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Condor senza meta

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Tutto il contenuto pubblicato da Condor senza meta

  1. Ripeto: de gustibus... Non starò qui a sindacare chi può aver torto o ragione, perchè è ovvio che in questi "ipotetici confronti di vedute" non ci sarà mai ne vinto ne vincitore. Sul fatto che la sceneggiatura sia consona al livello di Boselli mi trovi d'accordo, sugli altri aspetti del soggetto che tu trovi perfetti, un po' meno. "Il mondo è bello perchè è vario!" 🙂
  2. Se è per questo, In un altro post si è criticato "Nei territori del Nord-Ovest" che a mio avviso è una gemma narrativa di Boselli: anche il sottoscritto potrebbe sindacare che sia una vera e propria "eresia" avere da ridire di quel maxi, ma non credo abbia senso, soprattutto per rispetto di un'opinione diversa dalla mia. Ogni lettore apprezza e giudica le storie secondo il proprio gusto, personalità ed emozioni suscitatagli dalla lettura. 🙂
  3. Non tutte le ciambelle riescono col buco e anche a “mastri dolciari” del calibro di Boselli, capita alle volte di poter bruciare le sue torte. Noto che anche stavolta vado controcorrente rispetto alle opinioni di coloro che mi hanno proceduto finora nei commenti, ma personalmente la prova, che vede il ritorno di Bronco Lane, a me non ha affatto preso. Già alla data della sua pubblicazione nel 2007 la mia reazione era stata tiepidina, ma anche oggi, rileggendola nuovamente dopo svariati anni, continua a convincermi poco. Non me ne voglia Borden ma a tratti l’episodio mi dà impressione di essere un po’ sfilacciato. A mio modo di vedere il punto debole è il soggetto, non impeccabile e sebbene l’autore sfoderi la consueta abilità di sceneggiatura, la trama ne risente. Dopo un incipit ad effetto (e un po’ fine a se stesso a dire il vero) con protagonista il giovane navajo Nehdi, la narrazione prende tutta un’altra piega e i riflettori si spostano su Kit, che per l’occasione opera e si muove lontano dalla ombra ingombrante del padre. L’incontro casuale con l’amico Bronco e il “vivace scambio di opinioni” con il tetro Bounty Killer che segue la pista del giovane, parrebbe indirizzare gli eventi verso una linea ben definita, ma anche questa sarà una falsa impressione. Di colpo e alquanto in maniera inaspettata, appare dalla nebbia la posse dello sceriffo Hugh Langdon e finalmente il lettore comprende che proprio la caccia dell’ineffabile stella di latta rappresenterà il fulcro della vicenda. Primo passaggio opaco che non mi affascina: aldilà della crudeltà eccessiva del barbuto uomo di legge al limite della psicopatia criminale, è proprio il loro arrivo nella Black Valley a non convincermi. Se la Posse fosse sulle tracce di Bronco, potrebbe essere plausibile, ma si fa fatica ad accettare che un simile segugio, proveniente dall’Utah, capiti erroneamente a incrociare la pista dei due giovani basandosi da una presunta confessione di un bandito moribondo, perdendosi completamente i veri colpevoli della rapina che, se non fosse per l’intervento di Carson, l’avrebbero fatta franca in Messico. Traspare la sensazione che lo sceriffo ce l’abbia proprio personalmente con Kit, ma di fatto, dal soggetto, non è così. Tutta la sezione narrativa successiva, che vede il gruppo di Kit dover sfuggire alla caccia di Langdon e soci è avvincente, però anche il sogno premonitore del padre di Nehdi che mette in moto Tex, mi pare uno snodo un po’ forzato. E’ vero che già in altre occasioni il nostro ranger tenga in considerazione simili imbeccate “soprannaturali” ma nello specifico la cosa non mi fa fare salti di gioia. Come per una volta mi delude l’eccessivo buonismo nella caratterizzazione di Catlett, che da presunta anima nera della storia, diventa un po’ troppo facilmente un fedele alleato dei nostri. Tex addirittura gli affida il compito di pedinare Langdon fuggito alla chetichella durante lo scontro decisivo fra le compagini a Quemado e onestamente questa scelta è atipica per lui, visto che ci si aspettava che seguisse personalmente fino in capo al mondo il verme che stava per impiccare il figlio. Non brilla rispetto all’esordio nemmeno Bronco, che appare a tratti più un pretesto per la storia che il simpatico e spericolato alleato che avevamo conosciuto tra le pagine della lotta con la cricca di Jack Thunder e anche la sua morte, non ha raggiunto quel livello epico e di pathos che mi sarei aspettato. Più effetto genera l’impiccagione di Catlett per opera sempre del villain, lasciato "troppo" libero di girare un mese e prendersi la stella in un nuovo villaggio. Strano lo stacco narrativo e ancor più il fatto che Tex lasci così tanto raffreddare la pista. Il duello finale nella main street è un epilogo classico e funzionale ma non basta a lenirmi quel senso di amaro in bocca per un episodio, che molti considerano un capolavoro, mentre a me non ha mai troppo convinto. La soggettività è alle base di ogni valutazione, e ammetto che di rado le prove di Boselli non raccolgono i miei apprezzamenti, però stavolta è uno di quei rari casi. Font se la cava egregiamente, ricomponendo di fatto un duo vincente con Borden, sostituendo Raffaele Marcello. Ho scoperto in passato sul forum che proprio al ligure era stato affidato, come prassi, il ritorno di Bronco nato dalla sua matita anni prima. Stranamente dopo la realizzazione delle 220 tavole, la casa editrice bocciò l’opera per insufficienza artistica e fece ridisegnare ex novo la sceneggiatura a Font. Desumo che i problemi di salute di Marcello abbiano fatto crollare il suo livello qualitativo e stilistico, anche se la tavola postata sull’articolo del Magazine, non mi sembrava così pessima da giustificare una tale scelta: forse rappresentava un’eccezione. Il mio voto finale è 5
  4. Per la seconda volta consecutiva vediamo Tex agire in solitaria in una storia di Nizzi, e già questo fa notizia. O meglio, a dire il vero, il nostro ranger non sarà affiancato dai consueti pards, bensì da un ex sceriffo suo amico di vecchia data e tutto sommato anche questo può starci. Tuttavia ammetto che dalla data di uscita in edicola, non avevo più riletto la storia e oggi dopo averla rispolverata, ho capito il perché. I disegni di Civitelli meritano di essere ammirati e studiati, forse troppo puliti per l’ambientazione ma pur sempre eccezionali, ma la storiellina verbosa, alquanto lenta e dal soggetto insulso che ci venne propinata, proprio non riesce a incontrare il mio gradimento. La trama già parte con un vizio di fondo non indifferente: un uomo della risma dello sceriffo Daves è illogico che, dopo l’uccisione della moglie a opera dei banditi, attenda quindici anni per seguire la pista della doverosa vendetta. In primis dopo tutto questo tempo trovare utili tracce per l’individuazione dei killers è quasi paragonabile a ritrovare un bracciale perso anni prima in mare durante un bagno estivo, ma ancor più dura da accettare che lo sceriffo rinvii la sua ricerca solo per seguire il consiglio dell’amico sindaco che addita motivazioni deboli come la cura dei figli. Qualche sospettino non ti sorge? Siamo nel selvaggio west, non in Candy Candy! 