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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Condor senza meta

    [96/98] La Caccia

    Riposto in soffitta il vecchio formato a striscia, il grande Bonelli si accinse a inaugurare la nuova lineup. Un esordio col botto che, sebbene non ai livelli di capolavori del calibro di “Sangue Navajo” o “Vendetta Indiana”, ci mostra un autore in stato di grazia e già all’apice della maturità artistica e stilistica. Il compianto sceneggiatore fornisce l’ulteriore prova di come sia possibile proporre storie scoppiettanti e divertenti nonostante si attinga al classico e ripetitivo spunto di soggetto. In effetti non sarà la prima, né l’ultima volta, che Tex dovrà indagare su furti di bestiame e fronteggiare i tipici padreterni di paese, che credono che tutto gli sia possibile grazie al loro potere, tuttavia ogni volta il vulcanico G.L.Bonelli riesce a stupire il lettore, con trame avvincenti, condite da ottimo ritmo narrativo e dialoghi efficacissimi. Ciò che più salta all’occhio durante la lettura, la pura essenza della texianità che esala da ogni tavola. Il Tex che agisce nei dintorni di Mohawak è la sintesi perfetta dell’eroe duro come il granito, ironico al punto giusto, abile e deciso come non mai e fine stratega. Il ranger, sotto falso nome, non si ferma dinanzi a nulla pur di punire i colpevoli e non si crea minimamente il problema di infrangere le regole pur di far valere la giustizia. Seguendo il proverbiale detto che “la farina del diavolo finisce tutta in crusca” in sequenze davvero esplosive riduce in tizzoni fumanti l’impero del villain di turno, abilmente manda a farfalle il grosso della manovalanza nemica (a tal proposito molto interessante la trappola del passo di Tule) e mostra per tutta la durata degli albi di aver ben salda in mano la matassa dell’indagine. Come ovvio trionferà alla fine, ma lo fa in maniera netta e meritevole, senza troppi “aiutini” esterni. Molto bello pure l’incipit coll’eremita indiano che gli riferisce alcuni indizi criptici, che sebbene sembrano i vaneggiamenti di un folle (come pure sostenuto da Carson dopo il colloquio), si riveleranno importanti, una volta decifrati, per far luce sul furbo piano usato dalla banda del maggiore Farriman, per far transitare il bestiame rubato in Messico, lungo la linea ferroviaria. Non mancano le furiose scazzottate e i gustosissimi siparietti ironici col fido Carson e giunti all’epilogo, si chiude l’albo soddisfatti, consci di aver gustato una divertente e avvincente storia. Proprio su Carson vorrei soffermarmi un attimo: ho letto che qualcuno sostiene che il vecchio Bonelli lo trascurasse un po’ e che fra i pards era quello meno riuscito, ma reputo che una tale affermazione sia del tutto errata. Prendendo come riferimento “La caccia” (solo perchè in topic ma l’elenco sarebbe lungo), il Carson che agisce a fianco di Tex è sfavillante; una valida spalla ma non troppo, visto che non è subordinato al fido pard, bensì un ottimo comprimario, rapido, affidabile e ben sveglio. Un lontano parente dal Kit che necessita che Tex gli spieghi paro paro ogni cosa; la sua intesa con il pard è perfetta, il suo intuito vivo e visibile, recita la parte del polemico pessimista ma non si tira minimamente indietro dinanzi il pericolo. Che dire poi degli splendidi scambi di battutine fra i due o le divertenti scenette con la burbera arpia affitta camere, che li rimprovera di non usare da tempo il sapone e che li lascia fuori per aver fatto tardi la notte. Prende qualche bottarella di troppo in zucca durante la zuffa di saloon ma si riscatta ampiamente con le colt in pugno. Alto che Carson sottovalutato, la caratterizzazione bonelliana è a mio avviso perfetta, magari tutti gli autori successivi avessero seguito questi stilemi ben definiti! Ricapitolando: non un capolavoro ma un episodio notevole, che rileggo sempre volentieri, mantenendo intatto il livello di divertimento. Ai pennelli di Muzzi, come di consueto, fu affidata questa storia cittadina. Il tratto del disegnatore milanese si mostra alquanto datato agli occhi critici di oggi, ma è indubbio che conserva comunque un particolare fascino. L’artista fa camminare a braccetto classicità e dinamismo e col suo stile riconoscibile, traccia con decisione e discreta resa le scene scoppiettanti che abbondano lungo la sceneggiatura. Gli sfondi sono meno curati rispetto ad altri colleghi, le sue figure forse troppo affusolate e i visi allungati, pure le colt sembrano avere canne troppo lunghe e le donne rappresentate non sono il top del fascino, tuttavia l’indubbia capacità narrativa di Muzzi, fa trascurare gli appunti appena mossi e gli fece meritare appieno la vetrina prestigiosa di Tex. A tal proposito, come già scritto in altri post, continuo a non capire l’assurda scelta redazionale di far ridisegnare i volti di Tex a Galep. Non credo che le fattezze Del ranger tratteggiate da Muzzi fossero così pessime da giustificare una tale opzione e soprattutto, visto l’esito finale che palesa sproporzioni per il 90% dei casi e un Tex che sembra una caricatura stile Franco Bruna, con corpo esile e testa macroscopica, mi fa pensare che il presunto rimedio fosse peggio del “problema”. Può reggere la tesi di Sergio che giustificava questo pasticcio solo per non “disorientare” i lettori con una rappresentazione non canonica del loro eroe? Come la prendeva Muzzi visto che era il solo a dover subire una tale imposizione? Nessuno si lamentava dell’esito finale di alcune vignette non del tutto decoroso? A mio avviso il grossolano errore di valutazione di Sergio, figlio della sua presunta bassa stima delle doti di Muzzi, al giorno d’oggi avrebbe suscitato una indignata sequela di proteste dei lettori, molto più attenti agli aspetti tecnici delle tavole, ma come sovente scriveva Bonelli “inutile piangere sul latte versato”. Il sottoscritto è convinto che senza le rapide e poco ispirate, correzioni redazionali, le tavole di Muzzi sarebbero giunte a noi meno rovinate, ma col senno di poi sono piene le fosse e non ci resta che prenderne atto. Il mio voto finale è 8
  2. Suvvia ragazzi, non sarebbe il caso di stringersi la mano e chiudere qui il diverbio? Continuare questa sorta di guerra fra "Guelfi e Ghibellini" a che serve, se non ad alimentare una tensione nociva per il forum? Diablero ha le sue idee su Nizzi e non vedo perchè non possa esporle. Altri utenti la pensano in maniera opposta e ci sta pure, quindi perchè tirarla così a lungo? Scusate se mi sono permesso di intervenire, ma credo che continuare a battibeccarsi così non porti a nulla se non a esasperare gli animi.
  3. Miglior storia: L'agente federale Miglior copertina: Tex l'inesorabile Miglior personaggio: Ramona
  4. Quello fu un caso davvero eclatante. In effetti copertina più errata e spoilerante di quella non potevano scegliere. Che poi, ricordo che nel primo albo non era chiarissimo che il cecchino fosse Grady, di conseguenza vedere già l'anteprima del numero successivo, smontò clamorosamente l'interesse della lettura.
  5. Così, su due piedi, mi torna in mente la copertina dell'albo "Oppio", dove Villa rappresenta Tex al cospetto del "capoccia" cinese, quando in effetti nell'episodio i due non entrano minimamente in contatto. Anzi, Nizzi non approfondisce affatto la questione e il nostro ranger ne ignora pure la presenza e non svolge il minimo d'indagine. Reputo che rientri appieno nella lista di copertine "fuorvianti" del topic, visto che non è la tipica cover generica, ripescata dal cassetto per colmare eventuali ritardi, ma ci azzecchi comunque poco con la trama di riferimento.
