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Aurelio Galleppini


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tra l'altro non so quale sia stata l'ultima storia disegnata da galep, anzi se potete istruirmi sull'argomento ve ne sarei grato, ma l'ultima copertina fatta da lui era quella del numero 400 e io quando ero più o meno decenne avevo comprato il mio primo tre stelle che era, guarda caso, il numero 401 "l'oro di klaatu"... e ho scoperto solo molto dopo che fino a un mese prima le copertine ernao ancora di galep..... :unsure:

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  • 9 months later...
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Le ultime vignette di Galep, inedite, per una storia di Nolitta, poi ridisegnata da Ticci: Golden Pass...

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Da Galleppini a Galep, da Galep a Tex, di Stefano Marzorati

A detta di genitori e conoscenti, il giocattolo preferito da Aurelio Galleppini bambino erano le matite, che gli servivano a scarabocchiare tutto ciò che gli capitava sotto mano. Tranne quando le masticava, come fanno tutti i bambini. ?Trovandomele sempre fra le mani, incominciai a tracciare delle vaghe forme, via via più definite?, ricordava Galep. ?Più tardi, i soggetti preferiti dei miei primi disegni furono i cavalli, così familiari nel paesaggio di Casal di Pari, il piccolo centro natio in provincia di Grosseto, non lontano dal cuore della Maremma Toscana?. Un segnale premonitore? Forse...

Iglesias, la città che la famiglia Galleppini aveva scelto come luogo di residenza, riserv? al piccolo Aurelio un grande privilegio: suo zio era, infatti, il gestore dell'unico cinema del posto, nel quale il bambino aveva libero ingresso. Davanti agli occhi stupiti di Aurelio passavano e ripassavano, dunque, le immagini dei film muti, di Tom Mix e degli altri eroi dei primi western. Ispirato da quelli, disegnava a ritmo frenetico scene western, alternate a personaggi dei cartoni animati, come Felix il Gatto. Con il passare del tempo, questo suo entusiasmo per il disegno divent? una passione profonda, coltivata con crescente consapevolezza? A Cagliari, dove la famiglia si trasfer? successivamente, Galep trov? un ambiente più stimolante del piccolo paese. L' cominciò a tracciare i primi disegni in chiave satirica, imprimendosi nella memoria delle scene dal vero e, tornato a casa, ricostruendole poi con pochi tratti. Galep ricordava come tale metodo fosse un buon esercizio per imparare la composizione delle figure. ?Ancora oggi, il mio metodo di disegnare dal vero è sempre lo stesso: mi imprimo nella memoria l'oggetto o la figura che devo riprodurre e poi, nel modo più sintetico possibile, la riporto sulla carta, cercando di fissare quell'idea o quelle forme che mi hanno incuriosito?, diceva.

Il metodo di lavoro era così efficacemente fissato. Mancando a quell'epoca a Cagliari una scuola a indirizzo artistico, Galep dovette ripiegare su studi più convenzionali: una scuola ad avviamento commerciale e un istituto industriale, che frequent? soltanto per i primi due anni. Intanto, continuava a ricevere lodi e incoraggiamenti per il suo talento artistico. Oltre agli studi dal vero, Galep, ormai adolescente, non trascurava la sua prima passione e continuava a riprodurre per suo divertimento molti disegni sullo stile dei cartoni animati. Questa sua perseveranza inizi? a dare i suoi frutti quando, verso la fine del 1935, cominciò a spedire disegni ai giornali. Ed era tale il suo desiderio di introdursi in quel settore, che offriva la sua collaborazione gratuitamente. Fra i tanti interpellati gli rispose per primo un rappresentante di giocattoli, che aveva importato dalla Germania un piccolo proiettore a due tempi, chiamato ?Cine Dux?. Il lavoro di Galep consisteva nella riproduzione, su spezzoni di pellicola, di disegni ispirati alle più popolari fiabe per bambini. Ma l'iniziativa non era destinata a riscuotere un grande successo. Un'altra risposta gli giunse dal direttore del giornale satirico ?Marc?Aurelio?, che gli propose di illustrare qualche racconto e una copertina per una nuova pubblicazione per bambini, dal titolo ?MondoFanciullo?. Più tardi, ricevette anche una proposta di collaborazione da ?Modellina?, giornale ?dedicato alle femminette? e stampato dal ?Mattino Illustrato? di Napoli.