😃 Tolta questa premessa, a me onestamente fa venire l’orticaria lo snodo narrativo dell’eremita stalliere che indirizza i nostri sulle giuste tracce dopo un’eternità di tempo. Il simpatico vecchietto è in grado di snocciolare nomi e indirizzo, meglio di così Tex non poteva aspettarsi. Va bene che la fortuna bacia gli audaci, ma il ranger con il “lato B” che si ritrova potrebbe benissimo giocare al superenalotto e sbancare il jackpot, altro che attingere l’oro dai Monti Navajos. 🤣 Nizzi in evidente difficoltà di montare una degna impalcatura di sceneggiatura, continua confusamente la narrazione con ulteriori passaggi poco convincenti, quali la scelta dei banditi di mettere radici a pochi passi dal luogo della rapina compiuta anni prima e l’ulteriore prezioso alleato, il giornalista della “Gazzette” che, neanche fosse un agente Pinkerton in incognito, scartabella una lunga pila d’informazioni sui malfattori che praticamente chiude di fatto l’indagine e conferma ai nostri i loro sospetti. Quindici anni di attesa risolti in poche “vignette”, non il massimo come pathos in un’avventura fumettistica. Da qui ha inizio una serie di agguati a catena e l’immancabile pistolero prezzolato assunto dal villain per sopprimere Tex. L’azione nel secondo albo non manca e tutto sommato Tex se la cava bene, mettendo in mostra tutta la sua abilità con le colt e contrappesando la mancanza di intuito d’indagine. Il ranger che Nizzi propone in storie simili pare uno di quei sbirri americani tutto muscoli e abilità con gli sputafuoco, ma poco acume investigativo e da sbirro tradizionale ragiona, visto che più di ottenere giustizia, si scervella nei cavilli legali di processi e testimonianze. Ci sta che non voglia fare giustizia sommaria sempre e comunque, ma a tratti sembra più Perry Mason che un ranger del Texas. La presenza di Charles Bronson sfregiato, ehm… il killer misterioso che agisce nell’ombra e praticamente compie lui la vendetta uccidendo i due banditi superstiti della rapina di Silver Bell, nell’intenzione dell’autore dovrebbe aggiungere un tocco di giallo alla vicenda ma l’arcano è molto telefonato, poiché è facile intuire quali mani tengono i fili. Anche qui Tex, nei panni di Gastone di dysneliana memoria, sbroglia la matassa grazie a una botta di fortuna. Sarà l’incontro fortuito con il governatore Anderson a fargli scoprire la macchinazione e con una facilità eccessiva riesce prima a stendere il killer professionista e poi ottenere la confessione del politico pentito delle sue malefatte. Sarò tacciato di pignoleria, ma anche la caratterizzazione di Anderson, secondo me, fa acqua da tutte le parti: già è poco plausibile che un aspirante scaldasedie si affidi a banditi comuni per spartire la refurtiva di una rapina in banca nel proprio paese e ancor meno il fatto che diventato un pezzo grosso non venga affatto ricattato da loro. Anche la sua amicizia con Daves è troppo controversa, se davvero la coscienza gli rimordeva tanto, perché ingaggiare un killer dopo quindici anni per salvarsi le spalle? Evidentemente l’egoismo prevale sui rimorsi e se è così, come mai arrendersi senza controbattere a Tex? In fondo il ranger senza confessione con quali prove avrebbe potuto portare in tribunale un politico altolocato? Mi spiace, ma se nelle altre storie almeno il mestiere di Nizzi aveva garantito un minimo di congruenza, stavolta la prova per me è insufficiente. Splendidi come al solito i disegni di Civitelli, ma tanto che ve lo ripeto a fare, è uno dei miei disegnatori preferiti. Piccolo appunto: come mai Anderson dopo quindici anni non ha mai cambiato giacca? Non credo che non avesse i soldi per acquistarla 😜😅. Il mio voto finale è 4
  5. Vedere Tex in solitaria che agisce in una storia scritta da Nizzi non è usuale, maggiormente nella regolare dove l’autore ha sempre preferito schierare a suo fianco l’affiatato Kit Carson. L’episodio in se non è di certo memorabile; alla rilettura dopo anni appare come un piacevole riempitivo composto con molto mestiere, che non fa gridare al capolavoro, ma almeno non presenta falle narrative evidenti. La banda di Lee Ramsey non rientra di certo nella lista degli avversari più celebri del nostro eroe, soprattutto il capobanda, che vuoi o non vuoi è solo un bandito alquanto vigliacco (vedi la fuga solitaria lasciando i suoi uomini in balia degli avversari durante l’assalto di Greystone) e odiosamente venale e traditore, basti notare come si libera della sua complice, dopo averla illusa di ricambiare il suo amore. Tex comunque dà l’impressione fin dall’inizio di saper tenere sotto controllo la situazione e rispetto ad altre storie, non commette errori eclatanti o colleziona figure da piccione. Il giallo dell’identità della spia misteriosa, è un tocco aggiuntivo al soggetto ma a dire il vero, spoiler a parte della terza di copertina relativa all’albo successivo, è tutt’altro che proibitivo. Liza, se da un verso pare recitare bene la parte, dall’altro con l’amnesia mostra un debolissimo pretesto, difatti Tex non si lascia ingannare e sfrutta la scoperta a suo vantaggio per eludere l’assalto dei nemici. Originale e simpatica la sequenza del campo minato e discreta la caratterizzazione che l’autore dona agli abitanti del villaggio che affiancano il ranger. Non manca mai l’ironia nel descrivere questi personaggi, esempio ne è il becchino del paese che ha come unica preoccupazione quella di farsi pagare le sepolture, o la smargiassata di Otis che millanta, per farsi bello dinanzi a Liza, di avere un seguito di uomini pronti ad assaltare i banditi, quando la realtà è molto diversa. Pure l’anonimo baffetto che urla al linciaggio a pericolo passato ma che si è ben guardato di fornire per codardia il suo aiuto, rientra nella cerchia di personalità a cui l’autore dà risalto, per cercar di arricchire la sua sceneggiatura. L’epilogo nella foresta non è male, anche se la fine banale che fa Ramsey crollando nel burrone lo sporca un po’ e mi ricorda vagamente la simile sorte che l’autore destinò ai villain de “La grande rapina”, con tanto di “beffa” con la pioggia di denaro, che fa pronunciare a Tex in questo caso il noto detto ”che la farina del diavolo finisce in crusca”. Episodio accettabile che merita ampiamente la sufficienza e che vide l’esordio di Milano ai disegni. La sua prova non fu affatto malvagia soprattutto nel primo albo, visto che nel proseguo qualche cenno di approssimazione si fa più evidente in alcune vignette, ma ammetto di trovare il suo stile alquanto anonimo. Mi spiego: ci sono quegli artisti che riconosci fin dalla prima vignetta, visto che il loro stile grafico è un vero marchio di fabbrica (esempi possono essere Galep, Ticci, Fusco, Villa, Monti, Ortiz e via dicendo) nel caso di Milano, se non leggessi il suo nome nei crediti farei fatica a distinguerlo da altri disegnatori a dire il vero. Purtroppo questo aspetto, che alcuni potrebbero considerare secondario, a me mette un po’ tristezza. Al giorno d’oggi, è aumentata di certo la cura nei dettagli e realismo visivo dei disegnatori, ma spesso nelle nuove leve di fumettisti scorgo una sorta di uniformità stilistica che sacrifica la personalità artistica molto forte e accentuata nei mostri sacri del passato. Milano, seppur un professionista preparato, non mi dona particolari emozioni. Il mio voto finale è 6
  6. Condor senza meta