  6. Mi pare di aver letto da qualche parte (ma prendetelo col beneficio del dubbio perché la mia memoria comincia a fare cilecca) che la storia in questione fu una delle ultime composte da Bonelli appositamente per il vecchio formato a strisce. Il grande autore tira fuori un episodio alquanto breve ma intenso, come di suo consueto. La sequenza iniziale, ambientata durante i tempi della guerra civile, introduce la trama vera e propria e mostra un primo colpo a sorpresa: in effetti la ribellione di Grosso Cane, che ripaga con piombo sonante il raggiro dei rinnegati bianchi dopo l’assalto alla carovana, spiazza un po’ il lettore, che magari prevedeva un diverso sviluppo della scena. Sarà proprio il recupero dell’oro a distanza di un decennio a dare l’input alle azioni nel presente, con i nostri incaricati dall’esercito a svolgere indagini per individuare e recuperare il carico, dopo il rinvenimento nelle mani di alcuni banditi di un vecchio lingotto. Forse la coincidenza che mette subito i nostri sulla giusta strada è un tantino semplificata, ma non sarà tutto rose e fiori, visto che Derek, superstite dei banditi annientati dalla pattuglia dei soldati, si mostra inaspettatamente un avversario pericoloso. Tex sarà costretto a ingoiare due bocconi amari ravvicinati: il primo consistente in una botta in testa durante la fuga dall’infermeria del forte del bandito e poi una manciata di sabbia negli occhi durante un successivo corpo a corpo, che lo costringe a una cecità temporanea, in una sequenza atipica ma interessante, con Carson che guida il pard fino al primo ruscello di acqua. Qualcuno potrebbe gridare allo scandalo: ma come il vecchio Bonelli scrive scene che umiliano così il suo eroe? Sicuro che non le abbia sceneggiate il figlio, non nuovo a trovate simili? La differenza è comunque sostanziale; il Tex di G.L. Bonelli anche se cade, si rialza in fretta e recupera alla grande. Da notare come si vendica subito di Derek, spalmandogli in viso la saponata, nella divertente sequenza nel salone del barbiere e soprattutto come riprende in mano le redini della situazione, studiando un piano ad hoc, per mettere nel sacco l’avversario e recuperare l’oro, scongiurando pure la rivolta dei Shoshone. Forse il finale paga una forte accelerazione e Zanna Bianca (nome che suona come un chiaro omaggio allo scrittore Jack London) troppo facilmente si lascia convincere da Tex, ma tutto sommato la storia, sebbene minore, si fa leggere volentieri e merita un buon voto. Molto possente il contributo di Letteri, con un tratto forte ed essenziale, d’altronde il disegnatore romano in quei tempi si accingeva a raggiungere il top della sua carriera creativa. Stile personale e molto diverso da quello di Galep a cui erano abituati i lettori dell’epoca, ma comunque molto narrativo e dinamico. Chiudo con due piccole curiosità: la prima consiste nell’insolita tavola a pag. 34 dell’albo 96, con prima una vignetta che mostra le linee cinetiche del volto di Wendy appena colpito da Tex e subito dopo lo stesso mercante che vede l’uccellino e sé stesso vestito da angioletto con l’arpa in mano (una soluzione ironica che al giorno d’oggi è raro riscontrare sulla saga), mentre la seconda è l’errore del disegnatore, che di colpo nella seconda vignetta di pag. 57 dello stesso albo, rappresenta Derek senza i baffi. Da notare pure il massiccio utilizzo di mappe descrittive che Bonelli usava durante la narrazione, per fornire riferimenti geografici al lettore, oggi molto più rare negli albi e la maestria verbale dell’autore che gli permette di scrivere dialoghi esplosivi ed efficacissimi: vedasi la similitudine, con tanto di pallottola posta sulla scrivania, per minacciare il tremante Wendy e fargli capire di dover rigare dritto. Definire vulcanico Bonelli è quasi riduttivo. Il mio voto finale è 7
  7. La saga nella saga di Mefisto si arricchì con questo episodio, che di fatto rappresenta la sua quarta apparizione. La fuga dal manicomio, l’alleanza con quell’altro mattoide di Jean de Lafayette, l’idea di creare un regno del voodoo tra le foreste della Florida, il pittoresco castello scelto come base operativa, la presenza di personaggi come Loa, Otami e l’erculeo Dambo sono tutti ingredienti che Bonelli mescola con certosina ispirazione per sfornare una trama molto avvincente e che corre veloce come un mustang lanciato al galoppo nella prateria. Un aspetto atipico è rappresentato dall’inconsueto iter che l’autore sceglie, rispetto alle altre apparizioni del demoniaco stregone; di solito tutto gira intorno al desiderio di vendetta nei confronti di Tex e una volta gettate le basi per il piano, in un modo o in un altro si procede per far scattare la trappola, atta a catturare il quartetto dei pards. Stavolta invece Tex viene solo casualmente a conoscenza della presenza di Mefisto in Florida e una volta saputo, non si lascia crescere l’erba sotto i piedi pur di sconfiggerlo una volta per tutte. Molto movimentato il viaggio che porta a Tampa con una serie di sequenze adrenaliniche sul battello in viaggio lungo le coste floridiane. Ancor più serrata la sceneggiatura appena giunti nella cittadina, con parti davvero interessanti come l’attentato al ristorante, con la cesta di serpenti corallo gettati dalla finestra o la rapidissima rappresaglia di Tex e company, che a suon di dinamite fanno tremare la taverna Black Baron. L’ironia del nostro eroe è ad altissimi livelli, a tal avviso vedasi l’esilarante battuta: "Se questo è il miglior ristorante di Tampa, figuriamoci gli altri. Cosa buttano addosso ai clienti, gli elefanti?" Anche la faccia di bronzo usata alla presenza dello sceriffo, dopo il pestaggio del Black Baron è da riporre negli annali; Bonelli è insuperabile in simili scene e le risate esondano come fiumi in piena. L’unico neo che trovo nell’episodio, solo il marginale scontro fra Tex e Mefisto, in fondo non è un duello diretto fra i due, bensì una partita con tanti alleati: i soldati e i Seminole di Yampas da un lato, e i seguaci voodoo dall’altra. Pure la scena della distruzione del castello è troppo rapida e si ha l’impressione che Bonelli, come spesso gli capitava soprattutto negli albi a striscia, abbia fretta di chiudere la partita. Col senno di poi, sappiamo che sotto le macerie avrà vita il magnifico incipit del capolavoro successivo che vede l’esordio di Yama, episodio quest’ultimo, che oggettivamente è decisamente superiore su tutta la linea rispetto a “Terrore sulla Savana”. Straordinari i disegni di Galep, togliendo solo l’imperfetta interpretazione dei Seminoles che solo di recente hanno avuto giustizia sotto questo aspetto, la prova è sontuosa e mostra il grande talento del papà di Tex. Le scene del battello con tutto il brulicare di pescecani sono da antologia, come è molto suggestiva la location della savana e il pittoresco antro dello stregone. Solita dinamicità ed espressività di tratto per un episodio particolare, reso graficamente come solo lui sapeva fare. Indubbiamente in queste tematiche il compianto Galep rimane impareggiabile e ogni volta è vero piacere immergersi nelle sue splendide vignette. Un autore che nel pieno della forma, al netto di alcune piccole lacune tecniche, riusciva a ottenere qualcosa di magico e non è un caso che il suo stile sia difficilmente imitabile. Il mio voto finale è 8
  8. Villa è il mio artista preferito da sempre, non lo ho mai nascosto, ma suppongo che se gli avessero affidato una storia di 330 tavole adesso, visto i suoi molteplici impegni e la sua lentezza, c'era il rischio di leggerla nel 2041 . A parte le battute, l'arte in fondo non è una competizione e ogni artista ha le sue caratteristiche e peculiarità. Andreucci a mio avviso è un grande disegnatore e son certo che farà un ottimo lavoro e non ci farà rimpiangere il grande Claudio.
  9. Personalmente penso che un personaggio come Barbanera sia una risorsa per la saga e son certo che la storia che vedrà il suo ritorno sarà un piacere leggerla. Anche la presenza di Andreucci ai pennelli è una garanzia; un autore davvero molto talentuoso e che adoro. In riferimento alla presunta "seriosità" di Mauro, citata da Mac Parland nel suo commento, condivido al 50%: è innegabile che spesso le storie di Borden assumano toni più drammatici ed epici, ma ci sono pure precedenti (vedi il ritorno del Maestro a New York) che mostrano che la verve ironica all'autore non manca e ciò mi fa ben sperare per qualche divertente siparietto con quel vecchio lupo di mare di Drake. Ripeto: peccato solo dover attendere ancora qualche annetto.
  10. Condor senza meta