Per un giovane alle prime armi furono delle soddisfazioni e anche, il che non guasta, i primi guadagni. In quegli anni, oppressi dalla censura e dalla propaganda del regime fascista, Galep realizz? alcune copertine de ?Il Mattino Illustrato?, secondo lo stile reso celebre dalla ?Domenica del Corriere?, e alcuni ?romanzi avventurosi? (disegni più didascalie). Erano storie, queste ultime, che esaltavano tutte, con ingenua sincerit?, i valori nazionalistici e patriottici di cui si volevano nutrire allora i ragazzi. Titoli come ?All'ombra del tricolore?, ?Non conosco paura? e ?Il pane del soldato? rendono bene l'idea. Ma l'allusione patriottica poteva anche essere meno esplicita, come in ?Un'avventura nel Klondike?, ?Il meticcio misterioso? o ?Un'avventura nel Far West?.

Pagato ben cinquanta lire a pagina, Galep lavorava con impegno e si sentiva ormai un professionista affermato. Spinto da questa modesta sicurezza economica e dal desiderio di una maggiore indipendenza, sulla scorta di un invito avanzatogli dal rappresentante della ?Cine Dux?, il giovane Aurelio si trasfer? a Milano. Qui avvenne l'incontro, decisamente fondamentale, con Federico Pedrocchi, il responsabile del settore stampa per ragazzi della Mondadori, che era in cerca di nuovi disegnatori. A Galleppini fu affidata una sceneggiatura per una storia a fumetti intitolata ?Pino il Mozzo?, e destinata all'editore argentino Cesare Civita. Tale storia segn° l'ingresso ufficiale nel mondo delle nuvole parlanti di Galep, che cominciò ad apprendere l'arte, maturata direttamente dal linguaggio cinematografico, di dosare sapientemente primi piani, campi lunghi e piani americani, per mantenere l'equilibrio compositivo delle tavole. E, in tal senso, Aurelio ricordava come Pedrocchi rappresent? per lui un vero e proprio caposcuola. Richiamato a Cagliari per il servizio militare, Galleppini venne assegnato all'arma dell'Aviazione e, per sua fortuna, successivamente trasferito all'aeroporto di Bresso, vicino a Milano. Pot? così continuare la sua collaborazione con Pedrocchi, assieme al quale realizz? una nuova storia (pubblicata poi su ?Topolino?), intitolata ?Le perle del Mar d'Oman°. Ma sull'Europa si addensavano minacciose le nubi del conflitto imminente: nel 1940, l'Italia entr? in guerra e Galep venne richiamato alle armi, in una caserma di Cagliari. Fu quindi costretto a troncare la sua collaborazione con Pedrocchi e i disegni per ?Le perle del Mar d'Oman°, che con tanto impegno e passione Aurelio stava realizzando, vennero affidati, per la conclusione, ad altri autori.

Nel 1941, per la triste circostanza della morte in guerra del fratello, Galleppini venne messo in congedo provvisorio. Fu questo l'anno in cui l'autore inizi? la sua collaborazione con l'editore Nerbini di Firenze che, dopo la fortunata pubblicazione delle serie di ?Flash Gordon°, ?Agente X9?, ?Mandrake? e ?Il Principe Valentino?, era diventato il maggior produttore di fumetti in Italia. Erano pochi, in quel periodo, i disegnatori e i soggettisti disponibili (per la maggior parte, tutti sotto le armi) e a Galleppini venne affidato un compito davvero impegnativo: era libero di disegnare ciò che voleva, a patto, però, che si prendesse l'incarico di scrivere anche i relativi soggetti. Seppure inesperto nel campo della sceneggiatura, Galep affront? l'impegno con la passione che lo contraddistingueva da sempre. L'ostacolo maggiore da superare era rappresentato dalla ottusa censura di regime che bocciava soggetti su soggetti perchè contrastanti con l'ideologia fascista. Un pizzico di astuzia lo aiut?, comunque, nell'ardua impresa di aggirare le regole imposte dalle autorit? politriche: egli diede ai personaggi ?buoni? dei nomi germanici come Max e Fritz, un temperamento italico e li fece agire in imprese ambientate nei drammatici momenti che l'Italia stava vivendo. Questa strategia si dimostr? subito azzeccata: il primo soggetto scritto da Galep, ?Per la patria?, spedito a Roma per l'approvazione, gli venne, infatti, subito restituito con tanto di benestare.

