolezza (ben evidenziata da @Diablero) il primo albo è di buona fattura e se anche il "flashback incriminato" dovesse smontare il mistero sull'identità del Siats, poco male, visto che rimangono ancora parecchie intessiture di trame a rendere interessante la seconda parte. Chiudo con una piccola considerazione: ben lungi dal voler agire con piaggeria o far il ruffiano di turno, il fatto che due forumisti abbiano meritato questa splendida vetrina, grazie al loro talento e competenza, denota pure l'alto livello del nostro caro forum, per quanto se ne possa dire all'esterno o sui social, e personalmente sono felice e onorato di farne parte.
  17. Di antagonisti nella lunghissima saga di Tex ne abbiamo incontrati a bizzeffe: spietati, pericolosi, vigliacchi, folli, avidi, fanatici e via dicendo, ma ritengo che Langley, riesce a ritagliarsi un ruolo abbastanza particolare nella lista dei villain. Per quanto si macchi di azioni nettamente deplorevoli durante l’episodio, il lettore non riesce a fondo a schierarsi contro, visto la strana motivazione che lo induce a varcare i confini della legalità. Un personaggio molto controverso e atipico che arricchisce un soggetto di per sé non del tutto originale. Di arroganti che pur di passarsi lo sfizio (o l’avidità) di catturare animali sacri agli indiani ne abbiamo visti in parecchi esemplari, basti citare “Silver Star” o il maxi “Figlio del vento”, tuttavia l’ossessione del ranchero per uccidere il famigerato bisonte bianco è diversa. In fondo Langley non è vero delinquente; ha sì fatto fortuna uccidendo bisonti e di conseguenza, con la ricchezza un po’ di arroganza se la ritrova, ma il fulcro di tutto è l’incubo ricorrente (rimorsi di coscienza?) che lo spinge alle soglie della follia. Convintosi che l’unico antidoto al suo veleno dell’anima sia l’uccisione dell’esemplare segnalatogli in terra indiana, si ritrova disposto a tutto, pur di ottenere il suo scopo, perfino attentare alla vita dello sceriffo e dei due pards o scatenare una sanguinosa guerra indiana. Per una delle rare volte nelle trame di Nizzi, sebbene rappresentati in ottima forma e in perfetta sintonia di azione e battute, i due pards rimangono un po’ ai margini, visto che tutta la vetrina è per Langley e al suo inevitabile duello finale con l’acerrimo nemico, quello splendido bisonte dal vello candido, che metafisicamente rappresenta una sorta di Cerbero che lo separa dalla via del rinsavimento. La scena finale è davvero molto d’impatto, con Langley che soccombe all’avversario, ma soprattutto alla sua psicosi che lo induce a mancarlo più volte e fargli credere che il fucile si sia inceppato al momento clou. Un tocco soprannaturale o un beffardo scherzo dell’inconscio umano? Realmente l’autore non specifica del tutto e tocca a ognuno di noi optare per la risposta che più ci sembra adeguata. Di fatto la legge del contrappasso che porta un cacciatore di bisonti soccombere all’esemplare che gli ha in passato garantito la ricchezza, è nettamente presente, così come è palese che Nizzi abbia attinto al celebre “Moby Dick” per modellare il suo soggetto. Una prova notevole che si fa rileggere molto piacevolmente, per via pure di un ritmo che non annoia, buoni dialoghi e la presenza di personaggi riusciti come il bieco Laskiss. Non meno fondamentale il contributo del compianto Fusco nella riuscita della prova. Che gran “colpo di mercato” (usando un gergo calcistico) fu quello di Sergio Bonelli accaparrandosi l’arte del grande disegnatore ligure. Col suo stile caldo e personalissimo, dona un tocco in più a sceneggiature come questa, con una dinamicità eccezionale e sfondi paesaggistici splendidi ed efficacissimi. Poi le ambientazioni nordiche fra neve e praterie erano il suo “pane”, in pochi come lui hanno dipinto così bene l’epopea di quelle magiche zone e nelle sue vignette si percepisce nettamente l’odore dell’avventura e della potenza della natura. Ho già più volte detto che ho rivalutato tantissimo negli anni l’arte del grande Fusco, visto che da ragazzino, non riuscivo ad apprezzare al meglio la sua opera. Dopo anni di letture e splendide storie, mi ritrovo totalmente a prendere le distanze con quei giudizi acerbi da fanciullo e riconosco che al pari di Galep, Ticci, Nicolò e Letteri, il contributo del mitico Ferdinando fu fondamentale per la costituzione del mito intatto del nostro amato rangers e appunto, Sergio Bonelli fece un terno al lotto quando lo inserì nella scuderia dei suoi autori. Il mio voto finale è 8