    Il Tex di Manfredi

    Sono da sempre un grande estimatore di Manfredi, fin dalle sue prime opere bonelliane su Dylan Dog e soprattutto per Magico Vento, una serie davvero notevole. Concordo con @Carlo Monniche è senza dubbio uno dei più grandi sceneggiatori italiani (oltre che un talento poliedrico che lo ha portato a essere cantautore, paroliere, scrittore, sceneggiatore per tv), ma anche per il sottoscritto, il contributo su Tex non è mai stato all'altezza del suo spessore artistico. Ho sempre pensato che il personaggio non sia nelle sue corde e ciò gli impedisca di far fare il salto di qualità alle sue opere sulla testata. P.s. Un piccolo aneddoto che ricordo volentieri per descrivere anche la sua gentile disponibilità: proprio in virtù della stima nei suoi confronti, qualche anno fa gli sottoposi una bozza di un mio racconto per ricevere un giudizio, convinto di avere poche possibilità di ricevere risposta. Non solo lesse tutto il racconto, ma mi fornì pure un giudizio onesto ed esaustivo, unito a una ricca sfilza di suggerimenti che mi è stata molto utile.
  7. Se nell’episodio precedente Nizzi aveva architettato una buona storia, ciccando però sulle azioni e gli atteggiamenti di un Tex poco riconoscibile, nella prova in questione anche questo aspetto fu alquanto soddisfacente e l’esito finale risulta notevole. Rileggendola di recente, ho avuto l’impressione di trovarmi dinanzi a una delle storie più riuscite dell’autore nel post 500, molto carica di azione e suspense. Una trama avvincente, con un ritmo narrativo accettabile e un soggetto, sebbene non originalissimo, ma sempre efficace. Tex stavolta è più decisivo e non incappa nei fastidiosi passi falsi delle ultime prove. Funzionale il suo piano per permettere l’evacuazione dei cittadini, stretti d’assedio da una banda di irriducibili comanche diretti dal furente Puma Zoppo, desideroso di vendicarsi per una triste e ingiusta vessazione subita da ragazzo ad opera di un nugolo di razzisti di Alamita. I nostri saranno costretti a dividersi i compiti ma riusciranno brillantemente nei loro piani. Carson sparisce dopo il primo albo, ma risulta comunque molto attivo nell’azione di difesa del ponte ferroviario che gli indiani vorrebbero buttare giù per impedire agli evacuati di raggiungere la vicina Redville. Anche Tex e Tiger si divincolano bene e conducono con decisione e coraggio i fuggiaschi di Alamita verso il vicino forte militare. Nizzi riesce a stilare una sceneggiatura in crescendo, che genera molta tensione e coinvolgimento nel lettore. A tal avviso, come non citare la scena dei candelotti di dinamite che vede il nostro rischiare di rimanere sepolto sotto una tonnellata di roccia, a causa del tentativo di vendetta del bieco Brody. A essere pignoli forse dargli le spalle in quel frangente è una leggerezza, ma sarà l’unico aspetto negativo che mi è sembrato di riscontrare. L’arrivo finale della cavalleria, scena che spesso mi ha fatto storcere il muso in altre circostanze, stavolta è accettabile come soluzione narrativa e anche la cruda sequenza con Puma Zoppo che si vendica con egual moneta della coppia di fratelli che anni addietro gli avevano portato violenza, fa molto effetto. L’autore stavolta appare anche più attento nel pennellare le caratteristiche dei personaggi secondari, vedi il sergente del primo albo o alcuni dei cittadini che, sebbene contro voglia, accettano di abbandonare le proprie case per evitare l’incursione comanche. Forse qualche pagina in più nello scontro finale con la morte di Puma Zoppo poteva starci, ma evidentemente l’autore stava andando “fuori tempo massimo” col numero delle tavole. Lettura soddisfacente, magari non ai livelli migliori di Nizzi, ma decisamente superiore rispetto la media altalenante di quel periodo. Ortiz si mostra sempre efficace ai pennelli ma è innegabile che da queste tavole si comincia a notare un incipiente involuzione stilistica, che si manifesta con vignette a mio avviso poco curate e alcuni tratti tirati un po’ via. Il rapporto qualità-velocità sempre garantito fino ad allora dal disegnatore iberico, causa ragioni anagrafiche presumibilmente, cominciò a scricchiolare. Il mio voto finale è 8
  8. Se dovessi valutare la storia come narrazione puramente western e fuori contesto della saga di Tex, potrei ritenermi soddisfatto, perché è indubbio che il lavoro di Nizzi si fa apprezzare, per drammaticità, costruzione narrativa con lungo flashback che porta il lettore all’epilogo finale, inevitabile e molto malinconico, l’emblema della sconfitta dei nativi dinanzi l’ingiusta arroganza dell’uomo bianco e le sue leggi. L’autore descrive con molta intensità Nantay, il vero protagonista dell’episodio e anche il sottoscritto durante le sue peripezie in cerca di vendetta, rivede vagamente la figura di Apache Kid descritta decenni prima da Gianluigi Bonelli. È indubbio che alcune scene raggiungono vette emotive notevoli, vedi la doppia vignetta in cui Nantay in preda al dolore urla al figlio di non scordare mai il nome dell’assassino della madre, e la fucilazione finale di Santos, che fedele alla promessa fatta al padre, paga con la vita la sacrosanta vendetta contro il generale Leland, l’anima nera dell’episodio. Ammetto che estrapolando Tex dalla narrazione, l’opera narrativa di Nizzi è di livello, pervasa di una malinconia crepuscolare che tocca l’anima e a tratti commuove, purtroppo non si può dimenticare che la prova fa parte della saga del ranger e di conseguenza nella valutazione complessiva pesa pure l’utilizzo e le azioni del protagonista. Nizzi dopo essersi calato perfettamente nel ruolo per circa un decennio, scrivendo storie impeccabili e caratterizzando Tex in maniera tale da non rimpiangere tanto il grande Bonelli, negli anni perse l’orientamento della gestione dell’eroe e storie simili fungono da prova a questa tesi. Al netto di una buona narrazione, anche anomala per struttura, visto che è per la quasi totalità ambientata in passato e si conclude al presente con poca azione, ciò che più stride è proprio Tex. Rileggendo dopo tanti anni i due albi, quella sensazione di un ranger mesto, quasi irriconoscibile che provai allora, mi si è rafforzata. Il nostro beniamino nell’economia della trama incide davvero poco e non ne imbecca una giusta nemmeno a caso. Un primo grave passo falso, il fidarsi di Leland quando gli garantisce che farà indagini su Nantay. Un buon giudice di uomini navigato come lui, non può commettere una simile ingenuità, ancor più aggravata dalla sua consueta ritrosia nei confronti di certi “tacchini gallonati”. È pur vero che cerca di mettere una pezza, liberando Nantay, in quella che realmente sarà forse l’unica azione decisiva che compie nelle 220 tavole, ma la pecca rimane. Anche la confessione scritta estorta sotto la minaccia delle colt è una scelta narrativa troppo abusata dallo sceneggiatore che a livello legale avrebbe poco valore, così come è assurdo che incassi senza batter ciglio, la beffa dell’accerchiamento al trading post. Il sospetto che Leland abbia di proposito eliminato il colonnello che aveva preso accordi con lui, non lo ha minimamente sfiorato? D’altronde non sarebbe stata la prima volta che l’infido ufficiale, pur di salvaguardarsi, avesse avallato omicidi come nel caso di Merrick, ucciso in carcere con il palese obiettivo di non testimoniare contro il potente complice. Troppo arrendevolezza di Tex dinanzi questi ingranaggi degli eventi, un triste spettatore in balia dei piani dei nemici che arriva pure a rimpiangere il fato che si è rivoltato contro in quello che verosimilmente è un’altra mossa spietata del villain. Mi duole dirlo, ma questo era diventato il Tex di Nizzi nei primi anni 2000? Che fine aveva fatto quel baldo eroe acuto e ironico che aveva brillantemente agito in storie memorabili come “La leggenda della vecchia missione” o “La congiura”? Pure brutta davvero, la scena in cui ordina a Tiger di reagire; non mi va giù: i due sono quasi fratelli e questa subordinazione del navajo non l’accetto, ci trovo quasi una punta di razzismo nell’ordine di Tex che deve dare il bene placido al pard indiano per rispondere alla provocazione. Vignette che andavano tagliate in fase di editing a mio avviso. Risulta pure un po’ al limite la sequenza finale in cui i nostri non muovono un dito per salvare Nantay dall’assalto dei soldati condotti da Leland: Tex nascosto sullo sperone roccioso che assiste alla morte dell’Apache senza cercare in nessun modo di salvarlo non mi sembra plausibile; capisco che non voglia sparare sui soldati ma in altri casi con arguzia era riuscito a boicottare intere azioni militari senza ricorrere alle armi (vedi contro il generale Stonewell), di conseguenza la sua passività quasi codarda, non è da lui. Un elogio convinto ai disegni di Andrea Venturi, sempre più a suo agio nella serie e perfetto nell’espressività di alcune scene chiave dell’episodio. Molto apprezzabili le sue inquadrature e, aspetto non scontato, la bella caratterizzazione grafica di Huana, non sempre le native hanno ricevuto un cosi fascinoso trattamento dai disegnatori della saga. Riepilogo finale: la storia in se meriterebbe l’otto pieno, valutazione che scende di due punti visto gli errori di comportamento texiani non indifferenti che commette l’autore, ma mi va di abbuonare un ulteriore punto grazie alla buona prova ai pennelli di Venturi. Il mio voto finale è 7