Le storie riscossero successo e Galep lavorava a ritmi incredibili, sfornando tavola su tavola. In un crescendo di inflessibilit?, la censura impose ai disegnatori di sopprimere la suddivisione delle pagine in vignette squadrate, che richiamavano troppo l'impaginazione dei fumetti made in Usa. Si speriment? così, per merito inconsapevole del regime, la ricerca di un tipo di impaginazione più libera e suggestiva. Inoltre, nonostante i rigori della censura, Galep ebbe modo di prendersi una piccola rivincita: Germano, il protagonista de ?La leggenda dei Rugià (storia pubblicata nel 1941), somiglia straordinariamente al ?Principe Valiant?, l'eroe con cui, in quegli anni, Harold Foster faceva rivivere ai ragazzi americani le antiche saghe nordiche. In effetti, la censura controllava i testi, ma trascurava di visionare le tavole disegnate. Alla morte di Giove Toppi, sceneggiatore principe de ?L'Avventuroso?, Galep venne promosso a compiti più impegnativi: le sue storie apparvero sempre più frequentemente sulle pagine del leggendario giornale e, in breve tempo, l'autore si ciment? anche con il genere satirico. Fu in questo periodo che decise di accorciare il suo nome in Galep. Nel 1943, la crudezza degli avvenimenti bellici lo strapp?, ancora una volta, alla sua arte: il disegnatore maremmano trascorse, infatti, i mesi immediatamente precedenti all'armistizio in una caserma cagliaritana, dove decor? le pareti dello spaccio, realizz? ritratti di commilitoni e superiori ed esalt? l'?efficienza? dell'Aviazione Italiana in una cartolina di propaganda bellica.

Ma i tempi bui non erano ancora finiti: nel 1945, a guerra conclusa, Galep si ritrov? disoccupato in una Cagliari semidistrutta, quasi abbandonata dai suoi abitanti, ancora sfollati nell'interno dell'isola. In compenso, la città brulicava di soldati americani tutti alla ricerca di un immancabile souvenir. Con l'aiuto del cognato, Galep raccatt? tra le macerie delle case diroccate stecche di persiane e piastrelle di maiolica. Su queste dipingeva soggetti di carattere folkloristico sardo, che incorniciava elegantemente con le stecche delle persiane. Ma, con le tasche piene di ?amlire? e talvolta di sigarette e scatolame, Galep non rinunciava al suo sogno di artista, di disegnatore ispirato. Invest? i pochi risparmi in materiale da disegno e pittura e riprese gli studi dal vero della sua giovinezza. Paesaggi, nature morte, ritratti composero, in breve tempo, una ricca produzione che lo consacr? pittore. Partecip? a mostre collettive, nella città che si rianimava e faticosamente riprendeva la sua vita, allest? delle personali e, infine, vendette molte delle sue opere. Fu proprio grazie a questa fama di artista che ottenne l'incarico per l'insegnamento del disegno in due istituti cagliaritani. E fu in quegli anni del dopoguerra che le autorit? scolastiche e certa parte del mondo politico, riprendendo alcuni dei pregiudizi del passato regime, si scagliarono sempre più veementemente contro ?certa stampa deteriore, causa di danni irreparabili nella formazione e nella psiche dei ragazzi?. Galep ricordava, a questo proposito, come, in più di un'occasione, fu costretto, per ordine del preside, a strappare davanti alla scolaresca alcuni giornaletti trovati in mano ai suoi alunni. Qualcuno di questi era addirittura disegnato da lui stesso! Poche, succinte righe dell'editore Nerbini bastarono per convincerlo a proseguire sulla strada intrapresa in giovent?. Ritorn° a Firenze, dove realizz? un adattamento del ?Pinocchio? di Collodi e qualche episodio di ?Mandrake?. Deluso da quest?ultimo incarico, che lo costringeva a imitare i disegni e lo stile di un altro, Galep accett? la proposta dell'editore Del Duca, che gli affid' una serie di albi a fumetti per ?Intrepido?: ?Il mistero del castello di Fuentesè, ?Il vendicatore?, ?Montezuma figlio del sole?, ?La Perla della Malesia? e molti altri. Appartengono a questo periodo anche diverse copertine di volumi di narrativa per ragazzi e alcune storie per giornali illustrati come ?Grand Hotel'.