  18. In una saga come quella di Tex la classificazione è relativa; il miscuglio e la contaminazione di generi è all'ordine del giorno e guai se non fosse così; difficilmente un'opera costretta nei ferrei stilemi di un genere alla lunga non risulterebbe monotona e ripetitiva. Ma reputo che questo discorso possa essere ampliato a ogni forma di arte creativa. Già il grande Bonelli, sebbene l'autore con uno stile più classico sulla serie, fin dall'inizio spaziò molto nelle sue storie, anche perchè credo gli importasse poco seguire un genere e preferiva lasciarsi condurre dalla sua travolgente fantasia. In quanto a Nizzi, è evidente che alcune sue attitudini narrative lo portino spesso a sconfinare sul giallo o sull'ironia tipica della commedia, però trovo un po' estremo sostenere che non abbia mai composto prove col sapore western. Non so cosa ne pensate in proposito, ma il texone "Il cavaliere solitario" ad esempio, scritto per i pennelli del maestro Kubert e adattato per il mercato americano, vi sembra una commedia? O "Fiamme sull'Arizona"? Il ciclo dei Sioux? Poi si può discutere su cosa sia un western o meno, ma onestamente a me poco importa, mi basta leggere buone storie. P.s. Band leggendarie come i Pink Floyd, ancora oggi fanno discutere gli esperti che vorrebbero classificarle, ma in fondo è davvero importante? Ciò che conta è che i loro capolavori abbiano abbattuto le barriere del tempo, a prescindere se siano rock, progressive o psichedeliici.
  19. Se può esserti di consolazione, neanche dalle mie parti (in provincia di Messina) è ancora stato consegnato. Spero di trovarlo domani.
  20. Condor senza meta

    [Color Tex N. 19] Il killer fantasma

    Non oso immaginare la scia "di profumo" che lasciavano nel far west! Altro che seguire le tracce, bastava annusare la puzza di sudore per stabilire se un nemico era transitato da una pista! Il mio pasticcere di fiducia di solito è una garanzia, ma ti assicuro che mi è capitato a volte in passato (soprattutto fuori zona) di prendere "bidoni" pazzeschi.
  21. Condor senza meta

    [Color Tex N. 19] Il killer fantasma

    Spoiler Apro con una premessa: quando fu reso noto il rincaro degli albi, avevo deciso (e dichiarato) che avrei contenuto l’entità dell’esborso tagliando l’acquisto dei Color. A conferma di quanto il sottoscritto sia “inaffidabile” e volubile , alla fine non ho mantenuto fede al mio proposito e son corso in edicola ad acquistare il presente volume. Mi son pentito della mia scelta? Ni! Se da un verso la prova non annoia e intrattiene, dall’altro, mi sarei aspettato di più da Manfredi, considerando le anticipazioni. E dire che le premesse per una storia notevole c’erano tutte, visto che il soggetto e la preparazione dello stesso, promettevano un ben diverso proseguo. Invece la sceneggiatura, sebbene abbastanza scorrevole, non valorizza come si deve gli spunti. Usando una similitudine, la prova mi sembra come una di quelle torte, splendidamente decorate, che ornano le vetrine delle pasticcerie e a prima vista attirano l’attenzione e ti tentano fin quando non decidi di comprarle, ma appena ti appresti a mangiarle, scopri che il gusto non è un granché e non rende minimamente giustizia al piacevole aspetto esteriore. In primis, delle presunte venature gotiche e noir sbandierate dal titolo, nemmeno l’ombra. Più che un Killer fantasma, Jack appare come un apprendista Nerone, che fin quando bisogna