    LO STAFF DI DISEGNATORI DI TEX NEL 2021

    Io per un eventuale ritorno di Lena e Donna sulla saga, vedrei adatto Piccinelli ai pennelli. Un autore davvero molto portato nel rappresentare il fascino femminile.
  11. Storia che ha il "difetto" di essere interposta tra il capolavoro "Vendetta indiana" e l'ambizioso ritorno di Mefisto in "Black Baron". L'episodio, seppur minore, è alquanto piacevole e leggibile. L'ambientazione e il soggetto si fanno apprezzare; i nostri, chiamati a indagare su misteriosi pirati fluviali travestiti d'indiani che assaltano i cacciatori per rubargli i carichi di pellicce, trovano agilmente il bandolo della matassa e passano subito all’attacco per smantellare l’associazione criminale agli ordini del losco mercante Duprè . Particolare, anche se non inedita, l'idea dei piccioni viaggiatori usata da Jordan per comunicare con i banditi, molto divertente pure la scena del ristorante dove Tex umilia e scazzotta due scagnozzi di Dupre'. Il solito ranger granitico orchestra in corsa un buon piano per sconfiggere i colpevoli e non si crea alcun problema a incendiare i magazzini del villain, nella miglior tradizione bonelliana. Episodio minore, ma molto divertente. Sempre molto efficaci poi i battibecchi tra i due affiatati pards e non male la figura di Monango, la guida indiana che accompagna i nostri nella delicata missione. Ritmo narrativo della sceneggiatura accettabile e con pochi tempi morti, d’altronde Bonelli era un maestro in questo aspetto. Alcuni dialoghi li ho trovati un po’ prolissi, a voler essere pignoli, ma poca cosa davvero. La lettura fila comunque che è un piacere e non annoia di certo. Di recente abbiamo scoperto che l'articolo esatto e "gli" riferendosi agli Cheyennes, Bonelli allora ignorandolo, o non dandone peso, usa "i" e molti lettori, me compreso, continuano ad avere l'istinto di imitarlo. Disegni affidati al prolifico Muzzi, affiancato da Galep per i consueti volti di Tex e, come ammesso da Sergio Bonelli in una rubrica di posta su Tutto Tex, anche da un terzo collaboratore che non appare tra i crediti, ma che aiutò l’autore milanese nel disegno dei fondali. Sergio narrava l’aneddoto che Muzzi, molto in ritardo nelle consegne, fu “rapito” dalla redazione e costretto a lavorar notte e giorno per una settimana. Uniche pause i pasti (panini e acqua) e qualche ora in una branda disposta in uno dei due stanzoni, allora adibiti a redazione. Altri tempi a pensarci bene, tuttavia tutto andò bene visto che gli albetti arrivarono in edicola, e un po’ di merito lo ebbe pure Cormio, il giovane di bottega che aiutò Muzzi da pag. 82 in poi a disegnare i fondali. In effetti s’intravede una mano diversa in alcuni scorci cittadini, maggiormente curati con la squadra (vignetta 5 di pag. 84) o in alcuni dettagli come il molo in pietra di pag. 122. Il mio voto finale è 7
  12. Ottimo intervento @Diablero, ho trovato molto interessante la tua ricostruzione e concordo pienamente sul fatto che la storia in questione inaugura "l'età dell'oro bonelliana". Il passaggio poi al formato gigante, ha permesso all'indimenticato autore di trovare il giusto equilibrio fra intreccio e ritmo narrativo e i capitoli epici della saga abbonderanno.
  13. Hai perfettamente ragione Carlo, sono consapevole che la tempistica delle storie a striscia fosse completamente differente, ma per ovvie ragioni anagrafiche, l'ho sempre letta solo nel formato gigante, di conseguenza mi viene naturale incorrere in "errore". Sul fatto che anche altre storie fossero brevi ma spalmate su più albi, ovvio che l'ho notato, ma lo stacco, quanto meno, ti costringe all'attesa e dilata i tempi di lettura. La platea di lettori di Tex è così ampia che ognuno ha avuto modo di approcciarsi alle storie di Bonelli in maniera differente: chi in diretta nel formato a strisce, chi nelle ristampe del gigante e chi nel recente formato Classic, ciò che comunque accomuna tutti è il fluire di storie davvero molto belle e avvincenti.
  14. Non esiste regola senza eccezione, difatti anche la mia consueta ritrosia nei confronti delle storie autoconclusive brevi, viene spazzata come foglie secche al vento, dalla gemma narrativa in oggetto. Come definire "vendetta indiana"? Un cult? Una pietra miliare della saga? L'ennesima perla di Bonelli in provvidenziale stato di grazia? Non saprei dire, in caso fate voi, so solo che la lettura di questa splendida sceneggiatura lascia il segno e fa comprendere, in parte, i motivi che stanno alla base dell'immenso e longevo successo della saga. In poche pagine è condensato tutto il pensiero dell'autore: l'antimilitarismo, il rifiuto di ogni forma di razzismo, il desiderio di far trionfare la giustizia a prescindere della legge e dei regolamenti, la vendetta, anche crudele, contro la malvagità e poi il ritmo serrato, la strategia, dialoghi essenziali ed esplosivi. Tex in poche parole! Non uno sbirro giustizialista, non un facinoroso senza pietà per i marmittoni incolpevoli, ma un angelo della giustizia, spedito tra le lande selvagge del west per punire i malvagi, in barba ai regolamenti, e tutelare chi non ha colpe sebbene indossi una divisa. Il nostro eroe non ha connotazione politica alcuna, è solo un uomo giusto che si batte contro l'arroganza e le ingiustizie. Proprio per questo aspetto non cadrà mai di moda e continuerà a cavalcare spedito lungo i sentieri del successo. Chiusa la digressione, c'è da dire che lo spunto di trama è simile all'altro capolavoro "Sangue Navajo" di qualche anno prima, ma riesce comunque a farsi apprezzare, senza portare a comparare le due storie. Qui il tutto è incentrato nel piano certosino e perfetto per punire l'ottusità e l'odio del borioso colonnello Arlington. Bellissima la scena nel suo ufficio, in cui basta solo un attimo a Tex per capire di trovarsi al cospetto del consueto ufficiale con le pigne nel cervello. Il sangue degli Utes grida al cielo vendetta e Tex non si tira di certo indietro, ma per evitare il probabile bagno di sangue, dovuto all'ennesima rivolta indiana, spende tutto il suo prestigio e acume strategico, per ideare un piano di guerriglia atto a umiliare il rancoroso colonello e risparmiare i suoi commilitoni che hanno la sola colpa di eseguire ordini. Bonelli non vuole mostrarci tutte le giacche azzurre come ottusi portatori di stellette, infatti non mancano gli ufficiali che avallano i progetti del ranger, con buon senso, consci di essere sottoposti a un comandante inetto e pericoloso. In poche pagine l'autore riesce di par suo, a imbastire una sceneggiatura scoppiettante. Facendo leva sulla scarsa preparazione di Arlington, pieno di boria ma scarso di cervello, Tex lo conduce fuori pista e dopo varie peripezie, lo umilia e lo fa giustamente radiare dal comando generale. Ma il vero capolavoro è la sequenza finale con la cruda vendetta (doverosa aggiungerei) di Nashiya nei confronti dell'odioso Arlington, reo di aver trucidato il suo uomo e il suo villaggio. La vignetta finale in cui la fiera figlia di Nuvola Rossa depone lo scalpo nemico, sul tumulo funerario del marito, è pura poesia e sconfessa, a mio parere, chi sostiene che Bonelli non fosse capace di scrivere scene epiche ed emotivamente coinvolgenti. La figura di Nashiya, sebbene ai margini della vicenda, è splendida e prova quanto l'autore fosse un asso a delineare le caratterizzazioni femminili, mai banali, sempre profonde e di spessore, da qualsiasi parte di barricata fossero poste. La storia rappresenta pure il debutto di Ticci sulla saga e già solo questo basterebbe a renderla celebre. Il tratto del maestro è ancora in “costruzione”, molto giolittiano e lontano dal suo attuale stile, comunque s'intravede tutto già il suo immenso talento. Prospettive accattivanti, espressività facciali avvincenti, paesaggi mozzafiato, dinamicità all'ennesima potenza. Un predestinato che diverrà con merito la colonna portante della serie e punto di riferimento per quasi tutti i suoi giovani colleghi. Non mi dilungherò oltre, d'altronde in ogni mio commento relativo alle sue opere grafiche, non manca mai l'elogio per un maestro impareggiabile del fumetto e non occorrono altre parole per descrivere la mia immensa stima. Il mio voto finale è 10
  15. Condor senza meta