Verso la fine del 1947, Galep ebbe anche modo di fare un lavoro davvero insolito per un disegnatore di fumetti: a Cagliari, dipinse la cappella delle suore di San Vincenzo e, oltre alle pitture murali, realizz? anche quattro grandi tele a olio. Concluso questo lavoro e non avendo ricevuto altre proposte da Nerbini e Del Duca, Galep scrisse a diversi editori milanesi, offrendo la sua collaborazione. Risposero tutti coloro a cui si era rivolto ma, fra le tante proposte, Galep non esit? un istante ad accettare quella della Casa editrice Audace. ?Come guidato da un sesto senso,? ricordava il disegnatore, ?ero sicuro che si trattava dell'occasione giusta. Ma non fu proprio una premonizione. C'era una spiegazione di questa mia certezza e della rapidit? della decisione: la lettera inviata dall'Audace era firmata da una donna, Tea Bonelli, che dirigeva in quegli anni la Casa editrice. E avevo già maturato la convinzione che la presenza femminile fosse e sarebbe stata fondamentale nei momenti più significativi e fortunati della mia carriera?. Galep non aveva tutti i torti: in effetti, fu Maria Pia Sorrentino, direttrice di ?Modellina? ad aprirgli l'accesso al mondo editoriale e, successivamente, i suoi contatti con l'editore Civita furono tenuti dalle sorelle Finzi, dotate, diceva Galep, di ?eccezionale correttezza e professionalità?.

Fino all'estate del 1948, Aurelio collabor? con l'Editrice Audace, tenendo per corrispondenza i rapporti di lavoro e inviando periodicamente a Milano le tavole via via disegnate. In questa fase, realizz? gli albi ?L'agguato della foresta?, ?Il segreto della valle nascosta? e la storia ?Gli schiavi della mezzaluna?, pubblicata successivamente a puntate su ?Occhio Cupo'. ?Nel giugno del 1948 ricevetti una lettera della signora Tea Bonelli?, raccontava Galleppini, ?che mi sollecitava a stabilirmi a Milano, perchè voleva studiare una nuova pubblicazione che avrebbe dovuto ?fare scintille?. Fu così che partii per Milano, abbandonando tavolozza e insegnamento del disegno, senza immaginare che, con quella decisione, stavo per dare una svolta importante alla mia vita??


ym

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E Galleppini scopr? il West
Mostra a Cagliari sugli esordi del disegnatore che invent? Tex