  9. Anche i segnali di fumo a mo' di telegrafo rappresentano una licenza narrativa abusata nella serie, per non parlare del fatto di poter stabilire dalle tracce quanto tempo è trascorso dal passaggio dei fuggitivi. Si perde il conto in quante situazioni i vari autori hanno usato queste "forzature" nelle loro sceneggiature, ma ci stanno. La fantasia in un fumetto come Tex non deve essere del tutto imbrigliata a mio avviso, se no si perde quella sorta di magia che solo le nuvole parlanti sanno sprigionare.
  10. Non trovo sia una scena tale da "far gridare allo scandalo", visto che Gian Luigi Bonelli fin dalle origini volle creare un rapporto di complicità molto forte fra Tex e il suo fedele cavallo. GLB alle volte osò ancor di più, visto che mi par di ricordare delle vignette in cui Dinamite arrivò perfino ad aiutare il padrone scavando nei pressi della fossa in cui era stato interrato dai nemici. Ovviamente si può discutere sulla plausibilità o meno di simili scene, ma sai che noia la lettura di un fumetto senza qualche "licenza poetica"
  11. Storia di livello, frutto di un Boselli ispirato e abile a costruire un impalcato narrativo alquanto solido e una sceneggiatura attenta, efficace, con i giusti tempi. Nel performante ingranaggio dell’episodio si aggiunge un’ottima schiera di comprimari, ben caratterizzati e funzionali, vari colpi di scena inseriti negli snodi giusti della trama e il giallo sull’identità del complice, ben celata fino all’ultimo, che arricchisce il soggetto e tiene alta l’attenzione del lettore. Il prologo nella città morta è scritto molto bene e ci mostra le caratteristiche di Scott Dunson, e serve a preparare il terreno alla trama vera e propria che inizierà col viaggio in diligenza nella parte successiva. Dunson, sebbene a primo acchito sembrerebbe il vero villain della storia, nel proseguo si mostrerà un personaggio grigio con tante sfaccettature: un rapinatore con cervello che evita di spargere sangue, mostrando un discreto senso dell’onore e nella fase topica della vicenda, agirà quasi da eroe nello scontro contro gli Apache di Loco. Non sarà l’unico personaggio che Boselli tratteggerà magistralmente. Ben riuscite risultano pure le figure di Shadow (vedrei bene un suo futuro ritorno sulla saga), il truce Morris, Sam Ritter, i due scout indigeni. Il quadro si completa con le presenze funzionali di Desmon, Benny, il gambler, Annabelle e l’avvocato. Un parco personaggi di tutto rispetto che viene gestito alla perfezione dall’autore e dona consistenza a una trama scoppiettante. L’ingresso in scena degli Apache, stravolge le carte e incanala gli eventi verso binari inattesi. Merita un plauso l’autore per come tiene alta la tensione per tutto l’arco dei due albi, avvalendosi di dialoghi idonei e scene ben architettate. Mi è molto piaciuto pure il ruolo di Tex nella trama, un eroe che sotto la gestione di Borden recupera le sue caratteristiche peculiari ed è un vero piacere vedere in azione, di contraltare un po’ defilati i due Kit. Unico neo che riscontro, il finale un po’ affrettato per quel che concerne la scoperta del misteroso complice di Dunson e il modo in cui Morris e Annabelle riescano a dileguarsi, senza che i nostri possano far nulla per impedirlo. Senza la vendetta dei superstiti Apache che casualmente incrociano la loro pista, i due serpentelli avrebbero preso il volo salutando la compagnia. Una sequenza che delega il destino a scrivere la parola fine e punire i villain, ma che non influisce più di tanto a sporcare una ben riuscita prova. Manfred Sommer contribuisce al buon esito con tavole piacevoli, bilanciate e ben strutturate. Il suo stile sembra un misto fra il tratto classico di De La Fuente e quello latino di Blasco; la pulizia di alcune vignette mi ricorda vagamente Nicolò, anche se l’artista iberico è indubbiamente meno elegante del compianto autore fiorentino. Anch’io trovo che rispetto al texone il disegnatore abbia mostrato grandi progressi, forse dovuti pure a una migliore conoscenza del personaggio dopo la “gavetta” dell’albo speciale. Peccato che “L’ultima diligenza” sarà la sua unica apparizione sulla regolare. Il mio voto finale è 8
  12. Il fascino del grande Nord con le sue foreste innevate, le lande desolate solcate da fiumi irrequieti e pieni di rapide, le mute trainate dai cani o l’imprescindibile fuoco sfavillante di bivacco per superare le gelide notti all’addiaccio, hanno sempre rappresentato un valore aggiunto nelle storie ambientante nel selvaggio Canada. Da Gian Luigi Bonelli in poi tutti gli autori alle prese con le sceneggiature di Tex hanno spesso optato per ambientare le proprie avventure in questo splendido scenario e spesso gli esiti sono stati superlativi. Anche Boselli, che già col suo capolavoro sul Maxi di “Golden Eye” aveva mostrato la sua grande abilità in simile ambientazioni, arricchì il suo curriculum texiano con l’episodio in questione, che, sebbene non ai livelli del suo top realizzativo, rappresenta davvero una più che soddisfacente prova. L’autore che ha sempre mostrato senza remore fin dall’esordio il suo stile di scrittura originale e “fuori dagli schemi”, portando una ventata di aria nuova e vitale per la saga, con altrettanta semplicità riesce a calarsi con ottima resa nella tradizione gbonelliana, intervallando saggiamente le sue sceneggiature e accontentando i palati di ogni lettore. “Intrigo nel Klondike” è una bella storia classica e piena di azione, che si legge con molto piacere. L’idea di intrecciare due sottotrame si rivela azzeccata e la presenza anche di un’indagine per dimostrare l’innocenza del povero eschimo Ayaklut, ingiustamente accusato di aver accoppato una giubba rossa, rende più corposa e scoppiettante la trama. Tex e Carson si rivelano duri, decisi ad ottenere giustizia e al centro dell’azione come non sempre capita nelle trame di Borden; ovviamente non mancano personaggi ben tratteggiati come tradizione, basti citare il sergente Lafferty o Ayaklut che impreziosiscono la trama ma non rubano la scena ai nostri. Le due canaglie che i rangers seguono sin dal sud-ovest per assicurarli alla giustizia, sono perfidi e spietati e fin dalle prime tavole il lettore è indotto a odiarli e sperare che al più presto facciano la fine che meritano. Jim Brandon agisce parallelamente ai nostri e forse per l’occasione ha poche occasioni di mettersi alla ribalta, anzi il modo con cui si fa giocare dall’eschimo è un tantino al limite della leggerezza, tuttavia il suo senso di giustizia lo porta a ricredersi e lottare per assicurare i veri colpevoli alla giustizia e con il prezioso aiuto di Tex e Carson ciò avviene, e l’odioso boss locale paga le sue colpe. Per una volta manca Gross-Jean ad affiancare i nostri e Jim nel Canada, cosa molto rara ma che a fin dei conti ci sta: in effetti nella sua ultima apparizione nel lungo episodio di Nizzi, il simpatico omone agì solo di contorno e piuttosto che usarlo così in una storia, forse è meglio lasciarlo “in tribuna” qualche volta. Anch’io, come altri forumisti, ho apprezzato la scena in cui i nostri sfidano il signorotto locale, adagiando sopra il divano del lussuoso albergo il corpo del povero caporale Ryan, ucciso dalla cricca per impedirgli di deporre in processo in favore di Ayaklut: texianità al 100%. Ricapitolando: magari non un capolavoro ma davvero una buona storia che mi è sempre molto piaciuta. Repetto nel post 500 divenne una presenza importante nel parco disegnatori della regolare e il suo stile classico fece capolino spesso negli albi in edicola. Per l’occasione si mise all’opera per Borden sostituendo di fatto Letteri, che ironia della sorte, proprio durante la pubblicazione dell’opera ci lasciava, suscitando molto tristezza nei lettori ormai affezionati al grande artista romano. La prova grafica di Repetto fu all’altezza e il disegnatore mostrò di sapersi districare con destrezza ed estro anche nelle ambientazioni nordiche; i suoi tratteggi come marchio di fabbrica mi son sempre piaciuti e bisogna ammettere che anche i suoi pards, marcatamente ticciani, si fanno apprezzare. Grande acquisto per la saga fu allora il disegnatore argentino, abile, esperto e molto celere. A distanza di anni ho rivalutato in parte le sue opere, che allora non mi entusiasmavano oltremodo. Il mio voto finale è 7