    [87/88] Gli Spietati

    Se nell’episodio precedente, una buona dose d’ironia si mescolava all’azione, stavolta l’autore sceglie una via decisamente diversa, puntando tutto sulla tensione narrativa e scrivendo una sceneggiatura dura, a tratti drammatica, che, mantenendo i tempi caratteristici della pubblicazione a strisce, incolla il lettore alle vignette e spesso sembra fargli trattenere il fiato. Già l’incipit della fuga da Yuma sotto il diluvio è una bellissima sequenza. Fin dalle prime tavole capiamo che Tom Boker è un avversario tosto e ne farà le spese Tex, che capitato involontariamente nelle sue grinfie con la guardia abbassata, si beccherà una sbatacchiata con i fiocchi. L’intreccio di trama è basilare, sulla via dei fuggiaschi s’imbattono prima i predoni Yaqui e successivamente la cavalleria, sulle tracce degli indiani. Al netto di una trama semplice, che ruota tutta intorno all’assalto indiano nella città morta, è proprio la secca sceneggiatura, a tratti cruda e serrata, a farsi apprezzare. Tex se la vedrà brutta, ma grazie all’intrusione degli Yaqui, riesce a evitare il peggio e, con molto stoicismo, a liberarsi, a costo di mille sofferenze. L’epilogo comunque gli permetterà di rifarsi e vendicarsi dei maltrattamenti subiti. Tipica storia bonelliana, molto classica e che spruzza western da tutti i pori. Ottimi come consueto i dialoghi e buona la trovata di mostrarci un Tex sfortunato, realmente in difficoltà, dovuta a un evento imprevedibile, ma comunque mai rassegnato e sempre molto coraggioso e reattivo. Una lettura rapida, corposa, molto coinvolgente e pazienza per il finale un po’ affrettato, ma con la formula a striscia questo aspetto si presentava spesso. La parte grafica fu affidata a Muzzi, con le consuete correzioni di Galep nei visi di Tex. Considerato che il filotto di numeri che mi appresto a commentare vedranno spesso alternarsi i soliti disegnatori, non è il caso soffermarsi troppo spesso sulle identiche considerazioni relative all’aspetto tecnico delle illustrazioni, si rischierebbe di ripetere sempre le stesse cose e annoiare l’utente in lettura. Mi riserverò più avanti a parlare di Muzzi, stavolta invece mi soffermerò su alcune curiosità in cui mi sono imbattuto rileggendo l’albo. In primis ho notato che le vignette che immortalano Tex legato ai paletti della tortura, sembrano disegnate in toto da Galep e di contro, la sequenza che va da pag. 64 a 69 vede le fattezze di Tex realizzate da Muzzi (era davvero così necessario evitargli questo “onore?). Erano pure lontani i tempi del “politically correct” visto che Bonelli senza alcun problema usa nella didascalia il termine negro, e anche le sedicenti campagne antitabagismo nei fumetti, considerato che si può permettere di chiudere la storia facendo chiedere a Tex una sigaretta. Con malinconia ho rivisto una scena in cui i vecchi segnali di fumo vengono interpretati, in questo caso da Carson; è risaputo che fosse una forzatura narrativa che i pennacchi di fumo venissero usati a mo’ di telegrafo e che di conseguenza, nel tempo, gli autori abbiano deciso di non ricorrerne più nelle loro sceneggiature, comunque non posso nascondere che queste “lievi forzature” mi mancano. Così come mi mancano le belle cartine geografiche nelle vignette, in questo numero ne vediamo una molto ben realizzata a pag. 11, molto curata e impeccabile con perfette linee di squadra e lettere trasferibili, oggi totalmente scomparse con l’avvento della grafica digitale. Anche qui gioca molto il fattore nostalgico, lo ammetto, infatti rievoco i tempi scolastici in cui mi cimentavo con i cosiddetti “trasferelli” per completare le tavole di progettazione da consegnare, ormai oggi tra cad e Photoshop queste azioni sembrano di eoni fa e dire che son passati solo pochi decenni. Il mio voto finale è 7
  16. Condor senza meta