Articolo di Gianni Olla per La Nuova Sardegna è 26 gennaio 2001



?Avevo 28 anni quando scoppiù la pace. Mi ritrovai congedato a Cagliari, senza una lira. Feci incetta di tutto il materiale che riuscii a trovare e ripresi a disegnare?. La mostra ?Galep prima di Tex?, che si apre domani al Lazzaretto per iniziativa di Bepi Vigna, direttore del Centro internazionale del fumetto, ha come sintetica presentazione questa testimonianza post bellica di Aurelio Galleppini, ritratto da sè medesimo con un viso affilato e un paio di occhialini di metallo da intellettuale neorealista. Figlio di sardi sulcitani (padre di Iglesias, madre di Portoscuso), poi cagliaritano d'adozione, Galep fu sempre orgoglioso e spesso nostalgico della Sardegna, al punto da usare certi paesaggi aspri e polverosi del suo Sulcis come riferimento figurativo del West reiventato nelle tavole dei primi numeri di Tex. Ora, come ha scritto qualcuno, occuparsi di Galep senza citare Tex, è come parlare di John Ford senza citare i film western. Eppure si può e si deve, cominciando magari dalla casualit? di quell'invenzione, o meglio dall'imprevisto successo di quel fumetto che, persino nel nome (Killer, anzich? Willer) non prometteva nulla di buono. Dunque, nel 1945, Galleppini torna in Sardegna dopo svariati anni di servizio militare. Era stato, prima della guerra, un autodidatta di genio, un illustratore già richiesto dalle maggiori casi editrici italiane, (ad esempio la Nerbini di Firenze) a cui mandava i suoi bozzetti. Un periodo trascorso a Milano lo affina professionalmente, la guerra gli impedisce di entrare come disegnatore nella produzione del primo cartone animato italiano, ?La rosa di Bagdad'. Quando la tragedia bellica finisce, Cagliari è semidistrutta e tra le cose non proprio essenziali che mancano ci sono anche i materiali di Galep: matite, inchiostri a china, colori. Galep si arrangia _ piuttosto bene _ fino a quando nel 1948 non gli arriva una lettera di Tea Bonelli, moglie di Gianluigi, che lo invita a collaborare con la neonata casa editrice. Da allora, e fino al 1994, anno della morte, Galep è interamente legato all'immagine di Tex. Se si vuole ricercare uno spessore alla imponente documentazione messa in piedi da Bepi Vigna e dai suoi collaboratori (Stefania Costa e Gigi Cammedda) basta un semplice confronto tra le prime tavole di Tex _ graficamente povere, essenziali, senza un gran lavoro di rifinitura _ e la ricchezza da illustratore di rango degli altri lavori di Galleppini. Persino il fumetto che avrebbe dovuto costituire la serie A della casa editrice Bonelli, ?Occhio Cupo' (avventure nel Canad' del Settecento, in mezzo alla guerra tra francesi e inglesi) vale molto di più di quelle tavole. Ma fu surclassato da Tex. Il successo costrinse Bonelli e Galep ad arricchirlo, a farne non solo l'eroe del West, ma il contenitore di ogni genere di romanzo avventuroso. Da qui una sorta di riciclaggio dei materiali d'origine, già perfetti, e soprattutto un apporto anche contentistico di Galep ad alcuni grandi archetipi del massimo fumetto italiano di tutti i tempi. Avventure magico-fantastiche, discese nel ventre della terra, alieni e mondi fantascientifici, viaggi nel passato, non sono solo l'eredit? della formazione salgariana di Bonelli, ma anche la cifra figurativa di un illustratore che aveva passato i suoi primi trent'anni immerso in quel tipo di immaginario. C'è poi _ come sottolinea il curatore _ un altro aspetto interessante di questa mostra: racconta, anche marginalmente, una città, Cagliari. Una città dimezzata dalla guerra, spopolata, ma pur sempre vitale. La ripresa del lavoro di Galep avviene in via Barcellona, strada di fronte al porto dove sorse una scuola di disegno. Amici di Galleppini sono, tra gli altri, il giovane giornalista Giuseppe Fiori, il futuro attore Vittorio Congia, e soprattutto Marcello Serra, che firmer? i testi di alcuni fumetti, tra i quali uno leggendario, tratto dal Pinocchio di Collodi. A quest'attività, Galep alterna quella di pittore: affresca la cappella dell'istituto di S. Vincenzo, tuttora visibile in via San Benedetto, passa il tempo libero a ?schizzare? disegni anatomici, a raffigurare pescatori e operai delle periferie, ed infine riesce a fare esporre, in ben quattro occasioni, i propri quadri. Bench? siano passati più di cinquant'anni, molti si sono ricordati del giovane Galleppini. Proprio a Cagliari, con la collaborazione di privati, Vigna ha infatti scovato molti di quegli schizzi, alcune tavole pubblicitarie per giornali e film, caricature e disegni. Esposto nelle bacheche del Lazzaretto, questo materiale segna la definitiva accettazione del disegnatore nella cultura popolare isolana, quella stessa che poi sforner? numerosi altri protagonisti di rango nel mondo del fumetto e dell'illustrazione italiana.