dar fuoco e sopprimere avversari inermi se la cava, ma per il resto ha una mira pessima e non riesce a finire con le pistole nemmeno da pochi passi. Conti alla mano: fallisce nel flashback con la vecchia proprietaria del saloon, che solo dalla caduta avrà maggiori conseguenze; ferisce lievemente Desdemona da due passi; non si sa perché ma invece di sparare a bruciapelo al dottore, inscena l’assurda carnevalata della siringa (buonanotte!); ferisce solo di striscio il vaquero di Don Armando da distanza ravvicinata e ciliegina sulla torta, dopo tutta la preparazione del piano con tanto di travestimento, non è capace di spedire all’inferno il colonello, il cui odio è il leitmotiv della trama. Che dire, mio cuginetto con la pistola a piombini credo che più male avrebbe fatto agli avversari , di conseguenza cosa dovevamo aspettarci dal duello finale? Era ovvio che Tex se lo pappasse a colazione. Che possa essere stata una precisa scelta dello sceneggiatore quello di ridurlo a macchietta bluff, può essere una tesi valida, ma onestamente ormai troppo spesso gli avversari si sgonfiano alla resa dei conti. A mio avviso ciò non giova alla riuscita di una prova e soprattutto, se abusato sulla saga, destabilizza le qualità del nostro ranger, visto che non suda nemmeno una camicia (altro che sette!) per venire a capo di villain così goffi. Oltre questo aspetto e un epilogo non di certo indimenticabile, quello che più ho notato è che l’autore non si è minimamente soffermato ad approfondire alcuni snodi cardine. Un sacco di flashback ma in fondo non si capisce come Jack se la sia cavata, se tutti lo davano spacciato. Per un po’ ho pensato che fosse in combutta con i due uomini che dovevano occultarne il cadavere, ma nisba. Doveva tornare e basta! Anche la sua sete di vendetta nei confronti del colonnello e la figlia non è descritta, a mio modo di vedere, con il dovuto pathos, per amplificare lo spessore del villain. Una scudisciata in faccia, un calcio nel fondo dei calzoni da parte del colonello e amen; anche nel suo piano di rivalsa non emerge quella ferocia tipica dei folli serial killer, sembra un bimbo dispettoso che vuole punire i compagni che gli hanno impedito di giocare con loro a palla. Capisco che è una lettura estiva d’evasione e intrattenimento, ma se si incentra tutta la trama sulla figura di uno spietato uccisore, una caratterizzazione più marcata te l’aspetti. Sul duello finale addirittura dice a Tex che lui non ha nulla di personale contro il rangers, come a esortarlo a risparmiarlo, ma dai! Poco sfruttati pure alcuni personaggi come il giornalista o il cowboy rancoroso che sembrano messi lì solo per allungare il brodo. Accettabile la sequenza della corsa, ma un po’ troppo facile il modo con cui Tex scopre il “perfetto” travestimento di Jack; a quella distanza e in mezzo a una folta folla assiepata nelle tribune è da aquile scorgere gli stivali sotto le vesti da donna o quantomeno da idioti, non coprire come si deve questo particolare che avrebbe potuto insospettire chiunque. Peccato per Manfredi, che sebbene molto bravo e preparato, su Tex non riesce mai a elevarsi su livelli più consoni al suo blasone. Cossu va apprezzato per il grande impegno, ma continuo a pensare che soffra molto su Tex. La colorazione (sebbene questa volta Celestini convince meno di altre volte) copre qualche incertezza o lacuna, ma reputo il suo tratto troppo minimalista e statico per una serie western. Figure troppo “ingessate”, poco dinamismo nelle scene d’azione e sfondi che, sebbene abbastanza curati, danno poca profondità (da notare a esempio la prima vignetta di pagina 136). Mi è piaciuta la descrizione di @Poe, in effetti la sensazione di trovarsi dinanzi a scenografie di cartapesta guardando gli scorci cittadini, la provo anch’io in alcune vignette. Inoltre la quasi totale mancanza di panneggio negli abiti e le poche ombre, rendono poco realistico il disegno. Trovo miglioramenti rispetto al suo debutto, segno di grande impegno e professionalità, tuttavia, non me ne voglia il buon Cossu, non credo possieda le caratteristiche per poter essere spostato in futuro sulla regolare. Il mio voto finale è 6