    [87] Oro Nero

    Dopo aver preso in rassegna tutte le storie recenti della saga, faccio un grande salto nel passato, ritornando a gustarmi vecchi episodi del grande Bonelli. Riprendo da questo breve episodio, che lessi per la prima volta più di trent’anni fa, nella ristampa Tutto Tex. Bisogna ammettere che è una storia minore e di certo non la migliore scritta dal papà di Tex, ma è indubbio il fatto che, dopo tanto tempo, si legge con grande piacere. L’autore cambia gli addendi ma non il risultato, infatti, sebbene il soggetto sia classicissimo, con la coppia di ricconi che, pur d’impossessarsi del terreno dell’indifesa Karen Riley, sono disposti a qualsiasi tipo di intimidazione e sabotaggio e solo con l’arrivo di Tex, convocato per l’occasione da Pat, le cose si mettono a posto, ma stavolta per variare un po’, al centro dell’interesse dei fratelli Standish c’è il petrolio e non il semplice dominio territoriale e del bestiame. In effetti il tema petrolifero fa solo da pretesto allo svolgersi della vicenda, ma mi par di ricordare che sia una delle prime volte che l’oro nero funga da movente alle azioni criminose dei villain. Bonelli confeziona una sceneggiatura molto ritmata e carica di piacevole ironia, vedasi la lettera di Pat o la spassosissima sequenza dell’albergo all’arrivo dei pards, con tanto di porte divelte e squarci nel muro. I tempi morti sono praticamente zero e nell’arco di poche pagine, si accende una girandola di scazzottate, attacchi incendiari, sparatorie e dispute verbali. Brillante la figura dell’avvocato Marcus Bennet, tratteggiato molto bene in poche vignette, poco originali invece le figure dei due Standish, che forse si arrendono troppo facilmente sul finale, ma d’altronde dopo la santabarbara scatenata da Kit e Tiger, sfido io! Tex si becca un "confetto" in spalla ma la sua sicurezza nell’affrontare la questione è encomiabile. Proprio questo aspetto ho sempre adorato nella gestione Bonelli: il nostro eroe, anche dinanzi alla situazione peggiore o avversario temibile, è sempre padrone degli eventi; studia la situazione, prepara piani, agisce senza ripensamenti e non subisce i fatti, li adegua al suo volere. E il tutto avviene in maniera così naturale da lasciare il lettore soddisfatto e quasi mai perplesso da eventuali scorciatoie narrative che potrebbero infastidirlo. Le trame spesso sono ripetitive e seguono schemi rodati, ma ogni volta appassionano e non annoiano. Anche grazie al ricco campionario di battute e le sequenze indimenticabili di dialoghi esplosivi. Un esempio? L’eloquente risposta che Tex dà a Barnett in merito alle influenti amicizie degli Standish: “Mai quanto i miei. Sono numerosi, freddi come la morte mentre aspettano di servirmi e roventi come l’inferno quando li metto in azione… Eccone qua, Barnett! Mister 45!” Che dire, novanta minuti di applausi! Per chi come me è cresciuto con i disegni di Galep, le sue tavole lo fanno sentire come a casa. Avrò ancora modo di parlarne in futuro, visto che in quel periodo il contributo grafico del maestro sardo era massiccio e continuativo, di certo erano anni in cui l’artista era nel pieno della sua maturità artistica e la resa delle sue vignette è perfetta per la narrazione esplosiva di Bonelli. Un duo affiatatissimo e inossidabile, perfette fondamenta per il mito che da allora, non accenna minimamente a scalfirsi. Comunque desumo che l’opera di Gamba come ghost designer fu corposa nella storia in questione, molti primi piani degli sgherri di Standish pare che portino la sua firma e la cosa è plausibile, visto che in quel periodo le collaborazioni al tavolo da disegno erano all’ordine del giorno, per garantire l’albo in edicola ed evitare ritardi. Chiudo con un piccolo aneddoto personale, un po’ fine a sé stesso ma che mi va comunque di citare: frequentavo la prima media o giù di lì e già da qualche annetto acquistavo sporadicamente i volumi della collana. Allora convinsi il mio compagno di banco ad approcciarsi a Tex e decidemmo, in maniera puerile, di dividere le spese nell’acquisto e tenere a saltare un albo a testa. Morale della favola, acquistammo solo Yuma in “comunione di beni” e rimase a me, spero che non legga questo commento e mi chieda indietro, con gli interessi, le mille lire che sborsò solo per leggere l’albo . Il mio voto finale è 7
  17. Ammetto che "La vendetta delle ombre" come trama mi ha intrigato di più, ma ovviamente per la stima immensa che nutro per Villa e l'attesa biblica per ammirare il suo capolavoro grafico, non potevo esimermi dal dare la mia preferenza a "Tex l'inesorabile". Per ciò che riguarda la copertina, non ho mai nascosto di avere un debole per quella di Carnevale sul Color, di conseguenza stavolta "tradisco" il maestro Villa e assegno il mio voto al "Color storie brevi". Per i personaggi "I tre fratelli Bill", anche perchè l'averli inseriti nel maxi, lo reputo un bellissimo omaggio di Borden e la casa editrice, al grandissimo G.L.Bonelli.
  18. Condor senza meta