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AURELIO GALEPPINI
Sardo d'adozione prigioniero di Tex


Articolo apparso su La Nuova Sardegna è 26 marzo 1999


?Mi sento sardo da sempre?, amava dire Aurelio Galleppini, in arte Galep, a chi gli chiedeva il perchè del suo amore per l'isola. Nell'estate del 1948 inventa insieme a Bonelli Tex, un personaggio a metà strada tra Gary Cooper e John Wayne, ma con i suoi tratti somatici, ricavati da un'attenta osservazione allo specchio. Non conoscendo l'America, nei disegni compaiono le montagne del Sulcis. E per 46 anni Tex sarà il pane quotidiano di Galep. Un Alex Raymond italiano, lo ha definito un critico. Avrebbe potuto inventare altri personaggi: ?Ma mi sento prigioniero di Tex, mi ha preso la mano e non ne posso più fare a meno. A mezzogiorno abozzo la sua figura e i personaggi di contorno, portando avanti il disegno sino al pomeriggio. Poi, dalle venti alle cinque del mattino dopo, passo a disegnare Tex?. Per questo il più grande divertimento di Galep, sino alla morte, avvenuta cinque anni fa (non prima di salutare i lettori con la copertina del numero 400 dell'albo), sarebbe stato quello di preparare numeri uno di nuove avventure del suo eroe. Un eroe che ha imparato il senso di sacrificio dei sardi, quello di fare le cose con sentimento e passione. Tex il ranger ama le sfide, come Galep.

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  • 7 months later...

Riprendo qui la discussione su Galep iniziata sul topic de "Il segno di Cruzado"... per dire solamente che non sono d'accordo, come dice Antony, che il Galep di quella storia è già un Galep sulla via del tramonto... Quel suo segno che comincia a farsi più lineare secondo me è magnifico, tanto che "Grido di Guerra" è secondo me una delle sue storie migliori:la vignettona con gli indiani che cadono dal ponte è un capolavoro!La decadenza di Galep per me inizia dopo queste storie, precisamente con "I diavoli rossi", nonostante sia la storia che da piccolo che mi fece innamorare di Galep..."Gli strangolatori" a me sembra disegnato benissimo;e uno dei capolavori di Galep secondo me è il numero 300:quella storie ha dei primi piani e delle pose davvero plastiche(ad es. le vignette in cui Kit cade da cavallo), e dei paesaggi magnifici;il tutto ovviamente aiutato dai colori e da quelle vignette "irregolari" già viste in "Gli sterminatori"... Comunque credo che sulla decadenza di Galep si possa, fino a "Gli strangolatori", giudicare solo da un punto di vista soggettivo;dopo quella storia purtroppo la decadenza di Galep è innegabile...

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Riprendo qui la discussione su Galep iniziata sul topic de "Il segno di Cruzado"... per dire solamente che non sono d'accordo, come dice Antony, che il Galep di quella storia è già un Galep sulla via del tramonto...

I primi segni di calo di Galep si verificarono anche prima, gia' nella storia "Missione suicida" uscita nel '79. Che l'artista sardo sia "sulla via del tramonto" in quel periodo, forse e' un affermazione un po' esagerata, ma sicuramente se confrontiamo tutti i suoi disegni delle storie degli anni' 80 con quelle degli anni '60 e inizi '70 c'e' una gran bella differenza, soprattutto nei primi piani dei quattro pards. E' innegabile che il suo tratto comincia ad essere piu' "tremolante" rispetto, per esempio, alle storie appartenenti al cosidetto "periodo d'oro" di Tex. Negli anni '90 invece, e mi dispiace dirlo, le sue uniche due storie ("Soldati a cavallo" e "Tex 400") sono inguardabili.
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Secondo me il fatto è che Galep ha avuto una serie di evoluzioni impressionanti:"Incubo" ha disegni(anche perchè, se non sbaglio, inchiostrati da Gamba) molto diversi da quelli di "Tra due bandiere"... così come "Tra due bandiere" ha disegni molto diversi da quelli di "I cacciatori di scalpi"... e "L'idolo di cristallo" ha un segno diverso di quello di "Il segno di Cruzado"... Quello che voglio dire è che fino a "Gli strangolatori" ci sono evoluzioni diverse, non involuzioni, nel segno di Galep... che poi piacciano o meno è questione di punti di vista... Comunque è certo che il Galep anni '90 è un Galep in piena decadenza, purtroppo...