  13. Voto Billy Bart, preferenza Bixler
  14. Nizzi per la storia in questione sembra inserire il pilota automatico, in effetti ne viene fuori una trama lineare con pochissimi sussulti e a tratti molto prevedibile. Scrivere fumetti è si un lavoro, ma l’autore deve metterci molto di più per ottenere buoni risultati: come in ogni attività artistica c’è bisogno di cuore, anima e ispirazione, ma purtroppo il Nizzi post 500 queste doti le aveva ormai smarrite da tempo nella “Zona del crepuscolo” di dylandoghiana memoria e proseguiva per inerzia sperando che l’esperienza potesse bastargli a colmare le innumerevoli lacune compositive. Un episodio come “Fratello Bianco” ne è la prova, visto che un soggetto tutto sommato funzionante, non venne valorizzato come dovuto e il compitino portato a casa per dovere di sbarcare il lunario, ha come esito una prova un po’ fiacca e alquanto noiosa, sebbene l’azione non manchi. Taiga è un bel personaggio, anche la trama traballa meno di altre occasioni, ma purtroppo non mancano snodi poco convincenti e alcuni atteggiamenti dei nostri che fanno storcere il muso. Come ormai era assodato, in quei numeri la capacità di scrivere diavoli freschi, avvincenti ed efficaci, rimaneva solo un passato ricordo, infatti pure questo aspetto influirà molto nel calo qualitativo dello sceneggiatore di Fiumalbo. A differenza della storia precedente, Tex e Carson sono più al centro dell’azione e compiono pure qualche impresa decisa, come nel caso della liberazione del figlio di Taiga o nel mettere le mani su Jarvis che potrebbe rivelarsi un ottimo testimone per inchiodare il ricco villain di turno, ma troppo spesso si perdono in un bicchiere d’acqua e commettono leggerezze incredibili, come quella di lasciarsi sfuggire il messicano all’inizio albo o di farsi beccare e catturare con troppo regolarità. Carson poi in questo episodio batte quasi un record in questo senso, visto che viene catturato tre volte e sembra trascorra più tempo legato che altro. Soluzioni simili abusate da Nizzi nella fase decadente della sua opera, alla lunga irritano il lettore ancor più se poi per porne rimedio bisogna ricorrere sempre all’aiuto esterno. In quegli anni a mio avviso si notava eccome la mancanza di un supervisore che controllasse le composizioni, poiché è ovvio che parecchie pagine di sceneggiatura andavano corrette e riviste per evitare troppi doppioni e situazioni al limite del danneggiamento della figura dei protagonisti. Tornando in tema, l’episodio scorre in qualche modo e tutto sommato può pure meritare la sufficienza ma ammetto che la delusione e la noia fanno un po’ da padrone durante lo sviluppo e, molto probabilmente, se una media qualitativa simile l’avessi riscontrata ai giorni attuali, la probabilità di interrompere l’acquisto degli albi in edicola sarebbe stata alta. Su Ticci non credo occorra aggiungere altro a quello che finora ho scritto nei commenti relativi alle storie da lui disegnate. Il maestro senese, sebbene virando verso una sintesi di tratto più nervosa ma pur sempre dinamica ed efficace, sfornò tavola su tavola mantenendo sempre livelli notevoli e mostrando una volta su tutte, quanto la redazione potesse contare sulla vecchia guardia texiana. Il mio voto finale è 6
  15. Prima di scrivere le mie impressioni sulle storie, mi piace rileggere i commenti di chi mi ha preceduto sul forum. Uno degli aspetti che più m’intriga è come la soggettività di ogni lettore possa portare a giudizi a tratti diametralmente opposti. Salva eccezione dei casi in cui ci si trovi al cospetto di veri capolavori, è raro ci sia (come ovvio!) uniformità di valutazione. Spesso mi son ritrovato ad avallare i giudizi precedenti, stavolta, a mio malgrado, sono costretto ad andare controcorrente. La storia in questione, seppur non rappresentando il peggio della produzione nizziana post 500, per me non merita la sufficienza e si attesta su un livello mediocre. Lo spunto di soggetto è interessante e tutto sommato il primo albo si legge volentieri, ma le seguenti 110 tavole di proseguo, rovinano a mio avviso tutto quello di buono l’autore aveva cercato di architettare nella prima parte. L’idea di dover recuperare un bottino nascosto non è di certo una novità sulla saga, ma la presenza di Flora, personaggio che Nizzi tratteggia molto bene, la fa lievitare alla grande. Pure l’ingresso nella trama dei banditi di Horacio Fuentes e i soldados del colonnello Uriaga, aumentano l’intreccio e rendono piacevole il primo albo. Certo alcune forzature son presenti pure qui, vedi la facilità di evasione del bandito superstite da Yuma o la scena nel villaggio in cui i nostri se la cavano con una facilità disarmante; capisco che si trovavano dinanzi gente sempliciotta, ma un minimo di pathos in più non avrebbe guastato. Sorvolando sulla strana ritrosia di Fuentes a sopprimere il suo dissidente che lo tradirà, decretandone in seguito la sua morte, la prima parte fila liscia e il ritmo alquanto serrato si fa apprezzare. Molto ben realizzata la scena dell’agguato sul traghetto e le seguenti peripezie lungo le rapide di Puerta del Diablo, ma appena ci si approssima alla seconda parte, la sceneggiatura scricchiola minacciosamente. Già il trucchetto con cui i nostri gabbano i soldati nella stazione di posta è al limite, in effetti per farsi giocare in quel modo i messicani dovevano avere pigne nel cervello, tuttavia il peggio deve ancora venire. Di qui in avanti Tex e Carson non ne beccano una e verranno defilati ai margini. Impressionante con quanta rapidità slacciano i cinturoni dinanzi la banda del desperados nella miniera, ancora meno convince la loro inattività dinanzi il tentativo di fuga del superstite della banda. Legati come salami, vengono salvati dall’improbabile gesto del moribondo che permette all’autore di porre una pezza alla sua scelta errata di farli sempre imprigionare. Da quel punto in avanti i due ranger potevano quasi essere estromessi dalla trama senza problemi, vista la poca incisività delle loro azioni nello svolgimento. Tutta la sessione che si svolge al villaggio deserto Cruz de Norte li vede assenti e sarà proprio in mezzo a quelle catapecchie assolate e piene di polvere che la banda di Horacio Fuentes uscirà di scena, sotto i colpi dell’esercito del colonello Uriaga. Anche qui non mancano le scorciatoie narrative che Nizzi adopera per far fuggire Flora dal controllo dei desperados: oltre alla provvidenziale presenza del frate eremita che la aiuta a fuggire attraverso la cripta della chiesa, mi chiedo come mai nessuno dei banditi sia rimasto di guardia, ben sapendo che fuori dalla cinta c’erano assediati i militari. Fuentes dorme come un agnellino con il malloppo in bella vista, evidentemente si combatteva ad orario e la notte si cessava l’ostilità . Per la seconda volta, solo il sagace sergente Malden si accorge di tutto e legge al volo la situazione, per farsi poi freddare come un pollo dalla donna, appena fuggito. Evidentemente anche il suo intuito era a tempo determinato! 😆 Solo nell’epilogo appaiono i nostri, dopo pagine e pagine di colpevole assenza e per concludere col botto, si fanno giocare da Walker e Flora e solo con l’aiuto della cavalleria (sai che novità!) sfuggono ai soldati messicani. Con un atto di generosità eccessivo lasciano libertà e percentuale a Walker, rimasto sì infermo ma pur sempre con la coscienza sporca. Morale della favola: se la cavano Walker e Uriaga, mentre pagano pegno Flora e Fuentes per mano dei soldati e i nostri cosa hanno fatto in tutto l’episodio se non la guida alla miniera? Peccato, senza il pessimo secondo albo la storia poteva essere accettabile, così non la digerisco. Come in passato ho elogiato i punti di forza della narrativa nizziana nei suoi anni d’oro, adesso non posso tacere sulle numerosissime pecche. Anche Ortiz palesa un calo stilistico, alternando belle vignette con altre tirate un po’ via. Il livello è ancora decente ma onestamente preferivo le sue prime storie sulla serie. Ancora adesso non capisco come mai in redazione non gli fecero ridisegnare le prime tavole con Mc Parland. La rappresentazione grafica dell’agente Pinkerton fornita dal disegnatore spagnolo è sbagliata in toto e non solo per la presenza dei baffoni. Fattezze, fisico e abbigliamento sono totalmente diversi dalla tradizionale caratterizzazione dell’agente irlandese e a quel punto, se proprio non si voleva correggere le tavole, tanto valeva cambiare il nome del personaggio, tramutandolo in un qualsiasi maggiore dei ranger come tanti altri apparsi nella saga. Il mio voto finale è 5
  16. Condor senza meta