    Aurelio Galleppini

    Caro Mac nessuno ti vuole imporre il fatto che Galep debba piacerti per forza, la libertà di pensiero (grazie a Dio!) è ancora vigente, ovviamente puoi capire che la tua "iperbole", per rafforzare il personale punto di vista, sebbene scherzosa, può dar fastidio a chi è cresciuto con i suoi magnifici disegni, o agli addetti ai lavori, che l'immensa maestria di Galleppini l'ha toccata per mano. Aggravata dal fatto che Galep è il papà di Tex e molto probabilmente, senza il suo stakanovismo e talento oggi non staremmo qui a parlarne. Comunque ripeto un concetto già espresso a Grande Tex: essendo tu giovanissimo, potrebbe pure capitare in futuro di rivalutarlo (col tempo lo spirito critico matura e cambiano alcune opinioni) e magari penserai: "Non avevano tutti i torti, quel gruppo di vecchi cammelli del forum!"
  19. Ruju è ormai da tempo un'importante spalla di Boselli su Tex. Con continuità e senza grandi cadute, lo sceneggiatore se l'è finora cavata con grande padronanza e stile, sebbene in molti, me compreso, gli imputano l'assenza del colpo grosso, ovvero il suo capolavoro memorabile sulla saga. L'attesa per vederlo all'opera su una storia più ambiziosa e lunga, era alta, accresciuta pure dall'ambientazione esotica e particolare. Il primo banco di prova per saggiarne le potenzialità su trame più complesse, che di solito sono a carico esclusivamente di Borden? Forse; comunque, tirando le somme, la prova, sebbene di buon livello, si perde nello sviluppo e dà l'impressione che la troppa carne messa sul fuoco non venga cotta a puntino e l'esito finale suona come un'occasione mancata. Ruju, non abituato forse a un numero alto di tavole, cede palesemente sulla distanza e chiude frettolosamente una trama che forse necessitava più attenzione per essere sviluppata a dovere. Il primo albo è quasi autonomo e introduce il viaggio dei nostri in Guatemala. A tal proposito, non è tanto chiaro quale sia realmente la missione ufficiale di Montales e il perché un governatore messicano possa dare tanto fastidio agli intrallazzatori americani che hanno interessi nel “paese del caffè”. Sorvolando su questo aspetto, appena giunti in Guatemala, la storia sembra prendere il largo, con l'interessante doppio binario, che vede Tex e Tiger operare nelle foreste contro i seguaci della Negra Muerte e i due Kit, travestiti da damerini infiltrati fra i grossi papaveri golpisti. A tal punto l'episodio sembra promettere mare e monti, ma di colpo si smonta come la panna fuori dall'abbattitore. Sebbene molto carica d'azione, la sequenza nella foresta ci mostra degli avversari tutt’altro che invincibili e anche la mascherata degli infiltrati finisce per essere tirata troppo per le lunghe e si concluderà col più scontato degli epiloghi. La scoperta e la fuga dei due Kit a me è parsa troppo telefonata e rapida e anche l’epilogo finale, non mi entusiasma. Concordo con chi ritiene che la continua ricerca del colpo di scena a sorpresa, che accompagna Ruju per quasi tutta la narrazione, alla fine contribuisce solo a danneggiare l’esito finale. Troppe volte si prova la sensazione che i nostri si trovino al posto giusto e al momento giusto e questo non è sempre un bene in una narrazione. Forse anche questa continua tendenza dell’autore a ricorrere a simili scorciatoie di sceneggiatura influisce sulla capacità di scrivere trame davvero maiuscole. Anche la caratterizzazione dei personaggi stavolta non è buona come in altre occasioni. Gregorio non riesce a bucare la pagina, i villain non lasciano eccessivamente il segno e pure la Negra Muerte si sgonfia pagina dopo pagina per raggiungere il culmine nella non idonea scena finale dell’assalto al governo: quando mai si è vista una così scalcinata rivoluzione, condotta da un gruppo di straccioni, che vengono dispersi da una manciata di uomini e una gatling? Le storie che hanno come spunto di soggetto golpe vari e congiure politiche in generale, devono presentarsi pure credibili, se no rischiano di sembrare semplici parodie. Davvero si deve accettare che una congiura così organizzata e appoggiata da caporioni dell’esercito pronti a prendere il potere, evapori così semplicemente? L’ultimo albo, a mio avviso, fa scadere di molto la prova e sciupa frettolosamente ciò che di buono l’autore aveva cercato di costruire, fra alti e bassi, nei primi tre. Non una prova da bocciatura, ma ben lungi da potersi fregiare dell’appellativo di capolavoro. Si naviga nella consueta “zona Ruju” con l’aggravante stavolta che la prova nutriva grandi ambizioni, alla fine disattese. Che qualcosa si fosse inceppato, lo mostra pure la scarsa caratterizzazione della sedicente dark lady, che in fin dei conti, visto lo scarso contributo, poteva benissimo essere depennata dalla sceneggiatura: strano che Ruju, sempre molto abile nel tratteggiare belle figure femminili, stavolta abbia toppato così, evidentemente, giunto sul finire mostrava già il fiato corto. Mi auguro che lo sceneggiatore, abbia altre occasioni in futuro di mostrarsi sugli episodi lunghi, magari donandoci però una storia più continua e corposa. Nulla da eccepire invece nella solida prova grafica di Biglia, che si conferma disegnatore affidabile e da grandi maratone. Buon tratto, stile alquanto pulito, elegante e personale, buon dinamismo e ottima realizzazione degli scenari esotici. Già al suo debutto, non avevo lesinato lodi per il suo talento e un simile banco di prova, mi ha confermato, all’ennesima potenza, le buone impressioni per questo grande autore. Suppongo che Borden se lo tenga bello stretto, visto che simili acquisti sulla serie ammiraglia, sono preziosi come una manciata di oro estratta dal greto di un torrente. Il mio voto finale è 7
  20. Ricordo che si discusse a lungo in un thread sull'utilizzo, a volte inappropriato, del termine riempitivo riferito ad alcuni episodi di Tex. Credo che non sussistano dubbi sul fatto, che nel caso specifico, quell'appellativo è azzeccato, visto l'esigenza di far quadrare I numeri fra la storia boselliana dei Netdahe e la successiva maratona narrativa di Ruju, ambientata nell'inconsueto scenario tropicale del Guatemala. Allo stesso Ruju toccò l'onere di comporre la presente e breve sceneggiatura e, bisogna ammettere, poco ambiziosa. La trama è alquanto scorrevole ma troppo esile, al limite per una collana come la regolare, l'avrei vista più adatta per un magazine. Lo spunto dei due gemelli versione "Caino e Abele" non è male, ma lo sviluppo troppo lineare e prevedibile sgonfia la prova. Si ha a tratti l'impressione che l'autore, forse vincolato dal poco spazio a disposizione, mostri troppo al lettore le dita che muovono i fili delle marionette e, per indirizzare gli eventi, utilizzando alcuni passaggi un tantino forzati. Che Larry Granger ne approfitti della somiglianza col fratello per cercare di far perdere le tracce prendendone il posto, era facilmente prevedibile, eppure né Tex, né tantomeno lo sceriffo, lo sospettano. Quest'ultimo, addirittura, dopo aver saputo che il mite bottegaio di colpo si è trasformato in Bruce Lee, strapazzando il cugino ubriacone e arrogante, non sente affatto la puzza di bruciato. Se fosse ignaro della presenza di un gemello malvagio, sarebbe un conto, ma si dà il caso che la stella di latta sia al corrente della parentela, quindi è assurdo che non nutra alcun dubbio. Altra scena che reputo un po’ esagerata, il fatto che il direttore di banca spifferi a Granger un segreto così importante a cuor leggero; passi che creda di avere a che fare con Scott, ma anche in questo caso, non si capisce come mai si lascia sfuggire una notizia così importante, se non solo per permettere all’autore di scodellare su un piatto d’argento al suo villain un facile piano. Ruju dopo Proteus, sembra averci preso gusto a escogitare trame con cambi d’identità, ma anche in questo caso, al netto della somiglianza dovuta al fatto di essere gemelli, mi chiedo come mai nessuno possa accorgersi di un diverso timbro vocale, evidentemente Larry poteva far carriera come imitatore. A tratti questo scambio fra fratello buono e malvagio, così identici da ingannare chiunque, mi ricorda una simile situazione vista sul film "Fracchia la belva umana" con Paolo Villaggio , comunque, citazioni demenziali a parte, ciò che non mi convince, è come Tex e Carson, dopo aver visto le tracce della loro preda dirigersi verso la cittadina, non mangino minimamente la foglia, facendosi di fatto quasi fregare da Larry. Consapevole di dover arricchire un po’ lo sciapo brodo, l’autore inserisce il bandito Montoya e la sua banda, ma stranamente rispetto al suo solito, toppa nella caratterizzazione di quest’ultimo. Ce lo vorrebbe mostrare come un feroce assassino con tanto di molossi di lizardiana memoria (vedi i Sette Assassini), ma nel proseguo della trama si rivelerà un vero bluff, sia per come viene facilmente sconfitto e per come si fa dirigere da Larry Granger, ex complice a cui dovrebbe portare rancore. Ci si mette pure la caratterizzazione grafica di Font che ce lo mostra quasi come una macchietta caricaturale influenzata da Pedrito El Drito a completare il quadro . Il finale rocambolesco, con lo spettacolare salvataggio del bebè a opera di Carson mette fine a un piano alquanto strano creato da Larry, che nell’epilogo non riesce più a farla franca grazie a Tex, che di colpo si ricorda di essere un eroe che non può farsi infinocchiare da un sosia e si accorge dell’assurda pantomima. A mio avviso lo spunto di soggetto se sfruttato meglio poteva dare vita a una storia interessante, così intrattiene ma la storia è deboluccia. Un po’ di curiosità suscitate dalla lettura: come mai Larry che vorrebbe ingannare i clienti all’emporio, si lascia andare alla tentazione di picchiare l’ubriacone arrogante? Il bello che a fine giornata è soddisfatto che nessuno abbia sospettato di lui, ma come può pensarlo dopo una simile smargiassata tipica di Fracchia, per tornare in tema di citazioni? Scena rara nella saga quella che vede una giovane e sorridente donzella versare acqua calda nella tinozza in cui sguazza nudo un soddisfatto Carson; non ci sarebbe nulla di strano a dire il vero, ma in passato eravamo abituati a eccesive azioni pudiche dei pards che portavano addirittura Tex a chiedere di voltarsi a Juliet Calvi perché doveva cambiarsi la camicia, quindi la sequenza si nota di più. Sprazzi di modernità nella saga, che passano pure nel termine “conciaossa” usato da Tex, o nell’accenno al sesto senso fatto da Granger che richiama al “quinto senso e mezzo” di Dylan Dog. Proprio in tema all’indagatore dell’incubo, anche il sottoscritto ha notato che le sembianze dei Granger siano affini al personaggio di Craven Road, così come il direttore di banca ricorda vagamente Groucho, evidentemente è stata una scelta dello sceneggiatore quella di omaggiare la collana a lui cara, che lo ha visto a lungo all’opera negli anni scorsi. Chiudendo il commento, posso dire che la storia, a mio avviso, raggiungere a stento una piena sufficienza. La prova di Font è molto altalenante e sempre più palesi i difetti di fisici troppo affusolati e visi troppo caricaturali. Suppongo che anche una presunta fretta di realizzazione non lo abbia aiutato, ma la tendenza a tirar via troppe vignette sta divenendo una costante. Font in fondo è così: o lo si ama o lo si detesta! Il sottoscritto ha sempre optato per una via di mezzo, ma riconosco che l’attuale involuzione del suo stile, già grottesco per natura, comincia a indispettirmi un po’. Il mio voto finale è 6
  21. Condor senza meta