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Io ho massimo rispetto per un grande autore quale è Galep ma a me non è mai piaciuto molto, come per esempio mi piace Villa o Piccinelli. Quello che non mi piace di Galep è che disegnava solo l'essenziale...... metteva pochi particolari sia sul volto di Tex che in generale. Ma non mi piacciono nemmeno i suoi disegni di quando stava bene. è proprio il suo stile che non mi piace. Ma naturalmente sono miei gusti. Comunque è stato un grande.

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Con il massimo rispetto per la tua opinione, Capitano, non sono d'accordo sull'affermazione che Galep non mettesse particolari. Tex con lui è cresciuto fisicamente oltre che maturato psicologicamente, è riuscito ad adattare la fisionomia dei suoi personaggi al tempo che passava e in episodi come "La vendetta di Tiger Jack" vediamo un Tex con quella barba incolta e l'espressione che mostra pienamente la stanchezza e l'angoscia del tempo che passa inesorabilmente".

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Anch'io ho il massimo rispetto per i gusti altrui, ma non mi sento di condividere mezza delle parole di Capitano Mendoza... Innanzitutto, Galep si sarebbe limitato all'essenziale? Ma quanti particolari, quanta accuratezza nelle fisionomie, quante sfumature psicologiche nei personaggi! E quanta umanit?: Tex, stanco, con la barba (perfetto l'esempio fornito da Cheyenne), provato, è veramente un Tex poetico. E le copertine! Non me ne voglia il nostro Claudio Villa, grande disegnatore e persona simpaticissima, ma io non capisco come si possano preferire le sue copertine a quelle di Galep, che è West al 100% ( pensate a ' Piombo Caldo', meravigliosa nella sua semplicit?) . Quanto al declino, mi sembra folle sostenere che fosse già cominciato con 'Il Segno Di Cruzado' ... ma dove, ma quando?Poi, come si f? a preferire Piccinelli a Galep, due storie contro una vita per Tex?Mah, mah, mah...

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Secondo me è moooooolto più realistico Villa. Lui disegna fotograficamente colt, winchester, cavalli, soldati, indiani e, naturalmente, Tex e pards. è normalissimo che io preferisco Villa. Poi sul fatto di Piccinelli tu dici: "due storie contro una vita". Mica io guardo a quanto a disegnato ma a come disegna. Mi baso sull'aspetto tecnico e non sentimentale.

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Non me ne voglia il nostro Claudio Villa, grande disegnatore e persona simpaticissima, ma io non capisco come si possano preferire le sue copertine a quelle di Galep, che è West al 100% ( pensate a ' Piombo Caldo', meravigliosa nella sua semplicit?) .

Anch'io sono un amante delle copertine di Galep(tranne quasi tutte quelle che comprendono la fascia 300/400)ma con tutto questo ritengo che quelle disegnate da Villa non sono da meno. Sono due tipi di copertine diverse, disegnate da due artisti di epoche e stile differenti. C'e' da dire una cosa pero'. Galleppini pur disegnando da Dio, per le sue cover si ispirava molto spesso alle locandine di film western e alle pose degli attori piu' famosi. In questo forum vi e' un topic apposito dove se ne parla.click

Quindi seppur amando moltissimo quelle splendide cover, specie quelle generiche, il sapere che molti soggetti di tali copertine non siano il frutto dell'immaginazione creativa dell'artista, ma li fa apprezzare un po' meno.
"Piombo caldo" che a mi avviso e' una delle copertine meno riuscite di Galep e' anch'essa ispirata ad una locandina o ad una foto di scena di un film western.

Quanto al declino, mi sembra folle sostenere che fosse già cominciato con 'Il Segno Di Cruzado' ... ma dove, ma quando?