  22. Nell’attesa di tuffarmi nella lettura degli albi inediti di agosto, ho continuato la ripresa alla rinfusa di alcune storie del passato. A dire il vero la scelta di questo episodio non è recentissima, ma solo adesso ho trovato il tempo di buttare giù alcune righe di commento. Ovviamente la distanza di tempo intercorso dalla rilettura degli albi e la stesura della presente recensione, può influire, visto che si è costretti ad andare a memoria (e la mia comincia a far cilecca!) tuttavia non ho comunque resistito alla tentazione di esprimere le mie opinioni in merito. Dopo la lettura delle prime pagine, si capisce subito di trovarsi al cospetto di una storia atipica. Nizzi, seguendo una sua naturale attitudine compositiva, imbastisce una trama gialla dalle forte tinte noir. Ciò che si apprezza immediatamente è l’atmosfera cupa e vagamente claustrofobica che l’autore riesce a creare fin dalle prime vignette, coadiuvato da un Letteri ispirato e sempre a suo agio su queste tematiche, tuttavia sul compianto disegnatore romano, tornerò più avanti. Il temporale, i racconti orrorifici sulla vecchia locanda, le forti vignette d’impatto all’arrivo dell’arcano locale, sono tutte sequenze sapientemente costruite per far calare il lettore nel presunto mistero. A far precipitare le cose, l’efferato omicidio avvenuto già alla prima notte e la presunta scomparsa del cadavere, che sembra alimentare le ipotesi ultraterrene che gravitano attorno a quella maledetta locanda. Da notare quanto sia efficace la sequenza di vignette al mattino, con l’incessante e ossessivo sbattere dell’imposte nella camera del delitto che funge da preludio alla cruda scoperta, con tanto di un lago di sangue a sporcare il candido lenzuolo del letto della vittima. Man mano che la sceneggiatura prosegue, appare subito chiaro che la probabile lista dei sospetti è circoscritta agli abitanti della locanda. Nizzi cerca di complicare un po’ le cose con l’inserimento dei due banditi in incognito, ma onestamente appare subito chiaro che sia solo un espediente per agitare le acque e nient’altro. Anzi rischia pure di rovinare il soggetto visto che appare una forzatura che due rapinatori, dopo il misfatto, cerchino una via di fuga così assurda come quella di prendere una comune diligenza: ce lo vedete voi un rapinatore di banca moderno tornare a casa in autobus dopo il colpo? Per il resto è altrettanto chiaro che dietro la sequenza di omicidi ci sia una spiegazione razionale, visto che la porta chiusa (che da nome al secondo albo) è palesemente la soluzione della misteriosa scomparsa dell’ultima salma. I sospetti parrebbero a tal punto convergere verso il ragazzo, ma con un colpo di scena, sull’epilogo scopriamo che è la dolce (solo in apparenza) sorellina bionda ad aver macchiato di sangue la locanda, scossa da una forma di violenta pazzia che la rende la prima serial killer della saga. Bravo qui Nizzi a dipingere i suoi personaggi, uniti da una pesante croce rappresentata dalla follia della fanciulla e soprattutto a far intendere al lettore che il rapporto che lega i due fratelli (che poi realmente non sono uniti da legami di sangue, essendo la ragazza adottata) sia un misto perverso di amore e morte. Sui titoli di coda assistiamo anche alla magnanimità di Tex, che decide di non interferire oltre sui Wallace, già costretti da anni a vivere una vera e propria anticamera d’inferno. Storia atipica e particolare, che, appena conclusa, ti lascia una strana sensazione, ma che indubbiamente mostra una buona fattura; d’altronde il Nizzi che affrontava le pubblicazioni di quegli anni era un autore ispirato e in grande spolvero. Buona la prova grafica di Letteri, anche se l’affiatamento fra i due autori è destinato a incrinarsi. Si è tanto discusso