    Il Tex di Boselli è veramente Tex?

    Il fatto che Tex possa essere in difficoltà ci sta, sai che noia se non lo fosse mai, ma nella scena di Medda, citata da Anthony, quello che, a mio avviso, fa storcere il muso fu che il nostro la spunta con un palese colpo basso. La sequenza come fu scritta dà la netta sensazione che il ranger, senza la ginocchiata negli zebedei dell'avversario, non avrebbe avuto chances di spuntarla e una cosa simile mi è un po' indigesta. Accettereste voi che Tex pur di vincere sparasse alle spalle dei nemici? La sua lealtà nei duelli ad "armi pari" è un paletto fermo a mio modo di vedere. Anche Nizzi contro gli energumeni di guardia alla Tigre Nera, permise a Tex un colpo basso, ma lì il duello, visto l'enorme differenza di stazza, era decisamente impari e tutto sommato la ginocchiata servì al ranger per colmare il divario e non disturba. Con O'Bannon, Medda mi diede l'impressione di umiliare un po' Tex e la scena non mi piacque affatto.
  22. Ammetto che mi aspettavo qualcosa di più della lunga storia di Ruju ambientata in Guatemala, ma l'autore è ampiamente calato sulla distanza. Sebbene non eccelsa, reputo Netdahe la storia migliore del lotto. Di conseguenza anche la mia preferenza per il personaggio va a Ramona, resa molto ammaliante da Seijas, sempre un asso nel rappresentare il fascino femminile. Le copertine di Villa sono tutte di pregiata fattura ma Guardia Rural mi ha letteralmente rapito: il contrasto tra il bianco e l'effetto pittorico, a tinte calde, con cui sono tratteggiati i cavalieri sullo sfondo, è straordinario. Claudio è un fuoriclasse ed è sempre una goduria studiare e ammirare le sue stupende cover.
  23. Condor senza meta

    Il Tex di Boselli è veramente Tex?

    O ignora quanto possano essere vendicativi i Carsoniani! Se fosse passato un soggetto simile, il rischio dell'autore di finire appeso al palo della tortura, era assai alto.
  24. Condor senza meta

    [716/719] Netdahe!