Invece io ribadisco che, secondo me, i primi timidi segni di calo qualitativo si hanno in quella storia e per tutti gli anni '80. Non e' una maturazione artistica quel tratto notevolmente diverso, ma il risultato di alcuni problemi di salute che gia' affligevano il creatore grafico di Tex.
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Sto vedendo attraverso il forum le copertine originali di Galep fino al 300.. stupende!io fino ai 300 ho quasi solo tutto tex e nuova ristampa;spero si siano resi conto di aver rovinato molte copertine!"Il laccio nero" originale ha una cover meravigliosa, rovinata con il tutto dal nuovo sfondo!... oppure "Gli spietati" nella ristampa tuttotex ha uno sfondo modificato in un rosso magenta orribile che rovina tutto il disegno!In questo modo è stata anche cancellata una caratteristica particolare del Galep copertinista:l'astrazione!... un sacco di copertine hanno uno sfondo totalmente astratto:elemento questo, modernissimo e particolare! Perchè eliminarlo? :angry:

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  • 5 months later...
Guest Gilbertfan

Un otiimo disegnatore, ma con elementi spesso difficili da capire. Sinceramente, preferisco Villa a Galep, poich? Claudio realizza copertine più o meno interessanti, ma pur sempre realistiche. Non è per sminuire i lavori di Aurelio, ma perchè nella cover di Piombo Caldo il terreno a confine col Messico è bianco???Perchè nello sfondo di El Rey gli edifici lignei sono gialli???Ed il terreno ancora una volta bianco???E' possibile che in Duello all'alba, Tex sta per sparare all'avversario nella main street ed ha la mano sinistra occupata dal cappello???Chi è che ha fatto muovere la lampada dell'albo La rivolta???Perchè in Tradimento le case sono viola ed il terreno bianco???Perchè ne I figli della notte la roccia alla quale è appoggiato Tex è bianca e gialla???E nell'albo il sicario la pietra torna bianca???Ed il sesto dito di Tex ne Il coyote nero???Perchè nella cover del numero Laa montagna misteriosa un fulmine esce dalla montagna???Ne La trappola una casa verde pisello???Il giuramento presenta il ritorno della roccia bianca???In Spettri! Tex e Kit divengono improvvisamente color latte???E le montagne sempre viola???

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Per quanto riguarda il colore innaturale, ripeto quello che ho scritto nel post precedente:quegli sfondi in cui le cose sono colorate con colori che non gli appartengono nella realtà, e gli sfondi realizzati unicamente con un colore innaturale(es."Gli spietati"), sono una delle cose più innovative fatte da Galep. Possiamo parlare di vero e proprio Astrattismo:e cioè di allontanamento dalla realtà e dalla fedelt? al reale e alla verosimiglianza;e di interpretazione personale della realtà stessa, trasfigurata, o sublimata, o semplicemente abiurata, dall'artista. Ora, interpretare le copertine di Galep come "copertine astratte" sarebbe un grosso errore!.. ma non c'è dubbio che molte sue cover(purtroppo rovinate nelle ristampe)abbiano un'effetto astratto molto particolare, suggestivo, audace e modernissimo. Galep, secondo me, voleva e cercava questo effetto:quei colori innaturali, anche se inverosimili, si accordano tra loro,"si tengono", danno equilibrio a tutta la composizione:basta cambiarli un p? ed ecco che tutta la composizione ne perde-ed è purtroppo quello che è successo con le ristampe:un'esempio è la copertina di "le terre dell'abisso":? bastato ravvicinare Tex, far diventare bianco il cerchio nero, ed ecco che quell'equilibrio sottile e delicato si è perso. Proprio per la loro modernit? e la loro originalità, questi colori possono anche non piacere... ma secondo me quelle copertine sono eccezionali:poche altre volte, nelle copertine dei fumetti, mi è capitato di rivedere qualcosa di così audace e innovativo.

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Ma siamo sicuri che fosse effettivamente Galep a scegliere i colori delle copertine?

Sicuramente gli sfondi piatti e monocromi, vuoti, era lui a volerli-se così non fosse, allora molte delle sue copertine sarebbero ritoccate, e non credo sia così!
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