    [Maxi Tex N. 17] Alaska!

    Ricordo che allora acquistai "Alaska" molto fiducioso. Non ero ancora iscritto al forum e di conseguenza non avevo avuto modo di leggere alcuna critica negativa che potesse smorzare il mio entusiasmo. Vista l'ambientazione nordica a me cara, la presenza di Gros-Jean e il ritorno di Dawn (personaggio che mi aveva molto intrigato in quello che giudico uno dei più grandi capolavori di Borden su Tex ovvero il maxi "Nei territori del Nord-ovest"), mi aspettavo un albo superbo, degna continuazione di quella perla compositiva appena citata. Purtroppo, come noto, non fu affatto così e la delusione provata per un altro maxi non all'altezza mi spinse a non acquistare più storie di questa collana (con l'eccezione di "Nuerces Valley, ma quella è tutt'altra storia!). La mia decisione era già nell'aria, dovuta già a episodi tutt'altro che brillanti negli anni precedenti, e la vista di quei disegni cosi tanto naif e dallo stile arruffato (secondo me ci misero mani in parecchi e non tutti all'altezza di poter essere definiti professionisti visto che alcune tavole orripilanti avrei potute realizzarle meglio io) mi diede il colpo di grazia. Mauro dimostra molta onestà intellettuale nell'ammettere anche le sue responsabilità nella scarsa riuscita, ma è palese che la sua involuzione nel corso della sceneggiatura sia dovuta alla pessima resa grafica dello studio Fernandez. Concordo anch'io con Barbanera che il soggetto iniziale non era malaccio e la prima parte non è del tutto illeggibile, il proseguo purtroppo è sotto gli occhi di tutti ed è inutile aggiungere altro. Anche la soluzione narrativa di "Hamatsa", indubbiamente discutibile e poco riuscita, assume ancor più risalto dalla brutta realizzazione grafica dei disegnatori (continuo a usare il plurale visto che solo questa ipotesi può giustificare il fatto che le fattezze dei personaggi cambino ogni tot di tavole). Un disegnatore degno di questo appellativo, avrebbe cercato di rendere nel possibile plausibile il "mostro", giocando pure sulle giuste proporzioni ed evitando quell'obbrobrio che sfida le regole della fisica. Spero solo che Dawn possa avere un'altra chance di tornare nella serie, visto questo passo falso che non le rende giustizia.
  17. Condor senza meta