    Visto la miriade d’impegni, fra sceneggiature varie, opere di curatore e altri annessi e connessi editoriali, suppongo che Borden abbia bisogno di giornate di trentasei ore o sei braccia come la dea Kalì per poter sbolognare l’immensa mole di lavoro . Fisiologicamente, il sovraccarico lavorativo ha portato l’esigenza di un massiccio turnover nella regolare per permettergli di tirare un po’ il fiato, ma fortunatamente il suo nome continua ad apparire nelle storie più lunghe e ambiziose, per la gioia di chi come me, preferisce le trame con maggior respiro e intreccio narrativo, sviluppate su un numero maggiore di albi. Dopo l’avventuroso ritorno della figlia di Satania, l’autore si accinge a un’altra maratona narrativa, scegliendo stavolta un soggetto più western e a lui congeniale. I feroci Netdahe, appena citati nell’episodio precedente, quello con Nantan per intenderci, qui ci vengono subito mostrati nel brutale e violento incipit nel villaggio messicano. Boselli sfodera una serrata e truce sequenza per presentare ai lettori la ferocia degli antagonisti e si diverte a spiazzarci, facendo scalpare il giovane Tonio (tradito dalle corde della sua chitarra), dopo averci indotto a pensare che potesse proprio essere lui il sopravvissuto al massacro. L’amico che nel cimitero viene miracolato, ha il tempo di giungere a Canaan e denunciare l’eccidio ai Rurales e proprio nella scalcinata cittadina rincontriamo una vecchia conoscenza: il tenente Castillo! Non nuovo a certe trovate, Borden di colpo cambia scenario e sceneggia l’avvincente vendetta contro il corrotto colonnello Atwood, una parentesi di quasi un albo che chiude idealmente la precedente vicenda di Nantan e si fa apprezzare soprattutto per la gustosa recita al tavolo da poker di Tex e i suoi pards, per ingannare gli sgherri mandati dall’ufficiale per sopprimere il testimone atto a incriminarlo. Una sequenza divertente e piacevole che poteva benissimo funzionare come episodio a sé stante, ma che Borden incastona nella sua trama, anche per poter tirare in ballo la presenza di Nantan e del capitano Webster. Sarà proprio l’evasione di Uday, fuggito per raggiungere i Netdahe oltre confine, a fungere da pretesto per la missione di Tex e company sotto il sole messicano. Con la consueta maestria Boselli cuce i vari fili della trama fino a ottenere un intreccio avvincente, contraddistinto da buoni ritmi narrativi e molta azione. I dialoghi a volte sembrano appesantirsi un po’, ma tutto il contesto funziona e non ci si annoia di certo. L’ingresso in scena dell’affascinante dona Ramona di Rancho Verde, che salva Castillo e se ne innamora, sebbene posta sull’altro lato della barricata, arricchisce di ulteriore spezie la vivanda e anche il rural, sebbene sembri deciso a non perdonarle il traffico d’armi con gli irriducibili indiani, sul finire getterà la maschera e mostrerà i suoi sentimenti. Nel pirotecnico finale, i nostri hanno la meglio sugli avversari e tra polvere da sparo, agguati e coraggio, c’è pure gloria per Nantan, che riesce a sconfiggere l’infido cognato. Storia che mi è piaciuta, sebbene non catalogabile nell’olimpo delle creazioni boselliane su Tex. A proposito, come non citare l’interessante escamotage usato da Mauro, abbastanza inconsueto sulla saga, ovvero lasciare aperto uno spiraglio per collegare questo episodio con il Maxi dei Tre Bill: infatti nel balenottero pubblicato, qualche mese dopo, che vede il team up con il terzetto di eroi creati da G.L. Bonelli, sarà proprio la dissidente banda di Tiago, fuggita sul finale, a essere tirata in ballo. Esperimenti di continuity narrativa di cui Borden è un maestro e ammetto che personalmente adoro. Anche questo aspetto apporta quella dose di ammodernamento della testata, indispensabile per dare freschezza a una serie che batte ogni record di longevità e successo. Se Boselli è da promuovere senza riserve, Seijas stavolta non si mantiene sui suoi consueti livelli. Forse la lunghezza della prova ha influito, magari la fretta realizzativa ha portato l’artista a curar meno i dettagli, tuttavia, sebbene ancora abbondantemente sulla sufficienza, bisogna riconoscere che il tratto è più approssimativo e molte vignette tirate un po’ via. Il disegnatore argentino continua a essere un asso nel disegnare le donne, Ramona in effetti è molto sexy (e non solo per via della "scabrosa" vignetta del capezzolo ) ma l’inchiostrazione è meno pulita rispetto al passato e ne paga la leggibilità di alcune vignette, appesantite pure da un bilanciamento tra bianchi e neri un po’ più incerto e spessori di linea troppo uniformi che spesso tolgono profondità. Spero sia solo un caso isolato e non un incipiente segno di parabola discendente di un autore che stimo e che negli ultimi anni ha contribuito alla grande sulla regolare. Il mio voto finale è 8
  25. Il Nizzi 2.0, nell’arco di pochi mesi è riapparso per la seconda volta sulla regolare. Per l’occasione il redivivo sceneggiatore, abbandona gli assolati deserti del sud, per riproporre un’ambientazione fluviale, a lui congeniale in passato. Fin dal “via” si capisce subito che l’autore, senza alcuna ambizione sperimentale, vuole venire incontro al lettore tradizionale, con una sceneggiatura ricca di vecchi topoi nizziani e infarcita di situazioni, non innovative, ma sempre funzionali. In tal ottica viene inserita la lunga sequenza al ristorante, con il consueto siparietto ironico con Carson o la scelta di ripescare Gross Jean, un personaggio sempre molto da lui utilizzato, fin dal suo periodo migliore. I dialoghi, sebbene non più all’altezza del passato, tengono botta tutto sommato, pure il ritmo non è malaccio ma è pur vero che il tutto scorre in maniera molto lineare e senza grandi colpi di scena. Sembra che tutto segui un copione rodato ma noto, ma in fondo allo sceneggiatore sembra vada bene così e anche il lettore finisce con l’abituarsi e accettare, una trama meno ambiziosa ma tutto sommato divertente. Lo spunto di soggetto della lotta fra compagnie di battelli si rifà alla Banda del teschio di fine anni 80, l’assalto notturno nel battello mi ricorda l’incipit del ritorno della Tigre Nera, come la confessione del moribondo a Gross Jean la trovata dell’incipit di Yukon selvaggio con le dovute modifiche, d’altronde anche altre scene hanno il gusto di cose già viste, ma Nizzi, senza fare cose eclatanti, porta il compito a casa e rispetto all’Assedio di Mezcalì compie un passetto avanti. Sull’incriminata scena del battello, si è discusso per pagine e pagine e non mi sembra opportuno indugiarci troppo, comunque provo a dire la mia brevemente: concordo con Diablero sul fatto che la scena sia sbagliata, nel senso che una tale sorpresa poteva essere accettata solo se i pards fossero all’oscuro dei piani dei sabotatori, ma si dà il caso che Gross Jean già nelle prime pagine spieghi agli amici tutto il marcio, quindi almeno stabilire dei turni di guardia era il minimo. Posso solo contraddire il buon Diablo sul fatto che Tex non esce nel corridoio in semplici mutande, bensì in un ridicolo mutandone lungo che in effetti non si può guardare. Mancavano solo i pois! A parte le battute, scena che andava corretta, ma bocciare tutto l’episodio solo per questo, mi sembra esagerato. Molto più grave e indifendibile l’errore di Nizzi sulla breve del recente Color, ma non è questo il topic per ricordarlo. Il secondo albo abbonda di azione e sparatorie (anche troppe!), forse gli indiani fanno troppo la parte della carne da macello e gli avversari non si rivelano del tutto irresistibili. Il finale è contraddistinto da una scena forzata, col capitano che prima spara al testimone dinanzi a decine di testimoni, senza peraltro ucciderlo, e poi non trova di meglio di darsela a gamba e condurre direttamente i rangers dal capoccia. Storia di certo non indimenticabile, né tantomeno ambiziosa, ma bisogna riconoscere che non annoia. Ci sarebbe da mettere una firma per il mantenimento di un simile livello di Nizzi al suo ritorno, d’altronde visto l’età e i suoi precedenti, dubito che possa fare di meglio. Episodio ampiamente sufficiente e superiore alle due precedenti prove dopo la lunga pausa. Molto buona la prova grafica di Mastantuono, che episodio dopo episodio, mostra un lento ma continuo miglioramento stilistico. Il tratto del disegnatore romano conserva tutti gli aspetti “sporchi” degli inizi, con vignette molto cariche di neri e forti contrasti, ma noto una tangibile evoluzione positiva nell’esecuzione delle espressioni facciali, meno spigolose del passato e molto più armoniose ed espressive. Il suo Tex è meno truce del passato e spesso sorridente, ma anche gli altri pards non sfigurano, con una caratterizzazione di Gross Jean originale ma che a me è piaciuta. Anche la leggibilità delle vignette ha fatto passi da gigante e ammetto che vignetta dopo vignetta, il disegnatore ha finito col conquistarmi negli anni. Unica curiosità: in che centro di bellezza si è recata Tenera Betulla per trasformarsi così tanto? L’avevamo lasciata nella celebre storia di Fusco molto corpulenta e goffa, mentre qui sembra una modella sexy uscita da Playboy. E dire che Fusco le indianine le sapeva disegnare bene, deduco che la caratterizzazione della fiamma di Jean, allora fu dettata dallo sceneggiatore. Oggi Mastantuono si prende una grande “licenza poetica” rappresentando una gran gnocca, evidentemente l’aria del nord fa bene al fisico . Il mio voto finale è 6
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