in merito alla famigerata scena del gatto, tanta indigesta al disegnatore e alle “ripicche” di Nizzi nelle prove successive. In effetti la sequenza in questione, tralasciando la casualità di base che permette ai nostri di sfuggire all’avvelenamento (topoi nizziano ripetuto anche in seguito con l’unica variante della scelta dell’animale), ci mostra un felino davvero brutto realizzato dal disegnatore. Mi chiedo come sia possibile che un artista così preparato, che fino a quel momento sulla saga aveva disegnato di tutto, da diableros, a lupi, da dinosauri a serpenti a sonagli, mummie putrefatte, fiori assassini e quant’altro si sia incartato con un soggetto così banale e dalla facilissima reperibilità di documentazione; evidentemente i dissapori con lo sceneggiatore lo hanno indotto inconsciamente a rifiutarsi di concentrarsi nella realizzazione del povero felino. Per il resto, il livello dei disegni è ancora altissimo e aiuta ad accrescere l’atmosfera della prova. Il mio voto finale è 7
  23. Personalmente, ho finora cercato di mantenere il più possibile una sorta di equità di giudizio nelle mie recensioni. Non so se ci son sempre riuscito; magari alcune volte, seppur inconsciamente, anch'io mi son fatto condizionare dalla stima che mi lega ad alcuni autori, in fondo non siamo freddi robot, ma uomini dotati di emozioni, anima e alta predisposizione a commettere minch... ehm, errori . In quanto alle storie composte da Mauro, in alcuni casi (vedasi "Morte nella nebbia" o "Giovani assassini") mi son ritrovato a essere una delle poche voci fuori dal coro, altre volte no, comunque se qualche episodio non mi convince (come la storia del topic in questione), non vedo il perchè non dovrei esporre liberamente i miei appunti critici, condivisi o meno che siano dagli altri utenti.
  24. Paragonare due storie tanto diverse, a mio modo di vedere, lascia il tempo che trova. I due episodi hanno sì in comune una non completa riuscita (cosa fisiologica in un'ampia produzione, ma che fa più scalpore nel caso di Borden, visto l'alta qualità con cui ci ha abituati in questi lunghi anni di avventure e fantasia), ma di fatto sono molto differenti. Mi trovo d'accordo con @pecos, riguardo all'incidenza dei non adeguati disegni dello Studio Fernandez sulla mancata riuscita del famigerato Maxi. Quando la sceneggiatura fu messa in cantiere, era prevista per un texone e Mauro optò per un soggetto particolare e importante, con personaggi che promettevano bene (vedasi Roscoe, la bella moglie e il russo), la presenza di Gross-Jean e il ritorno di un personaggio femminile molto ben riuscito come Dawn. La prima parte della prova non è male e si nota nettamente, che man mano che la qualità dei disegni scadeva, lo sceneggiatore ha perso interesse per la stessa. Risultato: un finale non adeguato al mistero costruito fino allora e una spiegazione razionale poco edificante e forzata, che di fatto ha irrimediabilmente finito di demolire quel poco di salvabile che c'era in quella prova. Son certo che lo stesso spunto nelle mani di un disegnatore di spessore, avrebbe portato a un gioiellino, poichè Mauro non avrebbe subito un così vistoso calo di tensione. Il ritorno di Manuela non lo reputo da bocciatura assoluta (da mediocrità sì però!), ma a differenza del Maxi denuncia, a mio avviso, una trama non così ricca da riempire i due albi, di conseguenza una sceneggiatura che a tratti perde ritmo, viene dilatata da dialoghi verbosi e sequenze troppo lunghe di tattica e spiegazioni. I disegni di Laurenti non aiutano e i suoi personaggi "recitano" in maniera non adeguata, tuttavia si ha l'impressione che anche con altri pennelli un po' di noia si sarebbe comunque palesata.
  25. Aggiorniamo quello che sembra esser diventato un sondaggio (bannatemi! ): - Testa di vitello 5,12 - Valerio 5,52 - Diablorojo82 6,22 - Gunny 4,80 Le ultime medie di valutazione sono un gradino più in basso.
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