    [538/539] Colorado Belle

    Ci sono storie che, una volta lette, vengono rimosse dalla memoria e altre destinate a diventare classici: “Colorado Belle”, a mio modesto parere, va senza dubbio annoverata nella seconda lista. Boselli, in piena ispirazione creativa, dona forma a un episodio splendido, molto avvincente e sceneggiato con grande maestria. Già l’incipit nella città fantasma di Yellow Sky, con la bella fanciulla malinconica e impaurita che dialoga con se stessa è una sequenza molto ad effetto, che ci catapulta nell’atmosfera crepuscolare e malinconica che aleggia nella trama. Non mancherà l’ampio stuolo di villain ben caratterizzato e funzionale che Tex, accompagnato solo dal figlio nell’occasione, dovrà combattere e sconfiggere. Gli avversari, come tradizione boselliana vuole, sono molto interessanti e assortiti: dal duro e tormentato Deadman Dick, allo spietato e sorridente Beckford, passando dall’infido indiano Blackbird alle facce da galera di Scorpio, Latigo e il cinese. Borden nei panni di un attento pittore, dipinge con esaustiva precisione personaggio su personaggio e non dimentica di certo gli alleati occasionali dei nostri, che stavolta rispondono ai nomi del pastore Morrow e del giovane Mark, scampato alla strage della sua carovana, opera della banda dei banditi. Proprio la ricerca della sorella condotta dal pastore, che si intreccia con la caccia all’uomo di Tex, arricchisce la pietanza e si rivelerà il fulcro dell’ottima narrazione. Il ritmo è serrato e i lungo i due albi non c’è da annoiarsi, fra inseguimenti, rapimenti, fughe da campi indiani e azione allo stato puro, condotta da un Tex in pienissima forma, ben coadiuvato dal figlio in netto spolvero. Ma di certo è il finale che merita un plauso particolare: il duello decisivo consumatosi tra le rovine della ghost town è sceneggiato magistralmente, con pathos e tensione che crescono vignetta dopo vignetta e sparo dopo sparo. Mi ricorda vagamente lo scontro finale di Bannock del capolavoro di esordio, e il colpo di scena finale, degno della miglior narrativa gotica, è la ciliegina sulla torta. Sarà che sono appassionato del genere, ma la gestione del mistero e la sua risoluzione è gestito alla grande dall’autore, che riesce a nascondere le carte e fuorviare il lettore con possibili spiegazioni razionali, infliggendogli alla fine un colpo secco, che lascia il segno nell’anima: gran classe a mio avviso! Per non tacere della splendida e quasi metafisica sequenza di Kit che passa la notte nella deserta Yellow Sky percependo la presenza di Colorado Belle, altra scena di forte impatto che mi ha sempre rievocato la celebre scena di Cime Tempestose. Se possedessi uno Stetson, questo sarebbe il momento di toglierlo dal capo e rendere omaggio a Borden per la sua opera. Unico appunto che mi sento di fare, la gestione di Kit che, se da un lato risulta rivalutato e più attivo rispetto al contagocce con cui veniva utilizzato nel recente passato, spesso lo trovo un po’ troppo dipendente dal padre nelle azioni e nelle parole. Boselli tende a dargli una sua caratterizzazione personale, ma spesso mi convince poco (anche quando continua a chiamare per nome il padre!). Secondo me l’autore è più a suo agio nella gestione di Tiger e Carson, ma questa è una valutazione soggettiva che lascia il tempo che trova. Altra piccola constatazione: l’eccessivo eroismo con cui si muove Mark nella ghost town, legittimo per carità, ma forse troppo enfatizzato. Ma si sta a spaccare il pelo in quattro e di certo questi aspetti non inficiano l’ottimo esito finale. Alfonso Font si supera regalandoci una prova superba, forse la sua migliore performance sulla serie. I suoi personaggi continuano a conservare quelle caratteristiche peculiari di stile che dividono i gusti dei lettori, ma l’eccelso esito che ottiene con i paesaggi, scorci di cielo plumbeo e i ruderi della città fantasma sono da urlo. Anche grazie ai suoi pennelli le scene clou della storia raggiungono vette di drammaticità elevata e credo che il rammarico di non aver visto all’opera Capitanio (che mi pare di aver letto fosse il destinatario della sceneggiatura che purtroppo la prematura morte gli impedì di realizzare) viene mitigato dalla sua notevole prova. Il mio voto finale è 9
  18. Condor senza meta

    Un personaggio da recuperare (4)

    Voto per Santiago. La mia preferenza invece va ad Alison Sydor
  19. Prima di iniziare a scrivere il commento di questo episodio, mi ero imposto di non soffermarmi su quanto fosse inadeguato il titolo del primo albo, visto che in maniera quasi unanime, tutti i forumisti intervenuti finora l’avevano ovviamente fatto notare; ma diamine come si può tacere su un tale scivolone? Il titolo di un albo deve avere cognizione di causa, non può essere affibbiato a capocchia. Se Tumak è inesorabile io sono Rambo! 🤣 Mai titolo coniato fu così errato, tanto valeva chiamarlo “Zucchero, miele e peperoncino”. Premessa a parte, analizzando più nel dettaglio la storia, non posso di certo essere totalmente soddisfatto. Sul fatto che Tumak sia uno sbarbatello pavido che si becca sganassoni a gogo, colleziona figure di shit e scappa a gambe levate dinanzi delle fiamme, credo ci sia poco da aggiungere. O meglio: ricordo che appena lessi per la prima volta la storia, constatando che mancassero ancora parecchie pagine dopo la morte di Miller, ero più che convinto che il “cuor di leone con la faccia presa a schiaffi” facesse ancora apparizione nell’epilogo per affrontare i nostri, invece mi sbagliavo di grosso. L’epilogo Nizzi lo dedicò con esasperante tedio narrativo alla scoperta della camera segreta del pueblo, con l’assurda (e forzatissima) coincidenza dell’equinozio e il raggio filtrante dalla torre (escamotage preso pari pari dalla storia boselliana dell’Ago del diavolo). Un altro aspetto che mi fa riflettere è che Tex in fondo non mantiene del tutto la parola data allo stregone Hopi: è vero che i preziosi monili non vengono sottratti, ma anche mettere il piede in una ambiente sacro a parer mio è profanazione. Non mi voglio soffermare sulla scena dei pipistrelli killer, perché è una grossa boiata e sotto sotto sistema una magagna di Tex, che proprio sotto il naso si stava facendo fregare dall’innocuo assistente. L’episodio ha pure alcune note che reputo positive. L’incipit lo trovo piacevole, ci sta che Tex trovi un avversario tosto che lo ferisca e lo metta in difficoltà, come mi è piaciuto parecchio il ricambio di favori con lo stregone Hopi e la farfalla nel monile usata come “telegramma misterioso”. Il soggetto si fa apprezzare ma la sceneggiatura difetta un po’ di qualità e i dialoghi si rivelano a tratti troppo verbosi e pesanti. La scena del duello non la stronco, stavolta Tex non poteva aspettarsi che Tumak recuperasse il fucile in quel modo e poi di tanto in tanto ci sta che Carson faccia un figurone salvandogli la vita. Trovo invece poco incidenti i villain visto la facilità con cui i nostri riescono a metterli fuori combattimento, mentre l’archeologo inglese e la nipote, seppur troppo simile a Montoia e figlia del “Pueblo perduto”, sono molto simpatici sebbene ingenui. Il secondo albo è un tantino più avvincente del primo, ma la trama non fa fare salti di gioia. Ulteriore aspetto già considerato da altri forumisti e che condivido appieno, la brutta coincidenza di programmazione che vide due storie con gli Anasazi ripetersi nell’arco di pochi mesi. Storie molto diverse, ma che ravvicinate disturbano un po’. Boselli ottenne allora un risultato migliore sulla trama ma dal punto di vista grafico, non c’è partita! Civitelli strepitoso! Le sue tavole sono sontuose, ricche di particolari e fanno fare il salto di qualità a scene narrative, vedi la scalata di Tex sul costone roccioso o la perizia con cui tratteggia il vecchio pueblo. Da lode la tavola onirica in acquerello, come strappano applausi tutti gli studi sui bagliori e le luci dei suoi paesaggi. Rispetto ad altre sue storie ho notato più neri e meni puntinati, forse dovuto a qualche verosimile fretta di realizzazione, ma indubbiamente l’artista aretino si confermò come un talento innato. Lo ammetto sono di parte, visto che adoro il suo tratto. Grazie anche al suo straordinario lavoro grafico, non mi sento di bocciare l’episodio e opto per una sufficienza, che senza i suoi disegni di certo non mi sarei sognato di dare. Il mio voto finale è 6
  20. Condor senza meta

    Un personaggio da recuperare (3)

    Voto Pierre Touissant, ideale partner di un'eventuale storia di complotti cittadina; la mia preferenza è per padre Elias che potrebbe benissimo tornare in un episodio messicano con Zamora e Conchita.
  21. Episodio senza infamia e senza lode, contraddistinto da un soggetto in parte interessante ma che non spicca, a mio avviso, mai il volo, pur mantenendosi su livelli accettabili. La faida fra ranchers rivali e la catena di delitti che causa, non è una cattiva idea, resa ancora più ricca dal nemico nell’ombra che vuole sfruttare e aizzare la sanguinosa rivalità per portare acqua al suo mulino. La trama procede senza eccessivi picchi e pochi colpi di scena, alla fine si risolve troppo facilmente e soprattutto senza grande merito nell’investigazione dei nostri, che solo grazie a fortuite rivelazioni, trovano quasi casualmente il bandolo della matassa. Troppo chiacchiere e poca azione risolutiva e questo spesso dona l’impressione di due protagonisti in balia degli eventi. Discretamente caratterizzati i due ricchi allevatori, un po’ meno il vero villain della storia. Anche il suo infallibile (e insospettabile visto le fattezze da mezza calzetta ) cecchino, al momento topico non si rivela chissà che, sparando quasi come un indiano ubriaco. Il finale sembra alquanto facilitato e troppo “vissero tutti felici e contenti”. Prova decisamente inferiore rispetto alla grande maratona narrativa che la precede, ma comunque accettabile. I fratelli Cestaro, alle prese con la seconda fatica sulla regolare, si disimpegnano molto bene e mostrano miglioramenti tangibili rispetto all’esordio, rivelandosi due ottimi acquisti per la scuderia texiana. Il mio voto finale è 6
  22. Condor senza meta

    Un personaggio da recuperare (2)

    Il mio voto va al capitano Bart; già nella prima parte del sondaggio lo avevo tirato in ballo magari in compagnia di Bixler e Barbanera. La seconda preferenza va a Big Bear, anche un suo ritorno per il sottoscritto sarebbe molto gradito; a conferma di ciò ricordo in passato di averlo inserito in uno spunto di soggetto nel giochino apposito del forum.
  23. Condor senza meta

    [530/533] Athabasca Lake

    Da ragazzino nemmeno a me piaceva molto, o meglio, preferivo di gran lunga il tratto di altri disegnatori, forse per via anche di quella tendenza al "grottesco" con cui spesso tratteggiava i suoi personaggi o la stazza sproporzionata di alcune anatomie. Pian piano crescendo ho rivalutato alla grande il suo stile caldo, dinamico e personalissimo, e rimpiango molto le sue mitiche ambientazioni nordiche o le fattezze inimitabili con cui rappresentava i brutti ceffi. Non so come spiegarlo, sfogliando gli albi con i suoi disegni sentivo aria di casa, una presenza confortevole per il lettore.
  24. Condor senza meta

    [530/533] Athabasca Lake

    A essere sinceri, la storia dell'almanacco non la conosco, grazie per la dritta @virgin. Ammetto che la collana Almanacchi è stata la prima a cadere sotto la falce del "mancato acquisto in edicola": presi solo pochi numeri. In quanto al poco marcato calo stilistico di Fusco, sono perfettamente d'accordo; fino alle ultime tavole si è sempre mostrato ad eccellenti livelli.
  25. Condor senza meta

    [530/533] Athabasca Lake

    Può darsi che l’episodio fiume ambientato nelle amate lande canadesi, sia davvero il “canto del cigno” di Nizzi sulla saga. Da lì al suo primo congedo, storie di pari livello non ne compose più e del suo recente ritorno, ancora è troppo prematuro prevedere se il vecchio sceneggiatore potrà nuovamente avvicinarsi a una tale cifra qualitativa. Di certo “Athabasca Lake” non tiene il confronto con “Le rapide del Red River” uno dei fiori all’occhiello nel curriculum dell’autore, ma rimane comunque una più che discreta prova, concepita peraltro in un momento molto difficile dal punto di vista prettamente artistico. Dopo tanti anni fu pubblicata una vera maratona narrativa su quattro albi, ma l’ottimo soggetto e una degna sceneggiatura (non esente da lievi pecche, ma in fondo veniali) garantirono una piacevole lettura. Molto bello l’incipit, con l’ingiusta degradazione di Jim Brandon per un presunto tradimento, inventato ad hoc per toglierlo di mezzo e non intralciare una congiura di alto rango. L’arrivo dei nostri in Canada, sarà costellato da un agguato dietro l’alto; scene piacevoli ma che sanno un po’ di revival con situazioni simili del passato. Pian piano che si macinano le numerose tavole, la storia entra nel vivo, con il congiungersi di Tex e pards con Jim e “l’odissea canadese” per laghi e fiumi necessaria per l’arrivo a Ottawa, meta in cui poter smascherare i pezzi grossi alle redini della congiura e dimostrare l’innocenza del colonnello. Molto avvincente il trucchetto dell’equipaggio adottato sul lago e l’elusione dei controlli grazie al doppiofondo della barca dell’amico di Larouche. Proprio il predone fluviale convertito, rappresenta un bel personaggio, molto simpatico e funzionale nell’economia della storia. E’ vero che salta troppo presto la barricata per soldi, ma alla fine si rivela prezioso grazie ai suoi consigli e la folta schiera di amici (forse anche troppi!) che nei momenti cardine del piano aiutano moltissimo i nostri. Di contraltare alcuni avversari non vengono sfruttati e caratterizzati come si deve (vedi Larkin, attivissimo nel primo albo e poi ridotto a un fardello da trasportare su e giù per la regione) e anche Grossjean si riduce a una comparsa. Tex, Carson e Jim agiscono bene, un po’ defilati ma utili Kit e Tiger, il navajo per proferire la prima parola bisogna attendere quasi 70 pagine all’inizio. Il finale meritava più spazio e appare alquanto veloce, ma tutto sommato non inficia la prova. Ho solo trovato la soffiata del sergente Ross un po’ forzata per rivitalizzare la trama nella fase finale: che l’individuo per soldi spifferi ai villain i piani dei nostri è plausibile, ma che Tex e soci lo lascino libero di farlo dopo averglieli fatti conoscere è un’ingenuità colossale. I disegni di Fusco, giunto, mi pare, alla sua ultima prova sulla saga prima del pensionamento, si mantengono efficaci e confermano la sua grande dimestichezza negli scenari nordici della serie. Ovviamente il fisiologico calo grafico è palese ma l’esito finale è comunque di degna fattura, e conferma il grande professionismo dell’indimenticato artista ligure. Il mio voto finale è 8
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